Avvertimenti: abuso delle parentesi,
riferimenti ad
animali vari ed eventuali (in realtà principalmente i gatti
e i beccaccini: Tashigi in
giapponese è proprio il
beccaccino). Credo si possa considerare questa storia come un Missing Moment, in certi punti.
Momento link: coltello
a farfalla,
beccaccino.
Buona
lettura!
De Saturis Lancibus
Coltello a farfalla
Dite
pure quello
che volete, ma Zoro non assomiglia ai gatti soltanto perché
dorme tutto il
giorno – che poi non è vero, ehi! Di notte dorme
poco!
Assomiglia
ai
gatti anche perché lecca tutte le proprie ferite con una
cura minuziosa; perché
perfino coi gatti, domestici che possano essere, non si può
mai essere sicuri
che non abbiano morso qualcuno
– o
che non morderanno qualcuno.
Ne
diede un’ampia
dimostrazione a Punk Hazard, nella Stanza dei Biscotti, di fronte a due
donne-uccello – di cui solo una sarebbe stata capace di
spiccare il volo, ed
era quella con il nome di un beccaccino, non quella con un paio di ali
di neve.
Ai gatti piace giocare con le proprie prede, oppure guardare due altri
animali
difendersi con le unghie e i denti fino a quando arriva il momento di
intervenire: in genere Zoro non ama rimanere indietro né con
le mani in mano,
però quella volta decise di stare a vedere quanto il
Capitano Quattrocchi fosse
migliorata.
Fu
solo per il
fatto che Tashigi assomiglia molto a Kuina che Zoro le permise di
combattere contro
la donna-neve. Attraverso i movimenti della marine Zoro cercava di
ricostruire
che cosa Kuina avrebbe fatto, come avrebbe schivato quei coniglietti di
neve,
come avrebbe reagito quando Monet le avesse morso una spalla. Rispetto
ad
alcuni anni prima non sovrapponeva più in maniera indistinta
l’immagine di
Tashigi a quella di Kuina: le giustapponeva una all’altra,
questo sì, ma le
riconosceva come due persone diverse.
(Si
dice che i
felini vivano tra il mondo reale e un mondo al di là di
questo, che siano
attraversatori di dimensioni, traghettatori di sogni, sibille invasate
dietro
uno sguardo intermondano. Per questo motivo, quando Tashigi, durante il
combattimento con l’arpia, lanciava un’occhiata
allo spadaccino seduto presso
la porta e lo vedeva con uno sguardo fisso che incrinava la barriera
tra un
mondo e un altro – in questi momenti un brivido di paura,
rassegnazione e
voglia di riscattarsi le risaliva la spina dorsale, contando
trentaquattro
vertebre come se fosse un artiglio a raschiarle.)
...
Però quella
giacca rosa faceva sembrare il Capitano Quattrocchi più una
farfallina che un
beccaccino! Ma che razza di divise avevano, alla Marina? Perfino i
guanti! Una
farfallina in tutto e per tutto, perfino
i guanti! E non cercare di
difenderla, stupido cuoco, una divisa come quella è insulsa,
come le tue
sopracciglia!
(A
Zoro non
dispiaceva immaginarsi litigare con quell’imbecille di un
cuoco – anzi, era
piuttosto divertente. Non si era allontanato dal campo di battaglia
neanche con
il pensiero, comunque: per quanto camminasse tra mondi, il fendente che
lui
stesso aveva sferrato intendeva tagliare a metà la
donna-neve e nessun altro.)
Anche
quando
mordono, i gatti conservano una sorta di grazia micidiale, atavica e
costantemente perfezionata in allenamento. Alcuni non hanno bisogno di
soffiare
per rendersi più possenti di quanto già siano,
perché sanno che la
consapevolezza della morte, negli occhi del loro piccolo giocattolino
predato,
è reale, benché impalpabile. Così, con
una precisione terrificante, Zoro tagliò
a metà l’arpia di neve, e la lasciò
scogliere a terra per il terrore.
La
differenza tra
un gatto e Zoro stava nel fatto che un gatto avrebbe atteso la lenta
morte
della propria preda e poi l’avrebbe mangiata senza altri
scrupoli; Zoro
addirittura lasciò che il Capitano Quattrocchi si
guadagnasse il merito del
combattimento.
«Se
non l’avessi
colpita tu, ci avrei pensato io.»
«Son
tutte balle!
Sei scorretto, lo dici ora che l’ho colpita!»
Con
le smorfie che
quella faceva, a dire il vero, Zoro non sapeva più bene a
che tipo di animale
associarla. Né un beccaccino, né una
farfalla—un gatto, forse? Anche lei?
