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Autore: micavangogh    16/07/2016    0 recensioni
A Dafne consigliano di abbandonare la sua città. Così, perennemente perseguitata dai suoi timori e dalle sue insicurezze, giunge alla grande cittadina del Texas, pronta per ricominciare quella vita che sembrava, da tempo ormai, essersi interrotta.
Ma può davvero il cambiamento di scena, far scomparire ciò che si ha dentro di noi?
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico
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Avrei voluto togliere dalla mente tutti quei pensieri che la sovrappopolavano soffocandola.
Ma non era possibile.
Come togliere l'ossigeno contenuto in un'unica stanza a mani nude è qualcosa di impossibile, perchè è sparso, per ogni millimetro di essa.
Così i miei pensieri erano sparsi, in ogni parte di me.
E non c'era fialetta, pastiglia o persona che potesse eliminarli.
E il tempo passava, ma non c'era soluzione.
Perchè quantunque io fossi riuscita ad eliminarli in una parte di me, il resto ne era carico, sempre, comunque.
Mi mandarono da mia nonna a vivere, lontano dal mio paese e dalla mia quotidianità, dicevano che mi sarebbe stato utile.
Avevo più ansia e paura di quello che provavo quotidianamente.
Ero una persona che si isolava, per niente socievole, avevo la costante sensazione di avere addosso occhiate di disprezzo in ogni luogo, spesso soffocavo attacchi di panico istantanei, avevo imparato a prevederli.
Ma ora tutto sarebbe stato diverso.
Non avevo più la mia amica con cui parlare per distogliere sguardo e pensieri dal mondo esterno, non conoscevo vie di fuga dove sarei potuta essere nascosta da occhi attenti.
La piccola fortezza che mi ero costruita con il passare del tempo, stava crollando, facendomi sentire addosso il peso di ogni singola maceria.
Presi il treno e cercai di non guardarmi indietro, la valigia troppo pesante che trascinavo a fatica e la borsa stretta addosso per non perdere niente.
Salii impacciata e mi abbandonai sul sedile, rilasciando un sospiro a tratti, non troppo convinto.
Come avrei potuto essere sollevata non sapendo cosa mi aspettasse?
Sarei arrivata a destinazione 5 ore più tardi. Era il tempo delle vacanze di Natale, così avrei iniziato la nuova scuola solamente alla fine di esse, ciò mi terrorizzava, speravo con tutta me stessa di evitare una di quelle presentazioni specie "Come ti chiami? Da dove vieni? Quali sono i motivi per i quali ti sei trasferita?"
Presto avrei capito che ogni mia speranza era inutile.
Passai il periodo natalizio chiusa in casa, in camera, incontrando ogni tanto parenti di cui non conoscevo l'esistenza e fingendomi entusiasta della mia "nuova" vita.
La casa non era grandissima, ma accogliente. Le pareti dai colori caldi, rosso mattone un po' sbiadito, per la gran parte delle stanze. Nonna Hanne, non che la padrona di casa, era amante degli oggetti "vecchia epoca" e così non mancavano di certo quei mobili dall'aria un po' antiquata, ma che davano alla casa un aspetto a mio dire, particolare. La mia stanza era molto minimalistica, non desideravo altro. Un grande comò sulla cui cima c'era una piccola televisione e qualche ornamento come un vecchio carillon e candele mai usate. Una copia di "lo stagno delle ninfee" di Monet era appesa alla parete dall'intonaco fresco color beige. Un piccolo comodino era al lato del letto da una piazza e mezzo e una finestra abbastanza grande rischiarava un po' la mia nuova camera.
La fine delle festività arrivò in fretta e fu per me il giorno del giudizio.
Cercai di vestirmi il più neutra possibile, non volevo rilasciare subito dal primo giorno tutta la mia sciattezza, ma il mio guardaroba poco curato non permetteva nemmeno scelte più accurate, e mi andava bene così.
