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Autore: CarolPenny    17/07/2016    3 recensioni
[Dal testo]:
"Carol iniziò ad abituarsi sempre di più al buio, tanto da riuscire pian piano a scorgere la figura di Daryl che guardava verso il cielo.
Chissà, forse sarebbe riuscito a vederlo comunque. Conosceva i suoi capelli scombinati, i suoi vestiti consumati, la sua pelle martoriata, la sua barba incolta, i suoi occhi luminosi anche se spesso nascosti.
Daryl si sentì osservato così cercò di ricambiare lo sguardo, anche se a fatica. C’era Carol accanto a sé, non c’era bisogno di metterla a fuoco o di illuminarla. Sapeva che c’era e questo sarebbe potuto bastare."
One Shot scritta per la "CARYL FAN FICTION FEST" della pagina facebook CARYL ITALIA. Prompt: Luce nel buio.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Era notte fonda e Carol era sveglia con gli occhi sbarrati ad osservare il soffitto. O meglio, la direzione era quella, ma non riusciva a vedere nulla per via del buio più totale. Dale aveva insistito affinché dormisse nel camper poiché erano stati giorni infernali per lei e aveva bisogno di una buona dormita.
In realtà, nessun letto comodo avrebbe potuto darle conforto. Non sentiva neanche più di meritarlo, ormai.
Sophia è morta.
Era tutto ciò che la sua mente continuava a ricordarle in loop. Poteva ancora sentire la voce della sua bambina mentre la chiamava “mamma”, ma la realizzazione che ciò non sarebbe più potuto accadere era come un colpo in pieno stomaco, ogni volta. Decise di alzarsi. Stare stesi a rigirarsi tra le lenzuola non sarebbe servito a nulla. Avanzò a tentoni fino a toccare il tavolino e il divanetto dove era stata per molte ore e si sedette nuovamente lì. Quando si girò in direzione della finestra, quasi le venne un colpo. Nel buio della prateria c’era un puntino luminoso. Il suo primo istinto fu quello di uscire e chiamare gli altri ma poi si fermò ad osservare la luce che proveniva dal limitare della proprietà di Hershel Greene (quasi fuori, ma comunque ancora dentro) e che sembrava essere fissa in quel punto. Era di colore rosso e arancio, quello di un fuoco.
Carol si tranquillizzò improvvisamente. Doveva essere Daryl. Lo aveva visto allontanarsi proprio in quella direzione quando era tornata da una passeggiata in solitaria nella quale aveva strappato un cespuglio di rose cherokee.
Per tutto il giorno non aveva fatto altro che provare rabbia. Era arrabbiata con tutti per il poco impegno messo nelle ricerche di Sophia, era arrabbiata con se stessa per non aver mosso un dito ed essere andata di sua spontanea volontà ed era arrabbiata anche con lui, Daryl, per averle fatto credere che ci fosse ancora una speranza proprio nel momento in cui stava finalmente iniziando ad affrontare il lutto.
Osservò di nuovo il puntino luminoso in lontananza.
Nonostante tutto, quell’uomo era stato una piacevole sorpresa per lei. Lo aveva visto molto di rado all’accampamento di Atlanta, spesso in giro per i boschi a caccia, o accanto a suo fratello mentre, con aria furtiva, parlavano in un angolo poco illuminato. Ricordò che Ed le aveva intimato severamente di stare alla larga da tutti, soprattutto da quei due, ed ora quella raccomandazione le era sembrata quasi ridicola. Prudente magari, ma forse troppo affrettata.
Daryl Dixon non rappresentava una minaccia come lui ed anche lei avevano creduto all’inizio. Era una persona schiva ma gentile, violenta ma combattiva e assolutamente poco incline ad arrendersi. Un’anima piena di speranza… Lo aveva notato il giorno stesso della morte di Ed, quando le aveva passato il piccone senza lamentarsi (come invece aveva fatto quando altri si erano offerti di dargli una mano). Dopo la scomparsa di suo fratello, non era più sembrato incline ad isolarsi come in precedenza, anzi, spesso e volentieri era stato in prima linea per il gruppo. Negli ultimi tempi più che mai. Eppure eccolo lì, nuovamente ai confini, nuovamente da solo.
Fu davanti a quella realizzazione che la rabbia di Carol svanì.
Il vero male è un altro”, pensò.
Ad aver ucciso Sophia non erano state la troppa speranza di Daryl o la poca intraprendenza di altri. Era stata la paura, una paura che lei continuava a provare. Non era solo a causa dei vaganti, era il sentirsi impotente, debole, priva di una ragione che la spronasse a dire la sua, ad andare avanti.
