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Autore: naisia    17/07/2016    2 recensioni
Dal primo capitolo:"La terraferma è un luogo insidioso e pieno di pericoli, e le creature che lo abitano, gli umani, sono perfino peggio, non devi mai avvicinarti a loro!"
Consapevole che farò rivoltare il povero Hans Christian Andersen nella tomba ecco a voi il più famoso consulente investigativo di Londra tramutato in un sirenetto.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Augustus Magnussen, Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14: castello di sabbia
 


“Barbarossa, su vieni qui bello. Bravo vieni!”.

L’affusolata sagoma della foca monaca nuota con entusiasmo attraverso gli anfratti e i tortuosi passaggi che compongono il suo palazzo mentale. Raggiunge Sherlock per infilare giocosamente la testa appuntita tra il suo fianco e il suo braccio. Emette un versetto compiaciuto quando il tritone gli arruffa il pelo del collo con la punta delle dita e gratta appena dietro le minuscole orecchie, e lo fissa con gli occhi azzurri adoranti, così simili a quelli del suo padrone.*

“Ciao Barbarossa, stanno portando via anche me. Non è divertente sai?” mormora prima che tutto intorno a lui diventi scuro, di nuovo.

Effettivamente come c’è arrivato lì? L’ultima cosa che ricorda è la voce di John che grida il suo nome. Perché adesso è li? Che fine ha fatto tutto quanto? I poliziotti, i criminali John e persino quell’irritante imbecille dell’ispettore Evans, dove sono andati?

È stato tutto un sogno, frammisto a fastidiosi segmenti di incubo gentilmente offerti da Jim Moriarty? Un meraviglioso viaggio attraverso il suo palazzo mentale?

Anche John è stato solo un sogno?

Si guarda attorno, riconoscendo nell’oscurità le pareti del Canyon dove i suoi amici lo avevano abbandonato per ripicca molti anni prima. Improvvisamente una scarica di dolore gli attraversa la colonna vertebrale. Non dolore causato da emozioni, dolore fisico, profondo, viscerale, che parte dalla base del collo a destra e si ripercuote con violenza in ogni brandello di pelle, carne e squame.

Sente una risata nell’oscurità dei crepaci, si volta guardandosi attorno febbricitante.

E lo vede.

James Moriarty, incatenato ad un’ancora sul fondo dell’oceano che ridacchia di gusto, apparentemente indifferente al fatto che secondo logica dovrebbe essere già morto per annegamento.

Fu in quel momento che Sherlock si rese conto di stare ancora sognando. O meglio non sognando, se fosse un sogno avrebbe già deciso di svegliarsi, no è nel suo palazzo mentale e per qualche ragione non riesce ad uscirne.

Un’altra scarica di dolore, più crudele della prima se possibile.

A quel punto il criminale che per settimane si è firmato semplicemente con una iniziale cercando di far trapelare attraverso questa tutta la sua psicopatia scoppia esplicitamente a ridere.

“Tu!. . .Lo trovi così divertente?” ringhiò il tritone all’indirizzo del criminale, ben consapevole di star parlando solo con una proiezione mentale della sua nemesi, ma non riuscendo comunque a contenere l’odio.

“Vedere il dolore ti diverte? Oh, ma certo, tu non hai mai sentito dolore vero? Perché non provi dolore?” ansimò accartocciato su se stesso dagli spasmi.

“Il dolore si sente sempre Sherlock” biascicò Moriarty, i capelli neri che si agitavano intorno alla sua faccia dandogli un aria spettrale. Alzò gli occhi neri su di lui, fissandolo per un’istante, prima di scagliarsi arrivando fino a pochi centimetri dal suo viso, trattenuto a stento dalla catena arrugginita.

“Non ti deve fare paura!” sbraitò esibendo la sua migliore aria da psicopatico.

Una nuova scossa di malessere fece precipitare lentamente in basso Sherlock, sino a toccare il fondale sabbioso.

“Perdita, sofferenza, dolore” il viso di Jim a solo qualche centimetro dal suo “ Morte” sillabò, mentre si contorceva nel fango sabbioso “va tutto bene” aggiunse con tono che avrebbe dovuto suscitargli tranquillità, ma era esattamente l’opposto.

