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Autore: aspettaminiall    18/07/2016    0 recensioni
Cambiando, Harry, aveva trovato se stesso.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Caro lettore,
 buongiorno! Mi fa piacere che lei stia leggendo questo mio diario. La prego, non salti le pagine, non arrivi subito alla fine.
Questa è un’avventura, se vuole viverla continui a leggere, sennò lasci questo scritto dove l’ha trovato.
Quest’avventura è formata da due viaggi: Alaska e Irlanda del nord in questo esatto ordine.
In Alaska deve andarci nei mesi tra ottobre e marzo, mentre in Irlanda deve andarci nei mesi primaverili.
Lei può scegliere quanto starci, sperando che quegli uccelli di metallo siano abbastanza sviluppati per portarla fino a là.
Si organizzi e poi giri la pagina.”
 
Con l’indice spinse gli occhiali in su verso gli occhi e chiuse il libriccino marrone.
Era stranito ed entusiasmato.
Stranito perché aveva comprato quel diario al mercatino delle pulci per scriverci ed invece aveva trovato una storia, un’avventura, due viaggi.
Entusiasmato perché aveva tutta l’intenzione di seguire quello che la persona misteriosa aveva scritto nel diario.
Non giudicate Harry, lo avrebbe fatto chiunque nella sua situazione. Aveva appena finito l’università e tutto quello che voleva fare era scrivere. Un libro, una fiaba, un poema, una poesia, qualsiasi cosa. Voleva solo scrivere e far leggere agli altri quello che c’era all’interno della sua mente, ma.
Come poteva farlo senza ispirazione? Mille idee, mille trame, milioni di parole ma nessuna di queste aveva un vero filo logico.
 
Si mise ad analizzare la scrittura di quest’uomo misterioso. Sicuramente era francese, si capiva dalle poche parole scritte in quella lingua, però aveva scritto in inglese. Forse preferiva quella lingua o forse voleva che quel diario arrivasse a chiunque e quindi aveva scritto in una lingua che più o meno tutti avrebbero capito.
Sicuramente non era un uomo del secolo ricorrente, le parole scritte e il suo dare del lei lo confermavano. ‘Uccelli di metallo’? Sta parlando degli aerei?
Non c’era nessuna data e non osò controllare nelle pagine dopo, spaventato dal fatto che lo scrittore potesse arrabbiarsi.
Certo Harry, come se lui potesse vederti.
Lo rimproverò la vocina nella sua testa.
 
Guardando fuori dalla finestra ammirò la luna che alta lo osservava come a voler studiare ogni sua mossa. Posò il diario e gli occhiali sul comodino vicino al letto su cui era seduto e si acconciò i lunghi capelli ricci in un chignon spettinato.
I suoi occhi verdi tornarono ad osservare la luna che con i suoi raggi illuminava la stanza immersa dal buio.
L’indomani avrebbe dovuto organizzare il primo viaggio, doveva avvisare sua madre.
Si sdraiò, infine, poggiando cautamente la testa sul cuscino sospirando.
Che inizi l’avventura.
 
“Vuoi andare in Alaska e in Irlanda solo perché lo hai letto in un diario?” il forte accento inglese di sua madre lo fece ridere.
“Esatto, penso che chi ha scritto quel diario era davvero convinto di quello che voleva far fare a chi lo avrebbe trovato” era buffo come la sua erre moscia si insinuasse in ogni parola inglese che pronunciava.
“Harry, io mi fido di te e sento che vuoi farlo, ma con i soldi come..”
“Chiamerò papà, sai che lui può permetterselo, se mi aiuterà bene, sennò troveremo una soluzione”.
 
Quindici minuti dopo era già al telefono con il padre intento a convincerlo del suo progetto.
Il padre di Harry possedeva una delle aziende più importanti a Vannes e in generale in tutta la Francia del nord e, secondo lui, non avrebbe avuto problemi a finanziargli i viaggi.
Ci mise forse venti minuti per convincerlo ed altri cinque per accordarsi sui soldi che gli sarebbero stati prestati e quelli che invece il padre gli aveva ceduto, gentilmente.
 
Nel diario c’era scritto che doveva andare in Alaska nei mesi tra ottobre e marzo.
Harry guardò il calendario: 12 febbraio. Era il 12 e a lui sarebbe piaciuto partire per la fine di quel mese, quindi, perché no?
Velocemente prese il computer e lo appoggiò sul tavolo. Lo lasciò accendersi mentre lui andava a recuperare gli occhiali nella camera da letto e si legava i capelli.
Maledetti capelli lunghi.
Si ritrovava a pensarlo spesso ma era sicuro che non li avrebbe mai tagliati.
 