Ripensò alle cicatrici che aveva visto sulla schiena di Dixon quando gli aveva portato la cena, qualche sera prima. La sua vita non doveva essere stata molto facile, intuì. Probabilmente anche lui era stato vittima di violenze ed abbandono, eppure aveva trovato nella ricerca di Sophia uno scopo più grande: quello di far conoscere se stesso agli altri.
Certo c’era anche la sua testardaggine da considerare, causa delle sue spedizioni solitarie e pericolose, ma almeno aveva avuto il coraggio di mettersi in gioco. Qualcosa per la quale, in quel momento, Carol provava solo ammirazione.
Sentì di doversi scusare per come l’aveva trattato quando lui aveva tentato di darle conforto nel momento della tragica scoperta. Lui che aveva sussultato per un semplice contatto come un bacio sulla tempia si era invece curato di tenerla stretta tra le sue braccia per evitare che facesse qualche sciocchezza e per sostenerla emotivamente. Per non parlare della compagnia silenziosa che le aveva fatto subito dopo, seduto e neanche mezzo metro da dove si trovava lei adesso…
Carol decise di prendere una torcia e di attraversare il prato fino a lui. Magari avrebbe potuto fargli cambiare idea e Daryl si sarebbe accampato accanto a tutti gli altri o almeno più vicino. Provava  un po’ di timore a camminare da sola, ma almeno ci sarebbe stato quel punto in lontananza come riferimento.
Proprio nello stesso istante in cui stava per alzarsi, vide il fuoco spegnersi, quell’unica luce nel buio svanì.
Si dispiacque immediatamente di aver perso quell’occasione, ma pensò che a spegnersi era stato solo quel focolare, non Daryl. Avrebbe potuto parlarci il giorno seguente e intendeva farlo. Non si sarebbe arresa con lui, non dopo quello che aveva fatto.
Si è guadagnato il suo posto, non dovrebbe essere lì.
“Grazie, Daryl” pensò lei tra sé e sé affacciandosi di nuovo alla finestra e guardando il cielo stellato.
 

 
*
Daryl entrò nel blocco C dopo il suo turno di guardia notturno. Fuori era ancora buio, così come all’interno della prigione. Poco prima di entrare nel corridoio dove si trovavano le celle, spense la torcia. Ormai conosceva quel posto a memoria e riusciva a muoversi anche nell’oscurità. Con sua sorpresa, si accorse di un fascio di luce che proveniva dal piano superiore, dove si trovava anche il suo alloggio. Salì le scale silenziosamente e osservò le celle per capire chi fosse sveglio e scoprì che si trattava di Carol. Tra la sua cella e quella di lei ce n’era solo un’altra in mezzo, quella di Michonne, che però era uscita in spedizione da qualche giorno, quindi non era lì. Daryl percepì i movimenti concitati di Carol e per un attimo si preoccupò che fosse successo qualcosa, così si mosse verso il grosso telo che copriva l’entrata, illuminato probabilmente dalla luce della lampada a pile che avevano trovato durante l’ultima visita in un supermercato abbandonato. Non intendeva spiare la sua amica, ma allo stesso tempo voleva essere sicuro che lei stesse bene. Si fermò a pochi passi dal telo e riconobbe il suono di qualcosa che veniva poggiato sul pavimento.
“Questi sono i libri per la lezione di domani con i bambini” sentì Carol sussurrare quelle parole tra sé e sé, terminando poi con un sospiro. Daryl si tranquillizzò e gli scappò anche un mezzo sorriso.
Erano passati mesi da quando i superstiti di Woodbury ed altri sopravvissuti si erano trasferiti alla prigione, creando quindi una vera e propria comunità. Carol si era data molto da fare affinché ciò fosse possibile. Era stata la prima a parlare di un consiglio che facesse da punto di riferimento per tutti, in modo da dare a Rick un periodo di meritato riposo ed era stata, insieme ad Hershel, la prima ad essere eletta. Da quel momento, non si era fermata un attimo. Aveva sempre qualche idea su come rinforzare le recinzioni, si occupava del cibo, di allestire gli alloggi per i nuovi arrivati, teneva delle ore di storia e lettura per i più giovani ed era anche migliorata con l’utilizzo delle armi.
Ad occuparsi delle lezioni di combattimento, invece, erano lui e Sasha. Glenn era a capo delle spedizioni ed era bravo a riorganizzare gli spazi all’interno della prigione ed infine Hershel era il medico di riferimento, ma anche colui che solitamente prendeva le decisioni finali.
Il consiglio aveva trovato un giusto equilibrio.
Daryl si allontanò dalla cella di Carol nel momento in cui sentì il suono delle molle della brandina, segno che la donna doveva essersi messa a letto, ma aspettò che la luce si fosse spenta prima di entrare nella sua.
