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Autore: claws    25/07/2016    1 recensioni
Raccolta di shots riguardo pairing vari ed eventuali.
I) Zoro/Robin: «Robin aveva imparato a sfruttare il proprio potere fin da bambina: prima per gesti quotidiani, come spazzare e ripulire in casa; poi per farsi strada nel mondo degli adulti, che aveva imparato essere un brulichio di mostri dagli occhi più o meno buoni.»
II) Robin/Nami: «Nami non aveva mai avuto nessun problema con la propria altezza, visto che era perfettamente nella media essere alta un metro e settanta.»
III) Bibi/Rebecca: «Mia figlia Bibi? Oggi non è in casa, era attesa alla fiera di fumetti e videogiochi che si tiene appena fuori dalla città.»
IV) Smoker/Hina: «Hina invece pensa che Smoker dovrebbe smettere di parlare in terza persona! È irritante!»
V) Smoker/Ace: «Ti sei tagliato i capelli?»
VI) Zoro/Tashigi: «Tu cominci da un punto avvantaggiato, e non credo nemmeno che tu te ne sia accorto, Roronoa: se io adesso sono debole, non lo sarò in futuro.»
[Storia partecipante alla challenge SCEGLI IL PAIRING, SCEGLI L’IMMAGINE indetta da Nami93 sul forum di EFP]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Avvertimenti: abuso delle parentesi, riferimenti ad animali vari ed eventuali (in realtà principalmente i gatti e i beccaccini: Tashigi in giapponese è proprio il beccaccino). Credo si possa considerare questa storia come un Missing Moment, in certi punti.
Momento link: coltello a farfalla, beccaccino.

Buona lettura!





De Saturis Lancibus



 

Coltello a farfalla




 










Dite pure quello che volete, ma Zoro non assomiglia ai gatti soltanto perché dorme tutto il giorno – che poi non è vero, ehi! Di notte dorme poco!

Assomiglia ai gatti anche perché lecca tutte le proprie ferite con una cura minuziosa; perché perfino coi gatti, domestici che possano essere, non si può mai essere sicuri che non abbiano morso qualcuno – o che non morderanno qualcuno.

Ne diede un’ampia dimostrazione a Punk Hazard, nella Stanza dei Biscotti, di fronte a due donne-uccello – di cui solo una sarebbe stata capace di spiccare il volo, ed era quella con il nome di un beccaccino, non quella con un paio di ali di neve. Ai gatti piace giocare con le proprie prede, oppure guardare due altri animali difendersi con le unghie e i denti fino a quando arriva il momento di intervenire: in genere Zoro non ama rimanere indietro né con le mani in mano, però quella volta decise di stare a vedere quanto il Capitano Quattrocchi fosse migliorata.

Fu solo per il fatto che Tashigi assomiglia molto a Kuina che Zoro le permise di combattere contro la donna-neve. Attraverso i movimenti della marine Zoro cercava di ricostruire che cosa Kuina avrebbe fatto, come avrebbe schivato quei coniglietti di neve, come avrebbe reagito quando Monet le avesse morso una spalla. Rispetto ad alcuni anni prima non sovrapponeva più in maniera indistinta l’immagine di Tashigi a quella di Kuina: le giustapponeva una all’altra, questo sì, ma le riconosceva come due persone diverse.

(Si dice che i felini vivano tra il mondo reale e un mondo al di là di questo, che siano attraversatori di dimensioni, traghettatori di sogni, sibille invasate dietro uno sguardo intermondano. Per questo motivo, quando Tashigi, durante il combattimento con l’arpia, lanciava un’occhiata allo spadaccino seduto presso la porta e lo vedeva con uno sguardo fisso che incrinava la barriera tra un mondo e un altro – in questi momenti un brivido di paura, rassegnazione e voglia di riscattarsi le risaliva la spina dorsale, contando trentaquattro vertebre come se fosse un artiglio a raschiarle.)

 

... Però quella giacca rosa faceva sembrare il Capitano Quattrocchi più una farfallina che un beccaccino! Ma che razza di divise avevano, alla Marina? Perfino i guanti! Una farfallina in tutto e per tutto, perfino i guanti! E non cercare di difenderla, stupido cuoco, una divisa come quella è insulsa, come le tue sopracciglia!

(A Zoro non dispiaceva immaginarsi litigare con quell’imbecille di un cuoco – anzi, era piuttosto divertente. Non si era allontanato dal campo di battaglia neanche con il pensiero, comunque: per quanto camminasse tra mondi, il fendente che lui stesso aveva sferrato intendeva tagliare a metà la donna-neve e nessun altro.)

