Wahrheit
Si
alzò, pronto a
ricomporsi, a prendere quant’era accaduto negli ultimi minuti
e chiuderlo in un
angolo della mente che avrebbe tenuto fermamente sigillato. Pronto a
gettarsi
tutto alle spalle e a spegnere per sempre quella dannata telecamera. Se
lo
ripromise ancora ed ancora, mentre si dava una ripulita in bagno. Se lo
ripeté
con fermezza risistemando al loro posto cappotto e guanti. Se lo stava
per
ricordare per la ventesima volta quando una richiesta
d’accesso alle sue stanze
apparve sul pannello di comunicazione. Il flusso di pensieri si
infranse contro
lo scoglio del volto scoperto di Kylo Ren che attendeva fuori dalla sua
porta.
Pochi
avrebbero indovinato con successo l’incredibile
familiarità di Brendol Hux jr.
con il termine “umiliazione” ed ancora meno,
nonostante l’intuito precedente,
avrebbero pensato che, dopo anni di questo tipo d’esperienza,
il Generale del
Primo Ordine non ci avesse ancora fatto il callo. Hux stesso aveva
delle difficoltà
a crederlo possibile: non era più il ragazzino che chinava
la testa ad ogni
rimprovero, eppure ancora non riusciva ad impedirsi di arrossire da
capo a
piedi ed il senso di disagio che lo attanagliava alla bocca dello
stomaco era
lo stesso di quando aveva cinque anni.
Tanta strada
per
niente, si
trovò a
pensare mentre ripensava ai progetti che era riuscito a realizzare ed
ai tanti,
tantissimi che avrebbe voluto intraprendere, non fosse giunta la sua
morte in
maniera prematura. Prematura e dolorosa, come si poteva facilmente
supporre
dalla presenza di un Kylo Ren privo di maschera a pochi metri da lui. A
dividerli c’era solo una porta, una difesa misera,
considerato che il suo
futuro assassino, tra l’uso della forza e la spada laser, di
certo non avrebbe
avuto problemi né remore a forzarla. Era già
incredibile che avesse richiesto
l’accesso in maniera così civile. Richiesta che
venne inoltrata nuovamente, con
una certa impazienza, dopo pochi minuti d’attesa.
Hux
si riscosse, abbandonando i tristi pensieri riguardanti tutti i suoi
sogni
infranti: sospettava non fosse una buona idea indisporre ancora di
più Ren, non
se voleva concedersi ancora il lusso di sperare in una morte non
dolorosa. Non
era mai stato un grande appassionato di soffocamenti e l’idea
di finire i suoi
giorni strangolato dalle stregonerie del Cavaliere lo metteva vagamente
a
disagio; ma forse Ren avrebbe preferito strozzarlo a mani nude, per
prendersi
la sua vendetta… forse Hux sarebbe addirittura riuscito ad
ingaggiare un
umanissimo combattimento a mani nude e magari sferrare un pugno sul
naso al suo
avversario, prima di dire addio a questo crudele universo. Sarebbe
stata una
bella soddisfazione, dopo tutte le scenate che aveva dovuto sopportare
negli
ultimi mesi.
Gettò
un rapido sguardo alla sua stanza, perfettamente in ordine come sempre:
se ne
meravigliò, considerato quanto quella maniacale disposizione
contrastasse con
il caos tumultuoso in cui era stato scaraventato solo una manciata di
minuti
prima. Si ravviò i capelli in un gesto automatico, prima di
affrettarsi a
concedere l’ingresso all’ospite inquietante: per
quanto la sua fine fosse
verosimilmente assai vicina, l’ultima cosa che voleva era
osservare la sua
porta disintegrarsi sotto i colpi della spada di Ren.
*
Non
era propriamente facile, la vita a bordo del Finalizer;
non dopo anni e anni passati in semi-solitudine, in
luoghi dimenticati dal Creatore, con come unica compagnia la voce del
suo
Maestro che gli sussurrava nella mente. Snoke aveva sempre compensato
la
distanza fisica con un’onnipresenza nella sua testa che, a
tratti, l’aveva
quasi portato ad un’istintiva reazione di ripulsa nei suoi
confronti: era
difficile mantenere un controllo sui propri pensieri con un costante
fruscio
nelle orecchie e la sensazione di essere costantemente spiato. I primi
tempi
del suo addestramento erano stati un vero inferno, tanto che,
nonostante
fossero passati più di dieci anni, Kylo evitava
accuratamente di ricordarne
eventi o dettagli. L’unica domanda che gli sorgeva spontanea,
quando un ricordo
gli tornava alla memoria, contro la sua volontà, era come
diamine avesse fatto
a non impazzire completamente. C’erano stati dei momenti in
cui aveva pensato
di essere divenuto schizofrenico, in cui la voce di Snoke non era
più
distinguibile dalla propria, quando immagini di un passato che voleva
solo dimenticare
gli si paravano di fronte come fossero il presente. Ricordava di aver
quasi
perso l’uso delle mani per averle tenute troppo a lungo
nell’acqua gelida,
intento com’era a lavare del sangue che in realtà
non era lì.
Il
punto era che, per quanto avesse dovuto cancellare dal proprio
orizzonte il
concetto di privacy, dopo qualche tempo si era abituato alla presenza
del
Maestro e, avanzando man mano nel suo addestramento, quella fastidiosa
sensazione, come due occhi fissi sulla sua nuca, era andata finalmente
scemando. Nelle varie fasi di trasformazione e crescita, Kylo aveva
affrontato
le situazioni più estreme e le privazioni più
rigide, un processo necessario
per addentrarsi sempre di più nelle arti del Lato Oscuro;
ciò a cui non era
stato preparato, però, era lo stretto contatto con altri
esseri umani. Per
quanto Snoke amasse frugare nella sua testa, proiettava nella mente del
suo
discepolo ed apprendista solo dei pensieri accuratamente selezionati,
volti a
formarlo esattamente come voleva; era ben diverso dal costante flusso
di
pensieri slegati da cui il giovane rischiava di farsi travolgere quando
si
trovava di fronte ad un comune mortale, privo dello specifico
addestramento che
permetteva di schermare la propria mente. Il Maestro gli aveva
insegnato a
scavare nelle menti, ad estrarre le informazioni utili, a soggiogare i
più
deboli con terrificanti visioni e a sgusciare tra i ricordi come se
stesse
sfogliando le pagine di un libro. Finché si trattava di un
singolo o di un
gruppo ristretto di individui, Kylo non aveva problemi a gestire
l’immane
quantità di pensieri che, inconsapevolmente, questi
esternavano.
Non
aveva considerato un paio di questioni, quando Snoke l’aveva
inviato a bordo di
una delle navi del Primo Ordine. Ad esempio, la quantità
esorbitante di uomini,
soldati e ufficiali con cui si sarebbe trovato, volente o nolente, a
convivere;
o il fatto che, per quanto la nave fosse di dimensioni considerevoli,
si
trattava di uno spazio incredibilmente ridotto rispetto alle lande
nelle quali
si era consumato il suo addestramento. Troppe persone in troppo poco
spazio
significavano una quantità sconvolgente di sensazioni,
emozioni e pensieri da
cui era praticamente impossibile ripararsi. Aveva sempre considerato la
sua
connessione con la Forza un dono, ma nella prima settimana di vita
sulla nave
era sembrata una vera maledizione: si era ritirato nelle sue stanze,
istruendo
un droide affinché gli fossero serviti i pasti lì
e non nella mensa comune, ed
aveva cercato inutilmente di isolarsi da tutto e tutti. I pensieri
erano
tendenzialmente più facili da respingere e dopo poche ore
era già riuscito a
trasformare il frastuono che l’aveva accolto a bordo in un
mormorio discreto,
ma alla lunga ugualmente logorante – dopo circa due giorni
era comunque riuscito
ad eliminarlo del tutto.
