Fanfic su artisti musicali > EXO
Segui la storia  |      
Autore: PyromaniacAlien    15/07/2016    0 recensioni
Un dio che pregava di diventare un dio.
//sebaek//
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

We will sell our shadow to those who stand within it.
-Marilyn Manson.

 


***

 

La coltre di stelle che irradiava il cielo, quella sera di giugno, scivolava dolcemente tra le fronde delle possenti querce secolari che il vecchio bosco ospitava, si lasciava cadere nelle acque tiepide del fiume Ao, illuminava pallidamente il volto sporco ed emaciato del bambino che si specchiava con tiepida curiosità tra le increspature di quell'animo scrosciante e che sorrideva quando il suo viso si deformava tra una roccia e un sasso.
Lasciava che i girini si muovessero tra quei pallidi minerali, in bilico tra il non perderli di vista nemmeno per un secondo e lo scostante interesse di una rapida occhiata lanciata qualche volta di troppo, ma mantenendo sempre alzata quella barriera che separava la sua esistenza da quella del resto del mondo.
Sempre vigile, attento a non arrecare il minimo disturbo.
Era un atteggiamento che lo contraddistingueva da sempre, che si trascinava appresso una tristezza malcelata e che era fonte di una combutta perenne tra il suo animo indomabile, bisognoso di attenzioni come una debole fiamma che si allunga, disperata, verso la legna da ardere e il dominante mondo che lo circondava, nel quale si ergevano, sopra ogni altra cosa, gli occhi vitrei della madre, raggelanti, lo immobilizzavano, imprigionavano il suo animo possente nei recessi del suo corpo minuto, in profondità, in modo che quel perenne disagio prendesse vita dal centro delle sue giovani ossa.

Lasciava che il vecchio Kioshi lo tenesse nascosto dalle ingiustizie di quel grande mondo che lo teneva imprigionato, senza via di fuga, il bambino carezzava la sua corteccia secolare e con impazienza attendeva che le sue piccole mani superassero l'evidente grandezza delle sue foglie.


Lei, annunciava il cielo limpido, non era ancora tornata.

Spesso stava via per giorni, si lasciava trasportare dalla brezza gentile, con l'eco di quei capelli lunghissimi a seguirla come ombre finché gli occhi vigili della radura non potevano più raggiungerla.
Su quell'erba vivace, incolta, i suoi fragili piedi si muovevano a malapena.
Al bambino piaceva osservarla, seguire quei lunghi fili di seta rossa che, partendo dal suo scalpo oleoso, lo legavano inesorabilmente a lei, anche quando i loro animi erano troppo lontani perfino per prendersi il tempo di una rapida e fintamente incurante scrutata.

Gli piaceva osservarli volteggiare, tintinnare nell'aria e danzare come fiamme, gli piaceva quella gonna rattoppata, che aveva così pochi colori e così tante sfumature, quella gonna che oscillava, che proteggeva e teneva nascosto quel punto, quel punto preciso in cui il concepibile si tuffava nell'inconcepibile, in cui il riflesso della realtà corrispondeva a quello dell'immaginazione.
L'incastro perfetto, che nonostante fosse lì, lampante davanti ai suoi giovani occhi, riusciva a sfuggirgli continuamente.
La scintilla nell'ombra.
Ma più di tutte queste cose assieme gli piaceva sapere che, se la madre se ne stava andando senza rivolgere lo sguardo a niente e nessuno, sicuramente aveva intenzione di stare via a lungo.
Fissare nella sua mente l'immagine di ciò che l'aspettava al suo ritorno avrebbe congelato ciò che ardeva in lei, nonostante l'atto di parlare non fosse una delle cose che gradiva e praticava soventemente, quella era il tipo di frase che rotolava spesso via dalla sua bocca, sputata, senza il minimo riguardo.

Diceva che il voltarsi verso ciò che giaceva alle sue spalle le avrebbe fatto venire ancora più voglia di scappare e non tornare mai più indietro e, in qualche modo spaventoso, il figlio riusciva a cogliere completamente la cruda verità che quelle parole racchiudevano.

Quel bene di madre che Kioshi era convinto nascondesse, da qualche parte, accartocciato in uno dei taschini del suo vecchio giaccone, in realtà, e questo il bimbo lo sapeva bene, in realtà quel bene semplicemente non esisteva.

