Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Taochi    18/07/2016    0 recensioni
Una notte un bambino fu salvato da quello che noi chiameremo Male, e nella stessa un altro bambino fu strappato alla sua famiglia per buttarsi direttamente tra le braccia dell'inferno. Due anime intrecciate si separarono brutalmente ma il destino giocherà tutte le sue carte per farle rincontrare.
Questa storia parla di come l'odio può trasformarsi in amore, e di come il male non viene sempre per nuocere.
Il tutto sullo sfondo di una guerra tra le potenze del Bene e del Male.. che non sono assolutamente come ci hanno insegnato. Non troverete angeli e demoni, nè Dio e Satana. Troverete la verità.
Se vi ho incuriositi correte a leggere il primo capitolo anche se per mancanza dell'html (?) il testo risulterà schiacciato, dal secondo capitolo il problema si risolve. Questa è la prima storia che scrivo e che pubblico, spero siate clementi. ^-^
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cap. 1– Prepararsi

 
L’unica cosa che avvertivo era il freddo sulla mia guancia, aprii piano un occhio, misi a fuoco molto lentamente una scarpa di pelle nera.
 Aprii anche l’altro e un paio di scarpe erano a pochi centimetri dalla mia faccia. La testa mi girava da morire e la gola mi andava a fuoco.
Alzai lo sguardo e osservai la faccia infuriata di mio padre che mi guardava con le braccia incrociate sul petto, vedevo chiaramente le scintille che spruzzavano i suoi occhi su di me.
 Cercai di mettermi seduto appoggiando la schiena ai piedi del letto.
Papà aveva scoperto da mamma, che non sa tenere la bocca chiusa neanche per suo figlio, che la sera prima mi ero ubriacato con gli amici, per questo mi aveva buttato giù dal letto e ora mi guardava come il leone guarda la sua gazzella.
 Provai a fargli un sorriso da angioletto innocente, sapevo che non avrebbe funzionato, infatti in tutta risposta mio padre mi tirò uno scappellotto sulla testa.
– Quante volte ancora ti devo dire di non ubriacarti!? Va bene divertirsi, va bene bere, ma perché devi sempre tornare a casa sulle spalle di Davide mentre fai una dichiarazione d’amore a chi sa chi!? – 
 – Questa volta sono tornato con le mie braccia… –.
 – Già, con Davide che ti teneva le gambe perché anche lui stavolta era ubriaco fradicio – sospirò, poi ringhiò – Vatti a preparare che sono le 7:45, oggi è il primo giorno! –.
 Sbarrai gli occhi, 7:45, non avevo speranze di arrivare in tempo. Mi alzai di scatto ma non feci che peggiorare le cose, incrociai le gambe e andai a sbattere sullo stipite della porta. La testa pulsava da morire e l’alcol ancora mi bruciava nello stomaco. Arrivai sano e salvo al bagno e mi sciacquai la faccia con l’acqua gelida.
 Mi specchiai, i miei occhi gonfi dal sonno erano contornati da occhiaie orribili, i capelli neri erano un inferno, mi vedevo più magro del solito. Mi fissai nei miei occhi verde bottiglia chiedendomi le stesse domande che si pongono gli adolescenti quando si guardano allo specchio. Chi sono? Perché sono nato? Quando morirà la prof. di matematica? Cose del genere.
 Uscii dal bagno precipitandomi nuovamente in camera per vestirmi. Cercai inutilmente di dare un verso ai miei capelli, impresa impossibile.
 Mi misi le scarpe ma non le allacciai, scesi le scale due a due e arrivai in cucina dove mamma preparava la colazione, che io non avrei consumato.
 La salutai con un bacio, afferrai un pezzo di pane con la marmellata che papà stava preparando per sé, beccandomi una nuova fulminata, arrivai all’ingresso e mi allacciai le scarpe. Uscii e feci pochi metri, poi tornai sui miei passi e suonai il campanello al lato della porta.
 Mamma mi sorrise dolcemente porgendomi lo zaino, ringraziai e corsi via.
Hai proprio una memoria di ferro, Mirko.
