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Autore: Colli58    14/07/2016    5 recensioni
Era ancora così difficile pensare ad un altro anno senza una presenza: le mancava sua madre. In quel giorno specifico avrebbe dovuto uscire e andare al cimitero, il tempo inclemente non glielo permetteva così come il suo apprensivo consorte. Si sentiva un po’ a terra, non del tutto triste.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Achab Story'
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Si era svegliata in una casa insolitamente silenziosa.
Nevicava da tre giorni ormai e gli operai non avevano potuto recarsi al lavoro. Ad essere sinceri quel silenzio le stava bene. I lavori di ristrutturazione erano stati sospesi durate le festività di Natale per riprendere i primi giorni dell’anno riempiendo ancora la casa di rumori e polvere che si attaccava ovunque.
Quella mattina tutto era piacevolmente ovattato dal tipico silenzio delle nevicate copiose che paralizzavano New York: bloccavano il traffico e lasciavano la gente a casa al lavoro. Rendevano felici i bambini perché saltavano la scuola e potevano giocare tutto il giorno nella neve, gelo permettendo. A New York i bambini godevano di gioie che da adulti avrebbero considerato calamità! Regola che sicuramente non valeva per suo marito che si divertiva come un ragazzino.
Ma Rick non si era alzato euforico dall’avere l’opportunità di lasciare impronte nella neve fresca come un astronauta sulla luna, non aveva acceso la tv e nemmeno lo stereo.
Era il 9 di gennaio. Un 9 di gennaio dei tanti. Rick si era alzato presto, regalandole uno sguardo di comprensione. Aveva silenziosamente preparato la colazione che le aveva servito a letto.
Lei aveva voluto un po’ di tranquillità per sé, come ogni anno, così si era mosso con una straordinaria discrezione.
Alexis le aveva mandato un messaggio con un abbraccio virtuale. Era bloccata al campus universitario. Martha la sera prima le aveva augurato una buona notte in modo molto caloroso, con una telefonata dalla spa in cui si era rifugiata a causa della polvere. Impediva la distensione dei muscoli del suo viso, cosi diceva.
Il distretto l’avrebbe contattata solo in caso di necessità grave.
In qualche modo famiglia ed amici si stavano prodigando perché lei passasse una giornata tranquilla.
Stesa sul letto, accarezzava dolcemente il suo ventre molto arrotondato ormai. Guardava verso la finestra la neve scendere a fiocchi ampi e turbinanti sentendosi molto amata.
Era al quinto mese, felice e non ancora del tutto a suo agio con la maternità. Era ancora così difficile pensare ad un altro anno senza una presenza: le mancava sua madre. In quel giorno specifico avrebbe dovuto uscire e andare al cimitero, il tempo inclemente non glielo permetteva così come il suo apprensivo consorte. Si sentiva un po’ a terra, non del tutto triste.
Le sarebbe piaciuto che sua madre la vedesse così. In quante cose l’avrebbe potuta consigliare e rassicurare costruendo un imprevedibile sodalizio con Rick. Ci aveva speculato su ed era sicura che sua madre avrebbe legato molto con lui: era una sua fan e lui sapeva essere affascinante anche nella sua follia.
Aveva avuto l’istinto di prendere il telefono e chiamare suo padre che, come lei, probabilmente era chiuso in casa a pensare al passato o a riempirsi la mente di -se-.
Però le erano mancate le parole. Che cosa avrebbe potuto consolare suo padre più di quello che si erano già detti negli anni? Ognuno di loro soffriva a modo proprio e non condividevano il dolore. Non lo avevano mai fatto. Raccontargli mere speculazioni su quello che sarebbe potuto essere se fosse ancora tra loro non lo avrebbe aiutato.
Le feste di Natale erano passate da poco. Niente eventi pubblici e tantomeno veglie di fine anno caotiche, avevano preferito qualcosa di più casalingo con il loft agghindato a festa e la loro famiglia al completo. Tutto era magicamente filato via liscio, ma solo dopo un paio di giorni veramente stressanti.