Non sarebbe esistito mai.
Nemmeno lei sapeva bene cosa la tenesse ancora legata a quel posto, a quella radura, si diceva il bambino di tanto in tanto, in quei momenti in cui la sua mente decideva di rivolgere la sua attenzione a quel tipo di acerbe elucubrazioni.
Pensava a come il suo sguardo fosse sempre rivolto a ovest, dove la sua figura si confondeva tra gli alberi per tornare alla sua natura eterea e il suo sguardo non cadeva mai sulla sua scarna dimora, né su ciò che campeggiava dietro di lei.
A stento ricordava il colore degli occhi del figlio poiché tentava di posarsi su di essi il minimo necessario, quegli occhi che avrebbero potuto radere al suolo il bosco intero se solo lo avessero voluto, se solo avessero saputo.
Non che non li notasse.

Se li sentiva bruciare addosso di continuo, alla ricerca di quel segreto che non aveva alcuna intenzione di rivelare, e che ogni volta sembravano portarle via, scintilla dopo scintilla, ciò che rimaneva a quella vecchia fiamma del suo essere stato un incendio. 
Quando era abbastanza lontano, dove gli occhi della donna arrivavano a fatica, si concedeva uno sguardo di disprezzo e in cuor suo immaginava, sperava ardentemente, ogni volta, di guardare verso il figlio che aveva dato alla luce e di ritrovarlo morto.
Kioshi, riflesso dei suoi pensieri, si incupiva, la invitava ad andarsene.
Era il solo a cui desse ascolto.

Si alzava e andava via.

Non salutava mai nessuno.

Non si guardava mai indietro.

Quella sera di giugno una luce più forte delle altre si arrampicò lungo la schiena del bambino, attraversò le sue membra stanche e le rinvigorì di nuova forza.

Lui era lì, taciturno, a fissare quei girini senza nome, a fissare la libertà che lui sentiva di non possedere e quella luce lo acceco, senza dare il minimo preavviso.
Egli l'accolse senza volerlo davvero e, nel tentare di voltarsi per dare un volto alla quella nuova sensazione, tra la paura, il piacere e lo sgomento, cadde nell'acqua con un tonfo sordo, bagnando gli stracci che lo coprivano a malapena. 
Fiammifero nella pozzanghera, urlò a pieni polmoni per la prima volta in otto anni di vita, almeno finché la piena realizzazione di ciò che era appena successo non lo lasciò senza fiato.

-Ehi sei caduto ti sei fatto male ehi!

Parlava veloce.
La sua piccola lingua scaltra scivolava continuamente tra l'arcata superiore e quella inferiore, mentre gli angoli della sua bocca si alzavano, emetteva suoni da giovane civetta.
Kioshi si animò, come mai aveva fatto in presenza del bambino dai capelli rossi, i suoi rami si alzarono, toccarono la più lontana delle stelle.

Per due lunghi minuti, si fissarono e basta.
Senza sentimento, senza domande, senza pretese, due fiamme acerbe, parallele, a infiniti mondi di distanza e pochi centimetri di sicurezza l'uno dall'altro.
L'acqua quasi non bruciava più.

-Sei caduto come una pera.

Gli porse la mano.
Era... era pulita, il bimbo dai capelli rossi ne resto immensamente sorpreso.
Dai contorni dorati, risplendeva, donava colore a ciò giaceva attorno a lui.
Al suo cospetto, quel cielo stellato di inizio giugno altro non era che un pallido riflesso, uno sfondo lontano.
Il bambino nell'acqua pensò che perfino il sole gli avrebbe ceduto il suo posto.

-Ehi tu ehi, ma ce l'hai la lingua per caso?

La sua parlata strana, stridula, si espandeva per tutta la radura come una calda giornata estiva, perfino l'acqua sembrava aver ripreso tepore.
Tutto in lui fremeva di vitalità, i capelli color miele, gli occhi espressivi, molto più chiari di come volevano apparire, erano fermi sull'altro, curiosi ma gentili.

-Ehi ma te ne stai sempre zitto tu? Perché sei qui da solo? Quanti anni hai, io ne ho otto e mi piacciono le mongolfiere. A te piacciono le mongolfiere? 

Il valore delle sue risposte sembrava avere il peso di qualche manciata di secondi.

