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Autore: ciarychan    20/07/2016    0 recensioni
"L’ultima cosa che sentì, prima di perdere i sensi, fu la sensazione di cadere nel vuoto e la certezza che non ci sarebbe stato nessuno a rallentare la sua caduta. "
"-Fermatevi o le taglio la gola!- sentì gridare dal suo sequestratore.
Vide tutti gli uomini fermarsi e voltarsi nella loro direzione con aria stupita.
-E chi la conosce quella sgualdrina!- un uomo barbuto sputò a terra, guardandoli con aria crudele. Bastarono pochi secondi per fargli riprendere la battaglia e sgominare il suo avversario.
Emma si sentì girare e guardò l’uomo che la teneva stretta."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Emma Margue vagava senza meta per le stanze della villa, osservando con accurata attenzione tutti i quadri appesi alle pareti. Era la prima volta in cui non aveva le guardie del corpo appresso e sentiva quella libertà che aveva sempre sognato a portata di mano. Da quando era arrivata con il suo futuro marito nella reggia, cinque ore prima, era riuscita ad escogitare almeno una decina di piani per scappare via da quella vita monotona e costrittiva. Tutti, però, finivano con la sua cattura da parte di suo padre o uno dei suoi scagnozzi. Sospirò, mentre entrava in un’altra stanza abbellita solo di una scrivania e una libreria carica di libri. Passò il dito sulle copertine di alcuni tomi, sentendo il cuoio solleticarle l’indice. Suo padre era un ricco imprenditore a cui non piaceva chi gli disobbediva. Era abituato ad avere tutto ciò che voleva senza badare al prezzo. Adorava dare ordini e gioiva nel vederli rispettati. Se qualcuno osava opporsi veniva licenziato o messo a fare i lavori più umili perché voleva dire che non aveva gli stessi obiettivi del suo padrone. Un altro sospiro le uscì dalle labbra, ripensando alla generosa offerta che gli aveva fatto, o almeno così l’aveva chiamata lui. Guido Margue aveva promesso la sua mano ad un suo rinomato collega in cambio di un lussuosissimo hotel a New York. Per lui era stata un’offerta per mettere al sicuro sua figlia nelle mani di un uomo che sarebbe stato in grado di mantenerla a vita. Per lei, invece, erano solo affari. Se suo padre si fosse interessato veramente a ciò che voleva non le avrebbe mai imposto di sposare un uomo sconosciuto. Non le avrebbe mai vietato di seguire la sua passione per le erbe e la medicina tradizionale. Non avrebbe fatto tante cose se solo non mi vedesse come una merce di scambio, pensò fra sé e sé mentre si avvicinava alla scrivania. Sul piano del tavolo era aperto un libro con le pagine ingiallite e le lettere disegnate a mano. Era una calligrafia antica, piena di ricami che rendevano ancora più bello quel semplice tomo. Lesse alcune pagine in cui si raccontava dell’avventura di una donna e un cavaliere. Era una storia per bambini dai tratti romantici e avventurosi. Narrava le gesta di un uomo pronto ad affrontare la morte pur di salvare la donna amata e il suo paese. Emma girò le pagine seguenti, avvolta dalla magia di quella favola, finché non fu attratta da un disegno. Era stato dipinto a mano, come fosse un mosaico, ma la figura in sfondo si riconosceva bene: era una donna bionda dall’aria nobile e lo sguardo fiero. I lunghi capelli biondi erano sciolti sulla spalla. Dietro di lei era rappresentata una persona incappucciata nascosta tra gli alberi. Sotto quel bellissimo disegno c’era una didascalia: L’Ombra non lascia mai la sua donna. La protegge sempre, nascosto nell’oscurità. Gli occhi castani della ragazza la osservavano ammirati, quasi gelosi: lei non avrebbe mai vissuto una storia d’amore romantica ed era convinta che pochi dei suoi coetanei l’avrebbero mai provata. Aveva osservato i ragazzi della sua età crescere e perdere il contatto con la realtà, troppo attaccati alla tecnologia per accorgersi che le cose importanti sono quelle che accadono al di fuori di un sito internet o di un social network. Dov’erano finite le lettere d’amore? O le cartoline? Nessuno usciva più per giocare nel parco o prendere una boccata d’aria. Rimanevano tutti in casa a chattare e fingere di essere le persone più felici del mondo sul web. Nonostante le donne e le libertà avevano fatto progressi, suo padre era rimasto uno all’antica. Uno uomo che dominava sulle donne di sua proprietà e che credeva di avere il diritto di decidere la vita di sua figlia. -Cosa fate qui?- domandò una voce molto familiare. Emma alzò gli occhi dal libro e li puntò sull’uomo appoggiato allo stipite della porta da cui era entrata. I capelli rossi erano tirati indietro da uno spesso strato di gel e gli occhi azzurri la fissavano con astuta arroganza. Aveva una decina di anni in più di lei e anche se li portava bene, i segni dell’età si facevano vedere sulla fronte. O forse le rughe sono dovute allo stress di stare dietro a mio padre, pensò e in quel momento e le scappò un sorriso. -Vedo che c’è qualcosa che vi diverte. Volete condividerla?