Il computer mostrava i vari voli e prezzi che Harry poteva scegliere per quell’assurdo viaggio. Da Parigi sarebbe dovuto arrivare in America e poi da lì sarebbe volato in Alaska ma, in quale città dell’Alaska?
Corse a prendere il diario e lo aprì alla prima pagina, nessuna parola sulla città solo lo Stato, forse quello era il momento giusto per girare pagina.
 
1947, Parigi
Caro lettore,
la guerra non è mai stata la soluzione migliore e non lo sarà mai, lo tenga bene a mente.
Comunque, la ringrazio per aver deciso di intraprendere quest’avventura.
Bene, se ha girato pagina vuol dire che 1) gli uccelli meccanici la possono portare fin dove voglio e 2) lei si sta organizzando.
Prima tappa: Homer, Alaska.
Non so come ci arriverà e non so se potrà ma ci provi.
Grazie mille.”
Ora sapeva che voli prendere.
 
 
Harry, non aveva mai preso l’aereo, nemmeno per andare a trovare la madre in Inghilterra quando si era trasferita lì dopo il divorzio con il padre. Era lei che, ogni tanto, prendeva l’aereo e si precipitava dal figlio.
In un solo giorno doveva prendere due aerei: da Parigi a Seattle e poi da lì a Homer.
Bene, si parte.
Quattordici ore dopo, con un piumino più grande di lui, due maglioni e i pantaloni con sotto la calzamaglia, Harry poteva dire di essere a Homer in Alaska.
Si sentiva strano, non avrebbe mai pensato di ritrovarsi dall’altra parte del mondo guidato solo da un diario. Si sentiva strano, , ma anche terribilmente elettrizzato.
 
Sarebbe stato lì solo per tre giorni, non poteva chiedere troppo ai suoi genitori, e poi aveva un altro viaggio in programma.
 
Un taxi lo portò nel piccolo B&B che lo avrebbe ospitato in quei giorni. Era un posto davvero molto carino e accogliente, aveva scelto bene a quanto pare.
A Homer era pomeriggio inoltrato ma per colpa di tutti quei viaggi e, soprattutto, grazie al jet leg, Harry era stanchissimo così decise che prima di fare ogni cosa, si meritava un po’ di riposo.
Così, senza nemmeno cambiarsi, si buttò sul letto e come toccò il cuscino le braccia di Morfeo lo avvolsero.
 
“1948, Parigi
Caro lettore,
è arrivato in Alaska! Sono davvero molto estasiato per lei, spero che sia come me la sono sempre immaginata.
Bene, ora le dico quello che deve fare. Deve semplicemente andare a vedere l’aurora boreale. Ne ho sentito parlare e sembra una cosa magnifica.
Questo diario non è scritto fino al fondo, se lei parte da là vedrà molte pagine vuote. Le riempia con tutto quello che vuole, disegni o scritte ma lo faccia.
Spero che lo spettacolo sia bellissimo”.
 
La sera prima quando si era svegliato aveva deciso di lasciar perdere il diario e di andare a vagare per la città, così si era ritrovato la mattina ad aprirlo per leggere cosa avrebbe dovuto fare. E, beh, da quando sapeva di dover andare là, non aveva mai pensato all’aurora boreale.
 
Andò a chiedere informazioni su di essa e, quando ebbe tutte le sue risposte, tornò in camera per vestirsi. Aveva fino alle 21:00 e poi sarebbe andato nel posto consigliato per vedere lo spettacolo.
 
Qualche regalo per i suoi genitori e anche qualcuno per se stesso dopo, Harry era andato a mangiare in un piccolo ristorante vicino al posto dove si sarebbe manifestata l’aurora boreale.
Arrivò nel luogo con la macchina fotografica attorno al collo, il diario in mano e aspettò.
Con il viso puntato verso il cielo il ragazzo riuscì a scorgervi dei colori strani.
Ci siamo.
Si sedette nel prato ed aprì il diario all’ultima pagina. L’ultima volta che aveva provato a scrivere qualcosa la sua mano era rimasta ferma priva di ispirazione ma adesso sotto quel cielo pieno di colori era tutto diverso.
Iniziò a scrivere senza mai fermarsi, con la lingua tra i denti e i capelli legati. Ogni tanto guardava quel cielo spettacolare per ricordarsi di essere lì, per ricordarsi che con un piccolo cambiamento nella sua vita monotona aveva ritrovato l’ispirazione.
 