“Che cosa mi hai fatto?” ringhiò il tritone tra i denti. Moriarty non rispose, e iniziò a canticchiare una nenia, mentre tutto intorno a loro si faceva ancora più buio e gelido “Tira vento, e piove, Sherlock è scontento”. Il tritone ebbe un altro spasmo mentre sembrava che l’acqua convergesse su di lui, schiacciandolo. “Sto ridendo, e piangendo Sherlock sta morendo”.

In lontananza udì una voce urlare il suo nome, era familiare, ma era così distante, e aveva dimenticato a chi appartenesse. “Dai Sherlock” mormorò Moriarty “Perché non muori? Ci siamo quasi, è bello morire Sherlock, nessuno viene a seccarti. L’unico inconveniente sono quelli che restano indietro. Te li immagini, la scialba amichetta di John piangerà, Mike piangerà, tutti spremeranno almeno una lacrimuccia, e John, oh. . . John piangerà a secchiate: è lui quello che mi preoccupa di più in effetti” mormorò con aria assente fluttuandogli intorno come un fantasma.

Sorrise “Forse dovrei risparmiargli tutta questa sofferenza no? Dopotutto lui è ancora lì, con me, la fuori. Lo stai abbandonando Sherlock? John Watson è decisamente in pericolo. . .”

Un lampo di consapevolezza lo attraversò.

John! John, John John JOHN!

Rotolò su un fianco colpendo con forza la terra sotto di lui, come a voler svegliare un cuore morente.

Si trascinò fino alle pendici della roccia scura e si aggrappò ad una sporgenza con la punta delle dita, issandosi su di essa, facendo leva con la poca forza che gli rimaneva nelle braccia. Lentamente, sudando per ogni centimetro che riusciva a conquistare, risalì verso l’alto, verso la luce, lasciandosi alle spalle un Moriarty che urlava furibondo il suo nome.

Sherlock aprì gli occhi di scatto, intorno alla sua bocca vi era un respiratore artificiale, mentre un preoccupatissimo John Watson si affaccendava intorno a lui, ancora seduto sulla sedia a rotelle.

Con un grosso sforzo il tritone mise a fuoco tutto il resto. Si trovava dentro ad un’ambulanza, ferma, i portelloni posteriori erano spalancati e lasciavano intravedere alcuni paramedici che si guardavano tra loro con aria perplessa e preoccupata. Ci volle poco a capire che John doveva averli cacciati via perché non scoprissero chi (o per meglio dire cosa) fosse in realtà il ferito.

Ancora più indietro c’erano quattro volanti della polizia, su cui stavano finendo di caricare Moriarty e i suoi complici.
Sherlock non ebbe nemmeno il tempo materiale per essere perplesso della apparente facilità con cui il criminale si era fatto catturare (Sul serio? Neppure una sparatoria di convenienza?) che una voce familiare gli distrusse un timpano in un urlo di gioia.

“Sherlock!”

Gli occhi freddi del tritone scesero a incontrare quelli di John, chinatosi per controllare che i respiratori aderissero ancora alla perfezione con le sue branchie e quanta acqua fosse ancora utilizzabile nelle bombole. Il volto tirato del medico si era aperto in un sorriso di gioia. Senza indugiare oltre il biondo dottore lo abbracciò di impeto, stringendolo in una morsa da cui traspirava tutto il suo sollievo.

Solitamente se qualcun altro avesse osato fare una cosa del genere avrebbe sfoderato la sua peggiore aria da Drama Queen per poi insultare lui e i suoi antenati. Però la persona che lo stava abbracciando era John, il suo John, così ricambiò timidamente la stretta, mentre pregava che se sue guance appuntite non diventassero rosso porpora.

“Cosa, cosa è successo?” borbottò Sherlock, cercando di mascherare l’imbarazzo che gli provocava quel contatto. John si staccò da lui, mentre quel sorriso a trentadue denti non accennava a voler andarsene dalla sua faccia “È arrivata la polizia. Moriarty si è arreso subito, probabilmente ha capito che provare a barricarsi dentro la casa sarebbe stato inutile. E per fortuna aggiungerei! La ferita che ti ha inferto non era mortale ma sanguinava molto, se fossero arrivati in ritardo non so se sarebbe andato tutto bene. Alla fine l’avevi chiamato Evans allora!” disse parlando a raffica.

