PROLOGO
Erano saliti in cima a tutte le scale del palazzo, ma ora erano bloccati da una maledettissima porta che era bloccata da un lucchetto. Serviva qualcosa per forzarla. Due di loro erano scesi di corsa per cercare qualcosa per forzarlo, ormai erano dieci minuti ancora niente. Ne erano rimasti tre vicino alla porta chiusa, erano impazienti. Uno di loro aveva un busta di plastica in mano, mentre gli altri due chiacchieravano.
Sentirono il rumore di chi correva per le scale, la conversazione finì e uno dei due si rivolse al ragazzo con la busta
Avevano il fiato corto dato che si erano fatti di corsa dieci piani di scale, ma anche perchè canticchiavano una canzone del rapper preferito del gruppo: Sempre in giro di Gemitaiz.
Gianmarco fece il segno di levarsi a tutti quanti e si mise subito in prima linea per spezzare il lucchetto. L'operazione durò qualche minuto in più del previsto ma, quando lo forzò fece entrare tutti i compagni per prima e lui aspettò, si chinò in basso e prese il lucchetto appena spaccato in mano, lo rigirò un paio di volte e se lo mise in tasca come fosse un bottino di guerra.
Gli altri gli avevano lasciato il posto vicino a Flavio, il suo migliore amico, praticamente suo fratello. Si misero seduti lì, al bordo della terrazza del palazzo più alto di Casal de Pazzi. Flavio, Gianmarco, Luca, Alessio e Edoardo. Una banda di amici, che si erano conosciuti alla squadra della parrocchia, ma non erano propriamente ragazzi di chiesa, che fumano, amano il rap e vivono essenzialmente insieme. Dal bordo di quel palazzo che dava la panoramica di Talenti, Flavio tirò fuori dalla busta di plastica un truzzo, l'aggeggio che serva a macinare l'erba, e una bustina con dentro una mezza d'erba. Si fece dare la cartina lunga da Alessio e si mise a farla. Rollare una canna era uno dei suoi passatempi preferiti, era un procedimento metodico, paziente e preciso. Apriva la cartina, prendeva un filtro o se ne faceva uno con qualcosa, solitamente un pezzo del pacchetto di sigarette, macinava l'erba con il truzzo, metteva l'erba nella cartina, tabacco, girava, leccava, bruciava la carta in eccesso, prendeva l'accendino, s'appicciava la canna e solitamente il primo tiro era secco, diretto, è corto. Venne fatta girare, a turno, tutti (tranne Edoardo, l'unico ragazzo che non fumava erba, ma non dategli mai in mano una bottiglia di Malibù) si fecero un tiro e guardarono le luci di Roma che si spegnevano. Era l'una di notte di una domenica di fine maggio, la scuola era praticamente finita e sti cazzi se domani si sarebbero alzati come dei zombie.
La canna fece il suo corso e tornò dal suo rollatore Flavio che si lasciò andare facendo un secondo tiro completamente di diverso dal primo. Diceva che una canna andava assaporata al secondo tiro non al primo, che l'erba più buona, quella di qualità sta al centro. La seconda boccata era quasi eterna, respirava erba e aria contemporaneamente, entrava in circolo nei polmoni, si girava tutto il corpo ed usciva. Sugli occhi di Flavio scese una leggera nebbiolina, quasi un velo. Che sensazione magnifica! Nel frattempo che Flavio toccava il suo nirvana, Edoardo, suo compagno di banco, collegò il suo telefono alla cassa verde portatile della HP e mise la musica. Di chi?? Di Gemitaiz, naturalmente. Il loro artista preferito. Saltò la prima canzone, per mettere la seconda canzone, la canzone che mettevano in questi momenti, la chiamavano “la canzone della fattanza” o “il pezzo dello sfascio” perchè sostanzialmente sulle note di Bene, l'essere fatti ci calzava a pennello.
Dopo le risate, la discussione si spense. Al contrario venne accesa un'altra canna e venne fatto un intero giro e quando Flavio espirò il suo secondo tiro venne chiamato da Alessio.
Passò anche qui un paio di attimi di silenzio finché Alessio esclamò
Mado che serata!
Mentre la musica continuava ad aleggiare nell'aria, i cinque ragazzi continuavano a sparare cazzate e a ridere. Si erano fatte tipo le tre e mezza di notte, nell'aria riecheggiava Quello che mi chiedi e Flavio si alzò e si allontanò dal cornicione, si abbassò per allacciarsi le scarpe, ritornò in piedi, si batté la mano sul petto, proprio sopra il cuore, si baciò il dorso della mano e poi indicò il cielo e si fermò. Si alzò Gianmarco e ripeté lo stesso rituale e a turno tutti i ragazzi su quel tetto lo fecero finché si trovarono tutti in piedi abbracciati come una squadra mentre canta l'inno. Si sciolsero insieme dall'abbraccio, si presero per le mani, fecero tre passi, si misero in piedi proprio dove pochi minuti prima erano seduti, al limite del cornicione, si affacciavano sul baratro, sul nulla, sull'aria che li avrebbe trasportati giù in un attimo in una spirale di morte. Non gliene fregava niente a nessuno. Avrebbero sempre vissuto, al limite. E se sarebbero morti, sarebbero morti con i propri fratelli. Presero una boccata d'aria, si lanciarono delle occhiate furbe. E alle 3.48 della domenica 29 maggio 2016 strinsero la presa delle mani e urlarono forte, con tutto il fiato che avevano, a squarciagola
Uscirono dalla porta e Flavio rimase per ultimo in piedi sulla cassa che si trovava a destra della porta.
Uscì dalla porta che si richiuse con un tonfo.
Mado che serata!