Listen, the snow
is falling
A Johnny Joestar la neve era sempre piaciuta molto. Trovava
bellissimo il modo in cui silenziosamente, lentamente ma assai ostinata ricopriva
tutto e tutto zittiva, annullando ogni cosa sotto il suo gelido manto. Gli era sempre
piaciuta la quiete che portava con sé, ed ogni volta che nevicava cercava di
godersela il più possibile. Quando usciva sotto la neve c’era solo il rumore
del suo passo, a cui presto si andava ad aggiungere quello del suo cavallo; un
rumore sommesso, quello della neve calpestata, un rumore delicato che aveva
sempre amato particolarmente. Ora il rumore del suo passo non si udiva più, ma
quello del suo cavallo non aveva mai smesso di accompagnarlo. Anche la quiete
era rimasta la stessa, i rumori della natura ovattati dallo strato di neve che
si faceva impercettibilmente più spesso ad ogni minuto che passava. Quella
quiete riusciva a cancellare ogni cosa, non solo i rumori, ma anche i pensieri
del ragazzo: in quel momento Johnny non era più un giovane fantino paraplegico
alla disperata ricerca di speranza che era finito per gareggiare in una corsa
pazza, pericolosa, piena di misteri e nemici. Era solo un ragazzo come tanti
altri intento a godersi una bella nevicata in sella al proprio cavallo;
esattamente come quando era più giovane e non aveva pensieri per la testa se
non di soldi, di ragazze, di gloria e di cavalli. Non c’era traccia nella sua
mente dei soliti pensieri sulla gara, sulla rotazione insegnatagli dal suo
amico, su quanto in realtà la neve fosse un ostacolo per loro, sugli infiniti
problemi che avrebbero incontrato quel giorno. La neve aveva coperto anche
tutte quelle brutte cose, tutti i pensieri che solitamente affollavano la mente
di Johnny, tutti i problemi. C’era solo lui, la natura imbiancata da quello
splendido manto, il suo vecchio cavallo testardo ed il suo migliore amico più
in fondo, intento a preparare il suo speciale caffè canticchiando una stramba
canzone in italiano che lo fece sorridere nonostante non ci capisse nulla.
Così Johnny Joestar lasciava che la neve si posasse
delicata sulle sue ciglia, sul suo cappello, sulla sella, e fingeva per un
momento di essere una persona qualunque con pensieri qualunque, con un buon
cavallo, un amico fidato ed un caffè che lo aspettava. Nient’altro, non in quel
momento.
Un rumore di passi sulla neve si fece sempre più vicino, talmente lento e
sommesso che quasi Johnny nemmeno lo notò, preso com’era dal paesaggio intorno
a lui. Gyro lo raggiunse, si fermò accanto a lui e
alzò un braccio per porgergli una piccola tazza di legno. Johnny l’afferrò
senza parlare; il calore scottò la sua mano gelida, ma fece finta di nulla. Del
fumo si levava dal caffè denso che la riempiva, un fumo leggero che trasportava
l’aroma particolare che solo quel caffè possedeva. Anche Gyro
reggeva una tazzina per sé, che subito si portò alla bocca mentre scrutava il
paesaggio. Anche i suoi occhi, come quelli di Johnny, si persero subito nella
natura innevata, velati, sognanti, distanti da tutto ciò che per i due era la
realtà, la quotidianità. Entrambi, a modo loro, erano sospesi, ovattati come il
paesaggio attorno a loro dalla neve che cadeva silenziosa sui loro vestiti,
nelle loro tazzine, sul cappello di Gyro.
– Vorrei sentirmi così più spesso. –
Le parole uscirono dalla bocca di Gyro in un sospiro,
come se avesse dato voce ad un desiderio irrealizzabile, ma che tuttavia
desiderava più di ogni altra cosa. Johnny sapeva che Gyro
si sentiva esattamente come lui, sapeva che anche lui si stava perdendo nella
distesa innevata cercando di sentirsi una persona normale; lo sapeva anche
prima che lui dicesse quelle cinque parole, e non si stupì nemmeno quando le
pronunciò.
– Godiamocelo finché dura. – Disse Johnny soltanto, e già la rassegnazione
cominciava a farsi spazio dentro di lui, invadendo quella piccola oasi di pace
che si era creata con la caduta della neve.
Si portò alla bocca la tazzina di legno e assaporò il caffè forte del suo amico
che gli bruciò le labbra e la lingua; con quel bruciore intenso cercò di
scacciar via la fretta, i pensieri che tornavano a fluire e tutto il resto che
fino a poco prima era stato coperto dallo strato di neve. Udì l’amico sospirare
al suo fianco e fece lo stesso, sommessamente; non c’era fretta di rimettersi
in cammino, non c’era fretta di riaprire la porta ai pensieri. Anche il suo
cavallo sembrava perso nella distesa bianca, nei rami dei sempreverdi
appesantiti dalla neve; non c’era dunque fretta.
Nemmeno Gyro sembrava volersi smuovere dal fianco del
cavallo e dell’amico, proprio lui che di solito era sempre il primo a montare a
cavallo e consigliare di ripartire, di rimettersi in moto al più presto.
Johnny pensò a quanto gli sarebbe piaciuto ritrovarsi in un contesto simile dopo
la fine della gara: avere tutto quel silenzio e tutta quella pace con la gara
alle spalle; non avere un percorso da compiere entro fine giornata, non avere l’ansia
di essere più lento dei rivali, la preoccupazione della stanchezza dei cavalli,
del tramonto incombente, del tipo di terreno su cui cavalcare, di reliquie da
recuperare prima dei nemici. Sarebbe stato bello, sì; magari sarebbe anche
successo. Johnny lo sperò con tutto il cuore, sospirando ancora. Dopo un altro
sorso bollente di caffè scacciò in fretta il pensiero: era ancora troppo presto
per pensare a cose così distanti. Per ora non restava che godersi la nevicata e
la pace, quel che ne rimaneva, prima di rimettersi in cammino.
fine
(Vi
ricordo che potete contattarmi qui su EFP, su Twitter, su Tumblr o su Ask, dove più vi aggrada.)