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Autore: loveless_fairy    28/03/2005    3 recensioni
Akira prepara una sorpresa per Hiroaki, ma qualcosa va storto. Un imprevisto rishia di rendere inutile ogni sua fatica, ma sarà veramente così? E mentre una tempesta imperversa su Kanagawa, i nostri due simpatici testoni intraprendono insieme una nuova strada.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akira Sendoh, Hiroaki Koshino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A SPECIAL DAY

 

06/07/….

 

Quel giorno Akira Sendo si era svegliato davvero presto.

Era uscito per la solita passeggiata mattutina al parco, quando ancora il sole faticava a svegliarsi, ed era ritornato a casa all’alba.

La sera precedente l’aveva trascorsa quasi del tutto insonne, a guardare la tv, troppo eccitato persino per pensare. Aveva cercato di rilassarsi guardando un vecchio film in bianco e nero, aveva ascoltato della musica da camera, di quelle che Hiro metteva a tutto volume durante una lunga sessione di lavoro perché, diceva, lo aiutava a concentrarsi e rilassarsi. Aveva persino contato le pecore, ma aveva rinunciato alla millesima. Alla fine si era alzato per la disperazione ed era andato a farsi un lungo bagno caldo. L’odore della vaniglia aveva poi rilassato ogni suo muscolo e sciolto ogni resistenza e così aveva finito con l’addormentarsi sul divano con una tazza di cioccolata in mano.

Era stato svegliato da un insistente dolore al collo e, visto l’orario, aveva deciso di uscire a fare una lunga passeggiata.

 

Kanagawa era stupenda immersa nelle ultime ombre della notte. Sembrava un’enorme città di marzapane, cioccolata e canditi vari e lui, che la attraversava con riverenza, si sentiva come Hansel, in prossimità della casa dei sogni.

Le ultime luci al neon si spegnevano occhieggiando e i locali notturni chiudevano i battenti per il riposo mattutino, mentre i primi negozi diurni aprivano le porte ai prossimi raggi di luce.

Ovunque andasse era un rincorrersi di serrande e vociare sommesso.

Il ragazzo dei giornali scivolava veloce con la sua bici silenziosa fra le vie ancora deserte. Il suono sordo prodotto dalla carta che, con una lunga curva, cadeva al suolo, s’intersecava agli ultimi guaiti dei cani nei vicoli e ai miagolii insistenti dei gatti, sopra i tetti e i muretti a secco.

Si sentiva fortunato Akira, ogni volta che diventava protagonista indiscusso di quel radioso sorgere dell’ingegno umano unito alla perfezione della natura.

 

I fiori nei parchi erano ancora socchiusi e le prime gocce di rugiada scivolavano lungo le striature delle foglie fino alla bruna terra. Gli uccellini si risvegliavano, uno dopo l’altro e già si sentivano i primi cinguettii e i primi svolazzi. La primavera era quasi agli sgoccioli e il verde smeraldo dell’erba si scuriva e caricava pian piano di giallo e di oro.

Qua e là, lontano dalle aiuole curate con gran passione, spuntavano i fiori campo, con i loro colori raggianti, di cui lui aveva imparato a distinguere solo le gialle margherite.

Da sud risaliva, sospinto e cullato dalla brezza, l’odore intenso del mare e della sabbia.

Se chiudeva gli occhi poteva sentire lo sciabordare delle onde sugli scogli, il gorgoglio dell’acqua quando viene catturata da qualche fessura nella scogliera, il risucchio delle acque e il rumore della risacca. E poco lontano dalla spiaggia iniziava il molo, quello dei piccoli pescatori di gamberi, dalle reti costruite a mano, tramandate di generazione in generazione.

Quando andava a pescare si fermava prima sulla spiaggia, si toglieva le scarpe e proseguiva sul bagnasciuga fino al vecchio faro. Lì allora le rimetteva e risaliva gli scogli dalla forma levigata e oltrepassava l’enorme struttura. Allora si ritrovava davanti ad un’immensa finestra aperta sul vecchio Giappone. Il Giappone tradizionale cantato nelle vecchie canzoni intonate nelle occasione speciali dai nonni. Quel Giappone delle foto in bianco e nero, dei dipinti tradizionali e dei quadri appesi lungo i corridoi di casa.