Un gatto diverso, di sicuro,
una mamma gatta, o qualcosa del genere. In ogni caso, era molto
divertente,
anche se tutta questa storia lo seccava parecchio. Zoro avrebbe colpito
la
donna-neve se quella fosse stata intenzionata a inseguire i suoi amici:
non
avrebbe esitato nel proteggere i propri compagni. Ma, di tutto questo,
non
c’era nulla da spiegare né all’arpia,
né a quella spadaccina beccaccina.
In
genere, i gatti
hanno un rapporto speciale con le donne: una forza e una bellezza
innate, di
cui le persone non sono sempre consapevoli o che spesso non mostrano,
vuoi per
l’educazione ricevuta, vuoi per il carattere, oppure per
molte altre questioni
che sono bollate sui corpi e nelle menti di ogni generazione della
specie umana
da molto tempo. Questo è l’unico motivo per cui,
quando Tashigi svenne, Zoro se
la caricò in spalla e cominciò a correre verso
l’uscita della Stanza dei
Biscotti, alla ricerca dei propri amici o di quegli imbranati del G-5.
Certo,
una corsa poco decorosa per entrambi, ma non poteva portarla via
tenendola per
la collottol—per il bavero della giacca (rosa),
giusto?
⁂
«Quando
ti dico
che sei un idiota, sei un idiota.»
Lo
stramaledetto
cuoco doveva stare ben zitto, accidenti – non riusciva
più a sopportarlo,
onestamente! Lavorasse al pranzo per tutti quanti senza cercare di
torcergli i
nervi fino a farli diventare come le sue stupidissime sopracciglia!
«Che
cosa vuoi,
cuoco?»
Sanji
aveva appena
servito un paio di piatti a Kin’emon e Momonosuke, che ora
sembravano essere in
un qualche paradiso non meglio definito, tra la soddisfazione dei sensi
per il
pranzo e la gratitudine per la ciurma di Rufy. «Non si
comincia a mangiare
quando ancora la mamma non è seduta a tavola,
sai?» Disse, con un sorriso che
per Zoro era decisamente irritante – ma dopotutto quella
testa bionda lo
irritava praticamente in ogni momento della giornata (e ancor di
più quando
Zoro pensava che per il cuoco, come per tutta la ciurma, avrebbe
rischiato la
vita. Se lo faceva incazzare!). «Nemmeno il papà
comincia a mangiare se la
signora non ha preso in mano la forchetta, quindi non fare il
maleducato davanti
a questa marmaglia di marine.»
(Dietro
Sanji, un
paio di soldati della marmaglia
ignorarono bellamente l’insulto e si misero in coda per
prendersi un bel piatto
di zuppa di maiale marino.)
«Un
pirata fa
quello che vuole.»
«Tu
di sicuro fai
il muro contro cui sbatto sempre la testa.» Le frecciatine
del maledetto cuoco
mancavano di cattiveria, ma forse questo era dovuto al fatto che stava
servendo
un pasto di cui era vistosamente molto orgoglioso – e di cui
anche quegli scemi
della Marina sarebbero stati soddisfattissimi, se una parola simile
esistesse.
Zoro
stava per
rispondergli per le rime (letteralmente, con un «Quella
sarà per te zuppa indigesta!»
degno solo di un rimatore alle prime arti) quando
quell’imbecille biondo
cominciò a volteggiare: non Nami, non Robin,
bensì il Capitano Quattrocch—
«Che
piacere
rivederti, cara Tashigi! Sei ancora più carina quando i tuoi
occhi sono stati
puliti dal pianto e non porti gli occhiali!»
«Li
ho rotti,
Gambanera, non posso certo rimettermeli. Sono qui per chiederti una
porzione di
zuppa per me e una per il signor Smoker.»
«Tutto
quello che
vuoi, bambolina!»
Aveva
pianto? Se
non altro, adesso Zoro riusciva a spiegarsi il velo sugli occhi del
Capitano
quando era arrivata nella Stanza dei Biscotti e aveva deciso di
rimanere a
combattere nonostante lui, da solo, sarebbe stato perfettamente in
grado di sconfiggere
l’arpia. Allora forse la farfallina-beccaccina aveva
preferito restare per
ripristinare il proprio onore, per riprendersi dalla vergogna
dell’aver pianto
davanti a un pirata (per quanto fosse un idiota, il cuoco rimaneva
comunque un
nemico della Marina). Considerato questo e tutto quello che ne era
seguito,
compresa la corsa in spalla, Zoro pensò che, tutto sommato,
avere a che fare
con quell’imbecille dovesse essere il minore dei mali per il
Capitano
Quattrocchi. Il pensiero faceva ridere piuttosto che piangere, per cui
ridacchiò per conto proprio.