Sherlock alzò gli occhi al cielo ma l’ombra di un sorriso gli aleggiava sul volto “Certo che l’ho chiamato John, Moriarty si aspettava che il mio orgoglio avrebbe avuto la meglio sul buonsenso, ma non potevo mettere in pericolo te. . .Ha-em volevo dire, non potevo mettere in pericolo dei civili.” disse con la sua solita aria altezzosa, sperando che il dottore non si fosse accorto della sua gaffe.

Dannati antidolorifici.

Per fortuna John era troppo impegnato a essere entusiasta per aver finalmente fermato il criminale per prestare particolare attenzione ai soliti sproloqui del tritone. Si era infatti voltato a scrutare tra la folla di auto dalle sirene lampeggianti, dove Bobby stava finendo di recitare la miranda “Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà. . .” eccetera eccetera.

“Finalmente questo dannato incubo è finito” mormorò, poi la voce sgradevolmente nota di Evans lo chiamò. Evidentemente lui e Sherlock avrebbero dovuto lasciare una deposizione in commissariato e altre cose inutili e noiose a cui il tritone non prestò particolare attenzione.

No, la cosa che attirò il suo sguardo fu l’espressione di Moriarty  poco prima che entrasse nella volante con le mani ammanettate dietro la schiena. Il criminale gli sorrise per poi sillabare “Ci vediamo” con le labbra e mandargli un bacio. L’espressione di Sherlock rimase impenetrabile come uno scudo di ghiaccio, ma non poté evitare che una mano corresse istintivamente alla fasciatura sulla gola.

Moriarty non era uno stupido, sapeva ( o sospettava) già prima di quella sera cosa lui fosse in realtà, e ora ne aveva avuto la prova. John aveva ragione, la ferita in se non era mortale, ma ad ucciderlo prima della emorragia sarebbe dovuto essere il soffocamento provocato dal sangue che inevitabilmente sarebbe finito nei suoi polmoni. O almeno questo era quello che sarebbe successo se lui avesse usato bocca e naso per respirare e non le branchie accuratamente nascoste sotto quella felpa orripilante.

In ogni caso ormai era un problema che non lo riguardava, non più. Moriarty era stato assicurato alla giustizia, e anche se non fosse stato accusato dei due precedenti omicidi, c’era abbastanza materiale (tentato omicidio, sequestro di persona e tutto il resto) per tenerlo dietro le sbarre per i prossimi dieci anni.

John tornò da lui, esibiva un sorriso leggero mentre si guardava alle spalle. Sherlock seguì i suoi occhi e vide in lontananza la coppia anziana che cercava di tranquillizzare i due bambini, avvolti in un paio di coperte. “Hanno detto che i genitori torneranno presto. A quanto pare non hanno intenzione di sporgere denuncia, sono brave persone, non meritavano di finire nel mirino di Moriarty solo perché abitavano nel posto sbagliato.” disse sedendosi sul pavimento dell’ambulanza.

Alzò gli occhi su di lui, sorridendo quasi con orgoglio “Erano preoccupati per te, ti considerano un eroe. Se non fosse stato per te questa sera sarebbero morti” abbassò il capo, rabbuiandosi leggermente “mi dispiace di aver dubitato di te Sherlock” aggiunse con tono sinceramente contrito.

Sherlock sbuffò una risata “Se vuoi farti perdonare allora portami via di qui, non ho intenzione di assistere ad ulteriore incompetenza da parte degli uomini di Evans.” mormorò tranquillamente, mentre una sensazione di leggerezza gli invadeva il petto.

Da allora fu un delirio senza fine.

La prima cosa che mise alla dura prova la pazienza del tritone fu un’intera, inutilissima notte spesa all’ospedale che John aveva chiesto, insistito e infine ottenuto per monitorare la sua ferita e dargli un paio di punti. Per ripicca uno Sherlock capriccioso come un bambino di quattro anni si era messo a giocare con l’attrezzatura medica e (John se n’era accorto solo troppo tardi) aveva persino rubato un bisturi perché “Non si sa mai John!”.

