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Autore: Anonymous_blake    22/07/2016    1 recensioni
"Sono una guerriera, una sopravvissuta, conosco un solo sentimento: la vendetta..."
Un brusco risveglio, strani incontri, un posto sconosciuto e nessuna via di scampo.
Prigioniera di una realtà contorta che non le appartiene, lotterà per liberare se stessa e le persone che ama.
Ma a volte il coraggio non basta a salvarti la vita.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un dolore lancinante alla testa mi svegliò bruscamente da quel sonno forzato. Non riuscivo a muovere le gambe, mi sentivo la gola secca e gonfia, il sangue mi martellava nelle orecchie. 
L'ultima cosa che ricordavo era di essere rientrata al villaggio assieme agli altri dopo il turno di pattuglia... ricordavo di essermi tolta la cintura delle armi, gli stivali, le spade... Poi il vuoto.

Riuscivo a malapena a tenere gli occhi aperti, un pesante velo di stanchezza e dolore mi aveva investita all'improvviso, come il mare che in preda ad una violenta tempesta si abbatte crudele sulla riva. 
Le braccia e le gambe erano piene di lividi e tagli, mentre sull'addome si apriva uno squarcio frastagliato e sanguinolento. 
Gran parte del sangue che macchiava la maglietta era già incrostato...la ferita doveva essere ormai vecchia di qualche ora. 
Conoscevo le mie cicatrici a memoria, proprio come un cartografo conosce tutte le strade disegnate sulle sue mappe. 
Quelle che vedevo corrermi su per tutto il corpo, erano ferite nuove... Fresche...
Dovevo aver combattuto... 
del resto quella era la spiegazione più plausibile al fatto che fossi ammanettata in una lurida cella, chissà dove nella foresta. Non ricordavo niente, era come se avessero rimosso dal mio cervello i ricordi delle ultime ore...

I muri erano incrostati di muffa e l'aria irrespirabile sapeva di umido, riuscivo a vedere soltanto tre delle quattro pareti della stanza, l'altra era inghiottita dall'oscurità più totale.
Pian piano cominciai a riacquistare sensibilità alle gambe, come se migliaia di aghi mi pungessero senza sosta la pelle, inviandomi ogni volta piccole scariche elettriche.
Mi sentivo così stanca, con la testa pesante e gli occhi troppo gonfi per poter restare ancora svegli. Il dolore fisico che provavo era talmente devastante che mi aveva completamente svuotata, come un grosso uncino, pronto ad estrarre fino all'ultima goccia di linfa vitale dalle mie vene.
Mentre lasciavo che il mio corpo e la mia mente cedessero al dolce richiamo del sonno, sentii un rumore inaspettato. 
Un cigolio... Poi lo sfregare di catene... un lieve gemito e infine un urlo straziante. 
Cercai a fatica di trascinarmi verso il centro della stanza... Forse non ero sola... C'era qualcun altro lì? 
All'improvviso un dolore mi spezzo il fiato costringendomi ad accasciarmi sul pavimento. 
La ferita si era riaperta...
Il sangue mi esplose in bocca, il suo sapore metallico mi dava la nausea e il pavimento sotto di me ne era zuppo così come la mia maglietta.
Cominciai a tossire in preda agli spasmi, contorcendomi convulsamente come un cane bastonato. 
Non riuscivo a fermarmi, mi mancava l'aria. 
Stavo soffocando.

Le pareti attorno a me cominciarono a girare vorticosamente, gli oggetti pian piano scomparivano, lasciando spazio ad ombre di figure indistinte, mentre una densa nebbia si apprestava a cancellare le ultime immagini di realtà che mi restavano.