Castle aveva iniziato presto a trafficare con gli addobbi, per giorni aveva aperto e svuotato scatoloni in giro per casa, come se non bastasse il caos del cantiere al piano di sotto. Lei cercava invano di concentrarsi sui suoi libri di studio. Dopo il lavoro lo studio prendeva il resto della giornata e gli ultimi esami erano ad un passo. Il ritmo serrato l’aveva resa stanca e irritabile così avevano litigato perché non sopportava più la polvere, che finiva ovunque, ed il caos. Castle invece continuava a fare modifiche al progetto allungando i tempi di chiusura dei lavori. Non si accontentava mai. Gliel’aveva urlato contro un pomeriggio, di ritorno dal lavoro, dopo che si era presentato a lei con un’ennesima entusiasmante variante al progetto.
Era stata molto aggressiva nei suoi confronti, quasi fuori controllo. Lo aveva ferito dicendogli che doveva accontentarsi ogni tanto, che le delusioni erano parte della vita. Avevano passato i due giorni successivi a parlarsi a gesti e grugniti, a darsi la schiena nel cuore della notte e fingere che non fosse successo la mattina dopo.  Quando la sera dell’ultimo giorno Rick si era addormentato davanti alla tv guardando un documentario sulla preparazione del sakè, preoccupata di quel mutismo lo aveva svegliato per spingerlo ad andare a stendersi nel letto. Castle aveva parlato di sakè in un discorso sconnesso per 15 minuti e poi le aveva confidato che se si fosse accontentato probabilmente sarebbe rimasto sposato a Gina e non con la donna più irritante che avesse mai conosciuto, con un fisico da modella e il cervello di Sherlock Holmes: una strega che gli aveva rubato l’anima e senza la quale non poteva più vivere.
Si era scusata. Una farneticante dichiarazione a base di sakè e del suo amore per pregi e difetti che incarnava prevedeva sicuramente un bacio pieno di trasporto. Lui si era alzato e dopo averla abbracciata, aveva promesso di non apportare altre modifiche, ammettendo il suo eccesso di zelo.
Docile come un agnellino. Fine della discussione e due giorni buttati a tenersi il muso.
Castle aveva ovviamente diagnosticato che il suo astio fosse strettamente legato alla gravidanza, perdonandola senza riserve, forse. Lei però si era fatta un appunto mentale: il suo uomo meritava un gesto di scuse ben più significativo. Si sentiva dal lato della ragione ma Rick, da creatura sensibile quale era, poteva essere convinto con gli argomenti giusti. Non doveva aggredirlo, ma spiegargli il suo disagio.
Aveva sbagliato non affrontando subito l’argomento perché l’entusiasmo di Castle per i cambiamenti non era una novità, purtroppo aveva raggiunto il proprio limite di sopportazione prima del previsto.
Placidamente distesa sul letto valutava tutta la disavventura con serenità perché il Natale era stato stupendo, personale in modo particolare e molto intenso. Si era fatta coccolare e Rick sapeva farlo molto bene.
Si strinse addosso la splendida trapunta patchwork che le aveva regalato Martha, era calda, morbida, allegra.
In modo del tutto simbolico incarnava lo stile della famiglia Castle, la sua famiglia.
Lei era la signora Castle. Quella vera.
Sua madre avrebbe trovato la sua famiglia interessate e divertente.  Si era immaginata lunghe e vivaci discussioni davanti al camino con una tazza di punch caldo e migliaia di argomenti da sviscerare.
Probabilmente avrebbe adorato il livello culturale di Rick, oltre al fatto che era una sua lettrice. In fondo gli aveva presentato pochi ragazzi che poteva aver gradito. Ripensandoci quei pochi erano solo stati messi in mostra per pura provocazione. Ma di Rick sarebbe stata orgogliosa. 
Avrebbe visto anche in Martha una persona vivace e un po’ folle, percependone la singolarità così come era accaduto a suo padre. Aveva avuto con Martha solo uno scontro iniziale, un’incomprensione data da due stili di vita diversi, poi superata senza problemi. Forse non la capiva del tutto, ma aveva simpatia per l’attrice.
Con il bambino in arrivo chissà quali avventure sarebbero scaturite dall’incontro dei caratteri. Era stata una discussione accesa anche la sola decisione di come adornare la stanza del loro primogenito Abel.
L’ultima ecografia aveva dato ragione a Castle sancendo l’arrivo di un maschietto. 
Aveva perso la scommessa simbolica ma ne era felice. Abel sarebbe arrivato presto nelle loro vite e avrebbe spostato l’ago della bilancia degli ormoni in quella casa da 3 su 1 a 3 su 2. Oppure anche 3 su 1 e mezzo, Castle abbondava in estrogeni vista la sua metro-sessualità manifesta.