Era evidente quanto piacere trovasse nel parlare.
Sembrava anche farlo spesso, ad essere onesti, la scioltezza del suo parlato doveva appartenere necessariamente a qualcuno che era piuttosto abituato a dare aria alla bocca.

-Ma quindi tu non dici proprio niente eh. Lo sai almeno come ti chiami? 

Certo che lo sapeva, pensò, non era mica stupido, aggiunse.
Kioshi lo chiamava spesso, i lunghi capelli rossi di sua madre urlavano il suo nome di continuo, agonizzanti, non lo perdevano di vista un secondo, sempre pronti a ricordargli da dove provenisse e quale fosse il suo posto nel mondo.
Il suo nome era tutto ciò che avesse mai avuto, il suo unico barlume di luce nel buio di quella foresta e perciò annuì. L'altro rise di rimando, una risata calda come pane appena sfornato, che creò delle increspature nell'acqua limpida dell'antico fiume.


-Sei così buffo, testa rossa! Sei proprio buffo! Io mi chiamo Byun Baekhyun, ma tu puoi chiamarmi Baek, o Yun, o BB o come ti pare. Eh testa rossa? Mi chiamerai in qualche modo? Oppure ti hanno mangiato la lingua? Dammi la mano che ti aiuto a uscire. Sei così buffo, testa rossa! Sei proprio buffissimo!

Il bambino, senza alcuna titubanza, afferrò la mano che gli veniva offerta e che era rimasta tesa per quasi tutta la durata della loro conversazione.

Si sentì caldo, la sua pelle già libera dall'impronta del fiume era invece madida di sudore.

Il fiammifero danzava verso il sole.
Il freddo appena provato sembrava solo un ricordo lontano.


***


-Lu, guarda Lu, riesco a muovere le foglie!

Il bambino, appollaiato sulla cima dello scivolo, guardava l'amico sbracciarsi verso il pino più alto del giardino e scuoteva la testa contrariato, con leggerezza calcolata e una smorfia fin troppo matura che, delineata appena sul suo viso femmineo, faceva da eco agli occhi leggermente socchiusi.

-Creerà un tornado se continua a fare tutto questo casino. 

Lo disse a bassa voce, sussurrandolo a se stesso, eppure nemmeno la preoccupazione che lo inseguiva di continuo, che protendeva senza sosta i denti verso la sua nuca, gli impedì in quel momento di stendere le labbra in un piccolo e incontrollato sorriso.

-Luhan, scendi da quello scivolo, provaci anche te!

Luhan adorava Sehun come non aveva mai adorato niente e nessuno in tutta la sua breve vita, ne conosceva i contorni, i riflessi, sapeva prevedere ogni sua reazione. Eppure, nel profondo del suo cuore, dove nessuno sarebbe mai stato capace di arrivare, preferiva di gran lunga il Sehun chiuso e distante della terza E, con le spalle incurvate dalla monotonia della vita di tutti i giorni. Lo preferiva al sicuro dalla malvagità del mondo, lo preferiva protetto che bisognoso della sua protezione. Lo preferiva silenzioso e distante, con lo sguardo rivolto verso l'orizzonte nell'invisibilità del suo ultimo banco a sinistra, dove era al sicuro da tutto e tutti ma soprattutto da se stesso.
Luhan.
Era come se le braccia che intrecciavano e plasmavano l'essenza del suo animo si protendessero continuamente verso epoche lontane, nel cieco timore di dimenticare ciò che non avevano mai ricordato.
Un bambino di dieci anni che parlava come un vecchio saggio, con l'innata consapevolezza di conoscere il peso, la forma e il colore di tutto ciò che lo circondava.
Un bambino di dieci anni che aveva già vissuto migliaia di vite, che nella sua infinita umiltà, si ergeva su tutto e tutti.
A lui non interessava.
A lui interessava solo che Sehun stesse bene, che fosse felice. 
Lo avrebbe seguito ovunque, lo avrebbe seguito al confine dell'irrazionalità, lì dove l'essenza del più piccolo era custodita, dove si muoveva frenetica tra la poetica arte che era la sua sola esistenza e la rabbia che scaturiva da ogni fibra del suo corpo, da dove rendeva l'infinito ancora più infinito.
Dove nemmeno Sehun stesso era capace di arrivare. 