 Arrivai al mio motorino mezzo scassato, misi in moto e partii in quarta.
Arrivai per le otto e dieci.
 Erano già tutti entrati da un pezzo, salii le scale di corsa, perché come se non bastasse la mia aula era in fondo al corridoio del terzo piano. Entrai finalmente in classe, solo per ritrovarmi gli occhi di un corvo che luccicavano di crudeltà puntati addosso, la prof. di matematica.
 – Mirko, primo giorno di scuola e già arrivi in ritardo… mi immagino già i prossimi –
Sospirai, non mi andava di strappargli tutte le penne dall’inizio.
  Mi sedetti sulla sedia affianco a Davide che mi aveva tenuto il posto, e che ora sorrideva divertito. Gli sorrisi anch’io scuotendo la testa. Strega.
 Nonostante il brutto rincontro con i miei professori del terzo, la mattinata trascorse tranquilla e passò velocemente. Uscimmo molto chiassosamente dall’aula per andare in mensa, era ora di pranzo. Una ragazza passò e mi sorrise, io ricambiai. Era bella, alta, bionda, occhi azzurri. Niente. Mi sarebbe dovuta piacere, ma no, io sono strano e me lo dicono in tanti. Ho un sacco di ragazze che mi girano intorno ma nessuna fa per me. Non mi sono mai innamorato di nessuno, non sono mai stato con nessuno e non ho mai baciato nessuno intenzionalmente. Ma naturalmente nessuno lo sà, solo il mio migliore amico Davide.
 Arrivammo in mensa e ci sedemmo al tavolo dei “vip”. Così ci chiamano gli sfigati per schernirci, solo perché siamo ricchi, belli, intelligenti e alla moda.
Siamo freddi con tutti per questo sembriamo anche irraggiungibili, ma la verità è che se qualcun altro facesse il primo passo, noi lo accoglieremmo senza respingerlo.
 Arrivarono gli altri e insieme iniziammo a mangiare. Il mio gruppo era composto da tre ragazze: Silvia, Alessandra e Giovanna, e quattro ragazzi: io, Davide, Eric e Mino. Eravamo un bellissimo gruppo e ci siamo presi subito alla perfezione fin dal primo anno.
 Era una bella giornata, c’era il sole e decidemmo che dopo la scuola ci saremmo fatti una passeggiata.
 La campanella suonò di nuovo.
 – L’hai vista la ragazza bionda di prima!? – chiese Davide.
 Annuii.
 – E… – disse lasciando intendere.   
 – E io non ho provato niente Davide lo sai… – sospirai scocciato.
 – Ero sicuro che con quel pezzo di ragazza un pensierino ce l’avresti fatto! – sbarrai gli occhi e gli tirai un pugno sul braccio.
 – Davide, accidenti ma non hai altro per la testa!? – Davide scoppiò a ridere scompigliandomi i capelli.
Non ho mai fatto pensieri sconci e per questo venivo spesso preso in giro da Davide che mi chiamava “checca”. Il bello è che non ho mai provato niente neanche per i ragazzi. E se fossi asessuale? Mi ritrovai a pensare, poi rientrai in classe per un’ora di chimica.
Per tutta la lezione giocai a “Mine Craft”, tanto mi riusciva facile la chimica e poi stava soltanto spiegando il programma che avremmo affrontato nell’anno scolastico.
 Il povero Luke sbadigliò rumorosamente, non gli è mai piaciuta chimica per questo si addormentava ad ogni lezione, beccandosi una nota già il primo giorno di scuola.
 Ormai la scuola mi annoiava, non c’ara nulla di nuovo, o almeno così pensavo.
 Finì anche l'ora successiva e tornai a casa, ero stufo di tutto. Mi appoggiai allo stipite della porta cercando le chiavi nello zaino. Passò la signora Cinzia del piano inferiore.
– Ciao piccolo mio, come è andato il primo giorno? –.
 Era una signora sulla settantina, capelli biondo platino tinti e occhi azzurro cielo, aveva uno stile giovanile e si teneva sempre alla moda, anche se portava un trucco quasi acqua e sapone era ancora una bella donna. Era come una seconda nonna per me ed era l’unica persona a cui concedevo di chiamarmi “piccolo” o “cucciolo”. Le sorrisi gentile.