Lui rimaneva sullo scoglio del faro, quasi vicino all’ingresso che dava ad occidente. Da lì, mentre l’amo aspettava annoiato che qualche pesce abboccasse, osservava i vecchi pescatori ritornare dal mare con le reti ogni giorno più vuote. Li vedeva curvi su di esse, con la pelle divorata dal sole e le mani arcuate come becchi di uccelli, che si muovevano con estrema agilità, come quando lui deviava gli avversari e puntava al canestro. Li sentiva parlare nel loro strano giapponese, in un dialetto che non capiva bene, intramezzato alle urla stridule dei gabbiani che avevano seguito le barche fino a riva. Restavano vicini, zampettando non curanti, attendendo una qualche piccola disattenzione per poi approfittarne e volare via. I pescatori lo sapevano e spesso lasciavano cadere qualche grasso pesce lontano dalle reti, perché in fondo anche i gabbiani sono figli del mare. Pescano per sopravvivere, così da riportare l’estate ogni anno. E poi li sentiva ridere, mostrando rughe profonde e denti bianchi, come gli ossi di seppia, lasciati sulla spiaggia dalla risacca. Li sentiva parlare, forse del raccolto del giorno o magari del Giappone che non c’era più, eppure sembravano sempre felici e lui, silenzioso spettatore, non poteva che sorridere, perché anche per lui la vita era bella, anche lui vedeva ciò che i loro occhi osservavano ogni giorno.

Lui amava il mare, ma non come entità astratta, lui amava il mare come essere pieno di vita e meraviglie. Amava il blu intenso dell’oceano, simile a degli occhi e ad uno sguardo profondo.

E ogni volta che la brezza portava fino a lui quell’odore intenso, Akira non poteva far a meno di fermarsi a respirare fino in profondità quell’aroma fatto di sole, sale, acqua e risate.

 

Quel giorno, però, il percorso di Akira fu piuttosto breve.

Appena uscito si diresse direttamente al parco e lo attraversò con enormi falcate. Si fermò a fare due tiri al campetto di basket dietro al chiosco dei gelati, ma non riuscì ad insaccare neppure un miserissimo tiro da tre punti. E pensare che in America era ritenuto uno dei migliori giocatori dell’NbA. Se l’allenatore della sua squadra lo avesse visto in quel momento di sicuro non gli avrebbe rinnovato il contratto o avrebbe sfruttato quell’occasione a suo vantaggio, chiedendogli di lavorare di più. Ma il campionato era terminato e, come ogni estate, era tornato a casa, a Kanagawa e lì lo aveva ritrovato.

Aveva dovuto cercarlo in tutte le biblioteche e librerie della città, ma alla fine lo aveva trovato, proprio al parco.

Era seduto ai piedi di un albero di ciliegio, con la schiena appoggiata al tronco. Gli occhiali gli conferivano un’aria ancora più pericolosa. Aveva lo sguardo accigliato, le braccia conserte e le labbra piegate nel suo caratteristico broncio. Lo aveva osservato sbuffare un paio di volte, guardare in cagnesco la videata di un pc e borbottare qualcosa contro di esso. A quel punto non era riuscito a resistere ed era scoppiato a ridere, uscendo allo scoperto.

“Akira? Ma quando sei arrivato?” gli aveva chiesto alzandosi di scatto e lasciando cadere il pc di lato, senza neppure accorgersene.

Gli era corso incontro e l’aveva abbracciato.

“Mi sei mancato…” gli aveva sussurrato e lui non era neppure riuscito a parlare, colto dall’emozione.

Hiro aveva spento il pc ed era andato con lui. Avevano trascorso assieme l’intera giornata, chiusi nella casa che Akira aveva comprato qualche anno prima, strategicamente piuttosto distante sia dalla sua che da quella degli zii. Hiro lo aveva riempito di domande e lui si era beato di quel prezioso sorriso che concedeva solo a lui… e a Kitcho, ma di questo si era fatto una ragione -.-.

Aveva dormito a casa sua quella notte e le altre successive. Hiro non era più un bambino e i loro genitori erano a conoscenza da anni del loro rapporto, così potevano godere della piena libertà e non erano costretti a mentire, accampando scuse su scuse.

A dirla tutta, i loro genitori, madri in particolare, erano più che contenti, diciamo pure che sapevano di loro due ancor prima dei diretti interessati. Per anni, nell’ombra (ma neanche tanto), le loro madri avevano favoleggiato pensando ad una storia fra i loro figli e alla fine, quando la favola era divenuta realtà, la madre di Hiro si era infuriata, accusando il figlio di mancanza di amore materno e la madre di Akira… beh lei aveva avuto la reazione opposta. Questo li aveva lasciati interdetti, almeno fino a quando il padre di Akira li aveva informati della loro scommessa su chi dei due avrebbe fatto il primo passo e, naturalmente, non era stato difficile capire chi avesse vinto e chi invece no.