Un nuovo piccolo sé stesso da coinvolgere in contorti racconti della buonanotte, storie che stava già preparando prendendo appunti su un diario che teneva gelosamente nel cassetto del comodino. Castle sembrava sempre un passo avanti nel pensare all’arrivo del bambino, lei metabolizzava più lentamente e non era sicura che fosse un bene. Per contro anche Rick stava imparando a vivere quei giorni come una novità abbandonando definitivamente i paragoni con il passato. Apprezzava molto quel cambiamento: quale donna vorrebbe essere messa a paragone con l’ex del proprio marito?
Guardò verso la porta. Avvertiva uno strano silenzio e a casa loro poteva anche significare una diavoleria in arrivo. Decise che la cosa migliore era sincerarsi di un eventuale catastrofe sul nascere per poterla arginare.
Scese dal letto e si strinse nella sua trapunta. Aveva calzini ai piedi e sperò di sorprendere silenziosamente suo marito prima che nascondesse le prove.
Uscì in soggiorno. Tutto era in ordine e di lui nessuna traccia, il camino acceso era l’unica cosa viva.
Vagò per le stanze della casa. Non c’era nemmeno al piano di sotto. Indugiò alcuni minuti in quelle coinvolte dai lavori e ormai pronte: la loro camera da letto era stupenda, colori caldi e una splendida luce. Dovevano solo traslocare i mobili. Avevano fatto un buon lavoro e doveva anche accettare il fatto che le insistenze di Castle nell’apportare modifiche avevano generato buoni frutti. La stanza del bambino era stata dipinta prevalentemente di bianco e azzurro, con uno stormo di uccelli blu che sfumava in una chiara notte di luna piena sul soffitto. Era confortevole e le piaceva moltissimo, ma prima di arrivare a quella scelta, quante discussioni avevano avuto! Il montacarichi le era sembrato un eccesso, però quante cose potevano essere movimentate senza portarsele lungo le scale. Castle aveva puntato ad un ascensore interno, lei lo aveva stoppato. Non c’era bisogno e soprattutto gli impianti erano troppo ingombranti. Il montacarichi bastava.
Sbuffò scocciata dalla sua assenza.
Che Castle fosse uscito senza avvisarla? Salì sconsolata e tornò verso la stanza da letto. Dove diavolo era andato con quel maltempo? Cercò il telefono per chiamarlo immaginando stesse combinando qualcosa, ma non ebbe risposta. Di certo quel silenzio non la faceva star tranquilla.
Si rannicchiò sul letto e allungò la mano verso il libro che aveva sul comodino, uno degli ultimi manuali per la preparazione agli esami che si sarebbero svolti la settimana dopo. Ne aveva già superati alcuni senza problemi, anzi era stato fin troppo facile. Doveva affrontare ancora le commissioni, tra cui quella etica. La peggiore forse. La Gates le aveva detto di stare tranquilla, che lei era una dei pochi candidati ad essere all’altezza dell’incarico più prestigioso. Castle aveva fatto tutti i suoi voli pindarici secondo i quali sarebbe divenuta presto un capitano, magari proprio del dodicesimo. L’idea la solleticava molto, ma non era certa di captare con chiarezza i segnali che le alte sfere della polizia lasciavano trapelare vista la situazione di incertezza creata dall’imbarazzante incapacità del procuratore distrettuale. In tribunale il suo staff stava mettendo in crisi in modo vergognoso il caso dell’omicidio Keeler. Howard Bass se la sarebbe cavata con poco, il capo della polizia non era contento. Insomma un pasticcio da cui poteva uscirne solo facendo cambiare le cose.
Lei e Castle neanche a dirlo, si erano conquistati in nuovo nemico.
Cercò di concentrarsi nella lettura senza riuscirsi perché la mente tornava a immagini del passato. Pensò alle ricerche fatte da sua madre, alla ricerca della verità che l’aveva portata alla morte. Lei non era diversa e conosceva il prezzo di quell’integrità: poteva essere raggelante ma non si sarebbe fatta intimidire. Confidava ancora nella giustizia.
