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Autore: lightwood4life    17/07/2016    3 recensioni
“Sapete che vuol dire fissare un telefono per ore in attesa che suoni?”
Si, Alexander Gideon Lightwood lo sapeva bene da un po’ oramai. Da quando aveva rotto con lo stregone, passava le giornate e le notti insonni a fissare il dispositivo del suo telefono nella speranza di un messaggio o di una telefonata dall’amante che non riusciva a dimenticare. Ma doveva accettare la cruda realtà: Magnus non lo avrebbe più richiamato. In fondo, era stato chiaro quella notte, nel tunnel, ‘non voglio più rivederti, Alec’ aveva detto.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia parabatai  
 
Broken
 
 
“Sapete che vuol dire fissare un telefono per ore in attesa che suoni?”
Si, Alexander Gideon Lightwood lo sapeva bene da un po’ oramai. Da quando aveva rotto con lo stregone, passava le giornate e le notti insonni a fissare il dispositivo del suo telefono nella speranza di un messaggio o di una telefonata dall’amante che non riusciva a dimenticare. Ma doveva accettare la cruda realtà: Magnus non lo avrebbe più richiamato. In fondo, era stato chiaro quella notte, nel tunnel, ‘non voglio più rivederti, Alec’ aveva detto.
Lo Shadowhunter ricordava ancora tutta la nottata, come se ogni particolare, ogni parola e ogni respiro fossero stati impressi a fuoco nella sua mente.
 
 
Dopo che lo stregone gli aveva voltato le spalle, Alec era caduto in ginocchio, la presa sulla stregaluce aveva ceduto, così il ragazzo se ne stava con la testa bassa, il viso sofferente rivolto verso il pavimento sporco della metropolitana. L’unica fonte di luce era la Luna, la quale proiettava ombre scure sul viso del Nephilim che rendevano i suoi zigomi ancora più spigolosi e gli occhi lo facevano sembrare incavati; ma da essi non cadde neanche una lacrima.
Per una volta non gli interessava se le persone lo vedessero vulnerabile o privo di facciate. Se ne stava semplicemente inginocchiato sull’asfalto freddo e duro, le spalle ricurve e tremanti, le mani strette sulle ginocchia, le unghie conficcate nella carne in una morsa prepotente.
Non pianse, tanta era la frustrazione, ma il dolore della perdita era visibile nei suoi occhi in tempesta, la sua espressione era facile da leggere tento quanto un libro aperto.
La perdita però in questo caso era diversa; se Magnus fosse stato morto, lo avrebbe potuto piangere, mentre ora l’unica cosa che poteva fare era continuare ad amare una persona che non avrebbe più ricambiato. E, alla fine, tutti lo sanno che, gli esseri umani amano ancora di più le cose irraggiungibili e proibite.
 
Dopo aver constatato che Camille era stata uccisa dalla bambina di nome Maureen, che conosceva Simon, la rabbia aveva lasciato spazio alla delusione e alla stanchezza.
Delusione per non aver potuto riscuotere alcuna vendetta nell’uccisione della vampira centenaria e stanchezza, per tutto quello che aveva dovuto sopportare quel giorno. Ricordava benissimo le emozioni che aveva provato nel momento in cui aveva creduto che Magnus fosse morto.
Ora gli toccava affrontare una prova altrettanto ardua: come ordinatogli dallo stregone, doveva andare al Loft e raccogliere tutte le sue cose per poi non metterci più piede. Quello lo aveva specificato con la parte “lascia le chiavi sul tavolo”.
Sentì una morsa allo stomaco e un freddo spiacevole all’interno della gabbia toracica, vicino al cuore. Era un po’ come essere sbattuti fuor da casa propria.
Attraversò la distanza tra la metropolitana e casa di Magnus, con la faccia di uno che sta attraversando il sentiero che lo condurrà al patibolo.
Aprì il portone che faceva entrare nel palazzo con una spinta, mentre si soffermò sulle scale per salire ai piani superiori. Chiuse gli occhi e per un attimo si ritrovò un flashback del loro primo bacio al loro primo appuntamento, ricordò come aveva stretto il braccio all’amante per poi tuffarsi sulla sua bocca. Poi l’immagine mutò e i suoi ricordi si focalizzarono sul loro ultimo bacio, che di dolce e inesperto non aveva nulla, ma era solo carico di tristezza.
Strinse gli occhi e si portò una mano al cuore, come se quel gesto potesse dargli la forza di andare avanti. Sempre ad occhi chiusi prese un bel respiro, per poi continuare il suo cammino.
Arrivato davanti alla porta del Loft, prese dalla tasca il mazzetto di chiavi, con mani tremanti, e cercò di aprire la porta. Le sue mani erano sottili e con lunghe dita (molti gli avevano detto che sarebbero state mani perfette per un pianista, ma lui vedeva solo due mani per uccidere e storpiate dalle cicatrici e dai combattimenti). Ora stavano tremando come foglie alla dolce brezza primaverile, tanto che le chiavi gli scivolarono di mano e caddero per terra, con un suono orribile che spezzò il silenzio della notte.
Acciaio contro marmo. Le raccolse e riuscì ad aprire ed entrare all’interno. Quel luogo gli trasmetteva una familiarità incredibile, con il suo calore e il suo odore di sandalo e fiori di garofano, tipici di Magnus.
Una presenza leggera si fece strada lungo la stanza per andare a strofinare il musetto sulla sua caviglia.
Presidente Miao. Si abbassò per accarezzarlo, ma anche quel gesto gli faceva male; probabilmente sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbe potuto fare.
Gli mancava il respiro. Si appoggiò alla parete in cerca di un sostegno solido a cui fare affidamento. Aveva paura.
Con passo incerto si addentrò nella camera matrimoniale, che ormai era diventata anche la sua. Si fermò ad osservare ogni minimo particolare per un ultima volta: l’armadio che lo stregone aveva liberato un poco per permettergli di portare i suoi vestiti; vestiti che era venuto a riprendere.
Il tavolino carico di fogli e libri antichi che Magnus aveva utilizzato per ritrovare Jace. E poi c’era il letto. Quel letto e quelle coperte sotto le quali avevano fatto innumerevoli volte l’amore.
Se solo avesse potuto, sarebbe tornato indietro nel tempo, ai loro primi appuntamenti. Ma non si può cancellare il passato.
Mise tutti i suoi vestiti e i suoi oggetti personali in un borsone, che si caricò sulle spalle e, prima di uscire diede un ultima occhiata alla casa; posò le chiavi sul tavolino. Non sarebbe più tornato.
 