Le
emozioni erano tutt’altra questione: agivano a livello
viscerale e si
espandevano a macchia d’olio, una macchia d’olio
particolarmente agitata, che
seguiva il sentimento dominante dell’equipaggio senza
comunque eliminare quelle
piccole onde controcorrente che indicavano i sentimenti dei singoli. Si
producevano a livello inconscio ed alla stessa maniera Kylo le
percepiva; il
più delle volte era come trovarsi su una barchetta in piena
tempesta, in balia
di un mare scostante ed in subbuglio. Lo sforzo di cercare riparo da
quel
turbinio di sensazioni gli aveva causato un mal di testa lancinante,
che
l’aveva portato al primo atto di distruzione a bordo del Finalizer: la scrivania in dotazione era
stata ridotta ad un
ammasso di metallo fuso. Nessuno gli aveva detto niente, ma era ancora
il
periodo in cui il Generale non sospettava che i suoi accesi attacchi
d’ira
potessero essere così deleteri per le finanze della sua nave
e tutti gli altri
erano troppo terrorizzati per aprire bocca – ed in effetti,
la maggior parte
dell’equipaggio era ancora impaurita al suo cospetto,
nonostante fossero
passati diversi mesi dal suo arrivo. Ci aveva messo diversi giorni per
riuscire
a tenere a bada gli sbalzi d’umore che i continui segnali
dall’esterno gli
provocavano; era stato più volte sul punto di contattare
Snoke, chiedergli di
richiamarlo alla Cittadella o in un qualsiasi luogo lontano da quel
tormento…
come se Snoke non fosse al corrente della sua situazione. Pur avendo
smesso di
essere una perenne presenza nella sua mente, Kylo sentiva che tra loro
vi era
un legame ed il suo disagio era talmente forte che di certo il suo
Maestro
l’aveva percepito. Forse l’aveva addirittura
previsto, forse il Cavaliere era
stato spedito in mezzo alle truppe proprio per testare la sua
capacità nel
gestire un così forte flusso d’emozioni. Era solo
un’altra delle innumerevoli
prove a cui era stato sottoposto, un tentativo infido, mirato a
mostrargli come
la sua più grande forza, se non regolata, poteva facilmente
trasformarsi in una
mortale debolezza.
Kylo
aveva imparato, era stato costretto ad imparare. Una decina di giorni
dopo il
suo arrivo e poteva marciare per i corridoi senza rischiare una crisi
isterica
e senza cedere alla tentazione di soffocare il primo malcapitato che si
trovava
a tiro. Al contrario dei pensieri formati, però, le emozioni
non erano state
cancellate completamente: le percepiva ancora, in maniera
più sfumata e
certamente più controllata, ma capitava ancora, di tanto in
tanto, che
un’emozione particolarmente forte superasse le sue barriere e
gli si parasse di
fronte, quasi un ostacolo tangibile.
Era
in quel modo che si era accorto che c’era qualcosa che non
andava in Hux. I
presupposti di una duratura ed efficiente collaborazione erano crollati
in
totale caduta libera nel giro di pochissimo tempo, ma Kylo non se
n’era
particolarmente preoccupato: il Generale era un semplice uomo
d’armi, era
troppo preso nelle sue minuzie per comprendere l’importanza
della Forza e
mancava di una visione complessiva delle implicazioni che la guerra con
la
Resistenza portava con sé. A Ren bastava che non
interferisse con i suoi
progetti e che acconsentisse a fornirgli il necessario per portare a
termine le
sue missioni: d’altronde, erano parigrado e, per quanto Hux
fosse responsabile
della nave, non aveva alcun diritto di negare quanto gli veniva
richiesto.
Evidentemente, il Generale aveva molto da ridire a riguardo.
Kylo
non ricordava esattamente quando il rispetto e la circospezione che
l’altro
provava nei suoi confronti si erano trasformati in fastidio ed
esasperazione,
ma ricordava il loro primo incontro, quando il Generale
l’aveva accolto
nell’hangar principale, all’atterraggio del suo
trasporto personale. Nonostante
lo shock dovuto alle troppe persone presenti – ed ai loro
assordanti pensieri –
si era sforzato di prestare particolare attenzione al drappello di
benvenuto,
non tanto per mantenere chissà quali idilliaci rapporti, ma
perché non aveva
intenzione di dimostrare alcuna debolezza di fronte al Generale e ai
suoi
ufficiali. Al contrario degli altri, l’uomo doveva aver avuto
un addestramento
mirato al controllo della mente, perché i suoi pensieri
erano ben nascosti e le
sue emozioni a malapena percepibili: c’era un certo orgoglio
per avere a bordo
il braccio destro di Snoke e, al contempo, un vago nervosismo, come se
il nuovo
arrivato fosse stato inviato per verificare che l’operato del
Generale fosse
all’altezza delle aspettative. Irritazione per le poche
informazioni che gli
erano state fornite sul suo ospite e per il fatto di non poterlo
osservare in
volto, per poter capire precisamente con chi stava avendo a che fare;
curiosità
volta a quella identità celata ed ai racconti sul suo conto
che l’avevano
preceduto; rispetto, perché se quello che i racconti
riferivano era
effettivamente vero, si trovava davanti ad un combattente formidabile e
ad un
pezzo importante della scacchiera, fondamentale per riuscire a
concludere
vittoriosamente la partita.
Kylo
era rimasto colpito dall’assenza di paura, che invece
permeava ogni altro
membro dell’equipaggio: per essere un uomo comune, senza un
minimo di
versatilità nella forza, Brendol Hux jr. aveva fegato da
vendere. Fegato ed una
personalità ossessivo-compulsiva che cozzava pesantemente
con il carattere
scostante del Cavaliere, reso ancora più incontrollabile
dallo spaesamento e
dalla vulnerabilità emotiva causata da quel primo periodo di
adattamento. Non
c’era voluto molto, quindi, perché la
considerazione che il Generale aveva di
lui colasse a picco, affossata ancor di più dalla metodica,
per quanto
spontanea, distruzione di equipaggiamento ed ambienti della nave, e che
un
fastidio misto ad incredulità fosse praticamente
l’unico sentimento provato in
sua presenza.
Questo
sino a circa una decina di giorni prima, quando Kylo ed il Generale si
erano
trovati entrambi sul ponte, ad osservare le manovre attente dei piloti
per
evitare un campo d’asteroidi che si era fatto fin troppo
vicino. Hux gli dava
le spalle, la schiena rigida, le mani dietro la schiena e la testa
alta: aveva lasciato
nelle sue stanze il cappotto, senza rendersi conto di quanto fossero
evidenti
le imbottiture sulle spalle della sua divisa, messe in risalto da un
fisico
eccessivamente longilineo. L’ultima volta che si erano
incrociati era ad una
noiosissima riunione di bilancio, da cui Ren si era allontanato
pestando i
piedi e sbuffando: era convinto che avrebbero parlato di questioni
serie, non
che fosse una perdita di tempo colossale su quante nuove sedie
acquistare per
la mensa nell’ala C – di sicuro, se non fosse stato
troppo occupato ad alzare
gli occhi al cielo, Hux gli avrebbe risposto che l’ordine del
giorno gli era
stato inviato per mail e avrebbe fatto bene a leggerlo prima
d’importunare chi
aveva la sfortuna di stargli attorno.
<
Generale. Spero che i Suoi uomini sappiano gestire la
situazione.> Doveva
ammettere che la sua voce, grazie al filtro della maschera, avrebbe
messo
sull’allerta chiunque, anche l’uomo dai nervi
più saldi. Hux non si era accorto
della sua presenza sino a quando non aveva aperto bocca e Ren
provò una certa
soddisfazione nel vedere il Generale sobbalzare per la sorpresa, di
fronte all’equipaggio.
Il suo ghigno sparì rapidamente da dietro l’elmo
nel percepire un’improvvisa
ondata di imbarazzo; ci mise un paio di secondi a comprendere che
quella
vergogna non era sua, ma dell’uomo che lo stava fissando con
la solita fredda
espressione di disprezzo. Disorientato, sfiorò appena la
coscienza dell’altro
per capire meglio il sentimento – cos’era,
imbarazzo per non essersi accorto
della sua presenza? Per essersi lasciato cogliere di sorpresa?
– ma il Generale
aveva già ripreso il controllo e tutto quello che ricevette
fu solo fastidio ed
irritazione. Si chiese chi fosse stato ad istruirlo su come nascondere
così
bene pensieri ed emozioni… Snoke stesso, forse?
L’idea era assurda,
probabilmente all’interno del Primo Ordine c’erano
altri sensitivi che aveva
imparato a proteggersi dalle incursioni mentali ed erano in grado
d’insegnare
come difendersi anche a gente come Hux, che aveva la
sensibilità di una roccia.
La risposta tagliente dell’uomo ed il moderato battibecco che
seguì gli fecero
in parte dimenticare la questione, almeno per il momento.
A
livello inconscio, però, la sua mente era rimasta
focalizzata su Hux; accadeva
di rado, ma ogni tanto era come se la Forza lo guidasse verso degli
individui
particolari, delle sorgenti di pensieri ed emozioni che in qualche modo
avevano
a che fare con lui – non ne aveva mai parlato al suo Maestro,
ma era convinto
che non fosse un fatto così bizzarro: in ambienti densamente
popolati, era
necessario selezionare le fonti d’informazione
presumibilmente più utili e se
si percepiva qualcosa di correlato alla propria persona,
automaticamente la si
monitorava con più attenzione. Se questo fosse un processo
conscio o inconscio,
Kylo Ren non lo sapeva, ma gli era sempre venuto naturale e tanto gli
bastava.