Sentii improvvisamente la gelida stretta di due mani cadaveriche serrarsi attorno alle mie spalle e ancora una volta fui bruscamente risvegliata da un sonno letale.
Ero piegata su un fianco e sputavo sangue a fiotti... Il viso e le mani erano ricoperte dal liquido nerastro, mi veniva da vomitare. 
Ricominciai a tossire sempre più forte, sempre più violentemente. 
Una volta terminati gli spasmi mi sdraiai pancia all'aria pavimento, sentivo il mio cuore battere selvaggiamente mentre il respiro si faceva sempre più affannoso.
Girai lentamente la testa, mi faceva male e le vertigini rendevano ancora più impossibile sopportare quel dolore.
"Stai bene?" Mi sollevai di scatto e quasi svenni per lo sforzo e lo spavento, ma riuscii comunque ad intravedere l'esile figura di una ragazzina seduta a qualche centimetro di distanza da me. 
A giudicare dal viso aggraziato, i lineamenti gentili, la pelle perfetta ed estranea ai segni della guerra, quella ragazza doveva probabilmente essere una dei Privilegiati.
"Sì sto bene...grazie di avermi... Aiutata. Dimmi un po' come ti chiami?" 
"Lexa e tu?"
"Non importa" risposi con voce strozzata e spenta.
Non avevo nemmeno la forza di respirare, ma in qualche modo mi sollevai e mi misi a sedere con la schiena contro il muro; ero sudata, con i capelli appiccicati alla fronte e la maglietta che aderiva al corpo... non riuscivo più a ragionare, dovevo avere la febbre altissima... La ferita si doveva essere infettata e il corpo ora cercava di reagire.
Se non mi fossi sbrigata a fermare l'emorragia in tempo, sarei morta dissanguata nel giro di poche ore.
Inspirai profondamente per regolare il battito cardiaco, dovevo liberare la mente dalla paura, del resto non era certo la prima volta che rischiavo di morire.
"Ehi non hai un bell'aspetto..."
"La ferita è infetta, il corpo sta cercando di espellere il veleno, ma non ci riesce..." Parlavo a fatica e ad ogni suono che emettevo il sangue mi risaliva dalle viscere fino alla bocca.
Lentamente avvicinai le mani all'orlo della maglietta e ne strappai un pezzo.
Non era il massimo, ma pur sempre meglio di niente.
Lo legai il più stretto possibile attorno alla vita e poi ne misi un pezzo per coprire la ferita; in questo modo avevo guadagnato qualche minuto in più, al massimo qualche ora, ma se non avessi cauterizzato la ferita al più presto, tutti questi sforzi sarebbero stati vani...
"Sei stata eccezionale la fuori" riprese la Lexa "Non avevo mai visto nessuno combattere come te prima d'ora...Loro erano in tanti e tu da sola, senza scarpe, senza armi ne protezioni eppure hanno dovuto addormentarti per riuscire a ferma..."
"Aspetta aspetta, chi è che mi ha...?"
Prima che potessi finire la frase, si sentì un rumore di voci, poi dei passi, le chiavi che entravano nella serratura e poi il cigolio della porta che si apriva, inondando di luce la nostra gabbia.
"Stai giù!" ordinai in un soffio alla mia compagna, poi mi rannicchiai per terra e chiusi gli occhi. 
Prima regola di sopravvivenza:se vuoi evitare che il predatore ti uccida fingi di esser già morto.

Non riuscivo a vederli, però potevo sentire i loro cuori battere e il loro respiro accelerare gradualmente. 
A giudicare dal numero dai movimenti che riuscivo a percepire dovevano essere almeno in due.
Appena varcarono la soglia, un urlo di terrore squarciò il silenzio della cella.
"Forza slegala, io penso ad immobilizzarla" ordinò subito una delle guardie all'altra. 
Questa ubbidì e prese per i polsi Lexa, la sentivo dimenarsi, lottare, tirare calci e sbraitare, ma loro erano in due e a volte, il coraggio non basta a salvarti la vita.

"Dell'altra invece che ne facciamo?"
"Il sedativo dovrebbe durare ancora per un'po', passeremo più tardi, prima che si risvegli"
"Certo signore, quello che desidera signore! Se posso farle una domanda... Secondo lei quella lì, la metteranno con gli altri o la sbatteranno nel programma Speciali?"
"Non saprei, niente di certo per il momento, tranne il fatto che sia un soggetto altamente pericoloso. Non sarà facile gestirla..."
Sapevo che si riferivano a me... Ma non capivo, cos'era il programma Speciali, dove diavolo mi trovavo e chi erano "gli altri"? Era tutto così confuso. Dovevo uscire da quella cella alla svelta.
Sentii gli uomini trascinare Lexa fuori dalla stanza e poi chiudere la porta. 
Ero di nuovo in trappola.

Il tempo passava in fretta, avevo i minuti contati, le guardie sarebbero tornate a breve per portarmi via.
Dovevo difendermi, non potevo morire così, la mia battaglia non era ancora finita. 
Un guerriero non si arrende mai, nemmeno nelle situazione più impossibili.
Mi rimisi quindi a sedere con grande fatica e mi guardai attorno molto attentamente.
Seconda regola di sopravvivenza: qualsiasi cosa anche la più innocua, può trasformarsi in un'arma. 
Ma di certo non se si è rinchiusi in una lurida cella spoglia, per di più incatenati e feriti a morte.
"*Maledizione*" urlai sbattendo i pugni per terra talmente tanto forte da far cadere parte dell'intonaco attorno all'attaccatura delle catene rivelandone un'estremità appuntita conficcata nella roccia.
Mi alzai di scatto ignorando le fitte di dolore. Eccola, avevo trovato la mia arma!
Ironicamente ciò che mi teneva prigioniera in quel posto, era appena diventata la mia unica .speranza di salvezza.
Cominciai a scavare freneticamente, picchiavo i polsi ammanettati contro la parete, tiravo le catene, sbattevo i piedi e i pugni e più il muro cedeva, più ferocemente io mi ci scagliavo contro.
Strattonai un ultima volta le catene fin quasi a spezzarmi i polsi, poi scavai fino a rompermi tutte le unghia e una volta che le mie braccia furono zuppe di sangue le catene finalmente cedettero, scardinandosi dalla parete. Recuperai freneticamente da terra ciò che era caduto. 
Quello che mi stavo rigirando in mano era a tutti gli effetti un pugnale, magari non dei più elaborati, ma pur sempre letale. 
Quelle guardie erano spacciate.