Appena erano spuntate le prime luci dell’alba il dottore aveva guidato distrutto fino alla grotta. Per fortuna quando il tritone era stato malato, subito dopo il loro incontro, John aveva portato dentro la caverna un vecchio materasso su cui era crollato praticamente subito. Aveva dormito per tutto il giorno, mentre il moro, dopo un paio di ore di sonno, aveva diviso la sua veglia tra fare esperimenti, leggere e soprattutto osservare il biondo che dormiva.

Il dottore si era svegliato solo alle sei e mezza, per nulla preoccupato di aver saltato un turno al Barts, era certo che la voce delle loro prodezze fosse giunta fino all’obitorio, e che nessuno si sarebbe arrabbiato se si fosse preso un giorno di riposo.

E non si sbagliava: verso le sette e un quarto, secondo l’orologio mentale del tritone, John ricevette una chiamata da Mike che lo invitò a bere una birra insieme quella sera e, stranamente, chiese di venire anche a Sherlock. Dopo il canonico pezzo da fare in auto, dove il passeggero passò tutto il tempo a lamentarsi e a implorare il medico di fare marcia indietro e fingere un incidente facendo precipitare il furgoncino giù dalla scogliera, arrivarono finalmente al pub.

Il locale parve immediatamente ad entrambi fin troppo tranquillo, le luci erano soffuse e dentro non vi era traccia di clienti. Questo almeno finché non entrarono, in quel momento un fragoroso “SORPRESA!” disintegrò i timpani di tutti e due.

A quanto pare qualche idiota (molto probabilmente Bobby) aveva avuto la brillante idea di celebrare il caso risolto dai due con una festa a sorpresa. Prima che a qualcuno dei due venisse in mente un modo su come evitare quel supplizio furono trascinati dentro.

John fu immediatamente rapito da Mary, con immensa irritazione di Sherlock, che voleva sapere nel dettaglio come erano andate le cose. Sembrava che le persone adorassero i racconti di John sui casi che risolvevano insieme, qualcuno un po’ di tempo prima gli aveva addirittura suggerito di scrivere un blog. Il tritone però era stato chiaro in proposito , avevano già un pazzo scatenato che cercava di ucciderli, non avevano bisogno di attirare l’attenzione di altri.

Per la prima mezz’ora il moro passò in rassegna ogni possibile tentativo di fuga o di diversivo che gli permettesse di tornarsene nella sua grotta, ma ogni piano prevedeva la presenza di John, che ora era chissà dove con Mary. A quel pensiero a Sherlock si contrasse la mascella, e questo non fece che renderlo ancora meno socievole per tutta la serata.

Provò a dare rispostacce a tutte le domande insulse che i presenti gli rivolgevano, in modo tale che lo lasciassero in pace ma a quanto pare era una specie di eroe, così non riuscì a staccarsi quella fastidiosa marmaglia di dosso per tutta la sera.

Le cose migliorarono leggermente solo quando qualcuno gli offrì della birra. Inizialmente il tritone fu piuttosto riluttante a provarla: aveva fatto delle ricerche su internet sui metodi ricreativi umani e aveva scoperto che ingerire discrete quantità di alcol al fine di annebbiare i sensi era tra questi, e lui preferiva che il suo cervello fosse sempre perfettamente funzionante al cento per cento. Poi però, dopo aver visto di sfuggita John e Mary avvinghiati in un angolino, si decise.

Un paio di bicchieri più tardi si ritrovò completamente ubriaco e il dottore fu costretto a riportarlo a casa, anche perché aveva iniziato a blaterare cose senza senso sull’oceano e su un’incredibile somiglianza tra l’ispettore Evans e una triglia.

Dopo il tratto di strada, caratterizzato dalla guida ondeggiante di John, che aveva alzato leggermente il gomito, erano alla fine tornati a casa.

