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Autore: Alessia Krum    13/07/2016    1 recensioni
L'acceleratore di particelle ha cambiato molte vite, ma non tutti i metaumani sono forti e sicuri di sè.
Tara è fragile, imprigionata dietro a un muro di solitudine che lei stessa ha eretto. Tutti credono che sia pazza, non le danno ascolto. Ma lei è veramente un metaumano, e questa nuova identità finirà per sopraffarla.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Barry Allen, Iris West, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fragile. A lost metahuman

Tara aveva dodici anni quando la picchiarono per la prima volta. Ricorda perfettamente l'impatto delle nocche di James sulla sua guancia, il sapore del sangue in bocca. Quando era piccola, Tara cercava di far vedere agli altri che, nonostante il suo aspetto minuto, era una bambina forte. Si mostrava esuberante, sicura di sé. Ma probabilmente si ingannava da sola: i bambini a volte non si accorgono delle menzogne. Tara spiccava sempre sugli altri, aveva bisogno di attenzione. Ma quella volta una parola di troppo l'aveva tradita. James era un tipo manesco, quasi nessuno nella scuola a Central City osava dargli contro. Beh, Tara era una di quelli. Non ricorda esattamente cosa gli aveva detto, ma il livido sullo zigomo, oh, quello se lo ricorda.

A dodici anni Tara aveva cominciato a pensare di non essere poi così forte. Aveva provato più volte a prendersi la rivincita che meritava su James, ma finiva ogni volta con un nuovo livido. Si vergognava così tanto che iniziò a pensare di non meritare più nessun tipo di premio. I suoi amici cercarono di consolarla, ma non c'era nulla da fare. La sua autostima si era volatilizzata come il fumo che rimane nell'aria dopo aver spento una candela. Uno sbuffo di nulla, che in poco tempo nulla ritorna.

Alle superiori era andata ancora peggio. Tara si isolò. Era tenuta in disparte, un puntino insulso in mezzo a una folla infinita. Nessuno si curava di lei, lei non si curava di nessuno. Il problema era che al mondo la sua esistenza era indifferente, mentre Tara soffriva. Soffriva in continuazione per la mancanza di attenzione. Nessuno la conosceva, nessuno voleva starle accanto. La solitudine all'inizio le sembrava una prigione, una gabbia, come quelle di ferro battuto che ospitavano pappagallini colorati. Una gabbia bellissima, con i suoi intrecci di ferro argentati. Una gabbia che col tempo diventò la sua casa. La solitudine si trasformò lentamente in un'amica, un'amica fidata a cui Tara poteva rivolgersi per qualunque cosa. La Solitudine era sempre lì pronta per lei, non la deludeva mai. Molte volte Tara si rifugiò nel suo abbraccio, senza mai venire allontanata.

Alle superiori Tara perse completamente il suo carattere forte. Quando provava a riconquistarlo, i pugni di qualcuno pensavano a ricordarle la sua inutilità. Nulla di quello che faceva aveva più un senso ormai, ogni piccola cosa che le dava la forza di continuare era stata spazzata via. 
Le lacrime che bruciavano gli occhi e i pugni sul cuscino che bruciavano la pelle erano solo ricordi lontani di quel periodo in cui ancora aveva la volontà di fare qualcosa. 
Tara si diplomò per un soffio. Poi, la sua vita sprofondò. Vedeva scorrerle davanti agli occhi tutti i successi delle sue compagne di scuola, donne brillanti che in poco tempo si erano costruite una carriera. Coraggiose, intraprendenti. E lei era ancora lì, a venticinque anni, ancorata sul fondo della disperazione. 
La psicologa era la cosa più irritante, che le ricordava sempre di più quanto in basso fosse arrivata. Dov'era finita la determinazione di quella bambina dura e intraprendente, che non pensava più di tre secondi prima di mettersi nei guai? La sua vita era nelle mani di una serafica donna priva di sentimenti, che pretendeva di giocare con lei come fosse il suo burattino. Che cosa ne sapeva di lei? Non poteva capire. 
Tara si chiudeva nella solitudine. Non usciva di casa, non mangiava per giorni. Semplicemente, restava seduta a fissare il muro, con gli occhi che bruciavano - di nuovo - senza far altro che riflettere sulla sua inutilità.
I suoi genitori erano una figura marginale. Comparivano a volte nella sua mente, pretendendo di aiutarla, imponendole di fare qualcosa, per rialzarsi. La riempivano di belle parole, ma in fondo nemmeno loro ci credevano. Lei era la figlia pazza, quella che parla con le ombre, che sussurra cose strane, che urla di notte, e ignora il mondo. Irrecuperabile.
La prigione. La prigione di ferro che la tratteneva era la sua migliore amica e la sua peggior nemica.

