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Autore: Alice_nyan    15/07/2016    3 recensioni
• Prima classificata al contest “Drink me!” indetto da Allierainbow sul forum di EFP
• Fanfction partecipante al contest "keep calm e... fatemi amare la vostra otp II edizione" indetto da eleCorti sul forum di efp
{Elliot x Leo}{Rating Arancio: leggero UST; un po’ di Fluff} {chiaramente Missing Moment} { 4563 parole}
Il diretto interessato si finse fortemente deluso da quella rivelazione che sembrava essere costata carissima all’interlocutore e sospirò pesantemente affinché potesse sentire la propria impazienza. “Parla quello che pensava che l’aula di musica, a scuola, fosse un luogo molto più adatto.” Gli lasciò un bacio a stampo tra la guancia e le labbra, centrando una grinza naturale e senza soffermarsi su di essa per evidenziare la propria irritazione. Elliot mugolò un paio di lamenti insoddisfatti e cercò invano un contatto maggiore prima che questi si allontanasse – nascondendo tutto il proprio divertimento – e gli augurasse un ironico “Buonanotte!” strappandogli la coperta e raggomitolandosela addosso per sottrarsi alle sue richieste.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Preda dei suoi occhi, rimase impigliato in

UNO SCOMODO SCAMBIO DI SGUARDI
 


“Che ti sei portato a fare quel mattone?” Elliot indicò il grosso tomo che Leo portava stretto in grembo, mentre con un sopracciglio alzato lasciava che si intravedesse la propria aria confusa e curiosa al contempo.

“Ti va di fare un gioco?” Con un genuino sorriso stampato in volto, il servitore spostò lo sguardo furbo dagli alberi che scomparivano oltre la propria visuale all’usurato libro rivestito malamente in pelle nera. Notando uno sguardo un po’ perplesso pensò fosse più opportuno fornire alcune spiegazioni: “Un giocatore dice tre aggettivi per descrivere qualcosa, e l’altro cerca di indovinare. Se poi non ci riesce dopo tre tentativi, il primo dà altri indizi come la lettera iniziale, un altro aggettivo, la lunghezza della parola o cose simili. Non so se mi spiego.”

Elliot annuì con più convinzione, pur non comprendendo ancora il collegamento alla propria domanda. “Sì, ma che c’entra?”

Leo sorrise e si lasciò sfuggire un amichevole sospiro mentre si allungava in avanti e gli porgeva cortesemente il volume. Lo sguardo calmo e spavaldo che Elliot intravide da dietro i suoi occhiali lo irritò a dismisura, facendolo sentire lento di comprendonio e degno di biasimo dato che non aveva capito cosa volesse intendere con quel gesto. Afferrò cautamente il libro e gli lanciò un’occhiata di sbieco mentre passava i polpastrelli sulla logora scritta stampata in maiuscolo ‘VOCABOLARIO’ che spiccava sulla facciata trasandata.  
“Io–”

“Non ti spiego quello che hai già capito.”

Elliot fece una smorfia, indeciso su come interpretare le parole dell’amico. Da un lato quella era sicuramente prova dell’insubordinazione e dell’inadeguatezza del servitore che aveva personalmente scelto – e quindi, in parte, anche un fallimento personale –, dall’altro era senza dubbio simbolo della grande fiducia che riponeva in lui. Non era sicuro di aver capito esattamente cosa volesse, però prese quello sguardo vivace come una sfida e, dopo aver ottenuto conferma dei propri presentimenti – ricevuta puntualmente con un cenno del capo –, aprì il dizionario in una pagina poco prima della metà e lasciò scorrere lentamente un dito sulle prime righe in alto a sinistra. Lesse mentalmente un paio di parole studiandone con attenzione i significati, poi, spazientito e irritato per non aver trovato esattamente e subito ciò che cercava, scelse il vocabolo che aveva adocchiato per primo; chiuse il dizionario con un colpo secco e lo restituì al proprietario con meno gentilezza di quanta ne aveva usata lui stesso nel prenderlo qualche minuto prima.
“Non ne ho bisogno.” Accavallò una gamba all’altra e si sedette più comodo, pensando a tre aggettivi adatti ma allo stesso tempo fuorvianti che potessero sia aiutarlo sia metterlo in difficoltà. “Bianco. Grasso e dolce.”

“Oh–.” Si lasciò sfuggire Leo mentre portava enfaticamente una mano all’altezza della spalla come a mimare il gesto che gli alunni delle elementari compiono per chiedere il permesso di parlare alle maestre. “Quindi è qualcosa di incolore, grasso e dolce che inizia con una lettera tra la ‘E’ e la ‘R’... ”

“Aspetta, io non ho– tu come...?”