«Cos’hai
da ridere,
tu?» Lo incalzò Tashigi, con in mano due scodelle
di zuppa e in viso una
smorfia contrariata ma molto, molto buffa. «Ti faccio ridere
perché sono
debole, Roronoa Zoro?»
«Ammetterlo
è già un
passo in avanti, ma non è per quello.»
Tashigi
doveva star
pensando ad almeno duecento risposte da dargli – da quella
più minacciosa a
quella che aveva più probabilità di colpire Zoro
in un punto cieco della guardia
(punto cieco che non esisteva: forse il Capitano Quattrocchi, svelta
come una
mamma gatta, sarebbe saltata in un altro mondo dove avrebbe potuto
colpirlo).
Alla fine, evidentemente combattuta su quello che ci fosse da dire, la
marine
ripiegò su quello che sembrava una sorta di
auto-compatimento: «Giusto. Perché
non vale nemmeno la pena perdere tempo per cose del genere.»
Poi si voltò e se
ne andò dal proprio superiore senza dire altro. In mezzo
alle uniformi bianche
e blu del resto dei soldati, la sua giacca rosa risaltava come del
sangue sul
ghiaccio che va alla deriva, nel mare, sciogliendosi, amalgamandosi al
resto
dei marinai e della festa, andando più lontano ancora.
Zoro
fissò la
marmaglia per qualche altro minuto, poi Sanji gli mise in mano il
pranzo e gli disse:
«Adesso che la mamma sta pranzando, puoi mangiare anche tu. E
ringrazia!»
Lo
spadaccino
rimase perplesso, ma automaticamente gridò dietro al cuoco,
che stava tornando
davanti alla grande pentola. Non è che avesse capito del
tutto ciò che
quell’idiota intendeva dire, ma di certo Zoro non
gliel’avrebbe chiesto.
Maledetto cuoco che si metteva in testa le idee più strane:
Zoro di certo non
aveva considerato Kuina come un sostituto di una madre o di una
sorella, e
tantomeno considerava Tashigi più di una mediocre
avversaria! Era il Capitano
Quattrocchi a porsi dei problemi che non esistevano, non lui a non
sapere come
comportarsi!
⁂
«Sia
chiaro: io
non ho paura di te» disse Tashigi, tornata vicino a Sanji e
alla pentola per
restituire i piatti del pranzo. Aveva parlato voltandosi contro Zoro,
accusandolo con un’espressione che, più che
intimidatoria, era buffa (come sue
molte altre smorfie, del resto).
«Nessuno
te l’ha
chiesto, donna.»
«Ma
mi fai
arrabbiare! E non perché sei più forte di me, ma
perché—perché—»
fece delle
altre espressioni strambe, a metà tra lo stranamente tenero
(pensò Sanji) e il
tentativo di mantenere un contegno (pensò Zoro), ma non
riuscì a finire subito
la frase – invece sbuffò sonoramente. Era
così imbranata, secondo Zoro, che
nemmeno col suo sguardo tagliente
sarebbe riuscita a tagliare un avversario.
Sanji,
trovando
una fanciulla in difficoltà, le diede un aiuto.
«È la sua faccia, cara Tashigi?
Perché fa arrabbiare anche me.»
«Tu stanne fuori! Ne ho già
abbastanza
con uno solo di voi due!»
Tashigi
reagì
scuotendo la testa e si fece serissima, poi disse:
«Perché a partire da
Alabasta tutti voi continuate a mettere in discussione quello in cui
credo. La
Gatta Ladra mi ha affidato i bambini che erano stati rapiti, Gambanera
ha
preparato il pranzo per tutti, senza esclusione. E tu, Roronoa Zoro,
prima di
farmi venire in mente un pirata mi fai venire in mente uno
sbruffone!»
Sanji,
che si
stava allontanando per qualche motivo ignoto, ridacchiò.
Zoro gli avrebbe
mostrato il dito medio, se solo quello stupido di un cuoco non avesse
dato loro
le spalle; si limitò invece a rispondere a Tashigi, dicendo:
«Senti, il tuo problema
te lo risolvi tu, per conto
tuo.»
«Il
mio problema è che tu sottovaluti chi è
più debole di te,» rispose Tashigi, rigida e
attenta, «ma, per quanto mi dia fastidio ammetterlo, siamo
entrambi persone
testarde. Se tu continuerai a seguire il tuo obiettivo, io
continuerò a seguire
il mio, e salverò tutte le spade piangenti, costi tutta la
fatica e gli sforzi
che possa costare. Tu cominci da un punto avvantaggiato, e non credo
nemmeno
che tu te ne sia accorto, Roronoa: se io adesso sono debole, non lo
sarò in futuro.