Poi, dopo il liceo, Akira era stato ingaggiato da una squadra universitaria americana e il ragazzo si era ritrovato fra due fuochi: basket e Hiro. Non voleva lasciare il ragazzo ma neppure rinunciare a quell’occasione unica; Hiro, da parte sua, aveva ricevuto proposte da diverse università e aveva deciso di entrare in quella di Tokyo, alla quale propendeva sin da bambino. Per Akira erano stati giorni difficili, ma poi Hiroaki era riuscito a convincerlo a partire e così era iniziato il loro rapporto a distanza.

Di momenti difficili ce n’erano stati molti, la distanza aveva la facoltà di trasformare un’ombra in un mostro, ma ce l’avevano fatta. Ogni vacanza, ogni pausa libera dagli studi o dalle partite, la trascorrevano assieme, incontrandosi magari a metà strada.

Durante le ultime vacanze invernali, poi, Hiro era andato in America ed era rimasto lì, con lui e per lui. Avevano fatto i turisti per tutta Boston e a volte si erano allontanati, raggiungendo le città principali. Per Akira era stato come scorgere il paradiso, quello stesso paradiso che si apprestava ad assaporare, da quel giorno all’eternità.

 

Dopo qualche tiro al campetto, era tornato a casa. Appena entrato si era diretto in cucina, dove si era versato del latte in un bicchiere, e mentre il liquido bianco scivolava all’interno del suo corpo, aveva dato un’occhiata veloce all’orologio vicino al frigo. A quell’ora Hiro stava ancora dormendo o forse si stava appena svegliando. Quella mattina doveva andare a Tokyo, per incontrare il suo editore, e lui n’avrebbe approfittato per sistemare tutto. Siccome temeva che Akira potesse diventare un fattore di ritardo, aveva deciso di dormire dai suoi, almeno quella notte, così da potersi svegliare presto ed evitare, magari, di trovare ingorgo lungo l’autostrada. Il diretto interessato aveva tenuto il muso per una decina di minuti, piuttosto offeso, ma poi aveva valutato che l’assenza del koibito avrebbe comportato meno domande e meno bugie, e poiché non era granché bravo a mentire aveva finito con l’accogliere la sua decisione se non con entusiasmo almeno con celato nervoso.

Così quella mattina speciale si ritrovava a casa solo e con tutto il tempo per preparare la sua sorpresa. La madre sarebbe venuta nel pomeriggio a cucinare, mentre la zia si sarebbe assunta l’onere di tenere Hiro lontano da lì. Il diretto interessato sarebbe stato impegnato fino al primo pomeriggio a Tokyo. Secondo i piani sarebbe ritornato alle ultime ore del pomeriggio e sua madre avrebbe trovato sicuramente il modo di tenerlo “impegnato”.

Dopo una breve doccia, Akira fece una veloce telefonata a casa Koshino, prima che il koibito uscisse di casa, poi prese le chiavi e, fischiettando, uscì, con la lista della spesa fra le mani. Beh avrebbe voluto cucinare lui, ma, a parte qualche piatto precotto, di quelli pronti in cinque minuti, e anche mezzo bruciacchiato, non sapeva cucinare molto. Inoltre era una giornata speciale e voleva che lo fosse tutto! Aveva pensato di prenotare in un ristorante ma ogni volta che usciva, non sapeva neppure lui come, veniva circondato da fan isterici, che sicuramente non formavano l’atmosfera ideale. Avrebbero cenato a casa e sua madre, la miglior cuoca che conoscesse, avrebbe preparato i migliori manicaretti dell’intero Giappone. Dopo cena… beh era meglio concentrarsi sulla lista della spesa, considerò fra sé e sé.

 

Entrato al supermercato iniziò a girovagare senza meta fra gli scaffali. Quando aveva fatto la spesa l’ultima volta, da solo? Praticamente mai. C’era sempre qualcuno, nella fattispecie Hiroaki, che sceglieva per lui ciò che doveva comprare, altrimenti lui si sarebbe limitato a parecchi pacchi di patatine, gelato e cioccolata. Ora invece gli si apriva agli occhi un mondo fatto di scaffali e milioni di colori e scelte. Farina… sale… olio… salse… di ogni tipo e marca. Dopo dieci minuti buoni gli era già venuto il mal di testa. Come faceva la madre a fare la spesa ogni giorno e a riempire un carrello in dieci minuti?

<< Io ti consiglierei di prendere quella bottiglia lì, meno economica vero, ma sicuramente possiede un gusto migliore. >>

Si voltò e ritrovò il solito sorriso accogliente.

