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Autore: miciaSissi    18/07/2016    7 recensioni
Mio nacque in un bell’allevamento, insieme ai suoi fratelli… si innamorò, cercò di vivere, di sognare e diventare padre. Ma ci sarebbe riuscito?
Ma chi è Mio?
Una favola triste che spero possa far riflettere sul mondo degli animali che ci portiamo a casa.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La storia di Mio


 
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Nacqui in primavera, in un bell’allevamento in mezzo alla campagna.
Appena uscii dal mio uovo mi ritrovai circondato dai miei fratelli che, come me, nuotavano felicemente nell’acqua limpida della grande pozza artificiale.
Il nostro padrone era un uomo buono, ci dava spesso da mangiare e teneva la nostra acqua pulita; era così trasparente che i raggi del Sole filtravano facilmente, illuminando il mio mondo sommerso.
Se non lo avete capito io sono un “pesciolino rosso”, un Carassius auratus. Un buffo nome, vero? Be’, me lo hanno dato gli umani, io non c’entro!
Nuotando e mangiando crebbi rapidamente; divenni di un bel rosso, di un rosso brillante che si riempiva di luci colorate quando andavo in superficie per mangiare e il Sole mi illuminava. Non lo nego: mi piaceva pavoneggiarmi, mostrando alle pescioline la mia bella pelle.
Un giorno il nostro padrone unì a noi dei nuovi arrivati, una cinquantina di nostri simili della nostra età. Con il mio bel colore attirai subito l’attenzione delle altre pescioline, ma io non mi scomponevo; mi lasciavo ammirare, felice, cercando senza farmi accorgere la giovane che avrei scelto come compagna. La incontrai pochi giorni dopo: se ne stava tutta sola sul fondo, e aveva una pinna dolorante. Quando le chiesi cos’era successo lei sgusciò via, non troppo velocemente a causa del male alla pinna. Non la inseguii, perché non volevo darle fastidio, però mi dispiacque molto vederla così abbattuta. Non la vidi per tutto il giorno poi, finalmente, lei ricomparve. Salì dal fondo, sempre lentamente, per andare a mangiare, e poi ridiscese. Io me ne restai lontano, osservandola: eh, sì, era proprio bella! Era l’unica ad avere il corpo bianco e arancio, e le sue pinne erano leggermente più lunghe e più colorate delle altre. “Mi devo buttare!” Pensai, deciso. Le andai di nuovo vicino, e questa volta lei non fuggì. Le chiesi se si sentiva bene, e lei rispose di sì, che il male le era passato e ora stava meglio. Era rimasta impigliata malamente nella rete del nostro padrone mentre la trasportavano da una vasca all’altra, ma ora la pinna era guarita.
Da quel giorno diventammo inseparabili, ed eravamo proprio una bella coppia: nessuno aveva i colori belli come i nostri, e nessuna aveva la grazie di lei nel nuotare. Non avevamo un nome e così, in dimostrazione del nostro reciproco amore, io la chiamavo “Mia” e lei mi chiamava “Mio”. Eh sì, fu proprio un bel periodo, quello. Accanto a Mia mi sentivo felice, e avrei voluto vivere sempre così, in quell’acqua limpida e con lei accanto.
Qualcuno mi aveva detto che presto ci avrebbero portati via, ma io non ci credevo, non volevo crederci, stavo troppo bene lì.
Un giorno litigai persino con uno dei miei fratelli perché aveva importunato Mia, e nessuno osò più avvicinarsi a lei. L’unica cosa che non mi piaceva lì era il cibo: ce ne davano sempre tanto, ma era sempre lo stesso! Mia mi diceva di accontentarmi, e io mangiavo senza ribattere; tutti quello che lei diceva io facevo.
Non passò molto tempo che successe quello che temevo: ci portarono via davvero, e ci caricarono in grosse vasche su un camion. Un nuovo umano era adesso il nostro padrone, e sia io che Mia sperammo che fosse buono come quello precedente. Non sapevo dove ci stessero portando, ma Mia era con me e quello mi bastava, anche se attorno a noi era tutto così buio.
