.D .eambulare

Il frusciare degli alberi è immobile, l'odore del terriccio umido e quello dell'aria freddo.

Scivolo silenziosamente sul muschio già tumido e limaccioso, sul fango molle e putrido, sulle pietre, che si levigano sotto il mio tocco marmoreo.

Pioverà, presto.

Sono giorni che proseguo. Protraggo questo incessante incedere, lentamente, questo infinito sentiero, questa ricerca insensata.

No, non c'è un obbiettivo predefinito.

Sono giornate che non mi nutro, ore ed ore che cammino, tempi infiniti che aspetto.

Ma cosa?

*

Il cielo è grigio. Fra i rami alti degli abeti che mi sovrastano c'è solo cinerea staticità.

Ancora, incedere, deambulare, con esacerbante e frenetica flemma.

Quanto pulsa la spaccatura che ho fra le costole?

Ferva, perpetua.

L'eco del suo fremere si disperde per la mia cassa toracica, nell'esofago, e su, fino alle tempie.

Rimbalza da un'artica parete del mio essere all'altra, perenne.

Nenia del mio trascinarmi inerme, lagna del mio genuflesso organismo astratto, lamento del nucleo di ciò che fa di me individuo.

Beffardo il modo pernicioso in cui al mio interno lieviti il vigore dei sentimenti. 

Ironico e graffiante come la mia tipicità si riversi su di me, il suo possidente. Subdolo.

Ma l'importante è persistere. Seguitare il mio cammino, perdurare il mio ambulante passeggio.

Fino a quando non arriverà. Fino a che non sopraggiungerà ciò che attendo.

Cosa, non è importante. 

È necessario, è  d o v u t o.

Perché è d'obbligo che qualcosa, qualsivoglia realtà, riesca ad attutire l'ostile spaccatura che risiede nel mio petto.

Che una qualunque entità riesca a fiaccare siffatta ostilità, che cresce e muta in sempre più gravi forme, per il mio essere raccapricciante.

Che qualcosa mi aiuti. 

«Che qualcuno mi salvi- è tenue il soffio ch'è scaturito dalla mia gola arsa e riarsa dalla sete.

È fiacco, debole, fragile, come la speranza che questo tormento, prima o poi, cessi. Come i miei sensi, sfibrati dalla cupidigia che non viene saziata da troppi giorni, troppe ore, troppo tempo.

Un tocco cauto, sulla mia guancia deturpata.

Occhi enormi, di un caldo color caramello. Caldi, densi, rasserenanti. Oblunghe ciglia scure li adornano, curve sopracciglia nere vi si disegnano al di sopra.

Un richiamo soave : 

«Ci sono io.-