Di fatto, le emozioni del Generale era decisamente più
chiare, riconoscibili
anche da un capo all’altro della nave, e più
intense erano meno Ren riusciva a
distaccarsene, finché una sera la situazione era precipitata
drasticamente.
Il
nervosismo che negli ultimi giorni, insolitamente, proveniva dalla
coscienza di
Hux sembrava privo di fondamenta ed aumentava stranamente
d’intensità nelle ore
serali; quella sera, colpì il Cavaliere con una tale
veemenza che dovette
ringraziare il fatto di essere già nelle sue stanze:
fermarsi a boccheggiare in
mezzo ad un corridoio, nonostante la maschera, sarebbe stato alquanto
sconveniente.
Kylo si appoggiò alla scrivania, ponderando il da farsi: da
un paio di giorni
si chiedeva se, forzando il legame che aveva creato inconsciamente,
potesse
entrare con discrezione nella mente di Hux, carpirne i pensieri e
comprendere
il turbinio d’emozioni che ultimamente lo sconvolgevano.
Forse, ma sapeva che
si sarebbe trattato di uno sforzo immane, sarebbe riuscito addirittura
a
percepire cosa stava fisicamente facendo il Generale, nonostante le
loro stanze
fossero tutt’altro che vicine. Si costrinse a rilassarsi, a
lasciar penetrare
nella propria mente le emozioni di quell’uomo così
fastidioso, isolandosi da
qualsiasi altra sensazione esterna: sapeva di aver rallentato la
respirazione
ed i propri movimenti, mentre si toglieva di dosso i molteplici strati
della
sua tenuta. Era convinto di essere pronto al contatto, di essere ben
saldo
sulle gambe e capace di mantenere distinta la sua mente da quella
dell’altro:
bè, non lo era. Non sarebbe mai stato pronto per quello che,
d’un tratto, senza
alcun preavviso, gli si presentò davanti, colpendolo con una
forza tale da
farlo barcollare. Non era la realtà, ma una serie di
immagini – tratte
direttamente da Hux, dal controllato ed impeccabile generale del Primo
Ordine,
che al momento non era affatto… come dire… se
stesso. Ren deglutì pesantemente,
cercando in ogni modo di districarsi dall’altro,
dall’imbarazzo e dal senso di
liberazione che uno dei due, non sapeva più chi, stava
provando in quel
momento.
Quando
riuscì finalmente ad interrompere quel legame, si rese conto
che l’imbarazzo
era tutto suo, come la sensazione di calore alle guance e lo
spaesamento,
seguito subito da qualcosa che non provava da anni: tradimento. Hux
aveva
attivato la telecamera della sua stanza. Il Generale Hux aveva
consapevolmente
abusato della sua autorità, ignorato totalmente la privacy
del co-comandante
per soddisfare… cosa? La sua curiosità? La sua
perversione? Per raccogliere
elementi per poter umiliare, in un futuro, il braccio destro di Snoke?
Ren era
esterrefatto. Automaticamente i suoi occhi saettarono sulla telecamera
e si
dovette trattenere dal distruggerla seduta stante: no, farla
accartocciare su
se stessa non sarebbe stato d’alcuna utilità e di
certo non avrebbe saziato
l’irreprimibile bisogno di colpire qualcosa. Ripetutamente.
Con veemenza. Ad
esempio, la faccia di Hux. Prima che l’idea potesse
effettivamente
concretizzarsi nella sua mente, Kylo si ritrovò con
nuovamente addosso la sua
maglietta, di fronte alla porta del Generale, dito già
premuto sul pulsante per
la richiesta d’accesso. Senza maschera. Dannazione.
*
Per
essere giunto in maniera così tempestosa, pronto a procedere
con un’esecuzione
assai sommaria ed ufficiosa di uno degli uomini più potenti
del Primo Ordine,
Ren aveva un’aria assai poco convinta: era come se fosse
giunto lì per caso,
sovrappensiero, senza avere il tempo di elaborare un piano
d’attacco. Hux notò
l’assenza della spada laser al suo fianco e si costrinse a
mascherare il suo
nervosismo: niente spada significava con ogni probabilità
una morte per
strangolamento… decisamente poco dignitoso. Sperò
che i dettagli della sua
triste dipartita non fossero diffusi, poteva già immaginare
la smorfia di
disgusto sul volto di suo padre. Un’immagine costruita con
tanta cura e
distrutta con una tale semplicità… Si ricompose,
cercando di mantenere una
certa facciata formale: per quanto non riuscisse a crederci,
c’era la quasi
inesistente possibilità che la ragione per cui un Kylo Ren a
viso scoperto,
dall’aria trafelata e – notò solo in
quel momento – scalzo si trovava nelle sue
stanze non fosse legata alle sue più recenti…
attività. Tutto ciò che doveva
fare era tenere sotto controllo i propri pensieri e cercare di gestire
al
meglio la situazione.
<
Lord Ren… a cosa devo l’onore?>
Se
non fosse stato particolarmente abile con la Forza, Kylo Ren ci sarebbe
quasi
cascato: Hux era incredibilmente bravo nel mantenere
un’espressione neutra,
glielo concedeva. Peccato che, da un lato, il nervosismo traspirasse
ugualmente, nonostante i suoi tentativi e, dall’altro,
l’intera situazione era
altamente ridicola: Hux e la sua stanza erano perfettamente in ordine,
nonostante aleggiasse nell’aria un vago odore di ormoni
– al solo pensarci gli
veniva da ridere per quanto fosse tutto assolutamente assurdo
– e, in netta
contrapposizione, Ren, i capelli a coprirgli gli occhi, scalzo,
disarmato e con
le guance arrossate, come se avesse corso per tutta la nave in preda a
chissà
quale frenesia (non era ancora certo di non averlo fatto. Sperava di
non aver
dato troppo spettacolo). Il problema era che tutta la rabbia,
l’offesa di una
fiducia (c’era mai stata?) tradita e l’indignazione
che aveva provato nel
vedersi proiettate quelle immagini erano di colpo sparite, sostituite
da una
sensazione di disagio che poco aveva a che fare con lui e parecchio con
l’uomo
che si trovava di fronte.
Kylo
Ren non aveva problemi col sesso; Ben Solo ne aveva avuti: aveva
osservato suo
padre mentre si lasciava andare a sorrisi smaglianti e frasi seducenti
con
buona parte della popolazione femminile in cui era incappato e se ne
era
vergognato. Non perché pensasse che suo padre non fosse
fedele a sua madre –
era in grado di distinguere un vero tentativo di flirt
dall’atteggiamento
scanzonato che era proprio del carattere di Han Solo – ma
perché era qualcosa
che richiedeva uno stretto contatto umano ed un certo grado di fiducia,
campi
in cui il giovane Ben si era sempre trovato a disagio. Le regole jedi a
riguardo gli avevano fornito delle scuse valide, piuttosto che
affossare chissà
quali desideri. Se vi era ancora un po’ di Ben nel Cavaliere
– Kylo lo negava con
tutte le sue forze, Snoke lo sospettava – non era quel lato
ad essere
sopravvissuto al passaggio al Lato Oscuro: vissuto tendenzialmente in
solitudine, Kylo Ren aveva avuto poche tentazioni, ma soprattutto aveva
ricercato un’autarchia completa. Il suo Maestro era stato
molto chiaro, per
raggiungere l’apice del suo potere non doveva dipendere in
alcun modo da
alcuno, per nessun motivo (dentro di sé, si era sempre
chiesto se Snoke si
rendesse conto o meno che, seguendo il suo consiglio,
l’ultimo passo sarebbe
stato eliminare proprio colui che l’aveva preso sotto la sua
ala). In pratica,
dunque, Ren non aveva mai ricercato il piacere con un’altra
persona: se se ne
fosse presentata l’occasione, ne avrebbe di certo
approfittato e goduto, ma la
sua mancanza d’esperienza di prima mano nel settore non lo
preoccupava per
nulla – senza contare che, nella prima settimana di
permanenza a bordo del Finalizer,
aveva appreso da soldati e
ufficiali più di quanto avrebbe mai voluto imparare
sull’argomento.
Altro
discorso andava fatto per Hux. Kylo aveva percepito qualcosa, assieme a
quelle
immagini: un blocco, un rifiuto ed al contempo un senso di estrema
liberazione,
un peso che veniva tolto. C’era di certo qualcosa che non
andava… si chiese che
conseguenze ci sarebbero state, se avesse forzato la mano e recuperato
con la
forza ciò che il Generale teneva gelosamente nascosto nella
sua mente. Forse,
per il momento, era il caso di reggere il gioco.