Non sono mai stata attenta più di tanto all'aspetto esteriore, nonostante fosse la nostra copertina di presentazione.
Ho sempre immaginato come sarebbe stato migliore possedere un'aurea attorno a noi, di una tonalità diversa da persona a persona, che indicasse la condizione della nostra anima.
Ma così non era, e probabilmente era uno dei tanti motivi per i quali non ero esattamente la ragazza più estroversa di tutte.
Indossai jeans e maglioncino, misi un poco di mascara (naturalmente non mancai di sporcarmi distrattamente la palpebra superiore, ma non importa) e un pizzico di blush per dare un po' di colore alle mie guance cadaveriche.
Fissai il mio ritratto allo specchio, come ero solita fare.
Mi sembrò di vedere un'estranea con delle somiglianze con la persona che vedevo nel vecchio specchio della mia ex camera.
I capelli castani mi ricadevano in boccoli confusi sulle spalle, occhi marroni che avevo sempre trovato troppo grandi su quel mio viso dal colore avorio.
Poche lentiggini si poggiavano sulle mie guance e le mie labbra perennemente screpolate nonostante il burro cacao chiudevano in bellezza quel riquadro a mia vista pietoso.
Fui sollevata dal trovare in cucina una grande tazza di caffè bollente.
Lo bevvi a piccoli sorsi, avevo ancora parecchio tempo per prepararmi, avevo fatto fatica a dormire quella notte.
Scorsi con la coda dell'occhio mia nonna poggiata allo stipite della porta di quella piccola cucina, che mi fissava facendo passare il suo sguardo dall'alto al basso del mio corpo.
Era una signora dai 65 anni, gli occhi verdi scuri, simili a quelli di mio padre e la piccola statura, la facevano apparire più giovane della realtà, se non fosse stato per i capelli bianchi che portava con orgoglio, senza nasconderli con varie tinte, perfettamente pettinati e in ordine.
"Ansia?"
"Da morire" dissi con la voce strozzata da un colpo di tosse improvviso.
"Che avrà mai da temere una ragazzina graziosa come te, lavati i denti che fra dieci minuti passa il pullman"
Feci come aveva detto, quando finalmente fui pronta indossai il mio giubbotto blu scuro e uscii di casa.
'Ce la puoi fare, Dafne, ce la puoi fare'  cercai di dirmi per autoincitarmi.
Lentamente arrivai alla fermata del pullman, che non era particolarmente distante da casa di mia nonna e, con la musica sparata nelle orecchie, cercai di distrarmi dall'imminente arrivo a scuola.
Non mi sentii particolarmente soggetta ad occhiate, in quanto in molti erano occupati a salutarsi tra loro dopo non essersi visti per circa tre settimane.
Ma sentivo la morsa gelida della solitudine attanagliarmi ogni momento di più, e questo bastò a farmi rabbrividire e a crearmi un nodo stretto in gola.
Appena entrata nell'istituto, arrancai verso la segreteria per sapere gli orari e le aule delle lezioni.
"Mmm...Dafne Cambridge?"
Annuii senza provare a far uscire dalla mia bocca ogni qual tipo di parola che sarebbe parsa senza dubbio strozzata.
La signora fece con la testa un cenno d'assenso
"Fra 5 minuti inizia la lezione di storia nell'aula 107, dopo di che, questo è il foglio con scritto il resto degli orari e le rispettive aule"
Mormorai un grazie e mi fiondai su per le scale, lasciando nel frattempo il posto a un'altra decina di ragazzi che fremevano in segreteria.
Fui sollevata dal constatare che, essendo già passata la prima metà dell'anno, in molti cambiavano le classi e così avevo una speranza in più di non essere l'unica novellina.
Naturalmente, per la classe di storia non fu così. Essendo una delle lezioni obbligatorie mi sorbii il giro di presentazioni, l'uscita vicino alla cattedra tentando di sbiacicare qualche parola di senso compiuto sul mio conto e le occhiate stranite e, forse, derisorie di alcuni dei miei compagni.