Il giorno dopo il padrone ci separò; ci mise in piccole vaschette di vetro, tanto piccole che io ci stavo appena dentro. Ma quello che fu terribile era che mi aveva separato da Mia! Mi sembrava di impazzire, e mi agitai nella vaschetta rischiando di rompermi la coda. “Mia, Mia, dove sei? “ Pensai, sconvolto. Finalmente la vidi: era là, accanto a me, in un’altra vaschetta. Il vetro mi diede un’immagine ingrandita e contorta di lei, ma almeno sapevo che era ancora qui, anche se non potevamo nuotare insieme. Anche Mia mi guardava, attraverso il vetro: era triste come me, ma rassicurata dalla mia presenza.
Mi accorsi che attorno a me c’erano tantissime piccole vaschette identiche alla mia, che contenevano i miei fratelli. Ma chissà perché ci avevano divisi? E dove eravamo mai? Vidi che attorno al tavolo su cui eravamo disposti c’era un recinto, e tanti umani ridevano e ci guardavano. A un tratto, ricordo, sobbalzai dallo spavento: un’enorme palla bianca cadde su di me, facendo schizzare fuori dalla vaschetta un po’ della poca acqua in cui tentavo di nuotare. Mamma mia, che spavento, la prima volta! Subito dopo il mio padrone tolse la palla, e porse a un giovane umano un sacchetto con dentro uno dei nostri; era proprio quello che aveva molestato Mia, e non mi dispiacque vedere l’umano portarselo via.
La sera, con mia immensa gioia, ci rimisero in una grossa vasca, e finalmente potei incontrare Mia! Lei era spaventata, e io cercai di calmarla. Tutti erano spaventati, e non volevano più entrare in quelle vaschette così piccole.
Ma il giorno dopo fu lo stesso, anzi, fu peggio: Mia non capitò più accanto a me, e io ne soffrii tantissimo. Per fortuna alla sera eravamo di nuovo insieme. Rimpiansi il mio laghetto artificiale in campagna, ma piano piano mi abituai a quella vita; be’, il paesaggio era bello, c’erano tante luci e colori, e umani divertiti. Mi dissero che quello era un “luna park”, un posto dove gli umani andavano a divertirsi… che divertimento c’era nel tirare una palla a un pesciolino rosso e spaventarlo, lo sanno solo gli umani!
Ma quando Mia capitava vicino a me ero così felice che, se ne fossi stato capace, sarei volato dalla mia vaschetta alla sua. Dopo parecchi giorni alcuni di noi erano stati dati via, e ben presto ne arrivarono di nuovi.
La tragedia successo proprio in quel periodo: un giovane umano scelse come premio Mia e se la portò via! Fu terribile: vidi come al rallentatore il mio padrone che la metteva in un sacchetto di plastica mentre lei si dibatteva, e quando incontrai i suoi occhi il mio cuore si spezzò. Perché proprio Mia? Perché?
Osservai immobile il bambino che se ne andava con il sacchetto di plastica tra le mani, e quando mi voltò le spalle non vidi più Mia.
Da quel giorno caddi in una grande depressione: non mangiavo, non nuotavo, non volevo più vivere. I miei bei colori erano diventati opachi, tristi, proprio come me. Alcuni miei fratelli mi dissero di reagire, altrimenti il padrone mi avrebbe buttato via perché stavo diventando magro e brutto.
Riuscii a uscire da quella crisi, ma soltanto pensando che forse sarei capitato d nuovo con Mia. Non avevo idee di dove ci portassero una volta vinti a quello stupido gioco con le palle bianche, ma certamente ci mettevano in qualche vasca con l’acqua, e chissà, forse sarei stato così fortunato da ritrovare Mia.
Ripresi ben presti il mio bel colore, e il padrone mi rimise in prima fila. Dopo pochi giorni me ne andai: un bambino mi portò via, affascinato dalla mia coda che lanciava spruzzi di acqua.
E cominciò così la mia triste, nuova avventura.

