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Autore: Emmastory    16/07/2016    4 recensioni
Esisteva il regno di Aveiron. Fiorente sin dalla notte dei tempi, era governato da un Re e da una bellissima regina, scomoda all'intero regno. Scosso da una tragedia, ospita ancora i suoi abitanti, ridotti alla fame, al freddo e alla povertà. La colpa è da imputarsi a uomini e donne chiamati Ladri, e prima che il regno soccomba alle loro continue razzie, qualcuno deve agire. Rain è una ragazza sola, figlia di un amore che le genti definiscono proibito. Gli incubi la tormentano assieme ai ricordi del suo passato, e con il crollo della stabilità che era solita caratterizzare le sue giornate, non le resta che sperare.
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Capitolo I

Dopo il buio e l'oblio

Esisteva il regno di Aveiron. Il re amava una bellissima donna, tanto da considerarla sua regina, e questa l'amava a sua volta, ma il loro era un segreto, un amore proibito. Io sono nata da quel tipo di amore. Mia madre veniva disprezzata per essersi innamorata di un re, e mio padre veniva considerato un traditore per aver lasciato che la donna da lui amata prendesse il posto del suo trono e della vera sovrana. Tutti parlavano di loro, e li giudicavano. Dicevano che le azioni da loro compiute corrispondevano al peggiore dei peccati, ma l’unica cosa che riuscivo a vedere era il loro amore. Il sentimento che li univa era puro, e pensandoci, non potevi che desiderare di trovare qualcosa di simile anche nella tua vita. Amavo i miei genitori più della vita stessa, e darei qualsiasi cosa pur di rivederli ancora una volta, anche se solo per un mero secondo. Per pura sfortuna, questo è impossibile. Se ne sono andati, ed io sono sola a questo crudele mondo. Mi chiamo Rain, e questa è la mia storia. Sono ormai passati anni, ma ricordo tutto, e so bene che in principio vi furono alte fiamme. La nostra casa bruciava, e mia madre non faceva che gridare. “Rain! Scappa! Salvati! Papà è ferito, non posso lasciarlo da solo! Ti prego, perdonami!” Queste le uniche parole che è riuscita a rivolgermi poco prima di tornare a guardare negli occhi l’ora incosciente marito, schiacciato dai detriti e dalle macerie della nostra dimora. Aveva le lacrime agli occhi, e tentando di prestargli aiuto, gli parlava. “Ronan, amore mio, mi hai reso la donna più felice del mondo. Ne abbiamo passate tante insieme, e non abbiamo mai smesso di amarci. Andiamocene insieme…” Un discorso così sentito e commovente, pronunciato poco prima di compiere la più dura e sofferta delle scelte, ovvero quella di morire e cessare di esistere al fianco di chi si ama. Ogni notte. Ogni singola e dannata notte quell’orribile incubo si ripresenta, ed io non riesco più a sopportarlo. Anche stavolta mi sveglio di soprassalto, e aprendo gli occhi, sono felice di essere dove sono. Camminando nella fredda neve durante la notte, sono riuscita a trovare una casa. Piccola, sporca e abbandonata, ma data la situazione e i miei trascorsi, accogliente. D’un tratto, la porta si apre cigolando. “Bentornata, Alisia.” Azzardo, guardando mia sorella fare il suo ingresso nel salotto di casa, riscaldato solo dalle esili e morenti lingue di fuoco che danzano nel caminetto. “Grazie. Mi spiace, ma non sono riuscita a trovare da mangiare. Credo che dovremo resistere per un altro giorno.” Risponde, sorridendo debolmente al solo scopo di rincuorarmi. “Va bene, davvero, sono felice che tu sia sana e salva. Attimi di silenzio pervasero l’aria. “Hai avuto un altro incubo?” mi chiese poi, riprendendo a parlare e guardandomi con aria seria. “Stai sudando anche se fa freddo.” Aggiunse, tacendo nell’attesa di una risposta che non arrivò mai. Limitandomi ad annuire, tornai a guardarla, e in quel preciso istante, vidi i suoi occhi. Due lucenti gemme verdi il cui brillare era offuscato da piccole lacrime, che rigandole il volto, correvano senza sosta sulle sue guance. “Hai idea di quanto ti voglia bene?” indagò, notando il mio volto contratto in una smorfia di insicurezza. Il mutismo ebbe la meglio su di me, ed io non risposi. “Sin da quando sei nata, adesso abbracciami.” Disse poco dopo, rimanendo ferma e guardarmi con occhi capaci di scrutare anche l’interno della tua stessa anima. Avvicinandomi, l’accontentai, e nell’esatto momento in cui i nostri corpi si toccarono, lei provò a baciarmi. Istintivamente, mi ritrassi. “Sei… mia sorella.” Biascicai, tremando come una povera bestiola vittima di un predatore e certa di quella che sarà la sua fine. “Sorellastra, se permetti. A nessuno importante niente in un mondo del genere ed io ti voglio troppo bene.” Continuò lei, ormai convinta delle sue stesse intenzioni. “Ti prego, non farlo.” pregai, con la voce che pareva essere sul punto di spezzarsi. Di nuovo silenzio. Per tutta risposta, lei mi attirò delicatamente a sé, e quasi volendo rispettare il mio volere, cambiò idea, limitandosi a deporre un innocente bacio sulla mia guancia. Con il corpo ancora scosso da leggeri tremiti, la guardai, incredula di fronte alle parole che le sentii pronunciare. “Hai visto? Non è stato male, vero?” si informò, sarcastica. Provai a rispondere, ma sentii di avere la lingua impastata. Il colpo finale arrivò lesto. “A mai più rivederci, sorellina.” Disse, per poi salutarmi con la mano e andarsi dopo essersi abbandonata ad un acido risolino. Muta e immobile, la guardai allontanarsi e guadagnare la porta di casa, e da quel momento, sperai ardentemente di poterla rivedere. Fra noi era sempre corso ottimo sangue, io le volevo bene, e quando la vidi andarsene, mi resi conto di una cosa. Nonostante il dolore, la rabbia e gli screzi del passato, anche lei aveva ammesso di volermi bene, e non potevo che esserne grata. La notte scese quindi lenta, e addormentandomi su un’ormai malconcia poltrona, ebbi paura per il mio futuro e la mia incolumità. In fin dei conti, tutto era successo dopo il buio e l’oblio.
   
 
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