Per qualche strano motivo, che Sherlock era quasi certo fosse da collegarsi ai distillati di CH3CH2OH arricchiti di aromi che avevano ingerito entrambi, il medico non riuscì a far passare la carrozzina attraverso la spaccatura nella roccia. Dopo un altro paio di tentativi decisero che il moro poteva tranquillamente essere portato dentro la caverna in braccio.

Così, come durante il loro primi incontro, John lo aveva sollevato tra le braccia, e, un po’ barcollante, lo aveva portato dentro la caverna.

Secondo il piano originare avrebbe dovuto depositarlo nella sua pozza preferita, quella più vicina all’entrata, ma dopo che il dottore fu inciampato nei suoi stessi piedi finirono entrambi lunghi distesi nell’acqua bassa. Rimasero lì distesi a lungo a ridere, bhè in realtà John a tossire e ridere dato che era quasi annegato.

Sherlock fu il primo a rendersi conto della posizione in cui si trovavano e si ritrasse, continuando tuttavia a ridacchiare come un adolescente.

Avevano deciso entrambi che sarebbe stato più sicuro se il medico avesse passato li la notte, così si erano ritrovati a far passare il tempo chiacchierando delle cose più stupide e giocando a indovina chi sono?.

Dopo un paio d’ore passate nell’acqua tiepida, e complici i fumi dell’alcol che ancora li circondavano, avevano iniziato a scambiarsi reciprocamente confessioni e aneddoti sulla loro vita. John aveva appena smesso di ridacchiare dell’episodio che Sherlock gli aveva raccontato, quello in cui Mycroft si era incastrato in una spelonca per colpa del suo girovita abbondante.

Si sistemò meglio contro la roccia contro cui era appoggiato, per evitare il disagio dei vestiti bagnati si era tolto il suo assurdo maglione e la camicia, rimanendo con sommo imbarazzo del moro a petto nudo.

“Sai” disse dopo un momento di pausa “ io. . . credo di non essere innamorato di Mary” mormorò piano, in modo a malapena percepibile. Tuttavia il tritone lo sentì benissimo, infatti sgranò gli occhi e volse la testa di scatto, colpito dalle implicazioni di quella rivelazione.

Aprì la bocca per parlare ma non ne uscì alcun suono, si schiarì la voce, cercando di calmare il battito cardiaco che sentiva fortissimo contro le costole, “Cosa. . .cosa intendi?”

John si sfregò la nuca visibilmente imbarazzato “Si, insomma. Quando ci siamo conosciuti penasavo davvero che lei mi piacesse, ma. . . non lo so. Dio come devo sembrarti ipocrita! Passo il tempo a rimproverarti per i modi in cui tratti le persone e io. . . io sto con una ragazza per cui non provo nulla. Oddio non proprio nulla nulla. Mary è una ragazza adorabile è gentile e sensibile . . . però. . .però non credo che sia la donna giusta per me” mormorò infine con aria afflitta.

“E sai qual è la cosa peggiore? La cosa peggiore è che non mi sento neanche in colpa, cioè non molto. Non lo so, non capisco ogni volta che provo a far chiarezza su quello che provo sento che i miei sentimenti non si sono esauriti. È come se. . . come se fossi innamorato di qualcun altro. Ma non capisco di chi, assurdo non trovi?”. A quelle parole Sherlock prese a fissare con insistenza il soffitto della caverna “totalmente illogico.” confermò sperando che la sua voce non tremasse.

“Tu sei stato mai innamorato?” chiese John, aspettandosi già una rispostaccia sull’inutilità dei sentimenti. Contro ogni aspettativa invece il moro abbassò ulteriormente il tono di voce e sussurrò “Una volta sola”.

Il medico si volse di scatto con un sorriso incredulo “Davvero? E lei com’era? Carina? Come minimo deve essere stata un genio! Oddio non riesco davvero a immaginarmi qualcuno di così speciale da attirare la tua attenzione” rise guardandolo.

Gli zigomi affilati di Sherlock si imporporarono dall’imbarazzo, con voce roca sussurrò “Non. . .era una lei”. Il dottore ebbe un attimo di smarrimento poi comprese “Oh, capisco, bhè nessun problema, effettivamente avrei dovuto aspettarmelo, e voi quindi . . . Ehm siete, siete stati insieme?” “Più o meno, ma non nel senso un cui intendi tu. Eravamo. . .eravamo amici” borbottò con un filo di voce.