Quel giorno, Tara era sola. Lo sguardo fisso sul muro, non pensava a niente. A volte rivolgeva brevi sorrisi stanchi ai fantasmi della se stessa bambina, che se ne stava lì a guardarla come se avesse voluto dirle io sono migliore di te, e lo sarò sempre. Le pareva così bella, quella Tara, e allo stesso tempo la odiava, perché non era lei e non poteva essere lei. Tara aveva freddo. 
Quando successe, all'inizio percepì un lieve cambiamento nell'atmosfera, ma niente di più. Represse quella sensazione come se si trattasse di un pensiero brutto. Faceva sempre così, con i temporali, perché le facevano paura. Era un temporale strano, però, quello di quel giorno. 
La Tara bambina le gridò qualcosa. Avrebbe voluto lanciarle qualcosa, strozzarla, vederla sparire. Ma nel frastuono dell'esplosione - ecco cos'era, quel temporale - non ebbe l'occasione di fare nulla. Il mondo attorno a lei scomparve, come se qualcuno avesse improvvisamente spento la luce. 
Dopo qualche secondo, Tara ricominciò a vedere.
Freddo. Neve. 
Davanti a lei c'era la più grande distesa di ghiaccio che avesse mai visto. Una sconfinata pianura gelata, che rifletteva i suoi pensieri gelidi. 
Il vuoto. 
Il freddo.
Tara non capiva, fissava il bianco attorno a lei, con il corpo tormentato dai brividi e il respiro che si addensava davanti al volto. Le lacrime le si congelarono sul viso.

Tara si risvegliò in un letto d'ospedale. Non erano poche le voci che giravano sul suo conto. Una ragazza che aveva rischiato di morire per ipotermia, ritrovata dai genitori priva di sensi in casa, livida e ricoperta di nevischio. Nevischio in casa, com'era possibile? 
Tara provò a spiegare ai suoi genitori cosa le era successo. Raccontò loro ogni secondo di quelle due ore nel ghiaccio, di cui non era ancora riuscita a capire la causa. Raccontò loro il freddo e la paura, la paura di non poter più tornare a casa, di morire. Nemmeno lei sapeva come aveva fatto a tornare. Aveva vagato nel nulla ghiacciato per un tempo che era sembrato eterno, poi aveva perso i sensi. Non ricordava nient'altro. Era una cosa così enorme e impossibile, che non avrebbero mai potuto capire. Non le credevano.
Nemmeno la psicologa la prendeva sul serio. "Una proiezione del suo stato d'animo", diceva in continuazione. Non importava quanto Tara gridasse e cercasse di spiegarle che lei c'era veramente stata, nella sconfinata landa ghiacciata, che era tutto vero, così vero che l'aveva quasi uccisa. 
La frustrazione la trascinava nel baratro.
Nessuno le credeva. Erano successe tante di quelle cose strane quella sera. Tara non riusciva a capire fino in fondo il significato delle parole che comparivano al telegiornale, ma l'esplosione di quella sera aveva creato tante stranezze, una più incredibile dell'altra. Tara cercò di mettere a fuoco le immagini sul televisore, uscendo per un attimo dal suo mondo di incubi. Ecco, c'era un ragazzo, per esempio, che era stato colpito da un fulmine. Era quella la notizia che ogni emittente televisiva riportava senza sosta. Tara immaginò la scarica elettrica tra le fibre del suo corpo, immaginò il dolore che quel ragazzo aveva dovuto provare. E si rese conto che c'era qualcosa che li legava. Forse quel ragazzo era sperduto in una landa di ghiaccio in quel momento, come lei. E forse, quando si sarebbe svegliato dal coma, nessuno gli avrebbe creduto. Come lei. Tara sentì l'ingiustizia pesarle addosso. Lei voleva essere quella in coma. Almeno non avrebbe sentito la cappa di disperazione dei suoi genitori, sempre più convinti che fosse pazza. Ma d'altronde, che cos'era la pazzia, considerato quello che aveva vissuto?