 
 
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La casa in cui andai ad abitare era grande e luminosa, per quanto io abbia potuto vedere dalla mia boccia di vetro. Finalmente mi avevano dato un contenitore per la mia acqua più grande, anche se dopo qualche battuta di coda mi trovavo sempre nello stesso posto.
Certo, le cose andavano meglio per i miei “cugini” tropicali e coloratissimi nell’acquario dall’altra parte della sala, ma io non avevo speranze di poter vivere lì… non potevo rivaleggiare coi loro colori sgargianti e le lunghe pinne flessuose, io povero pesce rossiccio d’acqua dolce. E poi loro vivevano nell’acqua salata (che schifo!!), dove io sarei morto. Dal loro acquario mi tirava occhiate di superbia, quegli antipatici pesci di mare: avrei di certo litigato con loro, con quei presuntuosi che credevano di essere i più bei rappresentanti del mondo acquatico!
Ormai avevo perso la speranza di incontrare Mia, non l’avrei più rivista… mi consolavo pensando che anche lei forse era in una bella vasca, magari in un acquario di acqua dolce pieno di pianticelle ondeggianti. Per fortuna non rimasi solo a lungo. Ai miei padroni piacevano i pesci, così fui presto in compagnia di un altro Carasso rosso, anzi, di un’altra. Era giovane e bella, anche se non come Mia, e diventammo subito amici. Decisi di chiamarla “Pinna Lucente” perché era di un rosso pallido che si accentuava sulla coda e sulle pinne pettorali.
La vaschetta era abbastanza grande per tutti e due, e i nostri padroni ci cambiavano l’acqua tutti i giorni e ci davano da mangiare.
Un giorno la casa dei nostri padroni fu invasa da altri umani, forse c’era una festa o qualcos’altro. Non li ho mai capiti, gli umani, e mai li capirò. Però so bene che anche tra di loro fanno fatica a capirsi, noi pesci ce la intendiamo meglio. Comunque, la casa riecheggiava di voci, risate, giochi e bambini. Gli umani che meno sopportavo erano i bambini, forse perché uno di loro aveva portato via Mia, forse perché mettevano sempre le mani nella mia boccia di vetro sporcandola e coprendomi la vista della casa.
Fu uno di loro a causare la tragedia.
Prese la nostra vaschetta e la depose su un tavolo, vicino allo spigolo. Pinna Lucente aveva da poco deposto le uova, io le avevo fecondate e presto sarebbero nati i nostri figli. Pinna Lucente si spaventò, temeva che la vasca potesse cadere e se ne stava sul fondo, accanto a me. Io cercai di rassicurarla, e proprio mentre lo facevo una mano colpì la vasca, e io e Pinna Lucente cademmo nel vuoto con i nostri figli e con l’acqua che ci dava la vita.
La nostra casa andò in mille pezzi, urtando un prezioso, stupido soprammobile di cristallo sul tavolino di sotto, e rovinando poi sul pavimento. Io fui gettato lontano, mentre sentivo le urla degli umani attorno a me… boccheggiando, sentendomi soffocare dal contatto con l’aria che mi entrava nella bocca e nelle branchie, cercai Pinna Lucente con lo sguardo. E lì rimasi impietrito, se avessi avuto la voce per farlo avrei urlato così forte da far spaventare tutti gli umani che ci stavano attorno: Pinna Lucente giaceva trafitta da un vetro, gli occhi rivoltati e la bocca chiusa. Non dimenticai mai il suo corpo sanguinante, le belle pinne straziate dai vetri, e le nostre uova sparse tutt’attorno e schiacciate dai piedi umani.
Fui l’unico sopravvissuto alla strage. Pinna Lucente e i miei figli erano morti, i miei piccoli erano morti ancor prima di nascere. Rimasi ferito alla coda, ma dentro di me ero come morto.
Gli umani ripulirono tutto in fretta, gettarono Pinna Lucente e i nostri figli nella spazzatura insieme ai pezzi di vetro, più preoccupati del soprammobile rovinato che della morte di lei e dei piccoli. Fui posto in un contenitore piccolissimo, quello che loro usano per bere; non potevo quasi muovermi, la coda mi faceva male e lo spazio era così piccolo che la mia faccia sbatteva contro il vetro quando mi giravo.
Per due giorni nessuno mi cambiò l’acqua e mi diede da mangiare. Sapevo il perché: era per il soprammobile. Loro non capivano il mio dolore, loro avevo perso uno stupido oggetto, io la mia famiglia. Non posso negare che in quei giorni desiderai morire, il mio dolore era troppo forte. Avrei voluto gridare, ma loro non potevano sentirmi, loro non capivano i pesci. Capivano solo quello che volevano, mentre io avevo scoperto che a loro interessava di più il contenitore in cui stavo che la mia stessa vita. Finalmente mi misero in una vasca nuova, ma ormai io non volevo più vivere… la mia coda aveva le fragile ossa rotte, mi faceva molto male e non mi permetteva di nuotare bene.
Così me ne stavo sempre sul fondo, triste e avvilito, a pensare a Mia e a Pinna Lucente. Mangiavo poco e la mia pelle era diventata opaca e scolorita. La vasca fu così posta su un mobile più alto, chi avrebbe più guardato un pesce diventato così brutto? Ormai io non ero altro che un soprammobile rotto, che avrebbe stonato con i colori sbiaditi e la coda rotta, tra i gingilli preziosi dell’elegante libreria bianca.
Dopo una settimana non mi diedero più da mangiare le mie scagliette di alghe e gamberetti liofilizzati che mi piacevano tanto; misero nell’acqua delle palline bianche, molli, che si disfacevano nella vasca. Provai a mangiarle, ma mi gonfiavano la pancia e mi facevano star male. Così non mangia più. Me ne stavo sul fondo, affamato e con la coda rotta, sapevo che ormai sarei morto di solitudine e di dolore. Non mi avrebbero più dato una compagna, non mi avrebbero più messo sulla bella libreria illuminata, e qui c’era buio; non avrei più mangiato quello che mi piaceva, e non avrei mai più nuotato bene con la coda ferita. Cosa ne era della mia vita? Non servivo più a niente, era solo un pesce brutto da non far vedere, e potevo anche morire. A loro non sarebbe dispiaciuto, lo so, almeno mi avrebbero cambiato con un pesce più bello e vivace.
L’agonia arrivò presto, ma per fortuna finì quasi subito; ricordo bene le loro parole prima di morire, quando galleggiavo sull’acqua ormai incapace di nuotare.
- Mamma, il pesce rosso è morto! Mamma, corri! –
- E’ morto? Be’, si vedeva che stava per finire così… tanto era diventato così brutto, e non mangiava neanche il pane –
- Oh, poverino! Magari era malato, mamma –
- Può darsi, i pesci rossi si ammalano subito. Su, su, non fare quella faccia triste: domenica andiamo al luna park e ne vinciamo un altro più bello! –