“Oh, mi dispiace. Lui . . . lui non era di quella sponda?” “Cosa? No no, in realtà non lo so. Il fatto è che io, non gli ho mai detto quello che . . .quello che provavo” “ah, mi dispiace” “L’hai già detto” “Mi disp. . . scusa”.

Calò un silenzio imbarazzante, in cui Sherlock fece di tutto per evitare di guardare la porzione di caverna occupata da John. Dopo qualche minuto la voce del dottore risuonò nella grotta “Senti, non voglio fare la rubrica dei cuori solitari però, secondo me, dovresti almeno provarci. Insomma secondo me avresti qualche possibilità. Sei fantastico, intelligente e se non si cede alla tentazione di strangolarti dopo cinque minuti dopo averti conosciuto, bhè, direi che potresti avere una possibilità” disse battendogli una mano sulla spalla.

Sherlock abbassò il capo, il volto nascosto dai lunghi capelli corvini “Lo pensi davvero?” sussurrò.

“Certamente, devi solo provarci, buttati e vedrai che. . .” John non completò la frase.

Non poté completarla.

Perché le labbra carnose di Sherlock avevano intrappolato la sua bocca in un bacio.

Un bacio umido, goffo e impacciato, ma che mozzò il respiro ad entrambi. Il moro sfiorò appena il volto del dottore con la punta delle dita, rendendosi consto solo in quel momento di star tremando incontrollabilmente. Quando si rese conto di cosa stava facendo si separò di scatto, allontanandosi fino a toccare con la schiena il bordo opposto della vasca.

John lo fissava con gli occhi sbarrati, incapace di formulare anche solo un pensiero. Sotto quello sguardo Sherlock abbassò il capo, vergognandosi di quello che aveva fatto. Aveva rovinato ogni cosa, perché l’aveva fatto? Perché aveva permesso che i sentimenti annebbiassero il suo giudizio?

Mycroft aveva ragione, i sentimenti non erano un vantaggio.

“Sherlock. . .” sussurrò John con voce roca, ma non riuscì ad aggiungere altro. Il tritone sapeva il perché, John lo aveva ripetuto molte volte quando la gente aveva insinuato scherzosamente che il loro rapporto fosse più profondo di quello di partners nella lotta contro il crimine: Lui non era gay.

“John, per favore. . .va via” mormorò Sherlock senza guardarlo.

Per qualche secondo sembrò che il dottore volesse dire qualcosa, ma si limitò ad alzarsi e ad indossare il maglione e la camicia fradici lentamente. Uscì dalla caverna senza voltarsi indietro, senza aprire bocca e senza guardare il tritone.

Sherlock si rannicchiò contro la pietra, avvolgendo intorno a sé la lunga coda azzurra.

Era finita, e questa volta per sempre.
 
 
 
Saaalveeeeee.

Modalità *Mi faccio il bagno nei vostri feels* attivata.

Lo so ci ho messo un sacco, ma mi sono buttata a pesce (haha, pesce, capita? pesce! Perché Sherlock è. . . ok scusate) nella mia latente passione cinefila, in pratica mi sto vedendo tutti i 500 film più belli di sempre stilati nella lista dell’empire state building (tranquille me ne restano solo 445 circa) detto questo vi lascio alle note, e alle foto allegate sperando che me le carichi.
 
Sono andata a cercare su internet immagini di foche redhead (volevo allegarne una per dare un’idea di come mi immaginavo la versione marina di redbeard) non sperando in granché, e invece ho trovato questo cucciolo di foca albino dal manto effettivamente fulvo di  qualche tempo fa pare che sia stato abbandonato dal resto del branco. L’ho scelto anche per il colore degli occhi che sono azzurrissimi, proprio come quelli di Sherlock.


E visto che sono in vena di immagini di animaletti più o meno pucciosi beccatevi questa (in relazione a quello che ho in programma per questa storia)



Bye bye.
   
 
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