Non passava un giorno senza che Tara pensasse a quel ragazzo. L'immagine di lui l'accompagnava costantemente, e forse i genitori si erano accorti di un cambiamento. Tara drizzava le orecchie a tavola, quando al telegiornale parlavano di lui, e continuava a chiedere informazioni sui fulmini, e a rubare i giornali del padre in cerca di notizie. La psicologa le chiese di parlare di lui un giorno, di spiegarle che cosa rappresentasse per lei quel ragazzo. Tara rispose semplicemente che le dispiaceva per lui. Nient'altro. La donna non sarebbe mai stata disposta ad accettare la spiegazione reale.

E poi, qualche settimana più tardi, successe di nuovo. Tara era sdraiata sul letto e guardava il soffitto, persa nel silenzio a rincorrere i pensieri su quel ragazzo, quando sentì una strana sensazione. Tutto divenne buio e la ragazza si trovò nel mezzo di una stanza d'ospedale deserta. Era completamente disorientata, non capiva cosa fosse successo, ma poi i ricordi del ghiacciaio la riempirono come una valanga. Era successa la stessa cosa, e lei in quel momento poteva essere finita ovunque. Il terrore la schiacciò non appena se ne rese conto, cominciò a tremare, di paura questa volta. Si portò le mani tremanti sugli occhi, sperando che tutto potesse scomparire da un momento all'altro. Ma quando scostò i palmi, i candidi macchinari ronzanti erano ancora lì, e Tara non riuscì ad impedire che lacrime calde le solcassero le guance. Ansimante, ignorando i gemiti che le scappavano dalle labbra, ruotò lentamente su se stessa per esaminare l'ambiente circostante. Continuando a sperare che sarebbe scomparso. Fu allora, col sottofondo dei rumori intermittenti delle macchine, che lo vide. Il ragazzo del fulmine era a pochi metri da lei. 
Nel cuore di Tara si riversarono istantaneamente una dolcezza incredibile, mista a comprensione e qualcos'altro che non riuscì ad identificare con precisione. Il ragazzo del fulmine era lì, e lei provava per lui una sorta di amore materno che per poco le fece dimenticare tutto il resto. Si avvicinò a lui con passi incerti, questa volta temendo che tutto svanisse. Il ragazzo dei fulmini era lì. Tara osservò con dolcezza i suoi lineamenti, e il suo petto che si alzava e si abbassava al ritmo del rumore delle macchine. Avvicinò lentamente le dita al suo volto e sfiorò la sua pelle in una carezza. Nell'istante in cui i suoi polpastrelli toccarono la pelle di lui, Tara poté giurare di aver sentito una piccola scarica elettrica attraversarle il dito. Indugiò ancora in quella carezza tenera, che sentiva così giusta. Si perse nella contemplazione del ragazzo del fulmine, fino a quando la stanza della porta non si aprì. Tara si congelò, rendendosi conto in quel momento di essere in pigiama e di avere ancora le guance rigate di lacrime. Rimase pietrificata mentre una ragazza dalla pelle scura faceva il suo ingresso nella stanza, i suoi lineamenti piegati in una smorfia di disperazione. Le rivolse un breve sguardo e si avvicinò al letto. "Ho sbagliato stanza." furono le uniche parole che Tara riuscì a dire. La ragazza non ebbe problemi a crederle, probabilmente notando la confusione di cui Tara era preda. Lei si limitò ad uscire velocemente attraverso la porta, gettandosi a capofitto nel corridoio affollato dell'ospedale. Qualcuno si voltò a guardarla, ma nessuno si soffermò su quella ragazzina così insignificante, che fuggì, camminando senza meta tra i corridoi di quel luogo così ordinato, troppo ordinato per lei che invece era un groviglio di dubbi e insicurezza. Tara vagò per l'ospedale per alcuni minuti prima di venire trasportata misteriosamente ed inspiegabilmente di nuovo a casa.

