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Autore: Arwen297    25/07/2016    1 recensioni
Il personaggio di Michiru è uno dei più misteriosi della serie. Nel manga non viene approfondito il suo passato. L'intento di questa fanfiction è proprio quello di andare a colmare questi vuoti narrativi, con dei piccoli flash che accompagneranno Michiru da quando aveva 8 anni alla fine della quinta serie, flash che non sono legati tra loro ma che concorrono a formare una trama comune finale; mettendo in rilievo il percorso di crescita personale come donna ma anche come guerriera del mio personaggio preferito in assoluto.
Haruka sarà presente da quando si arriva al loro incontro in poi.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più serie
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Note dell'autrice: Ringrazio chi ha recensito il primo capitolo, e chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate preferite. Vi auguro buona lettura.

 

Follia

 

Il mare non è mai stato amico dell'uomo.

Tutt'al più è stato complice della sua irrequietezza.

- Joseph Conrad

 

Sentiva freddo intorno a lei, era immersa nel buio in un ambiente sconosciuto di cui non riusciva a percepire rumori particolari, se non quello dell'acqua che la cullava.

Il bruciore ai polmoni era sempre più forte, così come era forte la sua brama di ossigeno, le sue cellule bruciavano tentando di sfuggire a un destino che non sarebbe cambiato, ormai era segnato.

Segnato come quello dei suoi genitori, ormai persi chissà dove nelle profondità dell'oceano.

«Bentornata a casa, figlia mia». Di nuovo quella voce profonda, quella voce di cui ancora non era riuscita a decifrare la fonte, ma che sembrava avvolgerla così come l'acqua.

Non sono tua figlia, avrebbe voluto urlare. Ma non appena aprì bocca un senso di soffocamento la invase, rendendole impossibile respirare.

Rendendole impossibile fare qualsiasi tipo di movimento per risalire, per salvarsi, nonostante tutto.

La sensazione di morire in un modo così atroce era vivida dentro di lei, tentò di nuotare ancora senza risultati, come presa dall'acqua che improvvisamente le sembrava dura come il ghiaccio, eppure lei era allenata nel nuoto.

«Si che lo sei, non rinnegare il tuo passato, accetta il tuo futuro».

Di nuovo quella voce.

Cosa vuoi da me?Piuttosto uccidimi subito, non farmi morire lentamente. Pensò in preda alla disperazione, tanto sapeva che quella voce l'avrebbe sentita comunque, sempre che non se la stesse immaginando.

La pressione dell'acqua si fece più forte.

«Non rinnegare il tuo passato, faremo grandi cose insieme».

 

Aprì gli occhi di colpo, la fronte leggermente sudata per il caldo estivo e l'agitazione causata dall'incubo, il fatto che la sua stanza fosse immersa tutto il giorno nel caldo asfissiante dei raggi solari certamente non l'aiutava a passare una notte tranquilla.

Di nuovo quell'incubo. Erano passati due anni dall'incidente che le aveva strappato i suoi genitori, per miracolo lei si era salvata ed era stata ritrovata nella spiaggia vicina al luogo del disastro con un pallore quasi mortale a causa della bassa temperatura dell'acqua. I soccorritori erano rimasti meravigliati nel ritrovarla ancora viva e non assiderata a causa del freddo. Qualsiasi bambina della sua età sarebbe morta.

Per i suoi nonni era stata nel primo periodo una motivazione per riuscire ad andare avanti: nonni materni esclusi, infatti, non le era rimasto più nessuno. I nonni paterni erano morti entrambi quando era più piccola. La sua famiglia invece non era più stata ritrovata, il giorno del funerale aveva pianto su involucri di legno totalmente vuoti.

Per lei che era riuscita a salvarsi tutto ciò era al pari di una maledizione, senza i suoi genitori le sembrava di sopravvivere, la vita vera e propria era sepolta ormai da un pezzo. Probabilmente se non fosse stato per lei sarebbero stati ancora tutti insieme, e loro sarebbero stati vivi; se non fosse stata lei a chiedere di andare in quella maledetta villa al mare non si sarebbe trovata a lottare ogni giorno verso il rimorso e il dolore lancinante che le opprimeva il petto e che non accennava a diminuire nonostante fosse passato così tanto tempo.

Senza di loro si sentiva soffocare, ancor peggio di quei lunghi minuti che aveva passato sott'acqua e che puntualmente si sognava quasi tutte le notti; non era ancora riuscita a mandare via quei ricordi e in cuor suo temeva che non ci sarebbe mai riuscita.

A distanza di due anni era riuscita a capire chi era a parlarle nel suo sogno, poteva sembrare assurdo ma era convinta che a parlarle era proprio il mare. Inizialmente pensava fosse stato una sensazione causata dalla mancanza di ossigeno, ma in seguito aveva capito che non era una sua fantasia.

A causa dell'incidente aveva fatto un percorso di supporto psicologico per uscirne, aveva confessato al suo psico-terapeuta di questa particolare sensazione, di quello che era successo quando stava annegando. Aveva ottenuto come risposta che sicuramente il credere di aver sentito delle voci era causato dal trauma.