“Hai aperto il dizionario a circa metà.” Spiegò con un sorrisetto soddisfatto poggiando il volume sul sedile a fianco. “Grazie dell’indizio.”

Elliot non poteva vederlo ma se lo sentiva, ne era certo, stava ridendo di lui. Si bloccò, spaesato, a bocca aperta per lo stupore e riordinò le poche idee che gli fluttuavano per la mente diverse dalla semplice sorpresa o dal più complesso senso di vendetta che iniziava a stuzzicarlo. Per quanto volesse, non trovò un’espressione adatta per rispondere o controbattere. Mi ha ingannato, pensò incredulo biasimandosi e maledicendosi per la propria ingenuità. “Tsk. Resta che devi ancora indovinare.”

Leo sospettava lo avrebbe detto e, anzi, quasi ci sperava. Portò una mano a sorreggere il mento, assunse una posa decisamente più adatta alla meditazione e mormorò dopo qualche minuto di riflessione: “Un pupazzo di neve o, non so, forse lo zucchero filato...”

Elliot sorrise trionfante a quell’affermazione – Non indovinerà mai, davvero! – ma si vergognò quasi subito  di aver fatto un pensiero tanto infantile per una parola che, in realtà, era tutt’altro che difficile. Si stava forse prendendo gioco di lui? Avrebbe sicuramente intuito che, trattandosi di un esempio, avrebbe scelto una parola semplice senza aspettarsi un grande risultato: sbagliare due tentativi era pressoché impossibile per un ragazzo intelligente come Leo.
Sta solo fingendo. Oh, sì, se ha capito.
“Leo... ” Lo guardò con rimprovero, facendogli capire di aver intuito il suo gioco. “I pupazzi non sono dolci e lo zucchero filato non è affatto grasso. E sì, la ‘Z’ è anche l’ultima lettera. Non devi sbagliare di proposito.”

Leo si sciolse in una piccola risata. “Lo so, Elliot, ma se finisce troppo presto che divertimento c’è?” Fece una breve pausa come aspettando il consenso dell’altro che, al contrario, si mostrò accigliato e un po’ deluso. “È il latte, no? E comunque lo zucchero filato è grasso.” Con uno sguardo gioviale tentò di estinguere l’aria opprimente che si era depositata nella piccola carrozza ed Elliot abbandonò quello sguardo serio che no, non gli si addice per nulla.

“Lo sapevo che avresti indovinato subito.” Mormorò in fretta come se pronunciarlo velocemente lo avrebbe reso meno indolore da dire, anche se –  non l’avrebbe mai ammesso – era orgoglioso di avere un servitore tanto acuto. “Forza, tocca a te. Non sono bravo in questo genere di giochi quindi non aspettarti molto. Ciò non toglie che in quell’altro con le sillabe stavo quasi per vincere.”

Leo riprese il libro tra le mani e giocherellò con alcune pagine verso la fine. Elliot non riuscì a scorgere i suoi occhi da dietro gli occhiali e la scompigliata frangia, quindi non capì se stesse leggendo davvero, ma era certo stesse sfruttando a proprio vantaggio l’avere il dizionario in mano per dargli un indizio sbagliato e farlo, di conseguenza, perdere. Infine, quando si ritenne soddisfatto, disse: “Sì, tenero; molto tenero. E fedele.”

“Quel ‘molto tenero’ non vale.”

“Va bene: tenero, fedele e rompiscatole.”

Elliot assunse l’ennesima espressione perplessa; studiò tutti i suoi movimenti alla ricerca di un minimo indizio che potesse trapelare da quel viso troppo sicuro di sé e – giuro, me lo sento – visibilmente divertito.
Se è fedele, allora è un essere vivente, pensò, accantonando momentaneamente l’idea di chiedere spiegazioni al ragazzo che, se aveva dato quei tre indizi, aveva senz’altro un motivo valido e credeva fosse il modo migliore di esprimere il concetto. “Mi ricorda Snowdrop. Hai presente quando comincia a miagolare per i corridoi? Pazzesco, la Bezarius dovrebbe averne più cura e coccolarla meglio. Un gatto? Ma Vanessa dice che i cani sono i più fedeli tra gli animali. Un cane, vero?”

“Nessuno dei due.” Mascherò un sorriso provocato dall’immaginare il paragone.

“Ma è un animale, vero?”

“Ti manca un tentativo per avere un mio suggerimento.”

“ ‘Animale’? Va bene, no? Ora me lo dici?”

“Impegnati.” Lo rimproverò con finto tono di disapprovazione. “Tenero, fedele, rompiscatole e innocente.”

“No ma io– volevo solo sapere se era un animale...”