La mente tornò indietro a quei piccoli rituali che faceva con lei prima delle prove scolastiche più importanti. Dolcezze come frutta candita e cioccolata con cannella d’inverno, gelato nelle giornate calde. Chiacchierate in toni pacati per farla ragionare e prendere coscienza della sua buona preparazione. Crescendo erano arrivate le discussioni animate e le sfide nel suo periodo di ribellione che sua madre aveva saputo gestire con intelligenza, permettendole di fare esperienze, sbagliare e capire. Chissà se fosse stata in grado di fare altrettanto con il suo piccolo e con i cambiamenti che l’aspettavano nella vita.
Richiuse il libro con un gesto secco. Non aveva proprio la testa per concentrarsi sulla legge. Tornò ad ascoltare il silenzio in casa. Castle non poteva essere uscito con quel tempo, tutti i notiziari esortavano i newyorkesi a restare in casa, a non rischiare inutilmente sulla strade gelate. Nella dispensa c’era ogni ben di dio e in quantità tale da sfamare un reggimento, non avevano bisogno d’altro.
Si alzò e raggiunse lo studio. Cercò qualche nota che poteva aver lasciato ma non la trovò.
Il suo cellulare emise un cicalio. Lo prese, curiosa di sapere dove era andato quel pazzo di suo marito.
Come si era immaginata il messaggio era di Castle e conteneva la foto di una piccola famigliola di creaturine di neve, molto simili a grossolani Olaf con tanto di naso a carota e bottoni fatti di pietre scure che avevano tutta l’aria di essere lapilli provenienti dalle fioriere dell’ingresso. Non si domandò dove si fosse procurato i rametti che ne facevano braccia e capelli, ma riuscì a intravedere sul capo di uno dei pupazzi la vecchia e consumata scopa della cucina. Un Olaf tendente al punk con la zazzera imbiancata dalla neve. Appeso al più grande di quei 4 pupazzi c’era un cartello. “Ti amiamo Kate” vi si leggeva scritto con un pennarello nero. Riconobbe la grafia elegante di Rick e il luogo era la terrazza sul tetto. Sorrise scuotendo il capo.
Un altro messaggio e un'altra foto. Sempre la famiglia Olaf in un selfie con Castle: aveva in testa il berretto innevato che lo rendeva buffo. Gli sorrideva dolcemente trattenendo in mano un secondo cartello.
“Ti amiamo tantissimo. Ma ora abbiamo bisogno di cioccolata calda.”
Si era aspettata qualche gesto folle, ma niente di così tenero. Scosse il capo mentre digitava sulla tastiera del telefono: “Vieni a prenderti il tuo premio ma lascia la neve di sopra. Anche a me piacciono i caldi abbracci.”
Indugiò alcuni minuti muovendosi lentamente verso la cucina, ammantata dalla sua coperta. Si sentiva un po’ Linus, era così confortevole.
Castle ci avrebbe impiegato poco a scendere dal tetto. Guardò la porta e sentì armeggiare con la serratura.
Entrò intirizzito battendosi le mani. I guanti spuntavano dalle tasche della giacca a vento spolverata di neve. La guardò divertito, forse era sorpreso nel vederla sorridere. Probabilmente si aspettava di trovarla più mogia.
Lo raggiunse e lo aiutò a togliersi gli indumenti umidi. Gli sfilò il berretto e prima che lui dicesse qualcosa lo ammutolì con un dito. Scaldò il suo viso arrossato dal freddo con le mani e stropicciò il suo naso per farlo tornare in temperatura. Castle cercò di parlare ma lei lo zittì nuovamente.
“Vi amo anche io.” Mormorò Kate.
Castle si fece avvolgere nella coperta e annuì stringendola con dolcezza.
“Cioccolata?” Rispose a voce bassa, era una richiesta che poteva prendere in considerazione.
“Sto meglio.” Chiarì senza liberarlo dalla sua morsa. La sua insistenza non era solo un gioco.
“La cioccolata calda è sempre una soluzione. La cioccolata è un ottimo antidepressivo.” Castle la osservava con occhio attento.  Lei annuì.
“Vero, ma tu sei goloso.”
“Non è un crimine esserlo, anche se è uno dei sette peccati capitali. Ma vale solo se sei religioso.”
Kate negò. “Non ho mai incriminato nessuno per golosità.”
