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Autore: FeRaccoon    23/07/2016    0 recensioni
Si sentiva un idiota anche perché forse la decisione di traslocare non era la cosa giusta da fare; sapeva che probabilmente, dopo aver smaltito la forte delusione, se ne sarebbe pentito.
Paradossalmente i ricordi legati ad ogni singolo anfratto della propria dimora erano sia il motivo per cui stava andando via sia quello per cui voleva rimanere. Non era facile lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare, ma sapeva fosse necessario.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Qual modo migliore di inaugurare il mio account efp se non quello di pubblicare una breve one-shit one-shot riguardante un mio oc al quale sono particolarmente affezionata?
Consideratelo un flusso di coscienza durante il quale si fondono ricordi, pensieri ed immagini reali.
Spero apprezzerete! 
Buona lettura ❤

 


 

 

Si sentiva un po’ un idiota, a dirla tutta. 

Era la prima volta che affrontava un trasloco da solo ed era talmente stanco, sia fisicamente che mentalmente, da avvertire già dopo qualche ora di non riuscire a farcela. Proprio per questo se ne stava steso sul proprio letto ad osservare il soffitto con sguardo sperduto, svuotato di tutti gli intenti che, fino a qualche istante prima, lo stavano animando. 

Aveva stupidamente tirato fuori dal proprio armadio tutti gli indumenti che vi erano all’interno, buttandoli un po’ sul letto, un po’ a terra o sulla sedia di fronte la scrivania. A quelli si sommavano libri, manga, cd, strane riviste dimenticate e chissà perchè nascoste sotto il proprio letto, vecchi peluche e oggetti vari dei quali ignorava l’esistenza da anni, già sparsi in precedenza per tutta la stanza.
Vi era quasi più caos attorno a sé che nella propria testa… e ce ne voleva. 
Da dove iniziare?
Magari poteva piegare i vestiti e metterli ordinatamente in pila per poi inserirli nello scatolone che aveva preparato appositamente, ma il problema era: dove poggiarli se a malapena aveva lo spazio per muoversi? Forse sarebbe stato meglio iniziare dagli oggetti fragili, avvolgendoli in quella simpatica plastica piena di bolle d’aria che tanto amava scoppiare, ma vi era così tanto soqquadro che anche quello risultava difficile.
Ciò che rendeva tutto ancor più “divertente” era che anche nelle altre stanze vi era la stessa identica situazione.
In conclusione, l’ipotesi che più sembrava riscuotere successo, era quella di rannicchiarsi a guscio nel primo angolino libero della casa (che già in sé era un'impresa da trovare), piangere come una femminuccia e lì giacere fino a quando qualcun altro non avesse svolto il lavoro al posto suo. 