-Sei così noioso Luhan, sempre su quello scivolo, non fai mai niente.
Scommetto che hai paura di provarci perché non sei capace di farlo. Non le sai muovere le foglie da qui come faccio io. Guarda Luhan, guarda, si muovono anche i rami Luhan!

Ci fu un attimo di silenzio, che prese per mano il terrore e lo accompagnò verso la luce.

Quando il mondo attorno a lui prese a girare più vorticosamente di prima, Luhan sentì il bisogno di alzarsi in piedi, forse per la paura di cadere nel vuoto.
Osservò quel ramo lunghissimo con il terrore che gli raggelava le viscere, lo vide staccarsi, lo seguì mentre, guidato dalla gravità, si affannava per raggiungere il suolo, dove Sehun, completamente pallido in volto, stava fermo come una statua di marmo, la vita che defluiva dal suo essere, il piccolo naso rivolto verso il cielo.

Luhan gridò il suo nome, così forte che Sehun se lo sentì scorrere nelle ossa, più veloce del sangue che pompava nelle vene.
Poi fece una cosa che Sehun, ora accucciato sull''erba con le mani intrecciate sul capo in un magro e istintivo tentativo di difesa, non sarebbe fortunatamente riuscito a vedere.

Se fosse successo il contrario, se Sehun avesse visto, Se Sehun avesse richiesto delle spiegazioni, Luhan non avrebbe potuto fornirgliele.

Perché quell'istinto di conservazione che era già un tratto ben definito della sua persona lo portava, spesso, ad atteggiarsi da codardo.

E quindi fece questo, in piedi su quello scivolo giallo, Luhan alzò il braccio destro, distese l'indice e il medio nel vuoto attorno a lui, un po' per prendere la mira, un po' per impartire l'ordine.

Prendetelo, sussurrò.

 

Non era necessario che gli altri lo sentissero. A lui bastava che si sentisse egli stesso.

Ci fu altro silenzio, poi uno schianto, il flebile rumore di un sospiro.

 

Il ramo che incombeva sulla vita di Sehun era ora ai piedi della villa abbandonata che si ergeva, come uno spettro protettore, sulla solitudine del parco, giaceva in un angolo, inoffensivo. Il violento scontro con le mura era stato dannoso e molti dei rami avevano non erano riusciti a mantenere salda la presa fino alla fine.

Luhan si sedette, di nuovo, fece nuovamente sua la compostezza che aveva appena lasciato
scivolare via dal suo corpo e si atteggiò come se nulla fosse successo, lasciò che il bambino si riprendesse per conto suo.

Sehun si rimise a sedere, poi si alzò in piedi, poi si inginocchio sull'erba e lì rimase a contemplare la farfalla che si era appena appoggiata sul dorso della sua mano, marroncina come i capelli che, arrabbiati e incolti, sembravano aver dichiarato guerra sul suo capo di bambino.

La risata che crebbe prepotente nella sua gola scaturì con la forza di una raffica di vento e con l'allegra leggerezza di un battito d'ali, proruppe fuori dalla sua gola, portò la sa lingua tondeggiante ad accucciarsi verso il basso, i canini appuntiti, che erano stati i primi a cadere e i penultimi a crescere, erano fieramente in bella vista.

Così era Sehun, un indomabile uragano con la delicata e ingiusta bellezza di una piccola farfalla.
Il vento che era andato a crearsi attorno a loro, che smuoveva gli alberi e sollevava la terra dalla terra stessa, dimostrava che il fragile suono di una sua risata era in grado di scatenare l'inferno, senza però riuscire a ferirlo o sfiorarlo minimamente.

Nel suo volto di bambino, esplodeva una fierezza da combattente, i suoi occhi, di una bellezza crudele, erano il dipinto della sciagura.
Erano gli occhi di un tiranno.

Luhan scese dallo scivolo e le gambe lunghe raggiunsero l'amico a grandi passi, sebbene mostrare più cautela sarebbe stata la scelta più consigliabile lui non se ne curò lo stesso. 
Si fidava di Sehun. Si fidava di se stesso. Era sicuro di poter proteggere entrambi se ce ne fosse stato bisogno.
Anche se non ne aveva voglia, era stato mandato lì per questo. 
Avrebbe dato la sua vita per proteggere quella di Sehun senza pensarci due volte. 

-Hai visto Luhan! Lo hai visto? Sono stato io a fare quella cosa lì, ho spazzato via quel ramo! Lo hai visto Lu? Sono sempre più forte, un giorno sarò capace di controllare i venti di tutto il mondo! Sarò un supereroe!