Si ritrovò a pensare a quanto le cose fossero cambiate in quell’ultimo anno, a quanto lei fosse quasi diversa da quella donna a cui aveva portato quella rosa cherokee.
Era strano da spiegare cosa provasse in quel momento. Forse… orgoglio?
Non poteva saperlo con certezza, non conosceva quella sensazione. Aveva sempre vissuto alle dipendenze di qualcuno che puntualmente lo aveva messo nei guai e forse l’unica volta che si era sentito soddisfatto era stato dopo aver riparato la sua prima moto. Ma essere orgogliosi di qualcun altro… no, non gli era mai capitato prima d’ora. Neanche con suo fratello.
La morte di Merle era ancora fresca nella sua mente, ma gli impegni alla prigione la rendevano forse un po’ meno dolorosa. Anche in quel caso Carol era stata la prima, se non l’unica, ad affiancarlo con discrezione nel suo dolore. Non lo aveva forzato a vivere il lutto e allo stesso tempo non aveva mai avuto paura di dire cosa pensasse di Merle.
Lo aveva rispettato e lo aveva compreso molto più di quanto suo fratello avesse potuto sospettare e a dire il vero Daryl non ne era affatto sorpreso. C’era qualcosa in Carol, magari poteva trattarsi anche solo di intuito, che sembrava suggerirle sempre le parole giuste, talvolta anche i silenzi. Erano bastate delle semplici strette di mano, o alla spalla, una carezza sul capo a fargli capire che sarebbe stata lì se ce ne fosse stato bisogno. Era stata lei a fargli luce in quel periodo buio.
Ed ora, quella sua natura protettiva, gentile e determinata era al servizio di tutti e lei sembrava non accorgersi di contare così tanto per la gente. Anzi, probabilmente avrebbe risposto dicendo che alla prigione era molto più popolare lui e che “tra un po’ i bambini non verranno più alle mie lezioni di storia”.
Sì, gli aveva detto proprio così qualche giorno prima.
Quel senso di orgoglio svanì improvvisamente e fu sostituito da un’altra sensazione sconosciuta. Negli ultimi tempi lui e Carol erano riusciti ad incrociarsi solo durante i pasti e c’era sempre qualcuno che aveva bisogno dell’aiuto dell’uno e dell’altro. Si ritrovò a pensare a quanto gli sarebbe piaciuto sedersi accanto a lei e sentirsi domandare cosa aveva fatto durante la giornata.
Cos’era? Gelosia?
No, Daryl non aveva pensato a Carol in quei termini. Anche perché non era in grado di capire se fosse quello che effettivamente provava per lei. Tutto ciò che sapeva era che Carol lo capiva e non c’era cosa più preziosa in quel mondo di merda.
Tutti gli volevano bene, ma non come lei e onestamente non gli importava sapere chi o cosa fossero l’uno per l’altra. Tutto ciò che voleva era la certezza che nulla sarebbe cambiato, che fossero rimasti esattamente ciò che erano.
Daryl sapeva che Carol fosse una donna che ormai avrebbe potuto badare a se stessa, eppure l’avrebbe protetta a costo della propria vita ed era certo che il discorso valesse anche per lei.
Aprì gli occhi e per un attimo immaginò che l’amica avesse acceso di nuovo la lampada, prima di accorgersi che invece doveva essere sorto il sole e la prigione stava iniziando ad illuminarsi.
Pensò alla giornata che aveva davanti. Ad una nuova spedizione da organizzare.
Prima, però, sarebbe andato da Carol per la colazione.
Con un po’ di fortuna l’avrebbe vista rivolgergli un sorriso. Tutto per lui.
 

 
*
Era successo di nuovo. Non poteva essere solo un caso.
Da diverse notti l’oscurità di Alexandria era stata illuminata da una piccola luce in lontananza che Carol aveva notato e che puntualmente si spegneva proprio quando era lei ad accendere quella della sua camera da letto. La prima notte aveva pensato ad una ronda, ma ben presto si era resa conto che la luce proveniva sempre dallo stesso punto ed era fissa. A volte era così piccola da essere quasi impercettibile, poi si era fatta più grande.
In quel periodo Carol non riusciva a dormire molto bene, era uno di quei momenti in cui aveva troppe cose per la testa, così decise di uscire e di capire, una volta per tutte, cosa si nascondesse dietro quella luce. Probabilmente, pensò, qualcuno che non riusciva a dormire, proprio come lei.
Portò con sé una torcia, ma la accese solo una volta avvicinatasi all’altra fonte di luce, giusto per capire con chi o cosa avesse a che fare. Si ritrovò ai piedi del laghetto, dove vide muoversi due ali da angelo.