Ho solo fatto molte conquiste che tu non hai dovuto affrontare, visto
che sei
un uomo, ma vedrai che recupererò tutta la distanza
possibile, fino a quando
non morirò senza fiato. È una promessa.»
Una
farfalla si
era infilata tra le pieghe dello spazio-tempo e, attraverso un altro
mondo,
aveva conficcato un coltello nel corpo dello spadaccino dalla guardia
impenetrabile, all’altezza del diaframma: Zoro non stava
sanguinando, ma la
sensazione che provava era molto simile. Come per molte altre ferite
che aveva
sofferto in passato, ignorò il dolore. Le immagini smisero
di sovrapporsi, non
c’erano più né gatti né
farfalle né arpie: rimaneva soltanto la pungente idea
di una sofferenza che, in qualche modo, era piacevole.
«Hai
finito,
Capitano Quattrocchi?»
Tashigi
sembrava
delusa: era un po’ rossa in viso, per l’imbarazzo,
per l’essersi esposta e per
il freddo. Si stava voltando per tornare dai propri soldati, ma prima
di
tornare dai suoi lanciò un’altra occhiata allo
spadaccino, di cui – per un secondo
solo – parve avere paura (ma non in quanto nemico,
bensì in quanto capace di
rifiutare quel giuramento); in quel momento la farfalla aveva battuto
le ali e
aveva preso il volo, noncurante della neve che minacciava il suo
percorso – o
meglio, determinata a non lasciarsi abbattere dai fiocchi di neve e da
tutto il
resto del mondo.
«Accetto
la tua
promessa: ora puoi andartene.» Disse Zoro, scuro in volto e
coi denti stretti,
prima di darle le spalle e allontanarsi il più possibile.
Come
un gatto, Zoro
sarebbe tornato a leccare le proprie ferite: tra i tagli per cui
sgorgava più
sangue c’era di sicuro quello all’altezza del
diaframma, una coltellata
invisibile e impalpabile, infertagli da una farfallina in questo e
nell’altro
mondo – e non avrebbe smesso presto di sanguinare, di questo
Zoro si convinceva
di più per ogni passo felpato, inumidito nella neve e nel
mare di divise di
soldati e risate dei propri compagni.
Note Autrice:
Tra
tanto
tempo, in una galassia lontana, vedremo una SmoLaw. aha. forse. aiuto
A
ben pensarci,
avrei potuto mettere l’immagine a fine storia, visto che
l’ultimo pezzettino
riguarda proprio l’immagine. Però ho seguito lo
schema impostato per il resto
della raccolta, ecco.
Just
wtf. A me la
giacca di Tashigi suona troppo buffa: voglio dire, è carina
perché Tashigi è
carina e j’adore, però, signor Oda, non crede di
esagerare? XD
Spero
vi sia
piaciuta la stra-abusata metafora amore/ferita con un piccolo twist di
farfalline, beccaccini e gatti annessi e connessi. Una pugnalata
(metaforica) al cuore di Zoro, secondo me, è un po'
paradossale, dal momento che è uno spadaccino che non lascia
la guardia scoperta: per questo mi piace. E poi Sanji,
perché se questo
è l’anno di Sanji io ne ho visto troppo poco e
rivoglio Sanji sulle scene in
grande stile. Mi manca un sacco. :C
In
realtà non è
che abbia tutta questa passione per la ZoTash, ma i due personaggi
presi
singolarmente mi piacciono molto. Trovo che Tash sia uno dei personaggi
migliori attraverso cui parlare di uguaglianza tra generi.
«Quella
sarà per
te zuppa indigesta» è un endecasillabo inventato
dall'autrice, degno del
più mediocre degli autori,
credo. Ve l’ho detto, mi diverto con poco.
Storia
scritta in
parte col sottofondo di Of Monsters And Men e della loro canzone Slow Life. In qualche modo è
diventata
per me la canzone per la ZoTash. XD Dimenticavo: l'immagine non è mia, come al solito - sarei felice di poter darvi il link alla pagina dell'autrice o dell'autore dell'immagine, ma non so chi sia.
Ringrazio
Nami93 e OrenjiAka
per i loro commenti al precedente capitolo; un
ringraziamento anche a chi ha messo la raccolta tra seguiti e preferiti
(gli
interessati sanno di chi sto parlando). C:
Spero vi sia piaciuta.
Grazie
per aver letto.
Alla
prossima!
claws_Jo
Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.