<< Kimi! Dove l’hai lasciato il teppista? >>

<< Akira! Quante volte te lo devo ripetere che Hisa non è un teppista? Devo forse ricordarti che è campione mondiale delle 500 (NdA: adoro Hisa in versione motociclista *_*!)? >>

Akira ridacchiò contento. Quando si parlava di Hisashi, Kimi andava subito sulle difensive, pronto a sguainare la spada se fosse stato necessario.

Presero a percorrere il corridoio parallelamente.

<< Allora dove hai lasciato il campione? >>

<< E’ a casa, a riposare, di ritorno dall’Australia. >>

<< Sarà stanchissimo immagino…. E tu sei qui per fare la spesa? >>

<< A dire il vero Hisa è arrivato inaspettatamente in anticipo. >> disse imbarazzato mentre si allungava per prendere qualcosa dallo scaffale: << Sai quando non c’è Hisa mi arrangio come posso. Ah! Non guardarmi così! È che mi annoio senza di lui e a volte mi scordo pure di mangiare ^^. Comunque Hisa è tornato presto e ho intenzione di cucinargli qualcosa che non potrà dimenticare. E tu? Duro vivere da soli, eh? >>

<< Non me lo dire. >> sospirò affranto.

<< Quando sei tornato? >>

<< Qualche giorno fa. Un giorno di questi vorrei venirvi a trovare. Vi trovo, no? >>

Vide il ragazzo al suo fianco annuire contento.

<< E Hiro? >>

<< E’ a Tokyo, dall’editore. Torna stasera e… >>

<< E tu hai pensato di invitarlo a cena, ma visto che non sai cucinare ne deduco che sarà tua madre a farlo e quella che hai in mano è la lista della spesa. >>

<< Caspita Kimi! Avresti dovuto fare l’investigatore! Altro che chirurgo! >>

<< Eh già! E ti dirò di più: stai preparando una serata “speciale”, vero? >>

Akira non seppe che rispondere. Fermò di colpo il carrello e fissò stravolto l’amico.

<< Non fare quella faccia! Me lo ha detto tua sorella Kumiko. Sai lei non sta più nella pelle! Siete fortunati voi due, lo sapete? >>

Akira biascicò qualcosa di poco lodevole nei confronti della sorella e tornò a fissare il carrello. Hisashi e Kimi stavano insieme dai tempi del liceo ma, da quanto ne sapeva, i due avevano ancora rapporti burrascosi con i rispettivi genitori, nati subito dopo la rivelazione.

<< Ancora silenzio? >>

<< Peggio. >> lo vide scuotere la testa: << Quest’inverno mia madre mi ha invitato a trascorrere con loro la vigilia di Natale. Solo io. Non ha fatto alcun riferimento ad Hisashi. >>

<< E tu? >>

<< Ho rifiutato. Finché non accetteranno anche Hisa, io mi rifiuterò di incontrarli! So che può sembrare crudele, ma Hisa fa parte della mia vita, è la mia vita e non ho alcun’intenzione di perderlo, per nessuno! >>

<< E i genitori di Hisa? >>

<< Hanno dimenticato di avere un altro figlio. A volte mi chiedo se sia giusto soffrire così. Io ne soffro, così come Hisa e i nostri genitori. Cosa allora ci tiene ancora lontani? >>

<< Almeno avete i vostri fratelli dalla vostra parte. >>

Kimi sorrise e annuì. Si offrì di dargli una mano mentre faceva la spesa pure lui. Il porcospino accettò di buon grado, quasi con le lacrime agli occhi e mezz’ora dopo si ritrovarono fuori, nel parcheggio, davanti alla macchina di Kogure. Akira lo aiutò a caricare la spesa nel cofano e lo salutò.

<< Stai tranquillo. Sono sicuro che si sistemerà tutto. Questa storia è andata avanti troppo a lungo. Adesso, poi, che siete venuti a stare per un po’ a Kanagawa sarà impossibile non incontrarvi e quando accadrà si spezzeranno parecchi muri, credimi. >>

<< Lo spero, Akira. Buona serata. >>

Akira salutò da lontano Kimi. Lo vide salire in macchina e uscire dal parcheggio.

Gli dispiaceva per loro e per ciò che quel silenzio significava: rifiuto. Sapere che almeno la tua famiglia ti accetta così come sei è di grande conforto, quando il mondo intero sembra voler cancellare ogni minima parte di te. Ma quando questo conforto viene a mancare tutto diventa più difficile. Akira, nel suo profondo, si trovò a sperare che quella sofferenza terminasse presto. I due amici avevano già sofferto abbastanza e per troppo tempo.

Richiuse con rabbia lo sportello ed entrò in macchina. A casa trovò già la madre ad aspettarlo.

<< Che ci fai qui? >> le chiese entrando con le buste della spesa fra le mani.