“Allora sono un uomo pronto a peccare…”

Venti minuti dopo stavano accoccolati sul divano con una tazza fumante di cioccolata. Castle aveva inondato la propria di panna.
“Esagerato.” Commentò Kate indicando la panna che Castle aveva fatto traboccare dalla tazza e aveva spalmato intorno alle labbra. Gliela tolse con un pollice che poi si portò alla bocca. 
“Devo caricarmi di dolcezza. Ho una missione.” Rispose a bassa voce.
Kate immaginò di cosa si trattasse, non replicò al suo tentativo di aprirsi un varco nel suo umore. Aveva già fatto molto per rendere quel giorno più leggero.
“Parlamene Kate.” Mormorò Castle. Il camino alle sue spalle scoppiettava riempiendo il silenzio.
Lui si mosse cercando un contatto visivo.
“Mi hai sempre detto che le sarei piaciuto. Mi hai mostrato alcune foto, conosco perfettamente i dettagli della sua tragica morte, ma non so ancora molto su di lei. Mi piacerebbe sapere cosa ti diceva nei momenti importanti, quando affrontavate le vostra divergenze. Quali erano i suoi gusti in fatto di cibo, cosa amava fare nel tempo libero…”
“Perché?” Chiese più confusa che convinta di quella risposta inutile. Era un modo per prendere tempo.
“Non ne parlo nemmeno con mio padre.” Aggiunse in tono più sommesso.
Castle le passò un braccio sopra le spalle.
“Se le assomigli in qualche modo, voglio saperlo. Non parlo di somiglianza fisica, ma nei modi. Tuo padre so che la vede in te, vorrei poterla vedere anche io. E così i nostri figli.”
“Castle…” Sospirò passandosi una mano sul viso.
“I nostri bambini partiranno svantaggiati: conosceranno solo la metà dei loro nonni. Non potrò mai parlare loro di mio padre perché in realtà non lo conosco affatto. Ma tu potrai parlargli di Johanna.”
I “loro” figli dovevano conoscere il lato oscuro dell’omicidio di sua madre? Come poteva Castle sorvolare sul peso che questo argomento aveva avuto nella sua vita? Pensava veramente fosse una storia da raccontare a dei bambini? Certo una volta diventati adulti e avrebbero capito.
“Non ho intenzione di traumatizzarli fin da piccoli.” Gesticolò.
Castle fece una smorfia umettandosi le labbra.
“Beckett non ho intenzione di traumatizzarli, voglio che possano provare affetto per lei, anche se non la potranno mai conoscere.”
Kate posò la tazza sul tavolino. Spostò le testa indietro, sdraiata sul divano riuscì ad appoggiare la testa alle ginocchia di Rick, disteso dall’altro lato.
“Non mi è affatto facile Castle.” Non riusciva a capire perché volesse insistere. Tornò il silenzio rotto solo dai loro respiri. La mossa di Castle non era senza senso, solo dolorosa, faticosa da affrontare come quel giorno schifoso che era la ricorrenza della sua morte.
“Quando Alexis era piccola le hanno fatto fare un albero genealogico. Il vuoto dato da mio padre dimezzava la composizione. E’ stato comunque complicato.” Castle cercò di riportarla a pensieri meno cupi, invano visto il suo mutismo. Si stava richiudendo a riccio. Ogni volta ci provava in qualche modo, poi faceva sempre un passo falso.
“Ok, lascia perdere.” Castle mosse le gambe e Kate si scostò percependo la sua volontà di alzarsi. Lo vide corrucciato. In modo brusco scelse di dedicarsi alla cucina, rimettendo a posto quanto rimasto in disordine.
Non emise fiato per minuti mentre si sforzava di non guardarlo, di non dargli corda ma in una parte di lei sentiva la frustrazione farsi strada. Perché doveva affrontare quel discorso? Non poteva limitarsi a parlare di pupazzi di neve e di cioccolata?
“Questa cosa non…” iniziò a dire ma si bloccò davanti allo sguardo serio di Castle.
“Non rispondermi che non mi riguarda.” La mascella del suo uomo guizzò nervosa.
“Non ho detto questo…”
“Non mi riguarda davvero Kate?” Sottolineò espirando con amarezza. Quante volte doveva sbattere contro quel maledetto muro? Aveva demolito quello verso sé stesso e adesso stava facendo di tutto per rimuovere anche quest’ultimo. Con tanta fatica, tanta pazienza. Ok, la pazienza era un po’ sfuggita, doveva riprendere il controllo.