“Gli indizi chi deve darli?”

Elliot sbuffò sonoramente.
Si voltò verso il finestrino come per cercare la concentrazione nel paesaggio che si estendeva oltre la propria visuale; posò gli occhi sul vetro lindo che lo separava dal calore del Sole autunnale e fu un attimo: un momento e si perse nello splendore del riflesso solare sulle onde increspate del mare. Un connubio di colori amalgamati delicatamente e distinti da una diversa tonalità di arancio che diventava maestosamente sfumata in cielo e grandiosamente intensa in acqua. Un tramonto che non sapeva affatto di un ‘addio’, ma di un ‘arrivederci’ gridato al mondo, alle colline, alle nuvole, alle stelle, alle onde e a tutti gli spettatori della tragedia della morte del Sole che, però, si sarebbe tramutata in un finale dolce e senza lacrime, degno di memoria per regalità e onore; funerale che di funebre non aveva nulla ma che lasciava come epitaffio la promessa che a distanza di poche ore sarebbe tornato, come sempre.
Alcuni alberi lasciavano le chiome libere di contorcersi al ritmo nefasto dell’inverno: c’era chi aveva già perso alcune foglie e chi si ergeva spoglio sullo sfondo della scena mentre altri ancora, appena visibili sul pendio naturale che oscurava parzialmente un angolo del finestrino, gioivano sempreverdi per la loro eterna giovinezza. Avevano colonizzato con colori esclusivi di quella stagione i sentieri di campagna e, abbassando lo sguardo, Elliot poté scorgere il manto giallognolo che tappezzava la via sterrata su cui i cavalli galoppavano senza sosta.
Le onde si azzuffavano e si schiacciavano le une sulle altre, rabbiose, tristi forse per il sofferente momento che dovevano affrontare e, accavallandosi, si spalmavano a turno sulla spiaggia rocciosa come gareggiando a chi mostrava di essersi strutta di più, a chi era più affezionata alla più bella tra le stelle. Il mare, loro madre e inseparabile guida, mugghiava e le tirava indietro come per fermarle mentre si incupiva e si agitava teatralmente, tentando di calmare le figlie onde e convincerle a placarsi perché sarebbe ricominciato tutto daccapo l’indomani. Le nuvole, loro lontane cugine, si muovevano, abili danzatrici del cielo, spostandosi placide ed eleganti da un capo all’altro del mondo, consapevoli della rotondità della Terra e che, pur andando a ritmo sostenuto e a passetti lenti per la volta celeste, sarebbero comunque riuscite a incrociare il Sole prima che tornasse al punto di partenza. Vezzeggiandosi con la brezza marina si truccavano di rosa pallido, d’ocra, d’oro bianco, sistemandosi incorporee per volteggiare allegre durante il gran finale, premonendo con ottimismo la rinascita del loro sovrano che le concedeva gli ultimi assaggi del potere regale e le salutava in ordine: in principio le lontane comparse, a seguire le protagoniste della scena che teneva strette al proprio fianco.
Soggetti anonimi di quell’acquerello marittimo erano le barchette lontane che, indefiniti puntini sospesi nell’universo, erano affiancate dal riflesso delle più audaci stelle che per prime avevano osato punteggiare il cielo e macchiare la sua superficie dove appariva terso e sereno.
Un’ultima presenza silenziosa aveva programmato quella messa in scena da un’intera notte; mente fredda, calcolatrice antagonista del Sole, era situata esattamente dalla parte opposta e visibile esclusivamente dal finestrino cui Elliot dava le spalle. Tuttavia la sua luce, segno visibile del piano ordito con cura per sostituirsi al Sole, appariva come un candido velo che ricopriva sottilmente il dipinto e i suoi raggi più luminosi irradiavano di rinnovata bellezza l’inizio di un nuovo spettacolo che si andava a sostituire al precedente.
Un raggio lunare in particolare ebbe l’opportunità di posarsi laddove per i raggi del Sole era stato impossibile atterrare. Elliot venne completamente rapito dalla lucentezza di quello sguardo folgorante che irrompeva silenzioso sulla superficie liscia del vetro e rifletteva la propria luminosità: Leo si era tolto gli occhiali e ordinato un po’ la chioma corvina, lasciando che quegli occhi, quei magnifici occhi che aveva visto ben poche volte in maniera così spensierata si posassero su qualcosa più lontano delle solite lenti finte che teneva appoggiate al naso.

Leo sospirò. Elliot in quell’unico momento si accorse di aver trascorso minuti – quanti minuti? – o addirittura ore a contemplare il mare e il cielo. Spaventato dalla propria stessa reazione, si girò per vedere Leo che lo stava fissando. Si guardarono per qualche interminabile secondo, poi Elliot, spinto dal buio, dal sonno e dal desiderio, mormorò flebilmente sperando in cuor suo di poterli osservare meglio, anche da più vicino, magari: “Hai dei bellissimi occhi, Leo.”