Si sentiva un idiota perché avrebbe dovuto procedere per strati come si era programmato in mattinata piuttosto che finire per seguire il proprio istinto e rovesciare (letteralmente) una casa. 
Si sentiva un idiota anche perché forse la decisione di traslocare non era la cosa giusta da fare; sapeva che probabilmente, dopo aver smaltito la forte delusione, se ne sarebbe pentito. 
Paradossalmente i ricordi legati ad ogni singolo anfratto della propria dimora erano sia il motivo per cui stava andando via sia quello per cui voleva rimanere. Non era facile lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare, ma sapeva fosse necessario. 
Le mura erano pregne dell'odore di chi vi si era avvicendato: ospiti più o meno desiderati, presenze più o meno stabili, familiari, amici… amori. 
Quella casa rappresentava l'incipit della propria storia personale.
Poteva affermare di aver iniziato a vivere realmente quando per la prima volta aveva valicato l'entrata della dimora in compagnia dell'agente immobiliare; si era guardato intorno ed aveva esclamato: "La compro!".
Taeko, sua sorella, spaventata da quella decisione tanto repentina e poco ragionata, aveva cercato di farlo desistere poiché considerava il punto in cui l'appartamento era situato troppo periferico e ciò lo avrebbe costretto a dover utilizzare la macchina per poter andare ogni mattina in facoltà, inoltre sarebbe stato complicato trovare un part-time nelle vicinanze.
Tuttavia, era risaputo: Haruka aveva una testa talmente dura da non poter essere scalfita nemmeno dalla certezza indissolubile che stava percorrendo la strada sbagliata.
Il ragionamento che aveva fatto era semplice: mi piace, mi ha colpito sin da subito, la sento già come se fosse casa mia, quindi la prendo.
La sorella si era dovuta subito arrendere di fronte alla sua ostinazione sfoggiando uno dei suoi soliti sguardi "materni" per raccomandargli quantomeno prudenza e di chiamarla ogni giorno.
Forse la verità era che, essendo vissuti in simbiosi per quindici anni, non voleva che la lasciasse "sola" coi propri genitori. 
Loro, tuttavia, rappresentavano il reale pretesto per il quale voleva starsene per conto proprio, lontano dalla casa dove era cresciuto.
Quei due non avevano battuto ciglio tre anni prima di fronte alla notizia che il loro primogenito avrebbe abbandonato il dolce nido per immergersi in oscuri mondi che tanto avrebbero fatto paura ad un normale genitore premuroso.
Non che avesse aspettative a riguardo, non che sperasse in un rifiuto, in un "resta con noi" o in un "vivere qua senza di te non sarebbe più lo stesso", ma, dopo averli visti così impassibili, ogni titubanza era svanita.
Lui, un ragazzino irresponsabile di 18 anni appena compiuti che ragionava più col proprio organo genitale che col cervello adesso viveva da solo.
Neanche il giorno prima, quando aveva chiamato la madre che non sentiva da Natale per avvisarla del repentino trasferimento, era andato incontro a divieti; non gli era stato chiesto nemmeno il motivo di quell'imminente cambiamento, avevano parlato solo di quanti soldi gli sarebbero serviti per disdire il contratto d'affitto attuale e stipulare il nuovo.


Su, Haruka, basta procrastinare!
Vediamo di imballare la maggior parte di questi oggetti, entro oggi! 
così si invogliava parlando a se stesso a bassa voce, ma, piuttosto che alzarsi, portò entrambi i palmi aperti sul viso. Li sfregò sugli occhi per poi percorrere lentamente l'interezza del proprio viso, longitudinalmente. Un sospiro pesante sfuggì dalle proprie labbra. 

Faceva così male quella solitudine sovrapposta ai ricordi di cui erano portatori quel letto sul quale giaceva e, in generale, quella casa.
Appena cinque giorni prima, proprio là, delle forti braccia lo stringevano a sé, illudendolo che quel dolce calore lo avrebbe scaldato anche la notte successiva, così come quella che ne sarebbe seguita e così via.
L'immagine dei contorni del suo petto, sui quali era solito poggiare il viso, erano ancora vividi nella propria mente; profumava di un odore che mai sarebbe riuscito a comparare a qualcosa di esistente in natura: Hajime sapeva di Hajime. Concentrandosi riusciva ancora a sentirlo dentro le proprie narici; maledetto, radicato e persistente.
Lo odiava, ma lo ricercava nella paura e nella consapevolezza che prima o poi ne avrebbe obliato il ricordo. 

Sarebbe stato bello se, insieme alla sua figura di spalle che in silenzio e non scomposta minimamente dal proprio pianto, fossero andate via anche le memorie, i suoni, gli odori, le sensazioni correlate a ciò che avevano condiviso, che fosse del sesso oppure un semplice stare vicini l'un l'altro.
Nel proprio fervido immaginario era solito pensare ai rimasugli della loro storia come ad una pila di pacchi sigillati con inquantificabili strati di scotch che si sarebbero dovuti trasferire altrove, insieme al proprietario, e non essergli lasciati in eredità. Poteva benissimo ignorarli, ma l'umana tentazione lo portava ad aprirli per rivedere cosa vi fosse al loro interno, rimanendone scottato. 