Sehun aspirava a diventare ciò che già era.
Pregava ogni giorno, nel buio della sua camera, che la sua potenza si intensificasse.
Si esercitava di continuo, v'era stata dapprima una brezza gentile, alla quale Luhan aveva risposto con un risolino fiero, di chi sa molto più di ciò che dice di sapere.
Ma poi le sue abilità avevano continuato ad aumentare, a migliorare di giorno in giorno.
Luhan aveva smesso con le risa orgogliose, le persone avevano preso ad allontanarsi da Sehun.
Ma a lui non importava.
Si sedeva, in quel modo strano di piegare una gamba sopra l'altra e chiudendo gli occhi sussurrava invocazioni, mentre Luhan fingeva di dormire.
Pregava, Sehun.
Un dio che pregava di diventare un dio. 


Il più grande sorrise, senza nessuna ragione in particolare.
Non avrebbe mai lasciato che si ferisse, eppure era comunque felice di essere riuscito a salvarlo, di averlo lì, davanti a lui, completamente intatto.
Sorrise e basta, come spesso gli accadeva quando Sehun era nei paraggi.
Gli diede un buffetto sulla testa, si avvicinò per baciargli la fronte e l'altro non tentò di protestare.
Non si sentiva mai a disagio quando gli altri lo toccavano. 
Sehun, semplicemente, non si sentiva a disagio mai, il suo portamento fiero e consapevole gli impediva di provare questo sentimento.
Alzò il capo e sorrise, con un che di diabolico nel volto immacolato.
Luhan venne scosso da un brivido ma tentò di cacciare via quella brutta sensazione.
Non ci voleva pensare, al futuro.
Sehun era ancora così piccolo, si disse.
Troppo piccolo per essere già così corrotto.

-Sei stato bravissimo Hoonie. Però la prossima volta fai più attenzione. Me lo prometti che fai più attenzione?

Il piccolo indice del bambino si posò sul petto dove delineò una piccola croce.

Croce sul cuore, Luhan.

Se fai la croce sul cuore poi quella promessa la devi portare a compimento, fino in fondo.

Ma Sehun era solo un bambino.

E di promesse ne faceva così tante che alla fine era diventato difficile, per lui, tenerle a mente tutte.
In quel momento, però, era convinto che quella in particolare se la sarebbe ricordata e un altro sorriso andò ad illuminargli il volto.

-Te lo prometto Luhan. Ti proteggerò sempre io, anche se sei tu il più grande. Sei troppo debole per proteggermi, quindi sarò io a proteggere te. Staremo insieme per sempre Luhan! 

Il ragazzino sorrise di nuovo, davanti a tanta innocenza.
Sehun lasciò che la bocca del più grande si posasse nuovamente sulla sua testa, osservò ogni suo movimento con vispa e silenziosa curiosità, come era abituato a rivolgersi nei confronti del mondo che lo circondava.

-Ma certo Hoonie. Ora andiamo a casa o la zia Gou inizierà a preoccuparsi.



Luhan non disse mai la verità a Sehun.
Forse fu questo il suo sbaglio più grande.

 

***

Oke allora, sono nuova in questo fandom direi quindi non so bene se una storia del genere è già stata scritta o meno, sebbene sia possibile dato che ho preso spunto dal video di "mama" // grazie @ dio per il video di mama, ti sarò per sempre riconoscente.//
Nel caso fatemelo sapere, ve lo chiedo per favore.
Vi chiedo anche, sempre per favore, di segnalarmi eventuali dubbi o perplessità, se c'è qualcosa che non capite io sono qui per voi.
E per favore per favore per favore fatemi sapere cosa ne pensate, nel bene o nel male.
Volevo inoltre chiedere scusa per i nomi in giapponese, dato che comunque questa è una band cinese/coreana, ma al momento mi trovo più sicura così, mi dispiace se la cosa appare di cattivo gusto o irrispettosa. 
Se volete contattarmi o scambiare due chiacchiere o sclerare su robe a caso io mi chiamo UohUah su Twitter //non fate caso al mio comportamento qui, non sono sempre così professionale(ma professionale dove?)//

Grazie mille in anticipo,
Alex.

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > EXO / Vai alla pagina dell'autore: PyromaniacAlien