Lui non rispose, si rannicchiò al lato sinistro – opposto all’amico – e spostò lo sguardo inespressivo all’altro finestrino. Qualcosa – non avrebbe saputo dire precisamente cosa – nella mente di Elliot scattò e lo fece infuriare, tuttavia si ripromise di mantenere la calma siccome, così credeva, era stato un suo comportamento a infastidirlo.

“Se io–.”

“Elliot! Non importa. È solo che tu puoi vedere quel che ti pare, io non voglio farlo. ” Con quella sentenza lapidaria sperò di chiudere il discorso. Si rintanò portando le ginocchia al petto e vi affondò il viso mentre dolorosi ricordi gli riaffioravano alla mente come nitide e palpabili immagini. In quella posizione – che al padrone ricordava il modo in cui i ricci si rannicchiano su loro stessi – sperava di farsi scudo delle paure che lo spaventavano.
Aveva cercato di vedere Elliot.
Si era tolto gli occhiali solo per ammirare i riflessi ramati sui suoi capelli biondi, i suoi occhi azzurri che richiamavano le onde marine, e i suoi lineamenti distesi e gentili perché troppo assorto nel guadare il turbolento panorama esterno. Proprio quando i loro sguardi si incrociarono sul vetro, trovò una lucentezza nei suoi occhi tanto particolare da ricordargli i bagliori dorati e argentei delle sfere di luce che lo perseguitavano. Preferirei non averceli, quegli occhi che ti piacciono tanto.

“Scemenze.” Fu interrotto così l’intenso flusso di pensieri di Leo. “Non ho mai capito cos’è che non vuoi vedere, non m’importa anzi, dicevo solo che mi sembra uno spreco permettere che degli occhi così belli non vengano visti. E poi non è che lo fai solo con gli altri, ma proprio con me! Intendo dire che non ti mangio mica, voglio solo guardarti in faccia... no, guarda, non è importante nemmeno questo, tanto non mi dai mai retta!” Sbatté involontariamente un pugno sulla propria gamba ma si fermò subito, prima che scoppiasse una vera e propria rissa nella carrozza. Gli piaceva considerarsi pronto anche a quell’evenienza, ma in realtà non aveva proprio voglia di rovinare tutto per uno stupido sguardo magnetico. Soprattutto perché non avrebbe mai vinto, né in uno scontro verbale, né in una zuffa, né in uno scambio di occhiate contro il suo unico servitore.

Scemenze, sì... ha ragione, sono solo scemenze. Leo si lasciò mollemente sullo schienale, si rimise gli occhiali per dispetto e lo fissò da dietro la frangia così che non potesse scorgere la propria espressione. Vederlo sempre irato gli faceva perdere la voglia di adirarsi a sua volta: il suo modo di fare riusciva sempre a distrarlo dalle preoccupazioni e, per una volta, sperò davvero che le sue ansie fossero solo ‘scemenze’. In fin dei conti era riuscito a fargli pensare ad altro.

Rimasero fermi immobili per qualche minuto. Infine, quando gli sembrò si fosse addormentato, Elliot, con fare circospetto, si alzò – o almeno quanto poté cercando invano di non sbattere la testa contro il tetto del veicolo – e si sedette di fianco all’amico cingendo entrambi con una coperta che aveva portato per la notte e che aveva riposto in una piccola sacca contente il minimo indispensabile. I loro corpi si sfiorarono gentilmente, le spalle e i fianchi si toccarono senza timore, fatto che rese immensamente felice Elliot, poiché temeva di averlo irritato tanto pesantemente che non si sarebbero parlati per l’intera vacanza.

“Ah, non penso mai prima di parlare. ” Farfugliò stanco, dirigendo la frase di ‘scuse’ a sé più che all’altro. Leo si mosse nella sua direzione e alzò il capo per osservarlo meglio, comprendendo immediatamente che si era pentito di averlo sgridato senza motivo. Il Nightray arrossì a quell’intenso contatto di sguardi e parve accorgersi solo allora della situazione scomoda in cui si era cacciato con le proprie mani. “Credevo stessi dormendo... ”

“Allora sì che devi scusarti, perché non si parla mentre qualcun altro dorme. Perfino questo ti devo insegnare?” Un sorriso gioviale si fece spazio tra i suoi lineamenti e gli tirò un’amichevole gomitata al braccio. Quella vicinanza iniziava a essere troppo piacevolmente imbarazzante perfino per lui.
Scoppiarono in un'allegra risata, stringendosi sotto la coperta e accoccolandosi meglio, Elliot allo schienale e Leo alla parete laterale.