<< Figlio degenere ed ingrato! Cosa credi che basti una cena per rendere una serata speciale? Ho portato con me tutto l’occorrente: piatti e posate d’argento, bicchieri di cristallo, candele… >>

<< Mamma avevo già pensato a tutto io! Visto che sei qui vediamo se ti va bene quello che ho comprato… comunque grazie, di tutto. >>

 

Poche ore più tardi Hiroaki si ritrovò nuovamente davanti all’entrata della casa editrice. Aveva debuttato da poco nel campo dell’editoria con due bestsellers e in tutto il mondo veniva considerato un culto, sia fra i lettori che fra i critici. Mettere d’accordo critica e successo di pubblico era difficile, eppure sembrava che il suo stile fluido e la sua ricercatezza verbale riuscissero ad incantare chi leggesse, senza considerare i temi trattati nei romanzi.

Ligio alle scadenze e agli oneri, ora si apprestava a portare davanti all’editore i primi cinque capitoli della nuova opera. Non è che questa la convincesse molto, ma la scadenza era vicina e doveva presentare qualcosa, anche se solo un abbozzo.

Percorse velocemente il breve tragitto fino all’ascensore e salì fino al trentesimo piano. Ma perché dovevano costruire un ascensore al di fuori dell’edificio? Per di più lui soffriva di vertigini e l’ufficio della casa editrice si trovava molto, anche troppo, in alto. Fece uno sforzo sovrumano per non guardare in basso e cercò di concentrarsi sui fogli che teneva in mano, all’altezza del viso.

Si ricordò della sua prima visita a Parigi, quando, con Akira, era salito sulla Torre Eiffel. Quel giorno avevano sopportato una fila di due ore, ma alla fine avevano preso il piccolo ascensore che, dalla base, saliva lungo il versante nord della torre fino a metà torre. Erano stati i due minuti più lunghi della sua vita! Si era appoggiato completamente ad Akira, complice la folla, ed aveva chiuso gli occhi, ma la sensazione di nausea non lo aveva abbandonato. Furono i primi ad uscire e rimasero un bel po’ ad osservare il paesaggio, prima di riprendere l’ascensore e salire fino alla cima.

Parigi era a dir poco stupenda e al tramonto diventava una città da cartolina. E così sembrava Tokyo, inondata dai raggi di luce, piena di specchi e pensieri, sempre in veloce espansione.

Chissà cosa stava facendo Akira in quel momento! Si era ricordato di quel giorno particolare? Aveva come la sensazione che stesse macchinando qualcosa. Di certo non era l’unico, pensò. Ultimamente sembravano tutti strani a casa. Sua madre l’aveva persino convinto ad accompagnarla in giro per i negozi. Perché diavolo lei ed Akira riuscivano a fargli fare sempre tutto quel che volevano? Sospirò sconsolato prima di uscire dall’ascensore.

Si diresse direttamente all’ufficio del direttore e, ad attenderlo, trovò anche il suo manager. Dopo i convenevoli e i saluti si sedettero davanti al “tavolo delle trattative”, come lo definiva Hiro, mentre la porta dell’ufficio si richiudeva davanti al mondo curioso.

 

Perfetto! Era tutto davvero perfetto! Quella sera Hiro non l’avrebbe mai dimenticata! Tutto andava secondo i suoi piani! Aveva sistemato candele un po’ ovunque in casa ed incensi profumati bruciavano già nelle varie camere. In cucina faceva bella vista la cena da re che aveva preparato sua madre. Necessitava solo di una riscaldata all’ultimo momento.

Ora doveva solo preparare la loro sala da pranzo, preparare i cd giusti e sistemare la sorpresa. E poi Hiro osava accusarlo di mancanza di romanticismo!

Per ingannare l’attesa decise di andarsi a fare un lungo bagno rilassante, così non sentì il telefono squillare incessantemente parecchie volte.

Non c’era nulla di meglio di un ottimo bagno alla lavanda per rilassarsi completamente.

Scese in salotto e guardò l’orologio. Hiro doveva essere di ritorno, mancava ormai poco. Decise di mettere su un po’ di musica nell’attesa.

 

Maledizione! Ma dove era quel porcospino transgenico? Aveva anche provato a chiamarlo al cellulare ma non aveva risposto. Dove diavolo, ma soprattutto: cosa diavolo stava facendo?

<< Hiroaki dobbiamo andare. >>

<< Masami tu vai avanti. Io vi raggiungo appena finito di parlare con Akira. >>

<< Ma Hiro… >>

<< Ti prego Masami… cerca di trovare una scusa adeguata. Arrivo appena rintracciato quello stupido! >>

Perché diavolo non rispondeva? Possibile gli fosse accaduto qualcosa? Aveva anche provato a casa della madre ma lì aveva trovato solo la segreteria telefonica. Poteva provare a chiamare a casa di sua madre, ma non era proprio il momento per un terzo grado.

