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Autore: DarkYuna    24/07/2016    1 recensioni
Invece no, l’amore non guariva, l’amore non cambiava una persona, non interrompeva un processo di autodistruzione talmente attecchito da non potersi più arrestare. L’amore non era stato forte a sufficienza da impedirgli di farsi del male, di farne a me e di trascinarci assieme, vittime consapevoli, nell’inferno degli amanti.
L’amore era cieco, ma il dolore no, ci vedeva benissimo e faceva pagare la stoltezza per la cecità autoimposta.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Vieni Via Con Me*
 
 
 
 
 
 
Watched the clouds drifting away
Still the sun can't warm my face
I know it was destined to go wrong
You were looking for the great escape
To chase your demons away
For so long, I've tried to shield you from the world
You couldn't face the freedom on your own
Here I am
Left in silence

-Within Temptation “Forgiven”
 






 



Un delicata combinazione di rose bianche, candide gypsophila e lisianthus lilla plasmavano l’elegante bouquet sposalizio, adagiato sul capiente letto matrimoniale, dalle coperte lattescenti, spolverate da petali di tulipani.
 
 
Lo specchio rifletteva l’aggraziata figura longilinea, fasciata da strati tenui e soffici di raso e pizzo, che fasciavano il corpo magro, snellendomi ulteriormente e creando un’altezza illusoria, che non esisteva. I lunghi capelli di miele erano stati sistemati in una pettinatura semi raccolta, le ciocche intrecciate da un fermaglio dalla struttura di foglie di diamanti, che andavano a complementare la splendente parure, scelta da mia madre.
Il trucco un mezzo per ravvivare un viso pallido, mesto, grandi occhi tristi, lucidi, le lacrime premevano per traboccare sulla maschera perfetta di fondotinta e blush che velava l’espressione distrutta.
 
 
Deglutii rumorosamente due volte e gravai entrambe le mani affusolate sul petto, lì dove un cuore in tumulto si agitava nel silenzio del dispiacere. Avvertivo ogni battito, rintoccare gli ultimi istanti che mi separavano dal “sì” conclusivo per la definitiva condanna, che mi apprestavo a recitare da quasi un anno. E che adesso di sarebbe prolungata fino all’ultimo respiro.
Il dolore era come un tizzone ardente piantato nell’anima, faticavo a respirare, a concentrarmi lucidamente e a protrarre la finzione fino alla fine di questa giornata.
Avevo fatto felici tutti, tranne me.
Non riconoscevo l’immagine ferma che si rifletteva nello specchio. Tutto quel bianco, la capigliatura bionda, i monili sfavillanti, avevano plasmato una donna che non ero io e non mi riferivo solo a questo infausto giorno. Non era così che da bambina fantasticavo il mio matrimonio, non una pesante finzione per un cuore che si ribellava al mio controllo per fuggire lontano, lontano da questa casa, questa città, questo stato e andava ancora lontano, sempre più lontano.
 
 
All’inizio della recita mi ero illusa, obbligata a confidare che fosse la predilezione equanime, che, dopo la disperazione, meritavo un sorriso, seppur non autentico, una serena gioia, più che una passione ardente, che mi aveva consumata nel profondo. Ero stata certa che l’idea fosse onesta, non giusta, questo no, però una bonaccia, alla fine della bufera.
Però il piano si era rovesciato addosso a me, abile a tal punto nel recitare un personaggio artefatto, che il frangente mi era sfuggito di mano ed adesso non potevo più retrocedere: mi ero accontentata di non amare.
 
 
Sospirai depressa, colui che si era impossessato della mia vita era da tutt’altra parte, all’oscuro del peccato inconcepibile che stavo per completare. Spostai il tessuto voluminoso del vestito e, come richiamata da una speranza infondata, che avrebbe solo prolungato una crudeltà insanabile, mi accostai alla finestra.
Il sole di luglio splendeva in un cielo limpido, vicino al mezzogiorno, avrebbe rischiarato ogni ombra con raggi caldi e sfolgoranti, eppure non riusciva a far luce nelle mie tenebre.
Odiavo l’estate, non era il mese giusto per sposarsi, così come questo ingombrante abito era sbagliato, troppo bianco e abbagliante, per non parlare dell’aspetto da bambola di porcellana che vedevo: rimpiangevo i capelli neri. Non avevo avuto potere decisionale su nulla, più che un lieto evento, appariva come un incubo da cui non riuscivo a svegliarmi.
 