<
Generale… credo ci sia un problema con le telecamere di
sicurezza.>
Se
già vedere il corpo di Kylo Ren attraverso il filtro della
telecamera aveva
colpito seriamente Hux, vederlo dal vivo ed al contempo sentire la sua
voce –
la sua vera voce, senza modulatori di sorta od inquietanti secchi in
testa –
rischiava seriamente di compromettere qualsiasi tentativo di
sobrietà e
compostezza. Ci mise un paio di secondi nel registrare quanto gli era
stato
detto e dire addio alla vaghissima speranza di uscire da
quest’imbarazzante
situazione tutto d’un pezzo… o ancora vivo. Questo
era un problema; si era
sempre ritenuto un ottimo giocatore di dejarik,
ma al momento non sembrava in grado di delineare una strategia sensata.
Aveva
troppe poche informazioni su Ren e le sue eventuali reazioni, troppe
variabili
non calcolabili. Scartò l’opzione
“negare tutto sino all’ultimo”,
probabilmente
avrebbe solo irritato il Cavaliere portandolo ad uno dei suoi attacchi
d’ira;
se avesse ammesso quanto accaduto, cosa sarebbe successo? Gli sarebbero
state
chieste spiegazioni che non era in grado di fornire neanche a se
stesso. Una
via di mezzo tra i due estremi era la scelta più logica, ma
anche la più
complicata da realizzare, sapendo che Ren poteva fiutare senza troppa
difficoltà
ogni menzogna ed omissione… ma, se si poteva dire qualcosa
in difesa del
Generale, era che di certo non mancava di fegato.
<
Un problema? Di che genere?> Tutto questo si sarebbe risolto in
un clamoroso
autogol o in un’insperata vittoria.
<
Vorrei segnalare un presunto abuso, temo che qualcuno abbia utilizzato
i codici
d’accesso alla telecamera installata nei miei alloggi.
– il tutto si stava
orientando prepotentemente verso l’autogol – La
procedura?>
<
La procedura?>
<
Per la segnalazione.>
Se
si fosse visto dall’esterno, Hux sarebbe probabilmente
arrossito per la
vergogna (più di quanto già non fosse),
implorando il pavimento di aprirsi ed
inghiottirlo; vissuta dall’interno, c’era da dire,
le cose non andavano molto
meglio: aveva la vaga consapevolezza che ripetere a pappagallo pezzi di
frasi
non era la migliore strategia per provare la sua innocenza, o se non
altro per
dissimulare la propria confusione. Non aiutava il fatto che Ren si
fosse fatto
fin troppo vicino e che la sua presenza avesse una certa
capacità di turbarlo.
Senza neanche rendersene conto le spalle gli si erano incurvate, la
postura
autoritaria e rigida, di chi è abituato ad avere tutto sotto
controllo e tutti
ai suoi ordini, era minata da un senso di disagio; quando
parlò riconobbe a
stento il tono della propria voce, lento e circospetto nel riferire
parte del
regolamento che conosceva a memoria.
<
È necessario inviare per messaggio criptato la segnalazione,
specificando data
e dinamiche dell’abuso, al diretto superiore di chi si
presume abbia compiuto
il fatto; una copia va altresì inviata per conoscenza
all’Ufficio di Controllo
Centrale.>
Se
prima gli sembrava che Ren si fosse avvicinato eccessivamente, ora il
Generale
poteva senza dubbio definire il tutto una violazione del proprio spazio
vitale.
Si costrinse a sollevare il mento per sfidare con uno sguardo gelido la
smorfia
divertita dell’altro e mantenere il contatto visivo.
<
E mi dica, Generale… chi è il Suo diretto
superiore?>
Sapeva
dove stava andando a parare, ma questo non
gl’impedì di sentirsi gelare
nell’animo; cosa doveva essere? Un ricatto? Una minaccia? Una
tortura che
anticipava solo la sua ormai prossima dipartita? Un tentativo di
umiliarlo, di
esporre pubblicamente il suo riprovevole comportamento
all’intero Primo Ordine
e al Leader Supremo in particolare? In tutta quella situazione
delirante, ciò
che lo infastidiva di più era una vocina nella propria
testa, che gli suggeriva
che forse se lo meritava: non era stato cresciuto ed addestrato
perché
sprecasse il suo tempo in futili sollazzamenti né,
soprattutto, perché abusasse
del potere che gli era stato conferito. Era parte di una grande
macchina e, in
quanto ingranaggio, doveva pensare al proprio lavoro e svolgerlo
impeccabilmente: quello che aveva lasciato accadere
nell’ultimo periodo era
imperdonabile ed assolutamente indegno di lui. Com’era
indegno il modo in cui
si stava lasciando intimorire da un personaggio assurdo come Kylo Ren;
non era
arrivato fino a quel punto per vacillare così, si disse.
Indurì,
se possibile, ancora di più lo sguardo, cercando di
appesantire le parole
d’orgoglio, come avrebbe fatto in un’altra
occasione, senza colpe e senza
vergogne.
<
Solo il Leader Supremo, Lord Ren. Nessun altro.>
Era
incredibile come alcuni semplici argomenti suscitassero in Hux delle
reazioni
così prevedibili; ma probabilmente anche questo faceva parte
del personaggio
che si era costruito. Arrivati ad un certo grado di
visibilità e di prestigio,
determinate azioni suscitano necessariamente altrettante determinate
reazioni:
se qualcuno sottolinea un errore, si deve sempre dimostrare di aver
agito nel
miglior modo possibile; se si scopre che un proprio sottoposto ha
fallito si
mostra quel gelido muro d’imparzialità che
permette un giudizio giusto
nell’ottica del bene comune; se si sentono rivolgere delle
critiche ai principi
dell’Ordine, ci si deve sdegnare; se si è riusciti
a risalire l’intera scala
gerarchica, specie ad una giovane età, è bene
esserne orgogliosi e fieri. Il
Generale Hux aveva di certo studiato con cura le varie facce da
mostrare per
ogni singola occasione e le impiegava con maestria, aiutato da quella
briglia
di razionalismo che aveva permeato la sua intera educazione e formato
il suo
carattere.
Non
era possibile arrivare a certe posizioni e mantenere un comportamento
genuino,
ma Hux riusciva a fingere quella genuinità,
quell’austerità e rigore talmente
bene che probabilmente nessun membro del Primo Ordine avrebbe messo in
dubbio
che quello era esattamente il carattere del loro capo: per accorgersi
di quanto
tutto questo fosse una recita ci voleva un occhio particolarmente
allenato e,
se possibile, un aiutino della Forza nel cogliere segnali nascosti.
Kylo aveva
poco occhio, ma un forte legame con la Forza e, soprattutto, la
curiosità di
scoprire cosa effettivamente si nascondeva dietro
quell’apparenza algida.
<
Questo semplifica le cose, ma mi chiedo, Generale…
− e di fronte a quel tono, a
quel sorriso appena accennato e allo sguardo tutt’altro che
confortante Hux
dovette proibirsi di deglutire – cosa penserebbe il Leader
Supremo del proprio
integerrimo sottoposto, se gli proponessi di scavare nella Sua
mente?>
Eccola
lì la crepa nella sicurezza del suo sguardo, ecco la
breccia: era bastato un
attimo e le carte erano state scoperte. Hux aveva capito che non
c’erano più
vie di fuga: Ren sapeva e sapeva che il Generale ne era consapevole e
che, se
mai c’era stata una certa simmetria di potere tra i due, Hux
era riuscito a
perderla ed ora si trovava stretto all’angolo, alla
mercé di chissà quale piano
del Cavaliere.
Ora
che la situazione era chiara e la finzione inutile, si
rifiutò di provare a
negare tutto: per quanto i recenti avvenimenti l’avessero
messo fortemente in
dubbio, aveva ancora una minima dignità da preservare.
Mentire spudoratamente
di fronte ad uno capace di leggere nella mente rientrava in un livello
troppo
basso per essere contemplabile. Digrignò i denti, ma
più che sdegno sentiva di
emanare semplice rabbia mista a paura (no, non paura. Nonostante tutto,
non
aveva paura di Ren… si trattava più che altro di
apprensione nel riconoscere
che forse una morte lenta non era la peggiore delle cose che potessero
capitargli).
<
Cosa vuoi da me, Ren?>
Incredibile
come una crepa si propagasse così rapidamente che quella che
prima era una
semplice scheggia potesse dare vita ad un crollo magistrale; un crollo
esteticamente piacevole, si trovò a considerare
inconsciamente, perché
l’umanità che trapelava dalle macerie aveva tolto
il velo di rigore e serietà
che offuscava di solito lo sguardo del Generale.