Annoiato dal silenzio pretenzioso che si era formato, colse l’occasione di saziare la propria curiosità e continuare la conversazione da dove l’avevano abbandonata: “In pratica non mi hai mai visto veramente? Eppure hai gli occhi di un falco... sei sempre così attento ai dettagli! Se proprio non te la senti, non potresti lasciare che ti guidi io, di giorno?”

Leo, al sentire quelle parole, sporse il collo vicino all’orecchio del padrone e pronunciò mellifluo: “Stai dicendo che di notte comando io?” Lasciò che una mano scivolasse lasciva sulla gamba di lui, risalendola a partire dal ginocchio fino a metà dell’interno coscia e graffiando leggermente per lasciare i segni del proprio passaggio sulla superficie setosa del pantalone. Dopo aver impiegato la mano libera per alzarsi con maggiore facilità, la portò all’attaccatura dei suoi capelli dietro la nuca e iniziò a giocherellare con le prime ciocche bionde che trovò a portata con l’intento di provocarlo e stuzzicare i suoi istinti. Sentì aumentare il calore che irradiava la sua pelle e vide chiaramente il suo viso arrossire nonostante il buio: Elliot, in uno stato di confusione pura, pareva immerso in un vortice contrastante di emozioni che lo volevano paralizzato e incollato al sedile con l’eccitazione che saliva e i pensieri che scivolavano via dalla mente come se si rifiutassero idealmente di sostenerlo. Colto di sorpresa e dal troppo imbarazzo, stava ancora elaborando un pensiero sensato che potesse adattarsi alla situazione per controbattere, ma era evidentemente troppo spaesato per riflettere coerentemente e si limitò a incomprensibili farfugli. Dopo alcuni momenti di lotta interiore e di rinsavimento si decise a dare adito a una delle poche frasi a cui aveva difficilmente  conferito senso compiuto e, credendo di aver trovato una possibile via di fuga da quella scomoda situazione, disse non senza difficoltà: “L-Leo, siamo in una carrozza... ”

Il diretto interessato si finse fortemente deluso da quella rivelazione che sembrava essere costata carissima all’interlocutore e sospirò pesantemente affinché potesse sentire la propria impazienza. “Parla quello che pensava che l’aula di musica, a scuola, fosse un luogo molto più adatto.” Gli lasciò un bacio a stampo tra la guancia e le labbra, centrando una grinza naturale e senza soffermarsi su di essa per evidenziare la propria irritazione. Elliot mugolò un paio di lamenti insoddisfatti e cercò invano un contatto maggiore prima che questi si allontanasse – nascondendo tutto il proprio divertimento – e gli augurasse un ironico “Buonanotte!” strappandogli la coperta e raggomitolandosela addosso per sottrarsi alle sue richieste.

“Era un bacio? No, sul serio mi lasci così?” Comprese la situazione qualche minuto in ritardo, dando il tempo alla rabbia di montare e di esplodere in furia e imbarazzo quando si rese conto che era stato lasciato a bocca asciutta e senza possibilità di ribellarsi. “Ora dormi? Ma che ti ho fatto? Leo, almeno finisci per bene ciò che hai iniziato.” Fece leva sulla pignoleria dell’amico sperando che fosse sufficiente a fargli cambiare idea.

“Oh? Avresti potuto dirlo prima. Sei proprio un rompiscatole.” Non passarono nemmeno una manciata di secondi che Elliot se lo ritrovò seduto a cavalcioni sulle proprie gambe attento a far in modo che i corpi aderissero e le loro labbra si trovassero pericolosamente a pochi centimetri. Il suo respiro caldo e attraente direttamente sul collo lo rizzò come una scossa elettrica e si perse quasi colto da vertigini negli occhi luminosi che lo fissavano, carichi di brama e voluttuosità. Per sbaglio lasciò cadere lo sguardo sulle labbra carnose e vellutate che, alla stregua dei petali per una rosa, completavano il suo viso reso pallido dai raggi lunari: schiudendo incautamente la bocca gli lanciò un ammiccante e irresistibile invito non verbale a concretare i propri desideri. Fece risalire le mani dai suoi fianchi fino alle spalle e lo avvicinò in un abbraccio che avrebbe dovuto trovare il culmine in un bacio che, però, non ci fu. Leo, benché avvinghiato senza vie di fuga, posò il palmo della mano sulla sua bocca per tapparla. “Aspetta: cos’è che volevi?”
Ricevette un’occhiata fulminante che, puntualmente, ignorò. “Dico sul serio, se vuoi avere qualcosa da me, chiedilo gentilmente. Non ti sto chiedendo di pregarmi.” Elliot sciolse la presa dietro la schiena del servo e afferrò saldamente i suoi polsi strattonandoli impaziente.