– Tutto bene Cinzia, una giornata di scuola noiosa come quelle che verranno – lei allargò il suo sorriso e mi accarezzò i capelli.
– Impegnati cucciolo… – mi guardò come se avesse qualcos’altro da dire ma si fermò e se ne andò scuotendo la testa.
 Trovai le chiavi e aprii la porta, mamma e papà non c’erano, come al solito.
A volte mi dispiaceva essere figlio unico, non avevo compagnia per la maggior parte del giorno, ma ormai ci ero abituato, anzi credevo che la solitudine fosse un’ottima amica per riflettere. Accesi il telefono e con il dito che scorreva rapido sullo schermo cercai una playlist adatta. Ne scelsi una, poi mi diressi in bagno per una doccia. Uscii dalla vasca e con un asciugamano avvolto in vita mi soffermai a guardarmi allo specchio, ero magro, troppo magro. Mi asciugai i capelli e mi vestii, poi andai in cucina a cercare qualcosa da mangiare. Optai per i resti della cena precedente: un po’ di patatine fritte e un coscio di pollo.
 Qualcuno suonò il campanello, mi girai di scatto sorpreso, era impossibile che mamma fosse già tornata, erano solo le quattro e lei rincasava alle sette.
Mi diressi verso la porta un po’ timoroso, guardai nell’occhiello ma non vidi nessuno. Non mi fidavo ad aprire la porta perciò lasciai perdere e tornai alla mia “merenda”.
 Passò qualche minuto e qualcuno bussò. Il cuore prese a martellarmi in petto, e ora chi era? Andai nella mia camera e presi la mia mazza da baseball, tornai in sala e mi avvicinai cautamente alla porta. Riguardai nell’occhiello, ancora nessuno, feci un bel respiro misi la catenella alla porta e la socchiusi. Per le scale si vedeva un ombra confusa, tremolava. Tolsi la catenella e aprii la porta, l’ombra sulle scale era scomparsa. Mi affacciai ma all’ingresso non c’era nessuno. Scesi di corsa le rampe di scale e spalancai il portone, non un’anima viva, una tegola di ferro scricchiolò sopra la mia testa.
 Lasciai andare il portone e con la mazza puntata avanti a me, guardai cosa c’era sul tetto, la sagoma di un braccio sparì dietro esso.
 Avevo il cuore in gola, mi guardai intorno di nuovo. Nessuno.
Tornai al portone… che era chiuso! Ma dove ce l’ho io la testa!? Imprecai dentro me, invece di accostarlo, lo avevo chiuso.
 Suonai a Cinzia, che aprì subito sentita la mia voce.
Per fortuna quando passai accanto alla sua porta non mi stava aspettando per chiedermi cosa avessi fatto, sospirai e salii ancora le scale. La porta di casa almeno non l’avevo chiusa ma quando abbassai lo sguardo per pulirmi le scarpe, visto che fuori aveva piovuto, notai una busta bianca.
 La presi ed entrai.
Sulla lettera o almeno mi sembrava non c’era scritto né il mittente né il destinatario.
 Era anonima e questo mi spaventava, non avevo mai ricevuto una lettera anonima, a parte quelle di qualche ragazza timida che non sapeva come dirmi “Mi piaci”. A volte sono geloso di altri che hanno una persona importante nella loro vita, io non ho mai provato a farmi una vita sentimentale, credo non mi piacerebbe affatto.
Mi rigirai tra le mani la busta indeciso se aprirla o buttarla nel cestino. Vinse la curiosità così presi un coltello e la aprii.
 C’era un biglietto nero con una scritta bianca.
 
Preparati”
 
Avevo la bocca secca con la gola che supplicava acqua, mi diressi al frigo e bevvi un sorso del succo d’arancia che mia madre adorava. Mi sedetti sul divano e rilessi almeno dieci volte la stessa parola non trovandone una senso.
 Dopo almeno dieci minuti la buttai nel secchio come avrei dovuto fare prima.