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Ora non nuoto più nell’acqua, ma in un limbo di luce, accanto a Mia, a Pinna Lucente e ai miei figli morti prima di nascere. Sono felice in questo mondo, come quando lo ero nella mia vasca in campagna insieme a Mia, come quando io e Pinna Lucente aspettavamo la nascita dei nostri figli.
Non odio più gli umani.
So che non sono tutti così, altri sono buoni, anche se non credono che gli animali abbiano un’anima. Comunque non voglio condannarli. Forse non riescono a comprenderci, non è colpa loro, visto che litigano e non si capiscono neanche tra di loro.
Però vorrei tanto che conoscessero la differenza che passa tra un soprammobile di cristallo e un piccolo Carasso rosso… nessun oggetto, pur bello e costoso che sia, potrà mai essere felice o soffrire come ho sofferto io, né aspettare di vedere i propri figli attorno a sé.
Perché la grande differenza che corre e che molto umani non capiscono è che noi, i pesci rossi e tutti gli esseri viventi, facciamo parte della VITA.



FINE



QUESTA STORIA E’ DEDICATA A TUTTE LE PERSONE CHE AMANO E RISPETTANO GLI ANIMALI.


Questa storia è stata scritta senza scopo di lucro. Qualsiasi cosa inventata in questa fic sono copyright dell'autrice e pertanto ne è vietata la sua riproduzione totale o parziale sotto ogni sua forma; il divieto si estende a nomi, citazioni, estratti e quant'altro sia frutto della sua immaginazione. Non ne è ammessa la citazione né qui né altrove, a meno che non sia stata autorizzata tramite permesso scritto della stessa autrice.
  
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