“N-non fare lo stronzo.”

“E ci rivolgiamo così ai fedeli e devoti servitori? So che sei capace di dirlo: almeno prova. ”

Annebbiato dalla sensualità del momento, si convinse di non avere altra scelta se non assecondare i perversi desideri dell’amico e deglutì a forza per inumidire la bocca arsa dall’attesa. “V-voglio... ”

“Sì. Forza; va’ avanti.”

Stavolta l’occhiataccia che gli rivolse non era esclusivamente rabbia a iosa, ma c’era una punta d'incertezza e un velato entusiasmo per aver messo assieme lettere e averle rese somiglianti a una parola, risultato che mai si sarebbe aspettato di ottenere nelle condizioni in cui versava. “... u-un–... sì, un... un b-bacio... ”

Le ultime lettere risultarono appena percettibili perché pronunciate direttamente sulle sue labbra, millisecondi prima del tanto atteso contatto. Dapprima lento, uno sfiorarsi appena per confermare che non si trattasse solo di un sogno a occhi aperti e poi, appurato che se anche fosse un’illusione effimera dovevano approfittarne, si trasformò in un prepotente scambio di calore e sensazioni che non lasciavano il tempo nemmeno di respirare. Quando Leo gli leccò con trasporto le labbra e fece per ritrarsi, Elliot si avventò istintivamente su di lui per mordergli il labbro inferiore e punirlo per essersi permesso di allontanarsi. Gli cinse di nuovo i fianchi affinché non potesse nemmeno pensare di muoversi e sentì le sue braccia serpeggiare sotto la camicia provocandogli brividi di piacere. Si baciarono ancora, sempre con più foga e più soddisfazione, esplorandosi a vicenda e gustando il sapore che si lasciavano fin quando non furono senza più fiato. Quando si separarono ansimanti ma appagati Elliot ebbe l’ardore di togliergli gli occhiali e, per scusarsi, baciò l’incavo su cui erano precedentemente posati; li richiuse, si allungò quanto bastava a permettergli il movimento e li ripose sulla coppia di sedili di fronte. Ebbe così l’opportunità di ammirare da vicino i suoi occhi magnetici e la sua espressione furba che lo fissava come se volesse obiettare ma avesse paura di rovinare il momento – o, più semplicemente, volesse spogliarlo seduta stante.

“A che pensi?” Lo anticipò sinceramente preoccupato del suo silenzio. Portò una mano ad accarezzargli la guancia destra e, senza nemmeno accorgersene, affondò l’altra nei capelli, osservando che sembravano assumere sfumature insolitamente viola se illuminati dalla luce della Luna.

Si allontanò un po’ quando Elliot gli sfiorò le ciglia con la punta delle dita; di rimando sollevò alcuni ciuffi che erano sparpagliati sulla sua fronte e vi posò un bacio casto. “Che non hai ancora indovinato.”
Mentì. Pensava anche a quello. Gli aveva implicitamente detto che poteva chiedergli ciò che voleva e lui, quanto è innocente, aveva chiesto solo un bacio. Gli è perfino risultato difficile esprimersi! D’altro canto, era questo ciò che più gli piaceva di Elliot: la sua proverbiale capacità di imbarazzarsi per un nonnulla che lo rendeva così tenero.

“Ah– pensavo ad un coniglio.” Nel percepire uno sguardo perplesso su di sé unì le mani e le strofinò impacciato. “Sai, quando penso ad un coniglio lo immagino bianco. E il bianco è innocente per antonomasia. Quindi sì, è un coniglio?”
Leo ci rifletté per alcuni secondi e poi scoppiò a ridere, ripensando a come il B-Rabbit, il pericoloso coniglio nero insanguinato che portava una falce dalle ‘modeste dimensioni’, potesse essere considerato innocente.
Appoggiò le mani sulle spalle di Elliot e fece forza per alzarsi, lo scavalcò, tornò a sedersi al suo fianco e ricoprì entrambi con la coperta che era caduta sguaiatamente a terra qualche minuto prima. L’altro lo lasciò fare, intimidito da quella risata spontanea e leggera che mai avrebbe osato interrompere. Come ascoltando una ninnananna dolce si lasciò cullare e abbandonò ogni impulso di collera che gli provocava sapere di essere motivo di ilarità: non ebbe bisogno di zittirsi mentalmente perché era il sereno suono della sua voce ad averlo tranquillizzato. “No, no, non è un coniglio.”