Finii di mangiare, poi entraii in camera, mi tolsi le scarpe e mi buttai sul letto, chiusi gli occhi e cercai di raccogliere le idee. Magari un particolare che prima mi era sfuggito sulla persona intravista. Era abile sicuramente a non farsi vedere, si vestiva di nero e gli piaceva fare “scherzi” alle persone.
 No aspetta c’era qualcosa che luccicava sul suo braccio destro, era un orologio. Nero con l’oblò d’argento.
 Li riaprii, andai di sotto e chiamai Mino. Ci organizzammo per le cinque e mezza alla fontana della piazza principale, lui avrebbe avvertito gli altri. Avevo voglia di distrarmi. Lasciai un messaggio a mia madre per avvertirla che non mi avrebbe trovato al ritorno.
Forse la stavo prendendo troppo sul serio, forse era solo un ragazzino a cui piaceva fare scherzi idioti alla gente, un ragazzino abile sui tetti e furtivo come un gatto, dall’orologio al polso constatai che probabilmente era anche ricco e mancino.          
 Mi vestii velocemente e mi misi le scarpe, quando uscii erano le cinque e venti, e ci volevano più o meno cinque minuti in motorino per raggiungere la piazza.
 Mi piaceva arrivare prima degli altri, sono sempre stato puntuale (forse anche troppo). Mi misi a guardare la gente che passava ignara del mio sguardo e mi ritrovai mentalmente confuso quando feci caso che di tutti i passanti io guardavo il loro polso destro.
 Finalmente arrivò Giovanna insieme ad Alessandra, iniziai a parlare con loro di cosa avremmo fatto ma la conversazione si spostò sull’inizio della scuola.
 Così rimasi zitto e buono fino all’arrivo degli altri che fortunatamente non avevano voglia di parlare di scuola. Girammo senza meta per la città e mentre le ragazze si divertivano ad entrare in ogni negozio, noi le aspettavamo fuori fumando. In realtà loro fumavano, a me non piaceva. Dopo poco iniziai a tossire, Davide mi spostò alla sua destra scuotendo la testa e dicendomi – Il vento tira verso te, se rimani lì ti affumicherai – poi rise di gusto.
 Gli sorrisi poi mi voltai verso le ragazze che stavano uscendo, Silvia si avvicinò a Davide e gli prese la sigaretta per poi portarla alla sua bocca. Si vedeva che a Silvia piaceva Davide ma quando prendevo il discorso lui mi ripeteva che non le interessava, e io gli credevo. Davide era un po’ un playboy che ci provava con tutte e quando lo faceva con qualche ragazza se ne andava sempre lasciandola dormire da sola in un letto matrimoniale. La trovavo un po’ una cosa crudele e fastidiosa visto che dopo mi piombava a casa per farsi ospitare la notte. Ogni volta che faceva una stupidaggine veniva sempre da me perché odiava la sua famiglia, lo voleva un ragazzo perfetto che lui evidentemente non era per loro, ma chi lo era?
 Davide riprese velocemente la sigaretta ma invece di finirla la spense sfregandola per terra. Silvia sbuffò e se ne andò da Giovanna.
Il fatto che non gli desse false speranze mi fece sorridere, Silvia era una ragazza timida e giusta, Davide non faceva affatto per lei, lui stesso lo sapeva.
 Decidemmo di andare a prendere un gelato e io lo presi al limone, era l’unico gusto di gelato che mangiavo. Ci sedemmo sulle panchine del piccolo parco vicino e vedendo i bimbi giocare spensierati provai nostalgia della mia infanzia. O almeno quella dai miei otto anni in su, prima una nebbia fittissima oscurava i miei ricordi che iniziano con la stanza troppo bianca di un ospedale dove passai un anno per la riabilitazione, fallita.
 I dottori dissero che subendo un pesante shock ero entrato in uno stato di coma avanzato. Questo causò la perdita dei miei ricordi, di cui i miei purtroppo non parlano mai.