 
Perché io l’amavo ancora, Dio se l’amavo!
 
 
Accettare di sposare un altro, non aveva fatto altro che avvalorare il profondo amore immortale che nutrivo… non per il mio futuro marito, ma per l’uomo che oggi non era qui ad impedirmi di essere infelice per sempre.
 
 
“Oh Ville…”.
 
 
Il nome era un rimpianto taciuto sulle labbra schiuse, un desiderio di una veemenza feroce che impediva al cervello di ponderare altro se non a lui, al profumo della pelle, al ricordo dei capelli scuri, al modo sghembo in cui sorrideva, quando al mattino dichiarava un tenero “ti amo” al risveglio, come se la notte fosse durata secoli e l’avesse tenuto affannosamente lontano da me.
Non riuscivo a capire, forse, non volevo vedere, che per troppo amore una strada si divideva. Avrei fatto di tutto per lui, perfino morire, se ciò fosse servito a salvarlo.
Invece no, l’amore non guariva, l’amore non cambiava una persona, non interrompeva un processo di autodistruzione talmente attecchito da non potersi più arrestare. L’amore non era stato forte a sufficienza da impedirgli di farsi del male, di farne a me e di trascinarci assieme, vittime consapevoli, nell’inferno degli amanti.
L’amore era cieco, ma il dolore no, ci vedeva benissimo e faceva pagare la stoltezza per la cecità autoimposta.
 
 
Battei le palpebre, ricacciando indietro i lucciconi e i ricordi del mio penoso addio. Non avevo mai pianto così tanto in vita mia e non avevo mai smesso, solo che adesso lo facevo con gli occhi asciutti.
 
 
Il leggero bussare fu come lava liquida sui polmoni, mi sentii come quando dovevo fare gli esami all’università e la percezione non era per nulla gradevole. Provai a dare una mimica differente al volto, lo specchio non tradiva alcuna traccia di rammarico, sforzai un sorriso, gli occhi restarono ancorati al passato. Uno sguardo attento avrebbe visto l’abisso cupo in essi.
 
 
La testa della damigella d’onore sbucò sullo stipite bianco, raggiante oltre ogni dire, era da qualche giorno che era così felice che pareva fluttuare a dieci metri da terra. Non era mai stata così di buon umore, nemmeno quando le avevo confidato che stavo per sposarmi. A dispetto di tutti gli altri, lei non l’aveva presa come mi ero aspettata. 
 
 
Una ciocca color mogano le scivolò sugli occhi, sapientemente truccati. Con il vestito di tulle lilla assomigliava alla fata buona delle favole.
Teneva ancora l’indice ricurvo a mezz’aria, dopo aver interrotto il flusso spiacevole delle reminiscenze. Fu sul punto di dire qualcosa di divertente, ma la visione d’insieme di me vestita da sposa, le tolse il fiato e le spezzò le parole in gola.
<< Sei bellissima, Marianne. >>. Avanzò di due passi, restando però appoggiata alla porta semiaperta. << Se ti togliessi quello sguardo da funerale, sarebbe meglio, non credi? >>, dietro la domanda retorica, forte era il tono di disapprovazione, per quella decisione che mi avrebbe condotta ad un dispiacere perpetuo.
 
 
D’improvviso il peso delle mie scelte, la mancanza devastante di Ville, l’alternativa sbagliata, stare con un uomo che non riusciva a farmi dimenticare l’amore che nutrivo per un altro, mi crollarono addosso, tutte insieme, tutte in una volta, sotterrandomi nel cumolo di macerie, che non avrebbero mai retto.
L’attacco di panico fu immediato, un fulmine a ciel sereno.
 
 
Scrollai energicamente la testa e mi appollaiai sul letto, le gambe non erano in grado di sorreggermi. Scalciai via i tacchi scomodi.
<< Non ce la faccio. >>, la frase balzò fuori in un gemito di implorazione, la voce si incrinò e il pianto liberatorio era prossimo a conflagrare in tutta la sua potenza. << I-io non posso. Non posso farlo, non posso accontentarmi: non lo amo. >>, confessai disperata, ma il nodo in gola, piuttosto che sciogliersi, si strinse così tanto da rischiare il soffocamento.  
 