L'intera mattinata fu un via vai di ansia e stress, tanto che ancora un poco e sarei scoppiata in lacrime.
Quando andai all'armadietto per posare i libri e avviarmi in mensa, sentii qualcuno che mi picchiettava sulla spalla.
"Ei ciao, non spaventarti"
"Non sono spaventata" dissi non troppo convinta
"Ok, come vuoi, ho visto che sei nuova e, avendo appena iniziato la classe di arte come me, siamo le uniche due a non essere in coppia con qualcuno, così mi chiedevo se volessi stare in coppia con me" mi disse la ragazza, mentre cercava il cellulare all'interno della sua borsa
"Oh si..certo"
"Perfetto, stavi andando in mensa?"
Annuii, spostando lo sguardo verso l'altra parte del corridoio
"Benone, anche io.
Vieni, ti presento un po' di gente, mi sembri un uccellino smarrito in una gabbia di leoni"
Non avrebbe potuto fare un paragone più adatto.
Leslie era una ragazza poco più alta di me, la carnagione scura e i capelli neri, lunghi, che le ricadevano sulla schiena. Un fisico incredibile e un sorriso bianco, quasi accecante.
Mi presentò parte della sua compagnia, ma poi l'allenamento di Basket allontanò i tre ragazzi da noi, così che parte del mio disagio se ne andò con loro.
"Allora, parlami un po' di te.
Cosa ti ha portato nella grande cittadina del Texas?"
Disse ispezionando la sbobba bianca, forse purè di patate, che ci avevano rifilato per pranzo.
"Problemi..."
"Familiari?"
"Di ogni tipo" dissi abbassando anche io lo sguardo su quel piatto ricolmo.
"Ok, ho capito, tasto dolente.
Prima impressione del William's istitute?"
"Un incubo, ho rischiato di perdermi e inciampare almeno 10 volte, questa mattina"
Mi guardò per un attimo, poi scoppiò a ridere, demolendo definitivamente qualsiasi barriera di ansia e disagio ci fosse fra di noi.
Passammo circa un'ora a ridere, abbandonando il cibo nel piatto, fino a che lei non dovette andare al laboratorio teatrale del pomeriggio e io mi diressi a casa.
Scesi dal pullman e feci per incamminarmi per la via di ritorno, quando da dietro mi planò addosso uno skateboard che mi fece perdere l'equilibrio e cadere, così che anche gli auricolari mi si tolsero dalle orecchie.
"Hai fatto Strike bello" urlò una voce, seguita da risate, da in cima alla salita che congiungeva l'ormai mio quartiere con il resto della cittadina.
Girandomi vidi un ragazzo a terra a pochi metri da me, impegnato a maledire qualsiasi essere del pianeta.
Cercai di alzarmi il più veloce possibile per evitare altre scene imbarazzanti, per quanto sentissi un dolore incredibile pulsare sulla coscia sinistra a causa della caduta.
Mi sollevai un po' precariamente e, riprendendo la borsa, ripresi il mio cammino. Sentivo le lacrime bruciarmi negli occhi più per l'imbarazzo che per il resto.
'Smettila, non sei più una bambina e a casa non hai mammina che ti aspetta'
Mi ammonì l'eco dei miei pensieri della mia testa.
Da lontano sentii una voce, diversa da quella di prima, chiamarmi, probabilmente la stessa che pochi secondi indietro stava insultando l'esistenza
"Ehi! Aspetta!"
Aumentai la velocità del passo, trattenendo i gemiti per il dolore
'È un livido Dafne, non un mutilamento'
Fui un poco più sollevata quando mi trovai dinnanzi all'ingresso dell'appartamento e, una volta aver varcato la soglia della porta e essermela richiusa alle spalle, scoppiai, lasciandomi cadere sul freddo marmo del pavimento.
   
 
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