 Eric si fece colare il gelato alla fragola e cioccolato come un bambino e fece ridere tutti mentre divaricava le gambe e sporgeva il busto per non sporcarsi anche addosso, Mino prese un fazzoletto e gli pulì alla meglio la manica sporca di cioccolato. Si sbrigò a mangiare il resto del gelato per evitare altre gaffe.
 Ormai si era fatto tardi e il fatto che le giornate si erano accorciate faceva sì che fosse già buio. Decidemmo di tornare tutti a casa.
 Sempre alla fontana ci separammo, ma mi sentivo inquieto, presi per il braccio Davide e praticamente lo costrinsi ad accompagnarmi a casa.
– Accidenti Mirko, sei grande e grosso puoi tornare a casa da solo – mi disse con un ghigno stampato sulla faccia. Non risposi così continuò.
– La gente poi pensa male – con quella frase finalmente ottenne la mia attenzione, ma non so quanto gli convenne.
– Ma la vuoi piantare! Quante volte devo ancora ripeterlo!? – odiavo quando mi prendeva in giro, allungai il passo ma la sua mano mi fermò afferrandomi per un spalla.
– Mamma mia come sei permaloso, tranquillo, comunque io scherzo, ti sei chiesto se magari sei… non so asessuale? – sospirai e annuii.
Lo avevo pensato proprio quella mattina quando per l’ennesima volta una bella ragazza non mi aveva stimolato alcun effetto.
– Magari hai invece un amore programmato! – aggrottai le sopracciglia.
– Nel senso che magari il tuo cuore appartiene già a qualcuno che non hai ancora incontrato o che semplicemente non ricordi – rispose alla mia domanda non formulata. Ci pensai un po’ su.
– Può darsi – risposi semplicemente.
 Continuammo a camminare uno affianco all’altro ma senza scambiarci parole, tra noi non serviva. Si, lui sarebbe stata una delle persone che mi sarebbe mancata di più, se me ne fossi andato.
 Arrivato a casa mi tolsi le scarpe e salutai i miei mentre richiudevo la porta alle mie spalle. Mamma aveva già preparato la cena e ora mi sorrideva dalla cucina.
– Vi siete divertiti? – annuii debolmente e le diedi un bacio sulla guancia, papà mi guardava ancora male ma sapevo gli sarebbe passata presto.
 Faccio spesso cavolate e lui si infuria ma poi finisce sempre con il perdonarmi.
– Abbiamo preso il gelato che Eric si è fatto cadere addosso – ridemmo entrambi di gusto, sapendo di quanto sbadato a volte poteva essere Eric.
 Notai che anche papà aveva abbozzato un sorriso, mi calmò il cuore. Stranamente anche se eravamo come il cane e il gatto cercavamo sempre l’appoggio l’uno dell’altro e quando questo mancava ritornavamo a bisticciare.
 Mi sedetti vicino a lui e stranamente feci io il primo passo regalandogli un sorriso, il più innocente che mi riuscì. Lui sorpreso e poi felice mi scompigliò i capelli. Mamma mise in tavola, amavo la sua cucina, ci metteva il cuore.
Iniziammo a mangiare e a parlare della giornata.
 Il rumore di un bussare alla porta mi congelò sul posto con ancora la forchetta a metà. Bussarono ancora e mamma si alzò, scattai in piedi senza una ragione precisa, ma dissi a mamma che sarei andato io. Ero tentato dal correre in camera a prendere la mia mazza per sicurezza, ma decisi che non era il caso. Nessuno stalker intelligente si sarebbe presentato all’ora di cena. Guardai comunque nell’occhiello.
 Una donna dai capelli biondi e disordinati era intenta ad asciugarsi quelle che sembravano lacrime. Aprii la porta e la donna strabuzzò gli occhi verso me.
– Sto cercando il Dottor Severi è in casa!? – annuii.
– Si, Francesco è mio padre, entri prego – mi misi da parte per fare entrare la donna che si buttò completamente dentro.
Mio padre si alzò fulmineo dalla sedia e si avvicinò a grandi passi alla donna che era scoppiata nuovamente in lacrime.
– Cosa succede Carmela!? – non ci stavo capendo nulla.
– Mio figlio… sulla strada… è stato attaccato… credo da un animale feroce –. 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Taochi