Al loro rientro i genitori la trovarono un po' scossa, spaventata, ma non ci fecero molto caso. Tara decise di non raccontare loro nulla. Non le avrebbero creduto.

Passarono mesi, e lo strano fenomeno non si ripeteva. Tara avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo fare ancora una volta, essere trasportata in un posto sconosciuto, solo per sapere con certezza di non essere pazza, di non aver immaginato tutto. Ogni giorno che passava, la realtà di quei viaggi misteriosi scappava dalla sua debole presa, le scivolava tra le dita. Un giorno credeva di essere uscita di senno, il giorno dopo giurava a se stessa di essere stata nel ghiacciaio e all'ospedale. Non riusciva più a distinguere i contorni della realtà e quelli della fantasia; credeva di essere stata veramente nei luoghi dei suoi sogni spettrali, oppure negava il ghiacciaio e tutto il resto. A volte stentava a riconoscere il posto in cui si trovava, pensando di esserci stata trasportata improvvisamente. Piangeva, e urlava, e la gente si fermava e non capiva cosa succedeva. Le chiedevano cosa aveva, e lei sentiva la sua voce gridare come se la sua vita dipendesse da quello. 
Il fantasma di se stessa bambina la perseguitava. Il ghiacciaio non esiste, sei pazza, diceva. E lei urlava, voleva ammazzarla, ma non poteva. Piangeva.
Sei pazza.
No, lei non era pazza.               Era pazza?
Tara non lo sapeva più. Non si riconosceva. Il suo riflesso nello specchio le rimandava indietro un'immagine distorta. Ossuta, con gli occhi scavati e rossi, era il viso di uno straniero, ed era il suo.

Fu come riprendere fiato dopo un'immersione. Tara era dalla psicologa, e le scoppiava la testa. Chiese di andare in bagno, chiuse la porta dietro di sé, e dopo poco non era più lì. Un campo di fiori, che la circondava a perdita d'occhio. Le sue gambe erano immerse in quella distesa di petali rosa, tirava un lieve venticello che li faceva sembrare un mare agitato. All'inizio Tara fu felice. Significava che non era pazza, che non aveva immaginato tutto. Ma poi fu sconvolta dalla realtà di quello che era successo: era in un luogo sconosciuto, isolato dal mondo e non sapeva come tornare indietro. Tara cadde in ginocchio, tra i fiori profumati. Ad un tratto le sembrarono sgualciti, consumati, invecchiati dal tempo.
Piegati da qualcosa più grande di loro, come lei. Tara era in balia del proprio destino, senza una appiglio a cui reggersi. Probabilmente quei viaggi assurdi erano veramente frutto della sua fantasia. Come si spiegava altrimenti tutto ciò? Forse era pazza.