 
Alice inarcò un sopracciglio scuro, già consapevole di ciò che avevo appena rivelato. Le aveva provate tutte per farmi cedere, ed era bastata una critica sulla mia faccia infelice, per portarmi a crollare, anche se avrebbe preferito non giungere proprio all’ultimo perché io l’ammettessi.
<< Perché tutto questo, Marianne? Perché hai messo in atto questa messinscena? A cosa ti serviva? >>. Gesticolò, indicando gli addobbi e riferendosi al matrimonio. << Cosa volevi provare? Che potevi vivere anche senza Ville? Che eri forte abbastanza da poterlo sostituire? Quando sei tornata da Helsinki, credevo che alla fine ci avresti ripensato, che saresti tornata da Ville, che ti saresti arresa all’evidenza: un amore così non finisce mai. Invece poi ti sei impuntata, ti sei buttata sul primo babbeo che ti dava ciò che volevi, che credevi di controllare… ma l’amore non è controllo. L’amore è forza, impetuosità, tormento e sentimenti travolgenti. Non sei fatta per accontentarti. >>, asserì con furore, presa dagli eventi che erano degenerati, complicati a tal punto che niente e nessuno avrebbe potuto risolverli.
 
 
<< Ho combinato un casino. >>, ammisi a testa china.
 
 
Alice si portò le mani sui fianchi, non sembrava sconsolata come la sottoscritta, appariva come se avesse la soluzione ad ogni dramma. Però non era lei che doveva sposarsi.
<< Anche bello grosso. Sei una testa calda, come hai solo potuto pensare di sposarti con qualcuno che non ami? I codardi si comportano così e tu non lo sei! >>.
 
 
Curvai le spalle all’ingiù, il peso delle mie colpe piombò addosso, chiusi gli occhi e per un secondo immaginai che il padrone indiscusso del mio cuore fosse lì, ad abbracciarmi forte per non farmi fuggire più.
<< Vorrei che Ville fosse qui. >>, mormorai in un sussurro, era la prima volta che mi lasciavo andare alla verità. Lo bramavo a tal punto, che non ero in grado di dare posto a nessun altro concetto ragionevole.
 
 
Lei sorrise affettuosa, scrutò con una dolcezza che scaldava l’anima.
<< Che damigella d’onore sarei, se non accontentassi la sposa in ogni sua richiesta? Detto fatto! >>. Schioccò le dita, in una dilettevole imitazione di una magia.
 
 
Sollevai sorpresa il viso verso di lei, confusa sull’affermazione sibillina, intanto che lei spingeva la porta, per rivelare la figura abbigliata di nero, maglietta a maniche corte di una qualche band che non conoscevo, jeans sdruciti e scarpe improponibili. Non era più il Ville che stava male, che doveva ricorrere al dolore per stare bene, il cantante famoso su un palco venerato da centinaia di ragazzine.
Era il Ville che avevo conosciuto per caso, ed era rimasto per sempre. Il Ville dal sorriso genuino, lo sguardo limpido, la tranquillità nei tratti nordici. Bellissimo come l’alba invernale su una distesa di neve ad Helsinki.
Il mio Ville.
E l’oceano mi investì in pieno. Se l’irrimediabile inganno, la bugiarda commedia e le numerose menzogne, non fossero state abbastanza per piangere, l’incontro inaspettato con due lande verdi furono la goccia che ruppe direttamente il vaso.
 
 
Portai una mano davanti la bocca, per impedire allo scoramento di trasformarsi in un fragoroso urlo misto a sofferenza e contentezza. Capii che non avevo vissuto per altro, in questo lungo anno, che per rivedere quelle iridi di un’intensità violenta.
Balzai in piedi, di nuovo piena di una forza che era scivolata via. Ecco il perché Alice la sera precedente, durante l’addio al nubilato era sparita per ore e questa mattina aveva fatto in modo che i parenti andassero direttamente in chiesa, anziché passare da casa: voleva che nessuno ci disturbasse.
L’intreccio potente dei nostri sguardi, fu così intimo, irruento e tumultuoso, da cancellare tutto il resto.
 