Il viaggio dal Loft dello stregone all’Istituto fu il più lungo e triste della sua vita. Inoltre faceva freddo, aveva le mani congelate e il naso rosso, se avesse pianto non si sarebbe notato.
Per entrare all’Istituto si dovette tagliare il palmo della mano, se avesse bussato qualcuno lo avrebbe visto e gli avrebbe fatto domande, e lui non aveva voglia di parlare con nessuno.
Era tardi oramai, sicuro stavano dormendo. Prese l’ascensore, che maledì mentalmente per il rumore, e poi abbassò la maniglia per entrare in camera, ma venne invaso dal solito freddo al petto che aveva provato prima. Quella che era stata la sua stanza per ben diciotto anni, adesso non riusciva a riconoscerla come tale.
Posò il borsone per terra, non aveva voglia di mettere a posto, e si buttò sul letto senza neanche svestirsi; gli mancavano le forze. Il suo letto singolo e uguale a tutti gli altri nell’edificio gli fece sentire già la mancanza di quello dello stregone. Gli faceva sentire la mancanza dello stregone. Dormire da soli sembrava innaturale ormai. Ma avrebbe dovuto farci l’abitudine.
Quella notte fu un inferno, per quello che riuscì a dormire. Sognò Magnus che lo lasciava e ogni volta che si svegliava era sudato e ansante. Nel cuore della notte urlò svegliandosi di soprassalto, così accorse sua sorella in camicia da notte; Jace era in Infermeria, da dopo la battaglia al Burren, e probabilmente era sotto anestesia.
Quando Isabelle Lightwood lo trovò, era tutto un groviglio di coperte e aveva i capelli della nuca e della fronte attaccati alla pelle per il sudore. Il petto si alzava e abbassava irregolarmente, e aveva il respiro pesante.
Lo consolò. Ma non sapeva che l’incubo che aveva fatto suo fratello, lui lo stava anche vivendo.
Il ragazzo finalmente si concesse di abbandonarsi ad un pianto liberatorio. Tra i singhiozzi riuscì a raccontare quello che era successo alla sorella, ma dirlo ad alta voce faceva ancora più male.
 
 
Alec si svegliò di soprassalto. Erano passate settimane oramai da quella notte, ma continuava a fare incubi.
 
 
 

Ehi lettori e lettrici di questo mio momento depressivo, vi è piaciuta la fanfiction? So che è passato un po’ da quando è uscito il libro in cui si sono lasciati, ma l’altro giorno mi è venuta questa idea e quindi ho buttato giù questa one-shot.
Spero vi sia piaciuta, mi farebbe davvero molto piacere se lasciaste una recensione o metteste tra i preferiti ecc. ecc.
Ci vediamo al prossimo sclero.
Bye bye.
SCRITTRICE NASCOSTA ;)
 
 
 
   
 
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