Anche quando mordono, i gatti conservano una sorta di grazia micidiale, atavica e costantemente perfezionata in allenamento. Alcuni non hanno bisogno di soffiare per rendersi più possenti di quanto già siano, perché sanno che la consapevolezza della morte, negli occhi del loro piccolo giocattolino predato, è reale, benché impalpabile. Così, con una precisione terrificante, Zoro tagliò a metà l’arpia di neve, e la lasciò scogliere a terra per il terrore.

La differenza tra un gatto e Zoro stava nel fatto che un gatto avrebbe atteso la lenta morte della propria preda e poi l’avrebbe mangiata senza altri scrupoli; Zoro addirittura lasciò che il Capitano Quattrocchi si guadagnasse il merito del combattimento.

«Se non l’avessi colpita tu, ci avrei pensato io.»

«Son tutte balle! Sei scorretto, lo dici ora che l’ho colpita!»

Con le smorfie che quella faceva, a dire il vero, Zoro non sapeva più bene a che tipo di animale associarla. Né un beccaccino, né una farfalla—un gatto, forse? Anche lei? Un gatto diverso, di sicuro, una mamma gatta, o qualcosa del genere. In ogni caso, era molto divertente, anche se tutta questa storia lo seccava parecchio. Zoro avrebbe colpito la donna-neve se quella fosse stata intenzionata a inseguire i suoi amici: non avrebbe esitato nel proteggere i propri compagni. Ma, di tutto questo, non c’era nulla da spiegare né all’arpia, né a quella spadaccina beccaccina.

In genere, i gatti hanno un rapporto speciale con le donne: una forza e una bellezza innate, di cui le persone non sono sempre consapevoli o che spesso non mostrano, vuoi per l’educazione ricevuta, vuoi per il carattere, oppure per molte altre questioni che sono bollate sui corpi e nelle menti di ogni generazione della specie umana da molto tempo. Questo è l’unico motivo per cui, quando Tashigi svenne, Zoro se la caricò in spalla e cominciò a correre verso l’uscita della Stanza dei Biscotti, alla ricerca dei propri amici o di quegli imbranati del G-5. Certo, una corsa poco decorosa per entrambi, ma non poteva portarla via tenendola per la collottol—per il bavero della giacca (rosa), giusto?

 

 

«Quando ti dico che sei un idiota, sei un idiota.»

Lo stramaledetto cuoco doveva stare ben zitto, accidenti – non riusciva più a sopportarlo, onestamente! Lavorasse al pranzo per tutti quanti senza cercare di torcergli i nervi fino a farli diventare come le sue stupidissime sopracciglia!

«Che cosa vuoi, cuoco?»

Sanji aveva appena servito un paio di piatti a Kin’emon e Momonosuke, che ora sembravano essere in un qualche paradiso non meglio definito, tra la soddisfazione dei sensi per il pranzo e la gratitudine per la ciurma di Rufy. «Non si comincia a mangiare quando ancora la mamma non è seduta a tavola, sai?» Disse, con un sorriso che per Zoro era decisamente irritante – ma dopotutto quella testa bionda lo irritava praticamente in ogni momento della giornata (e ancor di più quando Zoro pensava che per il cuoco, come per tutta la ciurma, avrebbe rischiato la vita. Se lo faceva incazzare!). «Nemmeno il papà comincia a mangiare se la signora non ha preso in mano la forchetta, quindi non fare il maleducato davanti a questa marmaglia di marine.»

(Dietro Sanji, un paio di soldati della marmaglia ignorarono bellamente l’insulto e si misero in coda per prendersi un bel piatto di zuppa di maiale marino.)

«Un pirata fa quello che vuole.»

«Tu di sicuro fai il muro contro cui sbatto sempre la testa.» Le frecciatine del maledetto cuoco mancavano di cattiveria, ma forse questo era dovuto al fatto che stava servendo un pasto di cui era vistosamente molto orgoglioso – e di cui anche quegli scemi della Marina sarebbero stati soddisfattissimi, se una parola simile esistesse.

Zoro stava per rispondergli per le rime (letteralmente, con un «Quella sarà per te zuppa indigesta!» degno solo di un rimatore alle prime arti) quando quell’imbecille biondo cominciò a volteggiare: non Nami, non Robin, bensì il Capitano Quattrocch—

«Che piacere rivederti, cara Tashigi! Sei ancora più carina quando i tuoi occhi sono stati puliti dal pianto e non porti gli occhiali!»

«Li ho rotti, Gambanera, non posso certo rimettermeli. Sono qui per chiederti una porzione di zuppa per me e una per il signor Smoker.»

«Tutto quello che vuoi, bambolina!»

