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Autore: Isara_94    18/07/2016    3 recensioni
Quando quel meraviglioso crimine accadeva dopo un litigio... aveva sempre un sapore tutto suo.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Vedere John fare irruzione così trafelato era una cosa a cui aveva raramente il "piacere" di assistere. Solitamente a presentarsi nel salotto con quella fretta indiavolata era lui, specie quando veniva colto da un'intuizione proprio quando meno se lo aspettava.
Dedusse che il suo stato d'animo era dovuto in qualche modo al giornale che si era portato dietro. Conosceva le notizie della prima pagina, l'aveva sfogliato prima di fare a cambio con quello che leggeva il medico. Non ci aveva trovato alcun articolo riguardo le clamorosamente scadenti indagini di Scotland Yard, per cui si era messo nel'ordine di idee che non doveva aspettarsi di veder comparire Lestrade troppo presto ma piuttosto doveva sperare in qualche cliente con un problema sufficientemente fuori dall'ordinario da interessarlo. Si era fatto un punto di non volersi più esprimere su donne che sospettavano (a ragione) di avere un marito interessato a un tipo di bellezza più giovanile, almeno fino alla fine dell'anno.
-Sherlock, cosa facciamo?-
Distolse lo sguardo dalle lettere stampate -...riguardo a cosa?-
-che...- John sbattè il giornale sul bracciolo della poltrona -riguardo al processo a Wilde, naturalmente!- esclamò tremendamente serio -davvero, cosa facciamo?-
Sospirò, abbassando il quotidiano che si spiegazzò in uno scricchiolio di carta maltrattata -noi non facciamo assolutamente niente, mio caro Watson- spiegò con tutta la flemma di cui era capace -non vedo perchè precipitarsi qui a questo modo-
John si raddrizzò, i pugni serrati -non stai dicendo sul serio, avanti avrai...-
-è colpevole! Ha commesso il crimine di cui è accusato e l'ha ammesso, persino uno come te dovrebbe sapere che a questo punto non c'è nulla che può essere fatto!-
Va bene, doveva ammetterlo: non credeva di farlo arrabbiare con così poco. Praticamente John l'aveva sollevato di peso dalla poltrona nel suo scatto di nervi, quasi senza rendersi conto che la sua presa sul suo colletto era troppo stretta per essere confortevole. O sicura per l'integrità del suo collo.
-crimine?!- sibilò fra i denti, sfidandolo a ripetere -come diamine fai a dire una cosa del genere, razza di...-
-è reato...- ripetè, la voce leggermente gracchiante.
La violenza non lo spaventava, era controproducente quando ci si guadagnava da vivere come faceva lui. Cercava di far ricorso a quella fisica il meno possibile, ma nient'altro. Quella volta doveva ammettere che però non era troppo tranquillo, la sua mente resisteva a tutti i tentativi di calmarsi pur sapendo che John non gli avrebbe mai fatto del male.
Le sue mani pallide si erano subito avvolte attorno a quelle che stringevano la stoffa inamidata, inflessibili, in un tentativo di attenuare la pressione che sapeva già in partenza sarebbe stato inutile. Semplicemente non se l'era potuto impedire.
Quasi poteva sentire l'odore del sangue che le macchiava nonostante tutti i tentativi di lavarle, quello delle vite che avevano salvato e quelle che invece avevano spezzato mescolati fra loro senza alcuna distinzione. Era un pensiero che gli dava sempre i brividi, ogni volta in cui ci si soffermava.
-... io non posso...- una pausa per riprendere fiato -cambiare la legge...- concluse con un sorriso mesto.
Per una piccola eternità l'acciaio era rimasto al posto del solito gentile blu che conosceva, poi lo sguardo del medico si era ammorbidito insieme alla sua stretta. Non osò toccarlo di nuovo, sedendosi stancamente nella sua poltrona quasi lo sfogo avesse preso tutte le sue energie.