Cosa se ne doveva fare adesso lui dell'amore che ancora provava? 
A cosa serviva quel sentimento? 
A cosa potevano essergli utili quelle memorie se non a richiamare la nostalgia del passato? 
Lo aveva capito subito che quella porta, dopo essersi chiusa, non si sarebbe mai più riaperta, ma un illuso come lui non poteva che sperare in un ritorno.
Debole ed innamorato quale era non avrebbe titubato un attimo a riaccoglierlo nel proprio cuore, nonostante fosse stato lui stesso a dirgli di andare via.
Le motivazioni che gli aveva propinato per giustificare il fatto che non volesse più stare con lui, che tra di loro fosse finita ormai da tempo senza che se ne rendesse conto, non potevano che apparirgli mere scuse campate in aria per coprire l’amara verità che non l’amava più.
Non si sarebbe sforzato di comprenderlo, per quanto infantile potesse risultare in questo.
Non sentiva di meritarsi un abbandono inaspettato, soprattutto dopo ciò al quale aveva rinunciato per stargli accanto, dopo tutte le promesse che si erano fatti.
Avrebbe dovuto salvarlo, ma non ne era stato capace.
Si trattava di una sconfitta su tutti i fronti.
Cacciò quel flusso di pensieri sfregando con più forza le mani sui propri occhi
 ormai fin troppo stanchi di inumidirsi  ma è risaputo: pensare di non dover pensare a qualcosa vuol dire starla già pensando.
Infatti, ora seduto al capezzale del letto con lo sguardo passivamente puntato sul pavimento, riprese inconsciamente a lasciar vagare la propria mente. 

Un pensiero si affacciò subitaneo ed incontrollato alle porte della propria mente una volta giunto al valico della porta della propria stanza che si affacciava sul lungo corridoio del piano superiore: “Avrei dovuto scegliere Taylor”.
Non era di certo la prima volta che se l'era confidato in quei giorni ed un secondo dopo si pentiva di quella stessa affermazione.
Si sentiva pessimo perché sapeva che, se solo le cose con Hajime fossero andate per il verso giusto, probabilmente non sarebbe mai arrivato ad una tale conclusione.
Quel povero ragazzo, il proprio ex,  non meritava di essere una seconda scelta, un rimpiazzo, così come non si era meritato quello che gli aveva fatto; i sensi di colpa non avrebbero mai smesso di tormentarlo.
Si erano amati più di quanto avesse mai amato prima, ma il proibito
 incarnato nelle vesti del proprio coinquilino dal fascino dannato  si era sostituito all’abituale, confondendolo. Se tutto prima gli appariva chiaro, nel momento in cui Hajime gli aveva rivelato di aver nutriro in passato dei sentimenti per lui che – rivelazione delle rivelazioni! – aveva persino ricambiato e tutt’ora ricambiava, non era più sicuro della strada da percorrere. 
Non vi era emozione più difficile da sostenere che quella di non sapere dove il proprio cuore volesse trovarsi. 
Nel lungo periodo di stallo nel quale oscillava tra le braccia di Hajime e quelle del lasciato indietro, aveva semplicemente constatato che, seppur il proprio amore verso Taylor non fosse diminuito, non poteva fare a meno dell’altro. 
Così aveva messo fine alla loro storia, intraprendendone immediatamente dopo una nuova.
In stasi, il confine reale del punto nel quale stazionava si confuse col ricordo della notte in cui aveva avuto il coraggio di lasciarlo.
Affogava tra le proprie lacrime, visibilmente meno debole di chi aveva tutto il diritto di esserlo, codardo come non mai e sporco.
Gli occhi eterocromi di quello che in quell’istante era divenuto il proprio ex avevano una velatura di delusione che mai avrebbe voluto vedere dipinta sul suo bellissimo volto.
Aveva addirittura provato ad abbracciarlo; patetico.
Era stato un bene che l’altro lo avesse cacciato, costringendolo a continuare il proprio biasimabile teatrino in solitudine.
Ironia aveva voluto che, pochi giorni dopo che Hajime lo aveva mollato, il cellulare avesse squillato e “Taylor” fosse apparso sul proprio display.
Gli aveva inviato un sms per chiedergli di vedersi uno di quei giorni.
Con quale faccia avrebbe dovuto accettare quell’invito?
Rivederlo non gli sembrava la scelta migliore per entrambi, soprattutto se tutto partiva da una iniziativa del corvino, per cui si inventò di avere degli impegni, di non poterci essere, ma che sarebbe stato carino incontrarsi, magari più avanti. Fu un rifiuto elegante, in pratica. 
Lo sentiva forte e chiaro il karma che se la rideva alle sue spalle mentre subdolamente rigirava il coltello nella piaga.
Voleva davvero evitare che la propria situazione si complicasse ancora, ma soprattutto non voleva creare in quel ragazzo delle aspettative che sarebbero state probabilmente tradite.
Lo aveva amato e lo amava ancora quando aveva scelto Hajime al posto suo, ma pian piano il sentimento che provava per il secondo arrivato si era andato a sostituire alla rimanenza di quello che provava verso di lui.
E adesso? Non lo sapeva.
Semplicemente non gli era indifferente
 non sarebbe mai potuto esserlo  ed era di questo che aveva paura, perchè sarebbe stato facile sia innamorarsene che deluderlo di nuovo. E per quanto il primo pensiero fosse allettante, il secondo non lo era affatto (era qualcosa che si era assolutamente ripromesso di non fare più). 
In conclusione: rappresentava un’altra persona sulla quale mettere una pietra sopra ed un altro motivo per fuggire dalla propria dimora dove avevano consumato la maggior parte dei loro dolci momenti. 