Dall’impassibilità vagamente
tinta di sdegno Hux era passato ad esprimere una tale folla di emozioni
che Kylo
aveva difficoltà a coglierle tutte e a distinguerle tra
loro. Tuttavia la
domanda richiedeva una certa cautela nella risposta: c’erano
vari motivi che
l’avevano portato di fronte all’ingresso delle
stanze private del Generale, ma
non sarebbe stato utile scoprire immediatamente tutte le sue carte. Non
sarà
stato un maestro di strategia ai livelli di Hux, ma, quando non troppo
preso
dalla sua eccessiva emotività, era in grado di studiare le
sue mosse in maniera
sensata.
Aveva
deciso di fare questo esperimento di comprensione dello strano figuro
che si
trovava davanti; fosse stato un altro al suo posto, non avrebbe esitato
un
secondo ad eliminarlo per punire una simile trasgressione, ma il
Generale aveva
la fortuna di essere al momento indispensabile e di certo Snoke non
sarebbe
stato felice di scoprire che il suo prezioso allievo aveva giustiziato
il
comandante del Finalizer per una
semplice questione di pudore. Con la fortuna di essere se stesso, Hux
aveva
evitato l’ira del Cavaliere, che invece di cedere ai suoi
impulsi si era
costretto a fermarsi, analizzare quanto aveva percepito e rifletterci:
una
volta che la curiosità aveva preso il sopravvento, Kylo non
aveva alcuna
intenzione di demordere.
<
Voglio sapere cosa ti ha spinto a spiarmi nelle mie stanze, come un
ladro.>
<
Credo sia naturale voler scoprire chi sto effettivamente ospitando
sulla mia nave, visto che non mi
è stata
fornita alcuna informazione sul tuo conto e la mia fiducia è
stata ricambiata
con la sistematica distruzione di attrezzature ed ambienti!>
Ren
archiviò l’informazione implicita, ovvero che
evidentemente la sola parola del
Leader Supremo non era sufficiente a tranquillizzare il Generale; non
poteva
essere un cieco burattino dell’Ordine se non riusciva ad
eliminare i dubbi
riguardanti l’eccelso allievo di Snoke.
<
Immagino che vedere la mia faccia sia stato fondamentale per decidere
sulla mia
pericolosità…>
Hux
soffocò l’istinto di imprecare, mentre sentiva il
rossore imporporargli le
guance e scendere lungo il collo: era da una vita che non si sentiva
così alle
strette, da quando si trovava costretto a fissare le proprie ginocchia
nella
speranza che lo sguardo paterno, soffocante di delusione, smettesse di
pesargli
addosso. Era come avere nuovamente cinque anni e aver ceduto
all’irrefrenabile
desiderio di afferrare un biscotto, nell’illusione di non
essere scoperto ed
evitare la punizione. Non era mai successo. Si chiese quale sarebbe
stata la
punizione, questa volta.
Kylo
Ren non era mai stato una persona particolarmente paziente, ma la scena
che gli
si stava parando davanti era sufficiente fonte di intrattenimento e
distrazione; il volto di Hux sembrava un campo di battaglia: lo sforzo
per
mantenere lo sguardo saldo e fisso di fronte a sé era
evidente dal tremolio dei
muscoli e dalla fronte corrugata, la vampata di colore risaltava sul
suo
pallore naturale, facendo a pugni con i capelli, ma mettendo in risalto
gli
occhi, vagamente lucidi mentre memorie poco piacevoli gli si
presentavano alla
mente. Gli sarebbe bastato richiamare appena la Forza e avrebbe potuto
scorgerne i minimi dettagli, ma si limitò a considerare le
emozioni che
pulsavano attorno a lui. Vi era talmente immerso che quasi non si
accorse
quello che il Generale, a denti stretti, si era costretto a rivelare.
<
Curiosità.>
Si
impedì di scoppiare a ridere, perché mancava solo
che Hux cominciasse a
dondolare sul posto per essere l’esatta rappresentazione del
bambino sgridato.
Bastò un momento perché un’altra
immagine, di un altro bambino in una simile
situazione, gli si affacciasse alla mente e cancellasse qualsiasi
traccia di
umorismo. Si concentrò sull’uomo di fronte a lui
per evitare di scivolare in
ricordi che non pensava nemmeno di possedere.
<
La curiosità si soddisfa rapidamente, Generale, eppure la
faccenda è stata tutt’altro
che isolata. Voglio sapere perché?>
<
Non lo so!>
Non
era sua intenzione sbottare, né rivelarsi così
vulnerabile; ogni volta che
credeva di aver toccato il fondo della vergogna, scopriva un livello
nascosto
ancor più profondo e vi veniva trascinato. Non era in grado
di distinguere i
vari piani di disperazione che si stavano sovrapponendo tra di loro:
ricordava
le umiliazioni all’Accademia, il giudizio impietoso di suo
padre, il disagio e
la fascinazione la prima volta che aveva attivato quella dannata
telecamera, la
confusione che l’aveva investito quando, senza rendersene
conto, si era
lentamente dimenticato del perché dell’abuso e si
era lasciato trascinare in un
vortice di emozioni che non poteva portare a niente di buono. Avrebbe
dato
qualsiasi cosa per dimenticare tutto questo: era stata una breccia
nella diga
che aveva fatto crollare l’argine… se solo avesse
potuto fare un passo
indietro, tornare a quindici giorni prima e prendere la decisione che
tutti si
sarebbero aspettati prendesse…
<
Hux?>
Si
costrinse a concentrarsi sul presente, sul volto (vagamente
preoccupato? No,
probabilmente era un effetto del mezzo attacco di panico che aveva
appena
avuto, la sua vista non funzionava a dovere) di un Ren stranamente
calmo. Si
ritrasse istintivamente quando lo vide alzare una mano, ma non era
abbastanza
rapido per sfuggirgli e, cosa bizzarra, la presa sul suo braccio non
era brusca
come si sarebbe aspettato – non c’era il dolore che
si era abituato ad
accostare al contatto fisico e, più ancora del tocco in
sé, quella delicatezza
gli faceva girare la testa. Sbatté ripetutamente le
palpebre, rimettendo a
fuoco la stanza, e si sforzò di capire quanto gli stava
dicendo.
<
Posso aiutarti a capire, devi solo darmi il permesso di farlo. Posso
ridarti il
controllo che hai perso, posso rimettere assieme i pezzi. Me lo
lascerai
fare?>
Snoke
non avrebbe approvato l’improvvisa ed ingiustificata morte
del Generale, ma
tantomeno non avrebbe gradito un uomo del suo rango con la mente
ridotta a
poltiglia; Ren poteva stare attento quanto voleva, ma se Hux avesse
collaborato
sarebbe stato meno doloroso per lui e più facile per
l’altro, che avrebbe
potuto evitare irreparabili danni. Lo osservò mentre il
significato di quanto
il Cavaliere gli aveva appena detto cominciava ad essere più
chiaro e la
reazione fu un lampo di apprensione mista a diffidenza (questa era
un’emozione
che aveva sempre accostato ad Hux e ritrovarla nella gran confusione
era, in
una certa misura, confortante). Lo lasciò ponderare,
immaginando quanto fosse
complicato per un uomo che era sempre vissuto dietro ad uno scudo
aprirsi a
qualcuno, considerato poi che il loro rapporto non era mai stato dei
migliori.
Quando
aveva ormai perso le speranze e stava già elaborando un
piano B, il Generale
annuì lentamente, lo sguardo un po’ più
deciso, ma ancora fortemente confuso.
Prima che potesse cambiare idea, lo prese per le spalle, pronto a
dargli
stabilità nel caso non reggesse, e diminuì la
distanza tra loro appoggiando la
fronte contro quella dell’altro. Lo sentì
trattenere il fiato e per alcuni
secondi l’aria fu riempita dal suono martellante di un cuore
che batteva troppo
in fretta.
<
Rilassati, sarà più facile.>
mormorò, dandogli un’altra manciata di secondi
per riprendere il fiato ed il controllo. Poi, quando le acque si furono
calmate
abbastanza, si lasciò scivolare oltre la superficie.
*
C’erano
due persone, un uomo ed una donna, di fronte a lui, in piedi, mentre
lui era
seduto sul tappeto, un libro aperto davanti. L’aveva scelto
dallo scaffale in
parte perché era situato sufficientemente in basso per
poterlo raggiungere e in
parte perché aveva un sacco di figure, immagini di vascelli
spaziali e pianeti
incredibili da osservare ad occhi sgranati; c’erano anche
tante scritte, ma
quelle non l’interessavano, perché non sapeva
leggerle. Non sapeva ancora leggerle.