“Allora non ho proprio idea di cosa possa essere.”

“Ti arrendi?”

“Mai.” Rispose a disco rotto, abituato fin da bambino a non arrendersi per nessuna ragione e a considerare i disertori più infidi dei nemici.

“Di questo passo non ci arriverai mai. Prova a vederla in modo diverso: potrebbe trattarsi di una persona, chissà.” Rispose, non del tutto convinto di poterlo aiutare senza sfociare nel ridicolo.

“Oz. Sicuramente Oz.”

Quei due sono terribilmente simili. “Potrebbe. Ma no.” Appoggiò la testa sulla sua spalla e si abbracciarono sotto la coperta. “Ripensa a come ho detto che sei.”

Un paio di secondi e un “ah” mugolato senza entusiasmo. Arrivare così alla soluzione era peggio di perdere. Che vergogna. “Non credevo fosse valido usare nomi. Scommetto che non c’è nemmeno sul dizionario. ”

“Ho controllato. Significa ‘il Signore è il mio Dio’ e ha origini molto antiche. Per questo ho detto che sei fedele, non che tu non lo sia già di tuo, ma al suo posto avrei detto qualcosa tipo ‘rabbioso fino al midollo’ o ‘tremendamente irritante’. ”

Mise il broncio e rimase in silenzio, rimproverando l’impulsività che non gli aveva permesso di vagliare i pensieri che gli erano venuti in mente e risparmiarsi una figuraccia gratuita; così sviò l’argomento: “Comunque è stato gentile Vincent a darci la possibilità di andare in vacanza per un po’ nella sua personale villa al mare. Non me l’aspettavo, ha detto che voleva farci un regalo. Anche lui è capace di fare qualcosa di buono, finalmente!”

“Vincent? Penso che ora gli dobbiamo un favore...” Strinse convulsivamente la coperta tra le mani pensando a quanto fosse sconsiderato il proprio padrone ad aver avuto contatti con Vincent. Si era fatto imbrogliare, altro che regalo, adesso era perfino in debito con lui. Anche se, pensandoci meglio, avrebbe chiuso un occhio sulla questione se la villa fosse stata davvero vuota come aveva promesso.
Starò in guardia, anche se si tratta di tuo fratello. Se si avvicinerà ancora, e con altre intenzioni, non la passerà liscia. “Certo. Un pensiero carino da parte sua. Molto carino.”  
Tentò di cambiare argomento per far passare inosservate le nocche bianche per la tensione e il sorriso sghembo che aveva in volto: “Non abbiamo messo in palio nulla, alla fine.”

“Già. Però non credo possiamo considerare queste partite effettive. Tu hai sbagliato di proposito ed io non ho avuto il tempo di concentrarmi.” Sbadigliò senza curarsi di coprire la bocca con una mano e sistemò la testa di Leo sulla clavicola così che gli fosse più semplice tenerlo stretto avvolgendogli le spalle.

“Il tempo l’hai avuto eccome. Ti sei anche imbambolato guardando fuori dalla finestra. ” Trovandosi scomodo si raddrizzò e lo fece girare per abbracciarsi meglio, alla pari, senza che fosse uno solo ad avvinghiare l’altro. La prima reazione di Elliot fu di tenerlo ben saldo e di impedirgli di muoversi, tuttavia quando comprese le sue intenzioni fu dello stesso parere e lo assecondò, imporporato involontariamente più di prima.

“A-avresti anche potuto chiamarmi.”

“No, effettivamente anch'io ero assorto nei miei pensieri. E comunque potremmo fare una terza partita, l’ultima incontestabile. Stavolta però impegnati.”

“Mi sembra equo, trattandosi di un pareggio. E cosa scommetteresti?”

“Un desiderio. Tu che vorresti?”
 
Arrossì istantaneamente. “S-sì, diciamo che mi p-piacerebbe che questi baci diventassero una costante... pensavo... pensavo che  ogni volta che calerà la notte tu avrai un momento in cui toglierti gli occhiali e guardare senza paura il mondo esterno... e me, quindi...  così, solo per farlo...” Affondò tutta la testa sotto la coperta e rischiò di strozzarsi con la propria saliva mentre parlava per quanto gli sembrava impudico il solo pensarlo. “E tu? Spero ti stia bene. Ma se hai paura di perdere e vuoi tirarti indietro posso capire.”
 
Le sue intenzioni erano più dirette, certo, tuttavia pensò fosse più opportuno pazientare e aspettare ogni cosa a suo tempo. “La stessa cosa.” Un sorriso si impadronì delle sue labbra – e te.
 