A distanza di due anni quelle voci le sentiva ancora.

E no, non aveva più parlato a nessuno di ciò.

Era già abbastanza sola di suo, senza aggiungere particolari così inspiegabili.

Nemmeno i suoi nonni che la stavano crescendo con tanto amore ne erano a conoscenza. A volte avrebbe voluto parlarne con qualcuno, ma la paura di essere presa per pazza era troppo forte.

Perché lei per prima si sentiva pazza.

Era da folli credere che il mare ti parla.

Da quel giorno cercava di stare lontana dalla massa d'acqua il più possibile; da amante del mare e della spiaggia, ora era giunta a non voler quasi più metterci piede anche se spesso il bisogno e la voglia era tanta.

Ma sentire di nuovo quella voce, la spaventava.

Ed era certa: si sarebbe sicuramente fatta viva nuovamente. La sentiva presente.

Sentiva che il mare era quasi animato da volontà propria.

Ma non capiva perché la voleva, sentiva che la bramava ardentemente.

Forse perché per qualche oscura causa era scampata alla morte e lui voleva pareggiare i conti?

Non lo sapeva, quello che era certo e che il suo richiamo spesso le faceva avere delle crisi di nervi.

Il fatto che i nonni abitassero vicino al mare certamente non la aiutava.

Basta, per favore, basta lasciami in pace non so cosa vuoi da me.

Lo sentiva, lo sentiva forte e chiaro anche in quel momento. Si strinse le tempie nel tentativo di mettere a tacere quella voce.

«Non rinnegarmi, è il tuo destino». Controbatté la voce dai toni quasi femminili, meno forte di quanto la sentisse in realtà nel sogno, forse perché il mare era decisamente più lontano dalla stanza in cui era.

«Esci fuori dalla mia testa». Pensò, consapevole che lui - o lei - l'avrebbe sentita. «Esci fuoriiii!!». Urlò nel silenzio della sua stanza come a rimarcare il concetto. La testa le pulsava terribilmente, il respiro ancora non si era calmato da quando si era svegliata, e per che mai avrebbe dovuto? L'agitazione che sentiva dentro era incontrollabile.

«Non rinnegare la tua essenza, hai un destino a cui non puoi sfuggire». Le rispose l'oceano. La presenza della massa d'acqua divenne tutto a un tratto più presente e pressante ai lati della sua coscienza.

«Ti ho detto di andartene!!». Urlò nuovamente, incurante del fatto che fosse notte fonda e che, probabilmente, avrebbe svegliato i suoi amati nonni. «Se non vuoi dirmi di che destino si tratta, lasciami in pace!».

Era pazza, la stanza era vuota e lei parlava con il nulla. Anzi per essere più precisi aveva urlato al nulla, e chissà quante altre cose aveva detto durante l'incubo.

Strinse ancor di più le mani alla fronte. Il dolore che sentiva era insopportabile, ed era sicura che la causa fosse la voce.

Non sapeva ancora cosa volesse da lei, cercava solamente di attrarla verso il mare, le chiedeva ascolto. La chiamava figlia e le decideva che non poteva ignorare il suo destino. Ma quale destino? Il destino che la voleva morta? Lei per prima avrebbe voluto morire piuttosto che ritrovarsi in una situazione così.

Si stese di nuovo appoggiando la nuca al cuscino e cercò di rilassarsi pian piano. Cercando di ignorare la nitida presenza che sentiva dentro di se.

A volte si sentiva come se non fosse la sola ad abitare quel corpo, ma poi scacciava via l'ipotesi. Era troppo assurdo.

Era troppo da malati di testa, e lei era solamente una bambina. Di dieci anni; ma pur sempre una bambina.

Forse più matura del necessario a causa di ciò che le era successo, ma la voglia di giocare non le era ancora passata. La voglia di divertirsi, nonostante la barriera che aveva eretto in quegli anni davanti a se, non aveva ancora lasciato spazio agli impegni più gravosi degli adulti.

Così come non le era passata la voglia di suonare, grazie al violino che i suoi genitori le avevano regalato per il suo compleanno, l'ultimo che avevano passato insieme. Un prezioso Stradivari proveniente dall'Italia. Era affezionata a quell'oggetto.

Era l'unico che forse la capiva e le dava modo di esprimere tutti i sentimenti che aveva dentro di se.

Compresa l'ansia e la paura provocata dalla voce che la tormentava.

Comprese le onde del mare.

Per altri la sua era pura arte, per lei era l'unico modo di appagare il suo tormento senza essere giudicata o isolata, aveva imparato a mantenere una facciata cristallina e tranquilla; ma in realtà sotto la superficie le correnti e le increspature erano tumultuose ogni giorno.

Non era a conoscenza di quando sarebbe finito tutto ciò.

Poteva solo sperare che la fine arrivasse presto.

«Non sei ancora pronta per sapere la verità, troppa resistenza ancora poni alla mia presenza».

   
 
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