Ci voleva pure questa! Ma perché doveva essere così sfortunato? Chissà come l’avrebbe presa Akira…. Di sicuro non avrebbe fatto i salti di gioia, ma avrebbe capito, no? Quello era un contratto importante e molto vantaggioso, non poteva rinunciarvi. Avrebbero festeggiato il giorno dopo e lui avrebbe trovato il modo per farsi perdonare, fosse stato anche strisciare per chiedere perdono (ma sperava con tutto il cuore che non fosse necessario).

Quando il suo manager gliene aveva parlato per poco non vi aveva creduto. Uno dei più grandi registi del mondo, di cui aveva sempre visto ogni film e produzione, voleva acquistare i diritti del suo ultimo best per farne un film e non solo: pretendeva la sua presenza. Sarebbero stati sei mesi, forse anche un anno, ma quello avrebbe significato un passo da gigante nella sua carriera. Era venuto con i suoi collaboratori persino dall’America e qui iniziavano i problemi. Già perché a causa di quel passo da gigante avrebbe dovuto rinunciare al loro anniversario per andare a cena con regista e produttore! Ma sicuramente Akira avrebbe capito e si sarebbe persino congratulato con lui, perché il film sarebbe stato girato negli Usa e avrebbe avuto quindi la possibilità vedere Akira tutte le volte che avrebbe voluto! Un anno insieme! Non vedeva l’ora di dirglielo! Peccato che non rispondesse al telefono! Era stato persino tentato di smettere di telefonare, ma non sarebbe stato giusto nei confronti di Akira e poi quello zuccone si sarebbe sicuramente preoccupato. Sarebbe stato capace persino di mettere in moto i militari per ritrovarlo!

Decise di provare un’altra volta al telefono di casa. Al quinto squillo finalmente sentì la voce cristallina del suo ragazzo e si tranquillizzò. Non sapeva però che presto la sua gioia si sarebbe trasformata prima in rabbia e poi in angoscia (Mamma mia che tragica! NdS. ^.^ dici? NdA.).

 

<< Hirooooooooooooooo! Sei tu? Quando arrivi? >>

<< Aki! Mi hai distrutto un timpano! Come mai così allegro? >>

<< Nulla nulla! >> si affrettò a rispondere sghignazzando l’uomo aculeo (^O^ NdA).

<< Senti Aki… io sono ancora a Tokyo…. >>

<< Come mai? Non dovevi già essere di ritorno? >>

<< Ecco vedi… beh è inutile giraci attorno! Stasera non potrò essere di ritorno a Kanagawa. Masami e il direttore della casa editrice hanno organizzato una cena di lavoro. Il regista XYZ è venuto dall’America con l’intenzione di comprare i diritti… >> e continuò parlando della magnifica proposta che gli era capitata.

Quando Hiro, felice, finì di raccontare, includendo la possibilità di restare in America anche un anno, rimase in silenzio aspettando una parola da Akira.

<< Aki? >> lo richiamò preoccupato non sentendolo parlare: << Qualcosa non va? >>

<< Qualcosa non va? Hai il coraggio di chiedermi se qualcosa non va? Ti ricordi per caso che giorno è oggi, eh? >>

<< Certo che lo so: è il nostro anniversario… >>

<< E dovevamo trascorrerlo assieme, invece tu che fai? Te ne vai a cena con altri e mi lasci qui, da solo! Ho trascorso tutta la notte in bianco, ho preparato questa serata programmandola sin nei minimi particolari e ora? Non puoi farmi questo, Hiro! >>

<< Ma Aki… ascolta… >>

<< No, ascolta tu per una buona volta! Questo per noi doveva essere un giorno speciale e tu hai buttato tutto alle ortiche! Sei solo un dannatissimo egoista, è questa la verità! Hai pensato prima a te stesso che a noi! E poi mi vieni ad avvisare ora? >>

<< Ma è un pomeriggio che ti chiamo e poi… >>

<< Eh già! Il grande Hiroaki Koshino ha sempre la frase pronta eh? Non sia mai che per una volta chieda scusa! >>

<< Se mi lasciassi parlare… >>

<< Cosa Hiro? Cosa mi diresti? Hai già detto abbastanza e io non voglio ascoltare nulla! La verità è che il tuo lavoro, il tuo maledettissimo lavoro di scrittore, viene sempre prima di me! >>

 

Hiroaki si ritrovò a fissare il cellulare stupito. Akira non solo gli aveva chiuso il telefono in faccia (e già di per sé questo aveva dell’incredibile) ma aveva anche urlato, dandogli dell’egoista e, per essere sinceri, gli aveva dato del maledetto egoista.