La fiction partecipa al contest "Drink me!", sul forum di EFP.
Titolo
:  Uno scomodo scambio di sguardi
Pacchetto: LATTE - Uno dei membri della tua OTP fa una lista da tre a sei aggettivi - decidete voi - riguardo l'altro componente e li esplora nella ff.
Fandom: Pandora Hearts
OTP: Elliot x Leo
Presenza di OC: No.
Genere: Romantico; Introspettivo.
Avvertimenti: Missing Moment.
Rating: Arancio.
Disclaimer: I personaggi appartengono all'autrice del manga Jun Mochizuki, non sono miei.
Ed ora...
Retroscena de ‘Uno scomodo scambio di sguardi’,   le (Im)pertinenti Note.
Scritte durante la stesura del testo, per rendere alcuni passaggi più chiari e spiegare al meglio situazioni, scelte lessicali e quant’altro. Esageratamente lunghe, saltatele senza alcuna remora perché sono il mio ridicolo tentativo di discolparmi consapevolmente e non a posteriori (dato che un contest è sì, un gioco, ma un gioco serio. Scannatevi divertendovi, yay!)
Per quanto riguarda la scelta lessicale dei dialoghi: conosco l’italiano corretto, tuttavia penso che inserire espressioni del parlato o modi di dire nei dialoghi renda più realistica la situazione e, quindi, alcune risposte o alcune frasi possono risultare strampalate dal punto di vista generale. Il linguaggio di Elliot è molto 'da teppistello', caratteristica che gli calza alla perfezione (a mio modesto parere), dato che non è certo nobile un ragazzo che va a dare del 'cretino' al primo che insulta il tuo personaggio preferito di un romanzo. Già.
Le circostanze in cui ho scritto la parte della descrizione del tramonto non erano delle migliori e mi prendo due righe per regalarvi qualche nota di colore sulla fic: sono arrivata al punto in cui Elliot si perde nell'osservare fuori dal finestrino e la prima cosa che mi è venuta in mente è stata "oh beh, vedrà la campagna inglese!" così scribacchio per 45 min circa la sudata mezza pagina su 'sti campi coltivati e poi mi ritrovo con un dilemma "e ora come la faccio finire?". Così ho pensato che volesse mostrare a Leo un paesaggio bellissimo che lo aveva sorpreso in prima persona. Qualche tempo dopo controllo tra gli appunti della giudiciA e noto che lei ama il mare. IL MARE. Ho riso, mi sono mangiata un gelato, ho riso fino a piangere e ho cancellato quella pagina per scrivere questa. Il ‘mugghiare’ del mare è un’amabile citazione dantesca (“mugghia, come fa mar per tempesta”). Sono consapevole che alla nostra giudiciA non piaccia un linguaggio particolarmente solenne in contesti moderni ma, hey, non è un AU, non è un contesto moderno, e mi sono scervellata abbastanza per inserire il mare. Anche la frase di Leo “Non ti spiego quello che hai già capito.” è una simpatica citazione dal manga.
Per ‘la Bezarius’ intendo ovviamente Ada. Non credo che Elliot si ricordi nemmeno il suo nome, a lui basta sapere il cognome per girarne alla larga! E per ‘dovrebbe coccolarla meglio’ lascio intendere che c’è qualcuno, di nome Elliot Nightray, che se ne occupa al posto suo.
E poi il titolo. IL TITOLO. La parola “sguardo” è quella che ho ripetuto più spesso e, effettivamente, è il cardine dell’intera storia. Prima furbo, poi malizioso, irritato, imbarazzato, carico di sentimento, misterioso... ah! In totale ben 14 sguardi diversi!
La prima parola del ‘gioco’ è Latte, ovvero il pacchetto da me scelto. A proposito,  ho utilizzato tutti e 6 gli aggettivi, molto tenero, fedele, rompiscatole, innocente, rabbioso e irritante, tutti visti secondo la prospettiva di Leo.
Le ‘paure’ e le ‘ansie’ di Leo sono ovviamente le luci dell’Abisso. Non mi sembrava opportuno dire chiaramente quello che erano perché penso che nemmeno Leo abbia accettato la loro natura  fino all’ultimo.


Auguro buona fortuna a tutti gli altri partecipanti del contest e, perché no, ne auguro un po’ anche a me!

Alice_nyan


EDIT del 8/10/16
Ebbene, anche se è passato tanto tempo, aggiorno solo adesso lo stato di questa one shot. 
Alla fine, il contest l'ho pure vinto (!). E' stata una sorpresa squisita. 
Correggerò gli errori grammaticali che mi sono stati fatti notare nel giudizio; la storia rimarrà invariata nella trama e nell'intreccio.
Trovate in cima il banner STUPENDO che la giudice mi ha fatto come premio. Grazie ancora!

 
   
 
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