Percorrendo il corridoio passò di fronte a quella che era la camera del proprio ex coinquilino\amante\ragazzo; accelerò il passo per arrivare all’imbocco della scala quanto prima possibile, abbassando lo sguardo per non poggiarvi sopra gli occhi.

… Idiota! mormorò a tono basso, mentre il proprio cuore proprio non voleva saperne di smettere di bussare al proprio petto, quasi volesse schizzargli fuori ed andarsene.

Dove aveva sbagliato? In cosa non era stato all’altezza? 
Gli tornò in mente quando, pochi giorni prima di Natale, Hajime gli aveva lasciato di fronte la porta di camera propria quello che doveva essere il suo regalo. Era un pacco contenente una felpa dal dubbio gusto estetico ed un album con le loro foto.
Avrebbe dovuto rappresentare il simbolo di un addio imminente: il coinquilino mai si sarebbe aspettato che nella mente del castano si affacciasse la scegliere lui quale amante e compagno, quindi rimanere ancora in quella casa sarebbe stato costernate per lui.
Fu quella la notte durante la quale si abbandonò per la prima volta alle sue labbra, agognate ormai da tempo, in un’atmosfera di complicità sospesa e colma delle loro voglie soppresse fino a quel momento.
Non poteva davvero crederci che tutto quello che avessero provato fosse terminato. 

Scese al piano di sotto e si guardò intorno: non vi erano altro che pacchi, oggetti ammassati, mobili coperti da cellofan e silenzio. 
In fondo l’indomani avrebbe abbandonato quella casa e il disordine era una necessaria conseguenza di quel trasloco. 
In quel momento avrebbe voluto dire a tutti coloro che credono fermamente che il dolore sia astratto e risieda solo all’interno della propria mente che lui piuttosto lo vedeva. Era la luce che penetrava attraverso le tapparelle della finestra della propria stanza, illuminando la propria figura senza nessun altro accanto; una cucina vuota; una porta chiusa; il riflesso del proprio viso allo specchio dopo una nottata passata a bere; un oggetto importante regalato da chi non fa più parte della tua vita; lo screenshot di un messaggio il quale contenuto non ha più valore per chi lo ha inviato; un luogo che rimanda a così tanti ricordi da sopprimere la parte più ottimista di te. 
Per questo quella casa doveva essere lasciata alle proprie spalle, così come i propri sentimenti, così come l’inganno di una seconda possibilità.
Doveva concedersi di ricominciare; sarebbe stato felice, lo sapeva. 
Come si ripeteva sempre: è tutta questione di tempo. 


 

 

 Sleep don't visit, so I choke on sun, and the days blur into one 
And the backs of my eyes hum with things I've never done 

Sheets are swaying from an old clothesline 
Like a row of captured ghosts over old dead grass 
Was never much, but we've made the most 
Welcome home

[Welcome Home - Radical Face]

   
 
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