Tara uscì dal bagno dello studio della psicologa un'ora e mezzo più tardi e ad accoglierla c'era una folla di persone che la cercavano. Fu assalita da mille volti diversi, mille voci preoccupate che le indirizzavano frasi che non capiva. E dopo tutta quella solitudine, il frastuono era assordante, come una bomba che esplode. Tara si gettò a terra, urlando. Si sentì raggiungere dalla voce odiata della psicologa. La guardò con gli occhi sgranati e colmi di terrore, mentre la donna la tempestava di domande. Tara rispose a monosillabi, le mani premute sulle orecchie. Spiegò che era stato come il ghiacciaio, ma era un campo di fiori. Nessuno le credette. Fu accompagnata a casa, i genitori ricevettero l'istruzione di non farla più uscire sola.

Non era servito a niente. Altri mesi erano passati, era sempre sorvegliata come una carcerata, ma nonostante ciò i viaggi non erano finiti. Appena era sola, scompariva nel nulla, per tornare qualche ora o minuto dopo. Un'assurdità per i suoi familiari. I genitori pensavano che lei scappasse, per tornare quando si rendeva conto di cosa aveva fatto. Tara non spiegava nemmeno dove era stata.
Un castello abbandonato, i cui corridoi rimbombavano solo dei suoi passi senza meta e delle sue invocazioni senza risposta, luogo perfetto per i demoni che la tormentavano.
La sommità di una montagna dall'aria rarefatta, che rimandava indietro l'eco dei suoi pianti.
Una foresta pluviale, in cui si sentiva inadeguata, troppo piccola.

Tara veniva annientata dell'immensità di quei luoghi senza confini.

Una notizia buona però c'era. Il ragazzo del fulmine si era svegliato. Tara aveva capito ormai che la sorte che gli era toccata era diversa dalla sua: lui non vagava per luoghi sconosciuti e infiniti. Ciononostante Tara continuava a provare affetto per lui, come l'amore che si prova per un fratello che condivide il tuo stesso destino. Quella notte aveva cambiato le loro vite, per sempre.
Sapeva anche che la vita del ragazzo era cambiata in un altro modo. Tara aveva l'assoluta certezza che la Scia che era stata intravista a Central City fosse lui. Lo sapeva e basta, come si sa che il sole sta in alto e la terra sta sotto i piedi. 
Aveva scoperto anche che esistevano altre persone con la vita sconvolta, dopo la notte del ghiacciaio. Metaumani, li chiamavano. Una parola difficile e un concetto semplice da capire, anche per Tara: erano uguali a lei.
Avevano la stessa luce di pazzia negli occhi, anche se meno forte, la stessa luce che aveva visto nei suoi occhi, nel riflesso dello specchio.