Rimisi la mia arma al suo posto e mi accovacciai per terra, in attesa dell'arrivo delle guardie.
Appena sentii scattare la serratura, il tempo si congelò, il battito cardiaco cominciò ad aumentare, i sensi ad affinarsi, avevo i muscoli tesi come corde di violino, pronti a scattare da un momento all'altro.
Era la tipica sensazione che precedeva ogni combattimento, dove l'adrenalina diventa padrona del corpo e della mente, il tempo si dilata, tutto rallenta, il dolore, la sofferenza, la stanchezza si azzerano, lasciando spazio solo alla rabbia e alla ferocia.
Passò qualche secondo prima che sentissi due mani serrarsi sul braccio destro e come se con quel tocco si fossero improvvisamente azionati i miei ingranaggi, scattai in piedi.
Estrassi il "pugnale" dalla parete e con un calcio feci volare via il fucile dalla mano della prima guardia, poi facendo leva sulle gambe, proprio come mi era stato insegnato, mi slanciai in avanti atterrando l'uomo, che colto alla sprovvista non ebbe nemmeno il tempo di esalare il suo ultimo respiro prima che gli squarciassi la gola.
Una pioggia di sangue, sgorgò dalla ferita appena aperta, macchiandomi il viso e i vestiti.
Prima che potessi rialzarmi l'altra guardia, senza esitare mi prese per i capelli, scaraventandomi violentemente per terra.
Sputai il sangue che mi riempiva la bocca impedendomi di respirare e poi balzai nuovamente in piedi. 
Feci roteare le catene in aria... l'uomo era terrorizzato.
Io, invece, avevo spazio per un solo sentimento: la vendetta.
Corsi verso di lui e gli sferrai un calcio allo stomaco, quello si piegò in due dal dolore, mentre io ne approfittai per infilzargli il pugnale nella schiena. Sentii la pelle lacerasi e le ossa spezzarsi sotto la mia preso, poi sollevai l'arma e la guardia cadde sul pavimento in preda a spasmi violenti.
Strappai le chiavi dal corpo ancora agonizzante dell'uomo e tremante mi diressi verso la porta. 

Una volta terminato il combattimento, l'adrenalina cessa di scorrere dentro le vene e come un'implacabile tempesta tutti i vecchi mali e tutto il dolore, si abbattono nuovamente su di te, rendendoti debole. 
A malapena infilai la chiave nella toppa e girai, poi sentii una fitta al tallone... Mi girai e vidi la guardia che avevo appena atterrato, immersa in una pozza del suo stesso sangue impugnare un fucile.
Mi aveva sparato... Ma non faceva male... Era una strana sensazione, come d'intorpidimento.
Non ebbi il tempo di rifletterci più di tanto poiché una rabbia incontenibile si era già impossessata del mio corpo. Con uno scatto repentino fui subito sopra il cecchino e anche questa volta, il mio istinto animale ebbe la meglio sul mio lato umano e con un rapido gesto puntai il pugnale al collo della guardia, che con il terrore dipinto in viso implorava pietà. 
Ma la pietà è la virtù dei deboli e così senza neanche pensarci, con un rapido gesto strappai via l'anima ad un'altro corpo.

Guardando più da vicino mi accorsi che quella che aveva sparato l'uomo non era una pallottola, ma una specie di siringa con un liquido verdastro... Doveva essere sedativo...La estrassi immediatamente e la gettai via. 
Se la mia teoria era giusta, allora non avevo tempo, dovevo uscire di lì alla svelta.
Spalancai la porta e sbucai in un lungo corridoio scavato nella roccia, dovevo trovarmi nei sotterranei di un qualche edificio immerso nella foresta... C'era muschio ovunque.
Cominciai a correre non sapendo ne dove andare, ne se sarei stata capace di difendermi nel caso in cui fosse stato necessario.
Ma non aveva importanza, io ero una guerriera, una sopravvissuta, niente mi faceva paura, niente poteva fermarmi.
Svoltai a destra e poi a sinistra, salii due rampe di scale per poi ritrovarmi difronte ad una porta chiusa. Tentai di scardinarla con un calcio, ma era troppo pesante. Qualsiasi tentativo fu inutile.
Non mi restava che aspettare che qualche malcapitato venisse ad aprirla.
Raccolsi le ultime forze che mi restavano e lottando contro il sonno che minacciava di sopraffarmi, e contro il dolore che desiderava uccidermi, mi appostai al lato della porta con il "pugnale" stretto in mano. 
Ero pronta.
   
 
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