Non riusciva a capirci nulla, sapeva solo che adesso anche lui era arrabbiato, anzi era furioso!

Lo aveva accusato di mettere il lavoro davanti a lui, ma con quale coraggio? Lui che aveva messo di lato la stesura del suo romanzo per lui; lui che durante le presentazioni dei libri nelle varie città campione aveva fatto i salti mortali per incontrarlo, in barba agli impegni, alla stanchezza e al sonno; lui che ogni volta faceva chilometri e chilometri, costringendosi a prendere l’aereo nonostante la sua fobia, solo per vederlo, perché lui, Akira, era impegnato con le sue dannate partite e non poteva lasciare la squadra. Ma lui poteva, giusto? Certo! In fondo a chi importava se per andarlo a trovare aveva litigato con l’editore e aveva lasciato il suo staff nel caos!

Dannazione! Era Akira il dannato egoista! Non si era mai chiesto come facesse a ricavare tempo dalle sue presentazioni per incontrarlo! Era sempre lui che si piegava! Però… però dannazione aveva ragione! Doveva essere a casa e non lontano chilometri con persone di cui, razionalmente, non gli importava nulla. Eppure non riusciva a dimenticare che lo aveva accusato di metterlo al secondo posto nella sua vita.

Prese le chiavi della macchina e si diresse al Rainbow.

Come se non bastasse aveva iniziato a piovere e le strade si erano riempite di auto. Era già così in ritardo! Sembrava che tutto il mondo congiurasse contro di lui.

Akira… chissà cosa stava facendo in quel momento….

 

Non poteva crederci: tutta quella fatica per nulla! Aveva impiegato giorni ad elaborare quell’idea e uno intero per realizzarla e ora? Hiro era un egoista! Preferiva andare a cena con l’importante produttore piuttosto che stare con lui, un pezzente giocatore di basket! Oh certo! Lui adesso era il grande scrittore, non poteva di certo mettere al primo posto delle sue priorità uno come lui!

Maledizione che rabbia! Aveva avuto l’impulso di urlare e distruggere tutto, aveva impiegato così tanto tempo per creare quell’atmosfera… ma ogni volta che si guardava attorno non poteva far a meno di essere colto da un’infinita tristezza.

Sapeva di essere stato ingiusto, mille volte Hiro aveva sacrificato i suoi impegni per stare con lui, senza chiedere mai nulla, senza lamentarsi, eppure non poteva far a meno di sentirsi… ferito. Sì! Ripensandoci quella parola esprimeva esattamente il suo stato d’animo.

E pensare che quella doveva essere LA serata, invece si ritrovava solo a casa e per giunta aveva litigato con Hiro! E poi aveva pure iniziato a piovere!

Akira fece il giro delle camere e spense tutte le candele. Il fumo ondeggiò riflesso nell’acqua, mentre fuori la pioggia scrosciava. Il ragazzo si appoggiò allo stipite della camera da letto e guardò un tuono illuminare la città immersa nel buio. Tutto sommato era un bene che Hiro fosse rimasto a Tokyo, così aveva evitato di affrontare quella tempesta. Hiro-kun detestava guidare con la pioggia, lo innervosiva!

Avrebbe dovuto scusarsi con lui. Cosa importava quale fosse il giorno, l’importante era stare assieme e poi era sicuro che se Hiro ne avesse avuto la possibilità avrebbe rinunciato alla cena, ma era un impegno di lavoro molto importante. Era un grande passo ed era giusto che lo percorresse… senza di lui.

Fece scivolare la mano lungo i pantaloni e prese il cellulare dalla tasca. Senza distogliere lo sguardo dalla pioggia, compose il suo numero di telefono. Avrebbero festeggiato il giorno dopo.

 

Ora ne era sicuro: qualcuno nell’alto dei cieli macchinava contro di lui! Non si poteva avere tutta quella immensa sfiga! Aveva litigato con Akira, aveva iniziato a piovere (e quella più che semplice pioggia era una tempesta!), era rimasto bloccato nel traffico, era stato costretto a chiamare Masami per chiedergli di giustificarlo, subito dopo gli si era scaricato il cellulare, aveva incontrato due incidenti stradali e ora, dulcis in fundo, gli si era fermata la macchina! Ma si poteva essere più sfigati? Ora gli toccava uscire dall’abitacolo ed inzupparsi d’acqua! Se non gli fosse venuto un accidente allora, non gli sarebbe mai più venuto! Fortunatamente era quasi arrivato, peccato che dall’auto alla meta non vi fossero ripari -.-. Sospirò rassegnato e scese dalla macchina.

