Daddy's Little Monster.
La sveglia suona alle sette come ogni mattina, la spengo
con un grugnito e getto le coperte ai piedi del letto.
Con un sospiro mi alzo e mi guardo allo specchio che
rimanda l’immagine di una ragazza di media altezza con i
capelli castano scuro
e gli occhi castani, apparentemente l’unica cosa che mi
differenzia da una
comune ragazza sono i dilatori alle orecchie.
Cerchi di legno che le deformano, ma se ciò che mi rende
diversa da una comuna ragazza si limitasse a questo farei la firma.
Dato che
indosso una maglia a mezze maniche la mia diversità salta
subuto all’occhio,
all’altezza del gomito destro si vede la parte robotica che
connette la parte
superiore con quella inferiore del mio braccio.
Abbasso gli occhi e appena sotto il ginocchio si vedono
altre parte robotiche mi permettono di stare in piedi, dato che le mie
articolazioni organiche se ne sono andate a puttane anni fa.
Ho ventiquattro anni e mi chiamo Shosganna, quando avevo
dieci anni in casa si sviluppò un terribile incendio, mamma
morì, mio padre si
salvò e io rimasi gravemente ferita.
Avevo delle ustioni al braccio destro e sulle gambe che
erano arrivate a compromettere l’uso dei miei arti, ero
destinata a una vita
sulla sedia a rotelle o alla morte, ma mio padre non poteva accettarlo.
Lui è un chirurgo e uno scienziato, si occupa di robotica e
in
particolare della costruzione di robot umanoidi e della costruzione di
arti prostetici
in grado di svolgere le funzioni delle parti organiche perse e come
chirurgo si occupa di ustioni.
E così sono diventata il suo migliore esperimento,
nonché
quello più segreto.
Una volta arrivata a casa dall’ospedale, iniziò
immediatamente a lavorare su di me, innestando parti meccaniche,
controllando
che non ci fossero rigetti. Ce ne sono stati parecchi invece e ogni
volta lui
cambiava qualcosa: circuiti, materiali, Dio solo sa cosa.
Alla fine, dopo due anni in cui non sono praticamente
uscita di casa l’esperimento è riuscito, aveva
sostituito le mie parti
danneggiate con parti robotiche, le stesse che guardo ora con una
tristezza
infinita.
Certo, grazie a questo posso camminare e uscire, ma è
vita?
Nessuno deve sapere cosa sono e quindi non ho mai avuto
amiche o amici, ho avuto un paio di ragazzi, ma non è durata
molto: quando ci
avvicinavamo all’argomento sesso o anche solo un contatto
più intimo di un
bacio io mi tiravo indietro.
Avrebbero visto cosa ero, il mio segreto sarebbe stato
svelato.
È da quando ho quattordici anni che penso che Dio non si
sia comportato molto bene con me, avrebbe dovuto lasciarmi morire con
la mamma,
non lasciarmi viva.
È vita questa?
È davvero vita non poter condividere nessun sentimento o
avvenimento con nessuno perché sono un cazzo di robot e non
si deve sapere?
No, penso che non sia vita.
Mi accendo una sigaretta ed esco in terrazza.
Viviamo nella campagna inglese in una tenuta acquistata
da un vecchio nobile decaduto e ha ettari di parco a separarci dal
resto del
mondo, quindi nessuno mi può vedere.
Fumare non è un’abitudine salutare, ma dato che
non sono
umana penso di poter fare un’eccezione o forse spero di
invitare un cancro ad
abitare nei miei polmoni e farla finita con questa farsa. Nemmeno mio
padre
sarebbe in grado di sconfiggere un cancro.
Finita la sigaretta metto un paio di leggins neri lungi
fino alle caviglie, un paio di shorts di jeans stracciati, una maglia a
maniche
lunghe nera e sopra una canottiera sopra, metto un polsino e qualche
collana al
collo e poi scendo a fare colazione.
Il tavolo da dodici della sala da pranzo è preparato per
una sola persona, me, ed è parecchio triste dal mio punto di
vista.