 
<< Vi lascio soli. >>, si congedò Alice, per poi aggiungere un’ultima frase rivolta a Ville: << non combinare altri casini. >>.
 
 
Lui ridacchiò e si stropicciò nervoso il naso, dovevano aver parlato a lungo, prima che si convincesse a portarlo qui stamattina. Poi prese un profondo respiro, formulò accorto le parole e lasciò che annullassero la distanza tra di noi.
<< Sei una visione. >>, bisbigliò, incapace di aggiungere altro all’evidenza. Non importava se non era capace nel dire ciò che provava, se non sapeva da dove iniziare, a me bastava capire se mai fosse riuscito a perdonarmi. E riprovarci. << Sono guarito, Marianne. Ciò che ci allontanava, non esiste più, non sono più l’uomo di prima. >>, dichiarò, come se fosse lui a chiedermi scusa.
Forse avevamo solo bisogno di perdonarci a vicenda, perdonare il male fatto all’altro, il male commesso, il male che ci aveva separati, il male che ci univa.
 
 
<< Guardami, Ville… sto per sposarmi. >>, lamentai rattristata, un mare in tempesta che si dibatteva nell’anima. << Perché siamo dovuti giungere a questo? Non mi hai fermata, né dimostrato di amarmi. In questo ultimo anno non mi hai cercata mai! >>.
 
 
<< Sono entrato in una clinica a disintossicarmi, perché ti amo. Volevo diventare la persona che meritavi, ci ho lavorato su a lungo e non è stato facile, non volevo che presenziassi, ma quando Alice mi ha chiamato per dirmi cosa stavi per fare, ho preso il primo volo e sono arrivato ieri sera. >>. L’ atteggiamento cambiò, una sottile costernazione rabbuiò il viso scarno, fiacco e cereo. Provato dalla scoperta lacerante. << Marianne… è tutto questo l’amore che provavi per me? Un anno è bastato a decidere di voler sposare uno stronzo qualsiasi? Era un modo per farmela pagare? Per farmi soffrire? Una vendetta? Cosa? >>.
 
 
No, ovvio che non era questo il mio intento, era più una maniera per farla pagare a me stessa, per soffrire, vendicarmi per essermene andata.
Litigare con Ville era l’ultima delle mie prerogative, non avevo atteso spasmodicamente un anno, per soffermarmi ad una banale lite, cosparsa di stupide recriminazioni. Lo sbaglio l’avevamo compiuto in due.
 
 
Tolsi via gli orecchini e li gettai sul letto, così come la collana e il bracciale. Liberai i capelli dalla complicata pettinatura e dal fermaglio pesante: il mal di testa si placò immantinente.  
<< Non avrei potuto salvarti, Ville. Nessuno poteva. Cercavi una scappatoia per i tuoi demoni e, stupidamente mi illudevo che io ti bastassi per scacciarli… invece mi sono sbagliata. Ma ti amo così tanto, da non potermi permettere di accontentarmi di qualcun altro, pur di smettere di soffrire. >>.
 
 
 
<< Così tanto dolore ti provoca amarmi? >>, era sconcertato da ciò che stava udendo. Era la prima volta che affrontavamo un argomento del genere: non se ne era mai reso conto.
 
 
<< Mi fa male amarti e mi fa male provare a non amarti. Era destino che finisse così, non credi? >>.
 
 
Si richiuse la porta alle spalle, con un gesto secco. La conclusione sbagliata si stava aprendo tra di noi e non era il termine che si era prefissato.
<< Non è finita, Marianne, non per me. Io ti amo ancora, nonostante tutto, nonostante la tua assenza, nonostante questo. Io ti amo ancora. Non posso smettere, per me sarebbe innaturale. >>.
 
 
Il nodo in gola si avvinghiò in maggior misura e fece male.
<< Mi sono perduta così tanto, da quando me ne sono andata. Io non so se ce la faccio, Ville, se posso sopportare ancora tutto quello che ho qui. >>. Poggiai la mano al centro del petto, un fuoco corvino lambiva con fiamme di sangue e saggiarlo nuovamente, dopo essermi ustionata, mi obbligava a sottrarmi ad esso. La prima volta ero stata forte, impreparata, folle, ma adesso che conoscevo quel che mi aspettava, non ero più certa di essere altrettanto pronta.
 