 

Non era raggiungibile! Sicuramente era arrabbiato con lui e a buon ragione! Aveva pure chiamato Masami ma questi aveva il telefono staccato. Beh non c’era da preoccuparsi! Hiro doveva essere già arrivato da chissà quanto tempo al ristorante e gli aveva sicuramente ordinato di staccare il telefono, temendo che chiamasse lui. Era proprio da Hiro!

Decise di scendere in cucina e prendersi qualcosa da bere. Non aveva proprio voglia di mangiare! Si sdraiò sul divano, cercando di non pensare. Provò ancora alcune volte a comporre il numero di Hiroaki, ma lo trovò sempre irreperibile e alla fine si addormentò lì, mentre la tempesta arrivava al suo culmine. Si destò al suono del campanello. Si alzò assonnato ed andò ad aprire.

<< Hiro? Che ci fai qui? Ma… ma sei zuppo! >> disse uscendo di casa e andandogli incontro.

Per tutta risposta ricevette un bel pugno sul viso.

<< Ma che diavolo ti prende? >>

Hiro era fermo al centro del vialetto, tremante.

<< Non farlo mai più! >> gridò in preda alle lacrime.

<< Fare cosa? >>

<< Non dire e non pensare mai più che il mio lavoro venga prima di te! Sei tu il dannato egoista Akira! Come diavolo puoi pensare che io metta il mio mondo davanti a te, quando sei tu il mio mondo! Lo sei sempre stato, dannazione! >>

Il ragazzo gli si appoggiò contro, con i pugni contratti e il corpo tremante. Akira lo strinse a sé.

<< Scusami Hiro! Hai ragione quando dici che sono io l’egoista! È solo che… io vorrei trascorrere tutta la mia vita con te. >>

Hiro alzò lo sguardo incredulo.

<< Hiro…. >> lo seguì con lo sguardo il diretto interessato mentre lui s’inginocchiava e la pioggia, curiosa, gli accarezzava lentamente il volto: << Ecco io… ho pensato e ripensato mille volte a ciò che desideravo dirti, ma tutto ciò che adesso mi viene in mente è: vuoi sposarmi? >>

Koshino si lasciò cadere sulle ginocchia. Allacciò le braccia dietro il collo del compagno e lo strinse forte.

<< Certo che voglio, stupido testone! >>

<< Hiro… almeno ora… potevi essere gentile con me! >>

I due ragazzi si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. La pioggia, intanto, si allontanava silenziosa, lasciando spazio ad un cielo colmo di stelle.

 

 

 

<< Non mi hai ancora detto che ci fai qui. E la cena? >> gli chiese Akira lasciando scivolare la mano lungo la sua schiena.

<< Ero davvero arrabbiato stasera, con te e soprattutto con me. Sono andato al Rainbow e stavo anche per entrare, ma alla fine non ci sono riuscito. Continuavo a pensare a te e le tue parole mi vorticavano nella mente. Al principio avrei voluto prenderti a schiaffi, per questo sono ritornato sui miei passi. Ho preso l’uscita per Kanagawa e ho chiamato Masami, spiegandogli tutto e chiedendogli di inventarsi una scusa. >>

<< Povero Masami! Un giorno o l’altro gli verrà un esaurimento! >>

<< Già! Domani mi scuserò con lui e lo farai pure tu! >> vide il ragazzo sorridere e annuire e tornò a guardare quella piccola fedina d’oro bianco. Gli stava proprio bene. << Man mano che mi allontanavo da Tokyo ripensavo a noi e a ciò che per me era importante e queste due strade conducevano sempre e solo a te. Allora ho iniziato a pensare a quando dovessi esserti sentito ferito e la mia rabbia è diventata senso di colpa. Desideravo solo scusarmi con te! >>

<< E quel pugno allora? >>

<< Quel pugno te lo meritavi! Per colpa tua ho rinunciato ad una cena con il mio regista preferito! >> ironizzò Hiroaki depositandogli un bacio veloce sulle labbra.

<< Ti amo Hiro! >>

<< Ti amo Akira! >>

<< Ce la farai a sopportarmi per tutta la vita? >>

<< Ti dirò… >> si voltò Hiro, avvicinandosi ancora di più: << C’è sempre il divorzio no? >>

<< Oh beh… se credi che te lo conceda… >>

Hiro si sistemò meglio nell’abbraccio sempre più stretto di Akira. Respirò piano il profumo della sua pelle e si addormentò, cullato dalle sue carezze.

Cosa c’era di più importante? Nulla.

  
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