-ci deve essere qualcosa. Dai un'altra interpretazione delle prove, fa' risultare una storia diversa...-
Una cosa che aveva scoperto durante la loro convivenza: John Watson scendeva a patti se poteva, ma non implorava. Era il tipo che preferiva spezzarsi piuttosto che piegarsi, quando si trattava di orgoglio. Era preoccupante il fatto che cominciasse adesso, pure velatamente. Ma no, lasciarsi muovere a compassione non era mai una cosa intelligente. Le persone si creano il proprio destino, il poeta sapeva benissimo cosa stava facendo.
-pensi che andrebbe bene per il mio lavoro? Io i crimini li risolvo, non li giustifico- rispose, rassettandosi davanti allo specchio del camino -senza contare che per fare una simile scemenza, caro John, dovremmo esporci a nostra volta. Forse non ci hai riflettuto a sufficienza: questo non è come prendersi un proiettile su un campo di battaglia-
-che ne sai tu della battaglia?- lo sfidò -sei sempre stato qui, al caldo, beatamente fatto al punto che un balcone era più dentro di te per cui non permetterti di farmi la lezione. Chiaro?-
-mi permetto invece. Questo non è come sparare a quello che ti viene incontro con una divisa diversa addosso. Ma è guerra, una guerra che per il momento non stiamo vincendo- si abbassò sul tappeto, fra le ginocchia del suo medico -ci serve tutto questo- mormorò.
John lo fissò, confuso -di cosa stai parlando?-
-ogni buona causa ha bisogno di un martire, John-
-ti riferisci al caso della sposa?-
Sherlock annuì -quelle donne l'avevano capito. Stanno vincendo la loro battaglia- abbassò lo sguardo -perfino loro avranno più diritti di noi. Ci serve qualcuno che si sacrifichi per tutti quelli che verranno e io non mi intrometterò per rovinare tutto, lo capisci questo? Non lo farò John, nemmeno per te-
Lasciar accadere una tragedia, sperando di impedirne una più grande in futuro.
John rifiutò di parlare per qualche tempo. Detestava vederlo così, ma aveva ragione. Lui tendeva a vedere più lontano delle persone comuni. Sapeva che quella lotta avrebbe mietuto vittime, serviva un simbolo che fosse d'ispirazione. Avrebbe dimostrato l'ingiustizia di una legge che impediva alle persone di amare.
I sentimenti non erano l'argomento su cui era più informato, ma nonostante tutto sosteneva che ognuno era libero di provarne per quello che preferiva. Poteva provarne per una donna che amava dominare gli uomini, per un dottore che non si rassegnava ad abbandonare il campo di battaglia, poteva provarne per la scienza che così spesso scomodava per risolvere i suoi casi o per il suo amato violino che lo aiutava a riordinare i pensieri quando erano troppi per stare al loro posto.
Si alzò, convinto che per un po' John non ne avrebbe voluto sapere di farsi sentire. Pensò di lasciargli sbollire il malumore, concedergli un momento con se stesso. Invece si trovò trattenuto per il polso, delicatamente. Un dolce strattone lo fece atterrare in grembo al medico.
John stava ridendo -è un gran bel paradosso questo, due criminali che risolvono casi per la polizia!-
Non aveva mai pensato di osservare le cose da quel punto di vista. Fu più forte di lui e la prese sul ridere nonostante i tentativi di restare serio. Gli passò di mente che i muri erano sottili e che i vicini avrebbero potuto origliare ogni parola se si sentivano più impiccioni del solito. Si gustava il momento, la pace fra loro non era un accordo... arrivava improvvisamente in modi misteriosi.
-abbiamo ancora un'ora che arrivi Mrs Hudson col tè- osservò John, stringendogli un braccio attorno alle sue spalle esili -ti va di commettere un crimine con me?-
Sherlock non si fece pregare. Quando quel meraviglioso crimine accadeva dopo un litigio... aveva sempre un sapore tutto suo.
   
 
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