Aveva pianto? Se non altro, adesso Zoro riusciva a spiegarsi il velo sugli occhi del Capitano quando era arrivata nella Stanza dei Biscotti e aveva deciso di rimanere a combattere nonostante lui, da solo, sarebbe stato perfettamente in grado di sconfiggere l’arpia. Allora forse la farfallina-beccaccina aveva preferito restare per ripristinare il proprio onore, per riprendersi dalla vergogna dell’aver pianto davanti a un pirata (per quanto fosse un idiota, il cuoco rimaneva comunque un nemico della Marina). Considerato questo e tutto quello che ne era seguito, compresa la corsa in spalla, Zoro pensò che, tutto sommato, avere a che fare con quell’imbecille dovesse essere il minore dei mali per il Capitano Quattrocchi. Il pensiero faceva ridere piuttosto che piangere, per cui ridacchiò per conto proprio.

«Cos’hai da ridere, tu?» Lo incalzò Tashigi, con in mano due scodelle di zuppa e in viso una smorfia contrariata ma molto, molto buffa. «Ti faccio ridere perché sono debole, Roronoa Zoro?»

«Ammetterlo è già un passo in avanti, ma non è per quello.»

Tashigi doveva star pensando ad almeno duecento risposte da dargli – da quella più minacciosa a quella che aveva più probabilità di colpire Zoro in un punto cieco della guardia (punto cieco che non esisteva: forse il Capitano Quattrocchi, svelta come una mamma gatta, sarebbe saltata in un altro mondo dove avrebbe potuto colpirlo). Alla fine, evidentemente combattuta su quello che ci fosse da dire, la marine ripiegò su quello che sembrava una sorta di auto-compatimento: «Giusto. Perché non vale nemmeno la pena perdere tempo per cose del genere.» Poi si voltò e se ne andò dal proprio superiore senza dire altro. In mezzo alle uniformi bianche e blu del resto dei soldati, la sua giacca rosa risaltava come del sangue sul ghiaccio che va alla deriva, nel mare, sciogliendosi, amalgamandosi al resto dei marinai e della festa, andando più lontano ancora.

Zoro fissò la marmaglia per qualche altro minuto, poi Sanji gli mise in mano il pranzo e gli disse: «Adesso che la mamma sta pranzando, puoi mangiare anche tu. E ringrazia!»

Lo spadaccino rimase perplesso, ma automaticamente gridò dietro al cuoco, che stava tornando davanti alla grande pentola. Non è che avesse capito del tutto ciò che quell’idiota intendeva dire, ma di certo Zoro non gliel’avrebbe chiesto. Maledetto cuoco che si metteva in testa le idee più strane: Zoro di certo non aveva considerato Kuina come un sostituto di una madre o di una sorella, e tantomeno considerava Tashigi più di una mediocre avversaria! Era il Capitano Quattrocchi a porsi dei problemi che non esistevano, non lui a non sapere come comportarsi!

 

 

«Sia chiaro: io non ho paura di te» disse Tashigi, tornata vicino a Sanji e alla pentola per restituire i piatti del pranzo. Aveva parlato voltandosi contro Zoro, accusandolo con un’espressione che, più che intimidatoria, era buffa (come sue molte altre smorfie, del resto).

«Nessuno te l’ha chiesto, donna.»

«Ma mi fai arrabbiare! E non perché sei più forte di me, ma perché—perché—» fece delle altre espressioni strambe, a metà tra lo stranamente tenero (pensò Sanji) e il tentativo di mantenere un contegno (pensò Zoro), ma non riuscì a finire subito la frase – invece sbuffò sonoramente. Era così imbranata, secondo Zoro, che nemmeno col suo sguardo tagliente sarebbe riuscita a tagliare un avversario.

Sanji, trovando una fanciulla in difficoltà, le diede un aiuto. «È la sua faccia, cara Tashigi? Perché fa arrabbiare anche me.»

«Tu stanne fuori! Ne ho già abbastanza con uno solo di voi due!»

Tashigi reagì scuotendo la testa e si fece serissima, poi disse: «Perché a partire da Alabasta tutti voi continuate a mettere in discussione quello in cui credo. La Gatta Ladra mi ha affidato i bambini che erano stati rapiti, Gambanera ha preparato il pranzo per tutti, senza esclusione. E tu, Roronoa Zoro, prima di farmi venire in mente un pirata mi fai venire in mente uno sbruffone!»

Sanji, che si stava allontanando per qualche motivo ignoto, ridacchiò. Zoro gli avrebbe mostrato il dito medio, se solo quello stupido di un cuoco non avesse dato loro le spalle; si limitò invece a rispondere a Tashigi, dicendo: «Senti, il tuo problema te lo risolvi tu, per conto tuo.»