La coppia lo
sovrastava, torreggiando sopra di lui come un giudice pronto ad
emettere il
verdetto; l’uomo gli stava chiedendo di leggere una frase
scritta in grassetto,
appena sotto l’immagine di una giungla dalla vegetazione di
colore arancione e
blu scuro. Ripeteva la richiesta, ma lui semplicemente non poteva, non
sapeva
come soddisfarlo, nonostante fosse tutto quello che voleva. Sentiva una
pesantezza nel petto ed il desiderio di scusarsi ripetutamente, ma
sapeva che
non sarebbe servito, che la mancanza non sarebbe stata colmata
così. Abbassò la
testa, la vergogna manifesta su tutto il volto mentre si sforzava di
non
lasciar scorrere le lacrime: sapeva che avrebbero solo aumentato la
delusione
nei suoi confronti. Ne aveva già avuto esperienza.
Era
seduto su una sedia troppo alta per lui, le gambe ciondolavano prive
d’appoggio. Aveva in mano una penna e sotto gli occhi un
foglio pieno di cifre;
sentiva lo sguardo di suo padre fisso sulla nuca, in attesa che
risolvesse il
test. Era una prova che i bambini più svegli riuscivano a
passare verso gli
otto anni, ma in media era logica per quelli di nove. Per Brendol Hux
era
scandaloso che a sei anni suo figlio non ci riuscisse ancora.
Sentiva
la stanchezza di notti passate ad imparare tutto quello che avrebbe
già dovuto
sapere da tempo, a studiare tutti i libri che trovava per la casa.
Quando non
capiva qualcosa, aveva preso l’abitudine di far uscire
l’argomento nelle
passeggiate che faceva con sua madre: almeno due volte a settimana,
Brendol jr.
l’accompagnava in città a fare acquisti
– “a fare un giro in società”,
avrebbe
detto lei, troppo orgogliosa per ammettere quanto il crollo
dell’Impero avesse
inciso sulla loro condizione di vita, tanto da costringerla a sbrigare
faccende
così triviali invece d’inviare i servitori. Sua
madre era una persona
estremamente istruita ed amava dimostrarlo, il che la rendeva
un’inesauribile
fonte di conoscenza. Sopra ogni cosa, non amava non avere una risposta
pronta
ad ogni tipo di domanda: se non sapeva fornirne una immediatamente, la
volta
successiva avrebbe immancabilmente sollevato lo stesso argomento,
spiegando fin
nei minimi particolari in cosa consistesse. Il figlio la ascoltava ed
assorbiva
quanto poteva.
L’aveva
incrociato in atrio – casualmente, perché suo
padre di solito era sempre
all’Accademia – e gli aveva chiesto dove stesse
andando: aveva visto il lampo
d’indignazione nel sentirsi rispondere che stava per
accompagnare sua madre in
città. A dieci anni i ragazzi non dovrebbero passare il
tempo con le proprie
madri, era stata la ripicca seccata. A dieci anni dovrebbero fare
pratica coi
blasters ed affinare le proprie capacità strategiche e di
comando, non correre
dietro alle sottane materne come dei mocciosi di campagna. Brendol jr.
non era
più uscito con sua madre.
Una
volta entrato in Accademia, i suoi voti si erano rivelati tra i
migliori che
fossero mai stati ottenuti e per un breve tempo si era illuso di
avercela
fatta, di avere veramente le carte in regola affinché suo
padre, guardandolo,
fosse orgoglioso di averlo come figlio. Questo prima che cominciassero
i corsi
di combattimento corpo a corpo. Suo padre era un uomo imponente, alto,
di
corporatura robusta, letale tanto negli scontri ravvicinati quanto come
cecchino;
Brendol jr. aveva ereditato l’altezza senza prenderne la
stazza. Era nel letto
dell’infermeria, il braccio sinistro rotto dopo un incontro;
sentiva la
vergogna bruciargli in viso e ringraziò il fatto che suo
padre non si sarebbe
mai degnato di venire a controllare come stava. Non avrebbe retto
l’umiliazione
di fronte al personale dell’infermeria. L’aveva
incontrato in corridoio la sera
stessa, mentre tornava nella sua stanza col braccio al collo; non
dovette
nemmeno alzare lo sguardo per sentire la delusione trapelare. Si
costrinse a
salutare e a non accelerare il passo, la mortificazione che lo
appesantiva come
un macigno.
Aveva
passato tutti i corsi di corpo a corpo con il massimo dei voti ed il
minimo di
sonno: aveva tagliato sulle pause pranzo ed evitato con maestria i
coprifuoco
per colmare anche questa lacuna. Aveva trovato una cadetta che si
allenasse con
lui, una giovane robusta, con un destro micidiale ed uno spirito
combattivo
notevole; i loro rapporti si limitavano agli incontri in palestra di
prima
mattina e nelle pause pranzo ed erano strettamente pratici. Non
l’avrebbe
definita un’amica, perché non lo era: era solo
l’unica di tutti i cadetti a non
aver paura di fare a botte con lui al di fuori dei corsi regolari. Se
il
cognome che portava l’aveva protetto dagli episodi di
violenza che aveva visto
scoppiare nei dormitori e nei bagni, l’aveva anche reso
perennemente solo:
nessuno s’arrischiava ad entrare volontariamente in contatto
col figlio del
Comandante. Ma gli andava bene, non aveva tempo per avere amici,
c’era troppo
lavoro da fare per potersi concedere una distrazione simile. Od un
qualsiasi
tipo di distrazione.
Anche
quando suo padre non poteva vederlo, il senso di vergogna non lo
abbandonava;
premette il viso contro il cuscino ruvido, sperando di riprendere il
controllo
del proprio corpo. Non sapeva neanche cosa l’avesse preso,
perché
improvvisamente avesse questo desiderio di toccarsi: sapeva quanto
fosse
piacevole, ma avrebbe dovuto concentrarsi sulla simulazione del giorno
dopo,
non su queste trivialità. Si sfiorò attraverso il
tessuto dei pantaloni, ma il
volto deluso di suo padre gli balenò davanti e dovette
mordersi la mano per
impedirsi di gridare per la frustrazione. Si alzò e
andò a rivedere gli schemi
per il giorno dopo, costringendosi a non cedere.
Anche
negli anni successivi, una volta lasciata l’Accademia, quando
si lasciava
andare ai suoi bisogni – in maniera metodica, efficiente,
perché il tempo non
andava sprecato per quello – non riusciva a scrollarsi di
dosso il senso di mortificazione
che accompagnava quel gesto che avrebbe dovuto essere liberatorio.
Ren
era l’esatto opposto del modello che suo padre gli aveva
sempre presentato:
disciplina, rigore, duro lavoro, abnegazione, sacrificio. Sapeva di
aver avuto
un’educazione molto dura, ma quella di Kylo Ren pareva essere
stata
inesistente. Lo irritava ed al contempo, nel profondo – ove
non s’arrischiava
mai ad avventurarsi – lo invidiava. Terribilmente.
Il
giorno in cui aveva concluso il suo percorso all’Accademia e
gli era stato
assegnato il suo primo ruolo di responsabilità
all’interno dell’Ordine, si era
aspettato un qualche tipo di riconoscimento: una frase pronunciata con
soddisfazione, una mano sulla spalla, un incoraggiamento per la sua
carriera
futura. Suo padre non era venuto a cercarlo. Era assieme agli altri
ufficiali
di rango superiore il giorno della sua partenza. L’aveva
osservato a distanza e
quando i loro sguardi si erano incrociati, aveva annuito
impercettibilmente
prima di voltarsi a conversare con i suoi parigrado. Un semplice cenno
del
capo, niente di più. Eppure Brendol jr. era talmente felice
che il cuore gli
stava per scoppiare in petto.
Era
accasciato per terra, sul pavimento gelido della propria stanza, o
forse era a
cavalcioni di Ren, muovendosi ritmicamente senza che un solo pensiero
gli
attraversasse la mente. Non si era mai sentito così leggero.
Non si era mai
sentito così potente. Invincibile. Mai.
*
Ritornare
nella propria mente, nei propri pensieri fu come essere improvvisamente
gettato
in acqua dopo essersi illuso di poter toccare le cime più
alte. Kylo
boccheggiò, riuscendo a mantenersi stabile in piedi; sentiva
il respiro
accelerato di Hux ed il suo peso che poggiava quasi completamente sulle
sue
braccia, le mani strette sui ad altezza dei bicipiti. Se
l’avesse lasciato,
sarebbe crollato a terra come un corpo inanimato, nonostante nel
processo si
fosse aggrappato alla sottile maglia nera che ricopriva il torso del
Cavaliere.