“Non puoi semplicemente lasciar perdere? Non voglio discutere.” Kate conosceva la risposta: lo riguardava eccome dopo tutto quello che aveva fatto per portarla dov’era.
Castle si nascose il viso con un braccio alzato. “Ti ricordi cosa ho sempre detto di me riguardo al fatto che ignoravo la storia di mio padre?” Lei annuì. Castle non la guardò.
“Capisco sai, cosa provi... Ho finto che non mi importasse, ma avevo un vuoto. Vedevo cosa avevano gli altri bambini e io non l’avevo. Quindi so che cosa hai perso, ma qualcosa hai avuto e vale la pena di ricordare le cose belle. Vorrei conoscere qualcosa di più...”
Lei aprì la bocca ma non uscì un fiato. Scosse il capo deglutendo.
Rimase fermo, appoggiando i gomiti al bancone della cucina. “Voglio che tu sia più serena affrontando un discorso su tua madre.”
 “Non è che non voglia farlo.” Riuscì a dire alla fine. “Non credo di poterlo essere nel giorno della sua scomparsa.”
Castle le sorrise mestamente. “Vorrei avere un’immagine diversa di lei in testa.”
La stanza ora vorticava furiosamente per Kate. Chiuse gli occhi. Le nausee si erano diradate, quasi scomparse, quella vertigine non era dovuta alla gravidanza. Le venne da piangere ma strinse i denti.  Il divano era diventato vuoto e scomodo all’improvviso, così si riavvolse nella coperta cercando di sdraiarsi.
Castle si allarmò.
“Ehi…” Si avvicinò con una nuova urgenza, nella preoccupazione aveva rapidamente abbandonato la tensione.
“Sto bene!” Era seccata ma al diavolo le tensioni, le facevano male ed erano argomenti molto personali. In quei mesi discutere con Castle le faceva rivoltare lo stomaco. Aveva anche ottimi argomenti ma non riusciva ancora a fare quel passo.
Castle sedette accanto a lei. “Lascia perdere. Scusami” Posò una mano sulla sua fronte che scacciò con un gesto secco. Poi ci ripensò e l’afferrò al volo.
“Rick…” Sospirò alzando lo sguardo su di lui. Continuò a scuotere il capo.
“Ci provo ogni anno. La serata per la borsa di studio sembra ti sciolga un po’, ma poi torna tutto allo stesso modo. Facciamo qualcosa per te e per noi.  Gli Olaf erano un tentativo di farti scongelare.”
“Con… pupazzi di neve?” Ridacchiò.
“Non è una questione letterale e Olaf ama i caldi abbracci.”
“Sono bellissimi.” Replicò guardando suo marito agitarsi. Quanto tentava di dare spiegazioni lo faceva con vigore, soprattutto quando sapeva di arrampicarsi sugli specchi. Comunque Olaf e i caldi abbracci erano una giustificazione plausibile. Assolto con formula piena perché l’aveva fatta sorridere e desiderare da lui quei caldi abbracci che prometteva tacitamente insieme a cioccolata calda e marshmallow.
Castle fece un gran sospiro. “Ci ho messo tutto il mio amore.” Continuò ad accarezzare con una mano la sua testa. “Vuoi qualcosa da bere?”
“Ho ancora parte della mia cioccolata.”
“Vuoi ancora marshmallow?”
Lei negò. “Tu sei il mio marshmallow. Non ho bisogno di altri zuccheri.”
La studiò con sospetto. Era passata dall’essere la Kate sulla difensiva di sempre ad una remissività pericolosa.
Kate si drizzò a sedere alzando lo guardò verso i suoi occhi.
“Prometto che ci proverò. Sto facendo del mio meglio.”
“Hai sentito tuo padre?”
“Non saprei che dirgli.”
“Non c’è bisogno che gli dici qualcosa. Lo saluti e parli anche solo del tempo. Lui capirà.”
Castle era deciso a farle fare un passo avanti. Doveva dare atto che la sua tenacia non si stava esaurendo.
“Magari dopo, prima però... devo farti vedere una cosa.”
Si alzò dal divano. Prima di allontanarsi si voltò per puntualizzare qualcosa. “Però per oggi poi mi dai tregua?”