 
Attraversò la camera da letto a gran falcate, prese i miei polsi per distogliermi dal tragico finale che si avvicinava drastico.
<< Non da sola, non stavolta. Io non ti lascerò più sola, non accadrà più. Devi credermi! Non puoi davvero voler sposare qualcuno che non ami, pur di non darmi una seconda possibilità. >>. Parlava come se la colpa fosse sua, ma non era affatto così, ero io la debole, la persona che era fuggita dinanzi al suo problema, la vigliacca, la codarda.
 
 
<< Io non sposerò nessuno. Anche se tu non fossi venuto, non avrei mai detto “sì”. >>.
 
 
<< Allora fai che sia un “sì” per me. Ti chiedo di fidarti. >>. L’indice spinse sotto il mento per obbligarmi ad annegare nelle giade verdi che lampeggiavano di una passione oscura, la stessa passione che era come droga, che non avrei mai trovato in nessun altro, che assuefaceva la necessità costante che accrescevo per lui e quietava l’inferno nell’anima. << Lascia tutto e vieni via con me. Torniamo a casa. >>, fu l’invito più deliziosamente dannoso che potesse uscire dalle labbra esangui, affascinanti e peccaminose.
 
 
Affondai il volto sul petto, le lacrime solcarono il viso, sciolsero il trucco e macchiarono il nero della sua maglietta. Mi strinse forte sul cuore, nell’unico posto in cui poteva tenermi al sicuro.
<< Ho paura. >>, mormorai tra un singulto e l’altro. Così tanto amore, non era destinato a durare: o finiva o distruggeva.
 
 
<< Ti dico io quando ho avuto paura. Il giorno in cui ci siamo incontrati, ho avuto paura, perché già dopo il secondo sguardo, sapevo che eri qualcuno che non potevo perdere. Ho avuto paura quando ho capito che per te ero disposto a lasciare ogni cosa. Ho avuto paura quando ho iniziato a sentirti nella mia musica, nella luce del sole, nella magia della neve, nel profumo dei fiori, nel calore del fuoco, nella bellezza della luna in un cielo senza stelle. Ho avuto paura quando ti ho detto “ti amo” la prima volta. Ho avuto paura quando te ne sei andata, perché quando le cose belle, ma belle davvero, finiscono, tu muori un po’ con loro… ed io sono morto quando sei andata via. E adesso, con la stessa sicurezza, ti dico di come ho smesso di avere paura, perché, ora, che sei tra le mie braccia, non ne ho più. >>.
 
 
La vista era sfocata per via dei lucciconi bollenti, ma la sua avvenente sofferenza era ancora la cosa più bella su cui avessi posato gli occhi. Consapevole che, non avrei più potuto vivere un solo istante lontana da Ville, mi arresi al suo volere.
 
 
Perché quando ti importava realmente di una persona, si faceva ciò che era meglio per lei, anche se era la cosa peggiore per te.









Note:
Solitamente dedico shot a persone a cui voglio bene, persone care o persone che hanno lasciato una traccia dentro di me, stavolta la dedico a me stessa, non c'è un motivo preciso, però è una dedica a me, che tra alti e bassi continua ad essere fan degli HIM. 
Stavo ascoltando la canzone riportata all'inizio della shot ed ho immaginato questa scena, niente prima o niente dopo, solo questa scena, non c'era abbastanza materiale per creare una long, quindi alla fine l'ho scritta nel giro di due orette e adesso eccola qui in versione shot. 

Beh, quando c'è Ville di mezzo, ci metto sempre tanto dolore, mi apporto a lui  con quel tipo di sentimento che fa male provarlo. Ho scelto il nome Marianne, perché è il mio secondo nome di battesimo, Marianna. Suonava meglio se reso straniero. C'è sempre un pezzo di me in ciò che scrivo. 


La storia può presentare errori ortografici.

Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 



Un abbraccio.
DarkYuna. 
  
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