Daryl si girò di scatto, chiudendo quello che a Carol sembrò un libro che aveva tenuto in grembo poco prima di alzarsi.
Ed ecco le due luci. Quella piccola ed impercettibile apparteneva ad una sigaretta. L’altra più grande, ad una torcia.
“Hey” fece Carol, amichevolmente.
Vide l’altro rispondere con un cenno e cacciare del fumo dalla bocca.
“Qualcosa non va?” le chiese.
Carol si avvicinò definitivamente a lui. Alzò le spalle.
“Non riesco a dormire” rispose, puntando la torcia in basso per non finire con i piedi nell’acqua.
Daryl lo aveva notato. Ogni volta che aveva visto accendersi la luce della camera da letto di lei, aveva spento la sua. Non voleva che Carol scendesse a cercare qualcosa di inesistente e si preoccupasse. La conosceva fin troppo bene. Era attenta a tutto, ed infatti quella sera era riuscita a raggiungerlo.
“Ti dispiace se ti faccio compagnia?”
Questa volta fu Daryl ad alzare le spalle e a fare un altro tiro dalla sigaretta.
Si sedettero uno di fianco all’altra e Carol poté osservare più da vicino il libro che aveva notato prima e che portava il titolo “VIOLENZE E ABUSI”.
Daryl la guardò, quasi aspettandosi una reazione, ma lei non disse nulla. Non inizialmente. Rimasero in silenzio fino a quando lui non terminò la sigaretta, poi lei commentò:
“Chi ti ha dato quel libro? Denise?”
Daryl indugiò per qualche secondo.
“Era nella libreria di Deanna” rivelò.
“È interessante?” chiese ancora lei.
Daryl sapeva che quella di Carol non era semplice curiosità, ma neanche invadenza. Quella era una cosa che avevano in comune, quindi non era una domanda di circostanza.
In ogni caso, non seppe cosa rispondere.
“Mhh mhh” fece, come era successo tutte le volte in cui era incerto su qualcosa.
Carol accettò quella risposta spegnendo la sua torcia e lasciandoli nell’oscurità più totale. Ricordò il libro che Daryl aveva preso ad Atlanta, perduto poi successivamente e le fece piacere sapere che l’amico non aveva perso la volontà di capire (o almeno provarci) come affrontare quei disagi che ancora non era riuscito a sconfiggere da solo.
Si stese sull’erba pensando a tutti i passi avanti fatti, nonostante la meta fosse ancora lontana. Anche Daryl si stese. Non a caso aveva scelto quel momento della giornata per poter leggere il libro. C’era silenzio, c’era calma, sembrava quasi che tutti i guai decidessero di dar loro una tregua durante la notte.
Carol iniziò ad abituarsi sempre di più al buio, tanto da riuscire pian piano a scorgere la figura di Daryl che guardava verso il cielo.
Chissà, forse sarebbe riuscito a vederlo comunque. Conosceva i suoi capelli scombinati, i suoi vestiti consumati, la sua pelle martoriata, la sua barba incolta, i suoi occhi luminosi anche se spesso nascosti.
Daryl si sentì osservato così cercò di ricambiare lo sguardo, anche se a fatica. C’era Carol accanto a sé, non c’era bisogno di metterla a fuoco o di illuminarla. Sapeva che c’era e questo sarebbe potuto bastare.
“Sono le persone” disse improvvisamente prendendo la donna alla sprovvista, ma già pronta a chiedere spiegazioni.
“Non serve un libro che ci insegni a parole quello che va fatto. Sono le persone e quello che fanno per noi. E quello che noi possiamo fare per loro”.
Era la prima volta che Carol lo sentiva fare un discorso tanto semplice quanto complesso e profondo. Non aveva mai dubitato del fatto che Daryl fosse capace di comprendere qualsiasi situazione, ma sentirgli pronunciare quelle parole fu di grande effetto.
Carol allungò la sua mano per prendere quella di lui. Daryl non disse nulla. In quel gesto percepì l’orgoglio di lei.
“È così” affermò la donna “Tutto ciò che facciamo, ogni volta che uccidiamo… lo facciamo per le persone” terminò con una punta di amarezza.
Questa volta fu Daryl a stringerle di più la mano.
Ultimamente c’era stata della distanza tra loro e questo lo aveva confuso non poco, eppure per portarla di nuovo da lui come in passato era bastato un gesto così innocuo come leggere un libro all’aperto con una torcia.
Una luce nel buio.
 
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Angolo dell’autrice: Ed anche io riesco finalmente a pubblicare la fan fiction scritta per la CARYL FAN FICTION FEST di Caryl Italia.  A breve spero di terminare anche la long. Grazie per la lettura e per eventuali commenti.
Alla prossima!
   
 
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