Castle annuì come un automa. Non si era aspettato nulla e lei invece aveva fatto un passo avanti. Sentì montare una vaga euforia. Cercò di restare compassato.
Kate si diresse a passi rapidi verso lo studio.
Nella grande libreria dove aveva la sua parte di cose, Kate estrasse un volume di pelle chiara. Il fronte portava la dicitura – Manuale di contrattualistica statunitense. R.W Conrad Press -.
Lo posò sulla scrivania di Rick di fronte al suo sguardo impaziente. Castle si accorse che dopo la prima pagina il libro non era quello che dichiarava di essere. Kate aveva usato un trucchetto per nascondere qualcosa sotto i suoi occhi. Era stata geniale, lui detestava il diritto amministrativo!
Quando vide la prima foto rimase basito. Aprì la bocca ma non ne uscì fiato.
“Me l’ha data tua madre.” Spiegò Kate.
“Contrattualistica statunitense?”
“Così non ci mettevi il naso.”
Castle fece una smorfia. “Non fa una piega…”
Kate guardò con attenzione la foto che c’era in quello che doveva essere l’inizio di quella nuova vita: Rick era seduto con la piccola Alexis addormentata tra le braccia. Era di spalle, davanti ad una finestra di un appartamento che non riconosceva. La sua testa era reclinata verso il basso e sembrava guardare la sua piccola in modo assorto e adorante.
Che dire, quando una sera si era attardata a chiacchierare con Martha del bambino, lei se n’era uscita con quella foto che gli aveva scattato in un momento di solitudine. Meredith non se n’era ancora andata ma la sua poca voglia di essere madre si stava già manifestando.
Castle prese l’album, allungò la mano libera verso di lei e la condusse alla grande poltrona di pelle.
Kate sedette sulle sue gambe come una bimbetta, nervosa nell’intento di riuscire a dirgli quello che stava cercando di fare.
“Sai quando abbiamo parlato di nuovi ricordi?”
“L’ho proposto io.”
“Ci sono anche quelli più vecchi.”
Prese l’album e lo ribaltò. Lo aprì e mostrò le prime foto di lei in braccio a sua madre e a suo padre. Castle le osservò con attenzione e stupore. Prese a scorrere le foto, momenti chiave della sua vita che qualcuno aveva raccolto in quel volume. La storia era quella di una bambina felice e molto amata. Una vita piena, con i suoi alti e bassi ma con qualcuno pronto a sostenerla. C’era tutto il calore di una famiglia unita. Un quadro forse non perfetto come sembrava dall’apparenza, ma certamente meraviglioso. Una parte di Rick percepì l’onda di emozione nel vedere la piccola Kate vestita di tutto punto per il suo primo giorno di scuola.
Chiuse gli occhi ricordando il proprio, sua madre era al verde e lui si era dovuto accontentare di una giacchetta di seconda mano.
Li riaprì su di lei. “Rasenta la perfezione…”
Kate sfiorò la fotografia. Sua madre le aveva fatto le trecce ben strette e le aveva messo dei fiocchi. Si ricordava bene di essersi sentita quasi una principessa.
“Non lo era ma si stava bene. Molto bene.”
“Era il cuore della casa vero? Mi sembra un tipo vivace!” Commentò Castle felice di vedere quelle foto in cui madre e figlia trafficavano con gli stessi esperimenti che lui aveva fatto anni dopo con Alexis.
“Mio padre ama pescare ma non è bravissimo con le attività manuali. Mamma era capace a trascinare mio padre in opere non propriamente da lui che se ne pentiva quasi sempre. Ci divertivamo molto.” Un velo di tristezza rese lucidi gli occhi di Kate. Il ricordo era ancora vivido nella sua mente.
Castle la guardò di sottecchi.
“Che c’è?” Lo incalzò Kate, quell’occhiata cosa stava a significare?
“Oh capisco perché le somigli. Anche tu sei un filo dispotica ed entrando in polizia questa indole si è amplificata!” Sogghignò attendendo una sua reazione.
Lei rimase in silenzio minacciandolo con gli occhi a fessura. “Vuoi farmi venire il mal di testa Castle?”
“No?”
“Allora non dire stronzate. Mia madre non era dispotica.”
“Tu sì, dispotica. Ti amo comunque anche se mi bistratti.” Precisò puntandole un dito inquisitorio avanti al naso.