~

Questa volta é l'Oceano. Il paesaggio intorno a Tara é irrequieto, non trova pace. Un vento incessante sferza la roccia e gli sparuti ciuffi d'erba che la punteggiano, il mare é agitato da onde grigie e scostanti.
Il cielo é plumbeo, e rari raggi di sole fanno capolino tra le nuvole, gettando un fascio di luce sull'acqua.
Il paesaggio é confuso, come Tara. É successo di nuovo, é stata trasportata in un luogo sperduto, e passeranno ore prima di tornare a casa. Sempre che ci riesca, a tornare a casa. 
Tara non ce la fa più. La sua vita é distrutta, e non sa se c'è ancora una speranza di normalità per lei. É stanca di quei viaggi, é stanca di essere perseguitata dai suoi demoni, é stanca di essere un peso; é stanca di essere considerata pazza, anche se quasi sicuramente lo è; é stanca di non essere creduta, é stanca di essere.
Tara é controllata dalla paura. Non vuole più viaggiare, passerebbe tutto il resto della vita chiusa in camera piuttosto. Quei luoghi infiniti la annullano. Che cos'è lei, di fronte a quell'oceano che si perde a vista d'occhio, di fronte a quella scogliera che lo sovrasta e che sembra non finire mai? Tara non é niente.
Però quel paesaggio un po' le piace, perché le somiglia.
Tara resta immobile, lasciandosi frustare dal vento impietoso, ascoltando il rumore delle onde. Sembra una tempesta, come quella che c'è nella sua testa. 
Un fulmine in lontananza, e un tuono la scuote. Gli occhi le bruciano, i capelli volano all'indietro seguendo i capricci del vento. Tara avanza lentamente, un passo dopo l'altro. L'erba ispida le solletica i piedi nudi. Non sa più cosa pensare, cosa fare, é in balia di se stessa. Tara é un metaumano, e si chiede se anche lei un giorno sarà guidata dalla follia e trasformata in qualcosa di così lontano da lei, da quello che era, da non sapere più chi è. Tara sa già che è pazza, sa già che la sua vita é e sarà un inferno. Un altro tuono, e Tara é percorsa da un brivido. 
Non vuole. 
Non vuole più vivere. 
Pensa agli altri metaumani, si chiede dove scompaiano dopo che Flash li sconfigge. Anche lei vuole andare nel posto dove vanno quei demoni dagli occhi folli, e lo vuole fare in fretta. 
Tara guarda il mare che brontola, e sorride. É la sua via di fuga. Tara vuole dire basta a quella assurdità, basta ai viaggi orribili, basta ai luoghi infiniti, basta a lei stessa, piccola, inutile e senza futuro. Tara si avvicina al bordo della scogliera, sente la roccia appuntita sotto i piedi, e sembra quasi una carezza. Inspira a pieni polmoni l'aria intrisa di salsedine e odore di tempesta. Quasi non se ne accorge, ma una risata disperata si fa strada dalla sua gola, fino ad uscire in un suono malato e rantolante. Le nuvole la minacciano, il vento la colpisce, il mare la sfida, e lei ride.
Sono pazza, dice a se stessa, scuotendo la testa, e ride. 
Tara avanza ancora sul bordo della roccia, sotto di lei solo le onde. Dà un'ultima occhiata al paesaggio, che in quel momento le pare il luogo perfetto per dire addio a tutto il suo tormento. É felice.

Tara fa un salto nel vuoto.

Si lascia trascinare dal vento, intorno a lei un vortice di sensazioni intense, la salsedine, i tuoni, un fulmine inaspettato, gli stridii di uccelli lontani, il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli, il mare scuro che la reclama.

Cade.

E le acque si richiudono su di lei.




- - - Angolo autrice - - -

Ciao a tutti, grazie per aver letto questa one shot. Diciamo che non ho molta esperienza con le fanfiction...ne ho scritte alcune, ma questa è la prima che pubblico. Ho sempre paura di non riuscire a rendere coerenti i personaggi con quello che sono nelle opere originali, perciò anche qui la protagonista è un personaggio di mia invenzione, ho preferito lasciare Barry e Iris sullo sfondo.

Che dire, un giorno guardando una puntata di The Flash ho pensato che fosse veramente strano il fatto che quasi tutti i metaumani affrontati da Barry fossero sempre forti e determinati a raggiungere il proprio obiettivo usando i poteri che sono stati dati loro dall'acceleratore. Poi ho pensato che forse ci potessero essere altri metaumani nascosti nell'ombra, insicuri e divorati da quegli stessi poteri che altri sanno sfruttare così bene. E ho deciso di raccontare la storia di uno di loro.

Tara è un personaggio molto diverso da quelli di cui sono solita scrivere. Prima di tutto, non ho mai scritto di persone con problemi psicologici; in secondo luogo, il finale drammatico è una cosa lontanissima dalle mie abitudini. Anche lo stile che ho usato è un po' inusuale per me, così frammentato, con le frasi brevi e spezzate. Ho voluto adottare questi espedienti per cercare di rendere al meglio la confusione e la fragilità di Tara. Diciamo che questa one shot è stata un enorme esperimento, spero che vi sia piaciuta quanto a me è piaciuto scriverla. <3

Alessia Krum

   
 
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