«Il mio problema è che tu sottovaluti chi è più debole di te,» rispose Tashigi, rigida e attenta, «ma, per quanto mi dia fastidio ammetterlo, siamo entrambi persone testarde. Se tu continuerai a seguire il tuo obiettivo, io continuerò a seguire il mio, e salverò tutte le spade piangenti, costi tutta la fatica e gli sforzi che possa costare. Tu cominci da un punto avvantaggiato, e non credo nemmeno che tu te ne sia accorto, Roronoa: se io adesso sono debole, non lo sarò in futuro. Ho solo fatto molte conquiste che tu non hai dovuto affrontare, visto che sei un uomo, ma vedrai che recupererò tutta la distanza possibile, fino a quando non morirò senza fiato. È una promessa.»

Una farfalla si era infilata tra le pieghe dello spazio-tempo e, attraverso un altro mondo, aveva conficcato un coltello nel corpo dello spadaccino dalla guardia impenetrabile, all’altezza del diaframma: Zoro non stava sanguinando, ma la sensazione che provava era molto simile. Come per molte altre ferite che aveva sofferto in passato, ignorò il dolore. Le immagini smisero di sovrapporsi, non c’erano più né gatti né farfalle né arpie: rimaneva soltanto la pungente idea di una sofferenza che, in qualche modo, era piacevole.

«Hai finito, Capitano Quattrocchi?»

Tashigi sembrava delusa: era un po’ rossa in viso, per l’imbarazzo, per l’essersi esposta e per il freddo. Si stava voltando per tornare dai propri soldati, ma prima di tornare dai suoi lanciò un’altra occhiata allo spadaccino, di cui – per un secondo solo – parve avere paura (ma non in quanto nemico, bensì in quanto capace di rifiutare quel giuramento); in quel momento la farfalla aveva battuto le ali e aveva preso il volo, noncurante della neve che minacciava il suo percorso – o meglio, determinata a non lasciarsi abbattere dai fiocchi di neve e da tutto il resto del mondo.

«Accetto la tua promessa: ora puoi andartene.» Disse Zoro, scuro in volto e coi denti stretti, prima di darle le spalle e allontanarsi il più possibile.

Come un gatto, Zoro sarebbe tornato a leccare le proprie ferite: tra i tagli per cui sgorgava più sangue c’era di sicuro quello all’altezza del diaframma, una coltellata invisibile e impalpabile, infertagli da una farfallina in questo e nell’altro mondo – e non avrebbe smesso presto di sanguinare, di questo Zoro si convinceva di più per ogni passo felpato, inumidito nella neve e nel mare di divise di soldati e risate dei propri compagni.












Note Autrice:

Tra tanto tempo, in una galassia lontana, vedremo una SmoLaw. aha. forse. aiuto

A ben pensarci, avrei potuto mettere l’immagine a fine storia, visto che l’ultimo pezzettino riguarda proprio l’immagine. Però ho seguito lo schema impostato per il resto della raccolta, ecco.

Just wtf. A me la giacca di Tashigi suona troppo buffa: voglio dire, è carina perché Tashigi è carina e j’adore, però, signor Oda, non crede di esagerare? XD

Spero vi sia piaciuta la stra-abusata metafora amore/ferita con un piccolo twist di farfalline, beccaccini e gatti annessi e connessi. Una pugnalata (metaforica) al cuore di Zoro, secondo me, è un po' paradossale, dal momento che è uno spadaccino che non lascia la guardia scoperta: per questo mi piace. E poi Sanji, perché se questo è l’anno di Sanji io ne ho visto troppo poco e rivoglio Sanji sulle scene in grande stile. Mi manca un sacco. :C

In realtà non è che abbia tutta questa passione per la ZoTash, ma i due personaggi presi singolarmente mi piacciono molto. Trovo che Tash sia uno dei personaggi migliori attraverso cui parlare di uguaglianza tra generi. 

«Quella sarà per te zuppa indigesta» è un endecasillabo inventato dall'autrice, degno del più mediocre degli autori, credo. Ve l’ho detto, mi diverto con poco.

Storia scritta in parte col sottofondo di Of Monsters And Men e della loro canzone Slow Life. In qualche modo è diventata per me la canzone per la ZoTash. XD Dimenticavo: l'immagine non è mia, come al solito - sarei felice di poter darvi il link alla pagina dell'autrice o dell'autore dell'immagine, ma non so chi sia.

Ringrazio Nami93 e OrenjiAka per i loro commenti al precedente capitolo; un ringraziamento anche a chi ha messo la raccolta tra seguiti e preferiti (gli interessati sanno di chi sto parlando). C:

Spero vi sia piaciuta. 

Grazie per aver letto.

Alla prossima!

claws_Jo





Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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