Prima
che lo sforzo diventasse eccessivo, lo condusse verso il letto e lo
fece
sedere, assicurandosi che non s’accasciasse ugualmente a
terra. Nonostante
l’esperienza, sembrava più controllato di prima:
il volto era ancora rosso, il
respiro gli veniva a fatica, ma gli occhi erano lucidi, concentrati,
come se
nella sua mente stesse cercando di tirare le fila di quanto aveva
visto.
Probabilmente lo stava facendo. Erano ricordi suoi, alcuni parzialmente
dimenticati, altri ben incisi nella sua memoria, ma riviverli in
sequenza, alcuni
a distanza di anni, glieli aveva fatti considerare secondo una nuova
prospettiva. Aveva un gran lavoro di rielaborazione davanti.
Da
parte sua, Kylo aveva avuto la conferma di quanto aveva solo intuito,
eppure il
suo interesse per la questione non era diminuito: aveva scoperto le
ragioni per
cui il Generale si presentava nella sua veste di disciplina e
abnegazione, ma
non sapeva ancora com’era sotto le sue protezioni. Per
scoprirlo, tuttavia,
avrebbe dovuto attendere.
Al
momento non aveva una grande presa sul mondo esterno: la testa gli
girava e
grazie al cielo era, non sapeva bene come o da quanto, seduto su una
superficie
stabile. Attraverso la foschia che gli offuscava i sensi
percepì distintamente
una mano sulla spalla – una mano grande, tanto calda che per
un istante pensò
di essersi scottato – e una voce all’orecchio, il
soffio leggero a
solleticargli i capelli.
<
Se vorrai, sai dove trovarmi.>
*
Ci
aveva messo meno di quanto pensasse, meno di quanto ci aveva messo a
stabilire
la routine della telecamera. Probabilmente i freni erano già
stati danneggiati
a sufficienza da permettere ad una piccola spinta di spezzarli
completamente.
Quattro giorni più tardi, Kylo Ren aprì la porta
d’ingresso alle sue stanze e
si trovò di fronte il Generale: ad un osservatore normale
niente sarebbe parso
insolito, ma Ren percepiva la leggera ansia che trapelava
dall’uomo,
un’insicurezza che, nella sua distorta visione del mondo,
rasentava il tenero.
Se gliel’avesse detto, probabilmente Hux avrebbe cercato di
strangolarlo;
rimase in silenzio, ma lo pensò ugualmente, riflettendo su
quanto gli venisse
spontaneo prendere poco sul serio il suo co-comandante.
Si
fece da parte e lo lasciò entrare, permettendogli di
scrutare attentamente i
dintorni. Hux si era aspettato l’allucinante caos che solo un
individuo
impulsivo come Ren poteva creare, ma la situazione era nettamente
migliore di
quanto non avesse creduto. Certo, c’era, notò con
sdegno, un cumulo di abiti
gettati all’angolo della scrivania, ma le camere versavano
tendenzialmente in
uno stato accettabile. Si concentrò sul letto –
una piazza e mezza, come il
suo, incredibilmente preparato – e inspirò per
calmare i suoi nervi. Sobbalzò
leggermente quando due mani come fornaci gli si appoggiarono sulle
spalle,
massaggiando i muscoli tesi.
<
Rilassati, non c’è motivo di agitarsi.>
Si
trattenne dal rispondere piccato chiedendogli perché dovesse
usare delle frasi
talmente cliché, ma si
limitò a
scuotere il capo.
<
Non sono neanche sicuro del perché io sia qui.>
Un’immagine
gli apparve davanti, la stessa immagine a cui aveva dato vita lui
stesso in
quella serata di follia: muscoli coperti di sudore, mani che
stringevano
lenzuola, occhi che parevano perforargli il cranio per la loro
intensità e
quella sensazione di piacevole stretta al basso ventre che…
<
Ecco perché sei qui.>
Si
voltò a guardarlo, notando come il suo volto fosse
incredibilmente aperto e,
sperando di non ingannarsi, sincero.
<
Sei qui per concederti qualcosa che non ti sei mai permesso, nonostante
tu ne
abbia avuto bisogno da troppo tempo.>
Aveva
una lista di almeno una ventina di elementi che potevano provare che
questa era
una pessima idea, ma le motivazioni nella sua mente risuonavano con la
voce di
suo padre e, per una volta, Hux ne aveva veramente avuto abbastanza.
<
E tu perché sei qua?>
Questa
volta Ren si concesse un mezzo sorriso, mentre con noncuranza si
sfilava i
guanti che ancora indossava, restando in maglietta e pantaloni, i piedi
nudi
sul freddo pavimento.
<
Sono qui per te… – Hux non trattenne uno sbuffo
questa volta – e perché sono a
mia volta curioso. Ho percepito una persona estremamente diversa dal
noioso
compila-carte che sono costretto a sopportare quotidianamente. Voglio
vederla
più da vicino.>
<
È questo che è per te, quindi? Un
esperimento?> ribatté il Generale,
ignorando deliberatamente la descrizione assolutamente faziosa che gli
era
appena stata fatta.
<
Un’esperienza, direi. Ho la sensazione che, in fin dei conti,
questo sarà utile
ad entrambi.>
Mentre
una mano proseguiva nel massaggio, l’altra scese lungo la
schiena e si appoggiò
su un fianco, attirando i loro corpi più vicino;
sentì Hux irrigidirsi appena
nell’assenza di distanza.
<
Non ho particolare esperienza in questo settore, Ren.>
borbottò, trovando
particolarmente interessante il muro grigio alla sua destra. Era
più sensato
mettere le carte in tavola, ma questo non rendeva più facile
la questione.
<
Neanch’io, ma non sarà un problema.>
A
sentire quella risposta si rilassò un po’,
confortato all’idea di non essere in
svantaggio rispetto al suo… collega? Compagno? Partner?
Co-comandante, ecco. Anche
se, probabilmente, forse il suo era solo un inutile puntiglio,
più che un
problema reale: se Ren avesse voluto umiliarlo l’avrebbe
fatto ben prima.
Ren
stava cercando di rompere lentamente il ghiaccio ed Hux seguiva
attentamente
ogni suo singolo movimento, cercando di elaborare rapidamente possibili
scenari
conseguenti; Kylo si trattenne dal roteare gli occhi: non doveva
funzionare
così, doveva lasciarsi dietro ogni controllo se voleva che
l’esperienza avesse
l’esito desiderato. Improvvisò ed invece di
gettarsi su quelle labbra sottili
scartò all’ultimo e gli lasciò un bacio
sulla guancia, quasi affettuoso.
Il
Generale sgranò gli occhi, il nervosismo superato
dall’irritazione, e stava già
per riprenderlo aspramente ricordandogli che non era affatto una
donzelletta od
un delicato fiorellino e che poteva anche decidersi ad agire sul serio,
quando
ogni possibilità di parlare fu stroncata da una bocca sopra
la sua.
Effettivamente ora Ren stava facendo sul serio e tutta la confusione
che aveva
cercato di domare nei giorni precedenti tornò a farsi
sentire; una parte del
suo cervello gli suggeriva di ritirarsi finché era ancora in
tempo, l’errore
non era ancora irreparabile e, d’altronde, perché
cambiare una situazione che
era durata per più di trent’anni e che aveva dato
ugualmente ottimi frutti?
L’altra parte non adottava altrettanto raffinati strumenti
retorici, ma si
limitava a comunicargli ciò che aveva sempre voluto
ignorare, tipo quanto fosse
piacevole il movimento congiunto delle labbra tra due persone
– e se era
piacevole con un personaggio insopportabile come Ren, poteva immaginare
come
sarebbe stato con una persona affidabile e rispettosa. Come Phasma o,
boh, uno
qualsiasi dei suoi ufficiali. Peccato che, per quanto si sforzasse,
nessuno di
quei volti riusciva a sostituire quello di Ren.
Si
separarono e Hux contemplò effettivamente
l’opportunità della fuga, ma ogni
risoluzione venne frantumata dallo sguardo che gli lanciò il
Cavaliere.
<
Non siamo qui per prenderci in giro, Hux. Perché funzioni
devi volerlo, per
cui, adesso, se non sei convinto di quello che stai per fare, quella
è la
porta. Ma deciditi ora ed una volta per tutte.>
Sarebbe
stato tentato dal rispondergli per le rime e ricordargli che,
nonostante
l’assurda situazione, restava ancora il Generale del Primo
Ordine e non uno
scolaretto da sgridare; si bloccò: era stanco anche lui di
quella farsa, di
quei titoli che gli pesavano addosso, di responsabilità ed
aspettative. Era per
quello che era lì, per perdersi nell’oblio e
dimenticare per una manciata di
santissimi minuti chi fosse. Annuì, deciso, e prima che Ren
potesse aggiungere
altro prese l’iniziativa e, afferratolo per un braccio, gli
fece cenno di
andare verso il letto.