- Carl Genis si fece avanti con il suo passo arrogante, mettendosi di fronte a lei. Solo la scrivania li separava. -Stavo leggendo questo libro e lo trovavo molto interessante.- rispose, senza degnarlo di uno sguardo. -Sapete, stavo giusto parlando con vostro padre e siamo giunti alla conclusione che non c’è motivo di aspettare.- la ignorò deliberatamente e a quelle parole tutto il corpo di Emma si irrigidì. Aveva capito benissimo i significati che si celavano dietro quelle parole. Carl fece il giro del tavolo e si appoggiò al bordo, prendendo la treccia tra le mani. La sua colonia, dal profumo intenso e legnoso, avvolse tutta l’aria intorno a loro, tanto che per Emma fu difficile respirare. -Non abbiate paura, sarò gentile con voi la prima notte di nozze.- un ghigno gli attraversò il volto mentre gli occhi chiari rimanevano fissi sui suoi capelli. Quando decise di alzarli e guardare la ragazza il mondo si gelò. Emma sapeva cosa l’aspettava e non poteva tirarsi indietro. Odiava quell’uomo più di suo padre, perché sapeva che aveva un anima oscura e di certo non sarebbe stato gentile con lei conoscendone il temperamento. -Se volete scusarmi, credo voi dobbiate tornare ai vostri affari e io sono stanca. Penso andrò a riposarmi in giardino.- senza dar modo di aggiungere altro, chiuse il libro e corse fuori dalla stanza. Il cuore le batteva a mille nel petto e sentì strisciarle addosso il suo sguardo mentre scappava via. Non scapperò mai da questa prigione, pensò mentre le lacrime le oscuravano la vista. Solo quando sentì l’aria pungente dell’inverno accarezzarle il viso riuscì a calmare il suo cuore in tumulto. Senza saperlo era arrivata in uno dei giardini interni della villa, circondato da alberi che portavano le ultime foglie marroni sui rami. Al centro del cortile si ergeva una lastra di pietra altra tre metri, circoscritta da un cerchio di sassi, delimitato da alcuni cespugli verdi. La ragazza era ancora troppo agitata per chiedersi quale fosse il ruolo di quella lastra in quella casa ma appena si sedette li vicino, appoggiando la schiena al freddo della roccia, sentì una scarica elettrica. Si asciugò con la manica le lacrime che le erano sfuggite sulle guance. Guardò dal basso la vetta del monumento, vedendo un cielo limpido, privo di nuvole, dove volteggiavano due passerotti. - Fortunati voi che potete volare via liberi.- sussurrò, stringendosi le gambe al petto e continuando a guardare quella danza. Avrebbe pagato qualsiasi cosa per poter scappare da quella vita: lontana dal padre che la vedeva solo come una merce di scambio e dal suo avaro pretendente. Per una come lei, però, era impossibile. Forse sarebbero bastate due semplici ali per risolvere tutto. Due ali robuste che le permettessero di librarsi nell’aria e sentire la libertà scorrerle tra le dita. -Ci vorrebbe giusto un cavaliere che mi venga a salvare. - sorrise tra sé e sé per aver dato voce a quel pensiero assurdo. Appoggiò la testa alla pietra chiudendo gli occhi e pregando con tutta sé stessa di riuscire a trovare una soluzione. Cosa avrebbe dovuto fare? A chi si poteva rivolgere? Non riuscì neanche a finire quel pensiero che un boato percosse l’aria e la pietra su cui era appoggiata incominciò a tremare. Alzandosi di botto, per paura che le cadesse addosso qualcosa, osservò il monumento immobile davanti a lei. Per un attimo credette di esserselo immaginato poi quel suono si ripeté. Emma guardò con attenzione tutto ciò che stava accadendo: la terra sotto i suoi piedi sembrava tremare e spingerla verso la roccia e il suono accresceva sempre di più. Il fragore proveniva dal macigno e sembrava dargli voce, riecheggiando dentro di lei e facendole vibrare il petto. Appoggiò le mani sulla lastra di pietra e tutto si fermò. Nessun rumore. Nessun boato. Tutto era immobile, sospeso nel tempo. In un nano secondo si ritrovò per aria, sospesa nel cielo, come gli uccelli che aveva visto pochi minuti prima. Si sentì leggera e subito non capì quello che le stava succedendo: vedeva la casa rimpicciolirsi sempre di più tant’è che arrivata ad una certa altezza fu presa da un attacco di vertigine. Stava succedendo qualcosa che andava fuori da ogni sua logica e piano piano tutto si fece buio. L’ultima cosa che sentì, prima di perdere i sensi, fu la sensazione di cadere nel vuoto e la certezza che non ci sarebbe stato nessuno a rallentare la sua caduta.
  
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