Kate sorrise e Castle si dedicò ancora alle foto. “Comunque doveva essere un’impresa per tuo padre governare voi due, caratteri così forti.”
“Forse non ci governava…” Abbozzò Kate.
Castle annuì consapevole. “Forse era lui ad essere gestito. Ne so qualcosa. Pensa io ne ho addirittura tre.”
Kate gli diede una pacca consolatoria sulle spalle. “Ma questo ruolo ti calza a meraviglia.”
“Lo so per questo non raccolgo... Perché lo hai nascosto?” Toccò le incisioni sulla copertina dell’album.
“In realtà non l’ho nascosto. Era una sorpresa che mia madre aveva fatto a mio padre. E’ lui che si occupa di diritto commerciale.” Kate arricciò le labbra. “Era lì sotto il tuo naso e non lo hai notato.”
Un largo sorriso si fece strada sul viso di Castle. “Lo hai fatto di proposito!”
“Beh… un po’.”
“Le tue sorprese sono sempre di classe. Mi spiace di non averlo scoperto da solo.”
“Non è che ti ho fornito input per cercarlo.” Specificò Kate.
Non aveva pensato di nasconderlo, era un album nato dalla mente estrosa di sua madre ed era una cosa a cui teneva molto. Suo padre glielo aveva affidato una sera in cui, ubriaco fradicio lo stava per distruggere. Rinsavito, aveva pensato di salvarlo dandolo a lei.
“Perché lo hai tu e non tuo padre?”
Era un brutto ricordo. “In una delle sue serate no stava per bruciarlo. L’ho fermato in tempo e così me l’ha lasciato per conservarlo.”
Castle annuì. Jim doveva essere arrivato ad una disperazione tale da voler eliminare ogni riferimento alla felicità del passato, qualcosa che immaginava impossibile da riavere. Si dispiacque per lui una volta di più e rabbrividì pensando a quando aveva rischiato di perdere Kate.  La consapevolezza di averla persa lo aveva annichilito. Fortunatamente Kate ce l’aveva fatta e lui aveva avuto la sua opportunità di amarla.
“Credo che là in mezzo stia alla perfezione…” Aggiunse Kate.
Pensava che la grande libreria di casa Castle fosse il luogo ideale per conservarlo e da un po’ aveva cominciato a pensare a come completarlo. La foto di Marta era uno ottimo inizio. Castle aveva una figlia che amava e niente e nessuno gli avrebbe portato via quella gioia. Lei voleva partire proprio da quello e aggiungere il resto. In quell’immagine Rick era il padre gentile e apprensivo che aveva sempre visto in lui da che lo conosceva. La foto successiva era la prima ecografia.
“All’inizio pensavo lo creassi tu un album.”
“Ce l’ho… in realtà è virtuale per il momento.” Castle indicò il notebook sulla sua scrivania.
Kate si distese meglio sulle sue gambe. “Quante foto?”
Castle tentennò. “Ancora poche… Ma ci sei tu col pancino in crescita ogni mese.” Volle precisare. La sua dedizione ai cambiamenti nel corpo della moglie era costantemente in aumento, alcune volte Kate lo considerava folle. La sua mania dei selfie poi… con la sua pancia sotto la doccia! Tendeva però a non arrabbiarsi con lui, a tollerare di più le sue stravaganze perché il litigio prima di Natale l’aveva messa a dura prova e la sua ossessione per la maternità non era poi così grave.
“Hai sempre sorprese in serbo.” Non riusciva a credere che Kate si stesse aprendo un po’ di più con lui. Non era stato un tentativo vano.
Kate abbassò il tono della voce avvicinando la bocca al suo orecchio. “Anche tu, soprattutto senza vestiti.” Gli fece l’occhiolino.
Castle sgranò gli occhi. “Oh! Voglie?”
Lei sogghignò soddisfatta. Castle era la sua preda migliore di sempre.

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Chi non muore si rilegge ed io credo di dover mettermi in pari! Quante storie nuove!
Io invece mi muovo nel mio angolo di normalità con una famiglia che deve fare i suoi piccoli e doverosi passi, ma vediamo.
Il clima caldo mi ha richiesto un refrigerio mentale, la data la conoscete.
Buona lettura e tornerò a scrivervi!
Anna

  
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