Qualche ora più tardi, la sua luce era l’unica accesa nei d’intorni ma a lui poco importava, stava riguardando le foto fatte ma soprattutto, stava scrivendo perché non riusciva più a frenarsi.
 
La sera dopo però era già a casa, in Francia, al telefono con sua madre mentre le raccontava ogni cosa e mentre lo faceva aveva le iridi lucide e le fossette ai lati della bocca.
 
Ora però doveva aprire il diario, voleva già ripartire.
 
1948, Saint-Paul de Vence
Caro lettore,
è qualche tempo che non riapro questo diario e mi fa uno strano effetto. Deve sapere che le finestre sono pericolose quasi quanto la guerra, non è così difficile cadere da esse. Glielo posso assicurare.
Insomma, è andato in Alaska! Com’era lo spettacolo?
Tra poco lei dovrebbe andare in Irlanda, bene là dovrà andare nell’esatto punto da cui il Titanic è partito. Quindi, sì, a sua prossima tappa è la bellissima Belfast.”
 
Esattamente un mese dopo si ritrovava a Belfast, che gli era piaciuta sin da subito.
Gli era sembrata una città tranquilla e le persone che l’abitavano erano molto gentili e cortesi. Insomma, si era subito sentito a casa.
 
In quel momento Harry era sul pullman con le cuffie nelle orecchie e il solito diario aperto sulle sua pagine. Aveva scritto tanto da quando era tornato dall’Alaska ed era arrivato più o meno alla fine della storia, proprio come la sua avventura. Tra poco sarebbe tutto finto e si sentiva un po’ a disagio per questo. Dopotutto era riuscito a trovare ispirazione solo viaggiando e vedendo cose che mai si sarebbe immaginato di vedere. Cambiando, Harry, aveva trovato se stesso.
 
Il ragazzo scese dal pullman e, arrivato a destinazione, si pietrificò. Da lì milioni di persone erano partite lasciando cari e amici per poi non tornare più. Milioni di vite disperse nell’oceano. A Harry vennero i brividi a quel pensiero. Si mise a sedere per terra, vicino al mare ed aprì il diario. Era arrivato all’ultima pagina.
 
“1948, Saint-Paul de Vence
Caro lettore,
scommetto che ha i brividi nel guardare quel posto, quel mare dove tutto è iniziato ma troppo presto è finito. Beh, la capisco, al solo pensiero vengono anche a me.
Mio caro lettore, siamo arrivati alla fine, la ringrazio per aver vissuto tutto questo per me e spero che anche lei si sia divertito e che tutto questo le abbia regalato qualcosa. Le ho messo tra le mani i miei sogni e lei è riuscito a viverli, è stato i miei occhi.
Grazie mille ancora e spero che la sua vita sia lunga e piena di felicità.
J.P.”
 
La sua bocca si aprì. J.P., quante persone potevano avere quelle iniziali?
Quest’uomo però aveva partecipato alla seconda guerra mondiale, lo confermavano le date e l’aver parlato di essa in una delle pagine; in più l’autore aveva anche detto che era facile cascare dalle finestre ed era francese.
Non era possibile. Harry negli anni passati aveva studiato molti autori. J.P. era Jacques Prévert. Insomma, questo scrittore era caduto da una finestra proprio nell’anno in cui l’autore aveva scritto e subito dopo si era trasferito a Saint-Paul! Non gli avrebbero mai creduto, Harry lo sapeva, ma sapeva anche che lui aveva ragione e che aveva seguito i sogni di uno dei suoi scrittori preferiti.
Uno dei primi pensieri fu quello di dirlo a qualcuno, sua madre forse. Poi ci ripensò, era la loro avventura la sua e quella di Jacques quindi perché raccontarla a qualcun altro?
 
Quella stessa avventura che lo aveva fatto riflettere che gli aveva fatto vedere cose meravigliosa ma che soprattutto gli aveva ridato la voglia di scrivere, l’ispirazione. E doveva tutto a Prévert, tutto.
 
Quattro anni dopo, nello stesso punto, Harry aveva appena riaperto il diario. Quel diario che gli aveva cambiato la vita, quell’uomo che lo aveva aiutato a diventare chi era adesso.
La storia che aveva iniziato a scrivere in Alaska, oggi era uno dei libri più venduti in tutto il mondo da mesi mentre Harry si era trasferito a Belfast e non poteva chiedere di più dalla sua vita.
Guardò il diario per un’ultima volta, prima di buttarlo in mare perché la loro avventura doveva rimanere solo loro.
Harry alzò gli occhi al celo e ‘Grazie’ sussurrò. 
  
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