*
Sentiva
la gola secca ed il cuore che gli martellava nelle tempie; si concesse
del
tempo per ammirare lo spettacolo che aveva di fronte a sé,
quel corpo che si
era limitato ad osservare dietro la codardia di una telecamera e che
aveva
sognato di poter toccare, per accostare alla vista il brivido del
tatto. Se il
carattere di Ren non era stato rigidamente disciplinato, il suo corpo
di certo
aveva subito ben altro trattamento. Cercò di memorizzare
ogni singolo muscolo e
tendine in evidenza mentre procedeva a liberarsi degli ultimi vestiti
che
indossava – un modo anche per non pensare a quanto poco fosse
tonico il suo
fisico, provato da anni di burocrazia e vita quasi sedentaria,
nonostante gli
allenamenti settimanali che si costringeva a svolgere. Una volta nudo a
sua
volta, esitò, incerto sul da farsi. Ren lo osservava con
un’espressione di
curiosità e desiderio: non doveva essere così
immediato neanche per lui –
ragionò Hux – quindi non c’era motivo
per sentirsi in ansia. Non c’erano
procedure e calcoli da seguire, solo il suo istinto. Arrivati a questo
punto,
tanto valeva buttarsi.
Se
due settimane prima gli avessero detto che si sarebbe trovato a
cavalcioni
dell’apprendista del Leader Supremo, adagiato sul letto in
una delle sue
tipiche pose drammatiche, e che avrebbe trovato piacevoli i suoni che
emetteva
mentre gli mordeva il collo e il torso all’altezza delle
costole, Hux avrebbe
probabilmente ordinato l’esecuzione immediata del temerario
narratore. O forse
avrebbe gustato una vendetta più personale, espellendolo
direttamente da uno
dei bocchettoni di scarico dei rifiuti, direttamente nello spazio.
Nessuno
aveva avuto l’ardire, ma il tempo avrebbe dimostrato che
erano nel giusto. Ogni
possibilità di autocontrollo si sgretolò
completamente quando osò mordere
l’osso del bacino e Ren, inarcandosi, si lasciò
sfuggire un suono che Hux non
sapeva neanche come identificare, ma che gli fece affluire il sangue al
basso
ventre. Stava diventando più audace e Ren
approfittò di quest’impennata di
autostima per partecipare attivamente, attaccando a sua volta il collo,
lasciando segni ed impronte che spiccavano incredibilmente sul pallore
del
Generale.
Hux
non era completamente conscio di quanto stava accadendo, ma di certo
partecipava con entusiasmo; la lucidità aveva lasciato
spazio ad una marea di
sensazioni, tutte nuove ed intense, e si sentiva la testa leggera, come
se, di
nuovo, fosse diventato improvvisamente invincibile. E non era ancora
niente. Non si
domandò perché Kylo Ren
possedesse del lubrificante – in condizioni normali sarebbe
stato un dettaglio
davvero inquietante – né da dove fosse
materialmente spuntato; sentiva che gli
stava parlando, un insieme di suoni senza senso mormorati al suo
orecchio, ma
era troppo concentrato sul calore dei loro petti l’uno contro
l’altro, sul
respiro frenetico del Cavaliere, sull’improvvisa sensazione
di freddo quando un
dito cosparso di lubrificante accarezzò quasi per scherzo
delle zone
estremamente private del suo corpo. Il gelo sparì in fretta,
sostituito da un
calore allucinante e dal desiderio di non fermarsi per alcuna ragione:
voleva essere
lì in quel momento, ci era arrivato con i suoi soli sforzi e
l’adrenalina gli
scorreva talmente forte nelle vene che gli sembrava di non essere mai
stato
vivo prima di quel momento.
Non
sapeva quanto fosse passato, se un battito o un secolo (gli sembrava di
essere
lì da sempre, di non avere memorie al di fuori di quella
stanza, del bianco
delle lenzuola, delle labbra rosse di Kylo, dei respiri pesanti che
dettavano
un ritmo costante, naturale). Di sicuro del tempo era passato,
perché le dita
che si muovevano dentro di lui erano aumentate, ma non erano ancora
abbastanza.
Si riaggiustò attorno ai fianchi dell’altro e gli
afferrò il membro, portandolo
verso la propria apertura, il fiato trattenuto senza saperlo nei
polmoni, le
pupille dilatate. Fosse morto in quel preciso istante, sarebbe morto
appena
nato, ma felice.
Doveva
essere un esperimento – per quanto il termine non fosse dei
più felici. Un
test, una prova, quasi un passatempo, si era detto. Non avrebbe dovuto
lasciarsi trascinare così tanto, ma il vortice di emozioni
che spiravano fuori
dal Generale era così forte da fargli male. Hux era bello.
Kylo non riusciva a
non pensarlo mentre, con la bocca socchiusa, lo osservava calarsi su di
lui,
accoglierlo ed improvvisamente la sua percezione del mondo era fissa
sul
movimento costante contro il suo membro e sul volto scarlatto
dell’uomo, gli
occhi che brillavano di un fuoco sconosciuto e tutto era fottutamente
perfetto.
C’era
un ronzio di fondo nella sua testa e s’immaginò
Snoke che gli ordinava di
riprendere il controllo, perché quelle non erano emozioni
che l’avrebbero
rafforzato, la rabbia aumentava il suo potere, non quel liquido
piacevole che
gli annebbiava i sensi e gli portava alla bocca parole sciocche. Ma la
sua voce
non s’interrompeva, continuando una cantilena di sconnessi
suoni, privi di
forma, ma densi di significato. Avrebbe avuto paura di essere in
qualche modo
ingannato, di mostrarsi debole di fronte al Generale e offrirgli il
fianco per
un colpo letale, ma ogni apprensione spariva
nell’intrecciarsi delle loro
emozioni, così simili da legarsi e fortificarsi
l’una con l’altra; non c’era
secondo fine in nessuno dei due, né attenta circospezione
né desiderio di far
male, in nessun caso. C’era solo un movimento coordinato che
sembrava essere
iscritto nel loro dna, un ribollire di sangue ed un’euforia
incontrollabile,
indomabile.
Non
riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Pur nello sforzo, pur in
quello che
doveva essere il momento di massima vulnerabilità, era quasi
regale: se lo
immaginava assiso in trono, gli occhi luminosi intenti a scrutare la
vastità
del suo impero, l’orrida smorfia di disprezzo trasformata
– com’era in quel
momento – in pura e semplice soddisfazione, consapevolezza di
aver conquistato
ogni singolo lembo di ciò che possedeva con le sue mani, per
suo desiderio e
profitto. Non più uno strumento, ma un vero e proprio capo.
Sentì il suo
respiro accelerare, i movimenti farsi più frenetici mentre
si inarcava
all’indietro puntellandosi sulle cosce dell’altro,
il collo esposto in uno
scarto del capo. Come se il giogo fosse lo stesso per entrambi e la
loro
sinergia coordinata accuratamente, si liberarono assieme, Kylo
aggrappandosi
alle lenzuola come se dovesse scivolare via dal mondo senza alcun
appiglio, Hux
emettendo un suono che non credeva di saper produrre.
Il
Generale tornò in sé gradualmente, seguendo il
battito ormai stabile che
proveniva dal petto su cui era steso; si ricordò in maniera
vaga di una serie
di contrattempi mondani a cui avrebbe dovuto attendere: un incontro con
Phasma
in tarda mattinata, una serie di documenti ufficiali da revisionare e
firmare.
Un confronto con Ren per capire cosa diamine era successo e,
soprattutto, come
agire da quel momento in poi. Bé, la discussione con il
Cavaliere poteva essere
affrontata subito, visto che si trovava proprio sotto di lui. Chiuse
gli occhi,
concedendosi altri cinque minuti di tranquillità. Il corpo
di Ren era caldo, il
respiro calmo e cullante e, tutto sommato, qualsiasi cosa fosse
successa la
sera prima, era convinto non fosse niente di irreparabile. Anzi.
Pensò alla
visione che aveva avuto – forse era stato un sogno, forse
un’allucinazione
all’apice del piacere: se stesso, seduto su quello che
sembrava a tutti gli
effetti un trono, una galassia di fronte a sé e la
consapevolezza che tutto
quello gli apparteneva e se l’era guadagnato con i suoi
sforzi. Una persona di
potere, una persona che valeva. Sorrise, stupito dal corso dei propri
pensieri:
si sorprese a pensare che Kylo Ren non avrebbe sfigurato al suo fianco.