“Buongiorno, signorina Shoshanna.”
Mi saluta rispettosamente la cameriera che mi servirà il mio
solito caffelatte
e biscotti al cocco.
“Potresti chiamarmi solo Shoshanna, per favore?
Ho la tua età e mi sembrano assurde tutte queste
formalità.”
“Signorina Shoshanna, il dottor Dreyfrus ha disposto
così e non posso non
seguire le sue istruzioni.
Con permesso.”
Si allontana per andare a prendermi la colazione spaventata.
I domestici che vivono qui sanno cosa sono e credo che
siano per metà spaventati e per metà mossi a
pietà: una ragazza così giovane
condannata a un destino del genere!
Io vorrei solo che fossero più umani con me e non mi
facciano sentire, seppur rispettosamente, un mostro.
Un’altra domestica entra nella sala da pranzo e appoggia
la posta su un mobile – dove mio padre di solito la prende
per leggerla – e poi
si avvicina a me con una lettera in mano. Io inarco un sopracciglio,
chi
diavolo mi ha scritto?
Non ho amici o altri parenti, quindi sono un pochino
confusa.
“Signorina Shoshanna, questa è per lei.”
“Uh, sì. Certo.”
Prendo la busta e la apro, il biglietto plastificato di un concerto ne
esce
subito: il concerto dei Bring Me The Horizon, quello per cui ho
litigato un
secolo con mio padre per farmi dare il permesso di andare.
Lancio un urlo selvaggio che fa spaventare la povera
donna che ha portato la posta, mi guarda con gli occhi sgranati di un
cervo
davanti ai fari di una macchina.
“Tutto bene, signorina?”
“Sì, certo. Mi scuso per lo spavento che le ho
fatto prendere, non
era mia intenzione, ma ho appena ricevuto
una bella notizia.”
“Meno male, signorina. Pensavo si stesse sentendo male
proprio oggi che ha la
visita.”
La mia felicità svanisce come è arrivata.
“Ah, certo.”
Ogni mese mio padre controlla le mie parte meccaniche e i valori del
mio sangue
per controllare che io sia in perfetta salute. Ogni fottuto mese mi
sento una
macchina che deve superare il controllo per avere il tagliando di buon
funzionamento ed è orribile.
Non mi sento umana, mi sento come il migliore esperimento
di mio padre e anche questo è orribile, per questo prego
ogni notte Dio di
farmi morire, non importa come basta che lo faccia.
Sarei dovuta morire a dieci anni e solo la folle
determinazione di mio padre mi tiene viva a mo’ di
Frankenstein, che non a caso
è il mio romanzo preferito. Capisco perfettamente la
sofferenza del mostro che
si sente gettato in un mondo che non lo vuole e la sua rabbia verso il
suo
creatore, il fatto che il mio creatore sia mio padre peggiora solo le
cose.
Finisco di mangiare e poi vado in bagno a truccarmi e a
pettinarmi in modo da rendermi decente per il tagliando e poi mi fumo
un’altra
sigaretta. Oggi fa caldo, ma uno dei lati positivi di essere un robot
è che non
senti il caldo, solo il freddo invernale.
“Signorina Shoshanna, è arrivata la
macchina.”
“Va bene.”
Noi abitiamo tra Canterbury e
Brighton e
il laboratorio di mio padre si trova a Londra, in un’ora e
mezza lo
raggiungiamo. Osservando il protocollo l’autista non mi parla
per tutto il
tempo, così io ascolto la musica con il mio mp3 e fumo
un’altra sigaretta, so
che a lui non dà fastidio e lui sa che io gli permetto di
fumare a mia volta.
Cosa dice mio padre di questa abitudine?
La critica, ma sa che non smetterò perché sa che
è un
modo per oppormi a lui. Lui non capisce perché io sia
così arrabbiata, pensa di
avermi salvato la vita e che per questo debba essere onorato.
Non mi ha salvato la vita, me l’ha solo resa un incubo
indegno di essere vissuto.
In ogni caso siamo arrivati a Londra, il profilo
familiare del Big Ben, di Buckingham Palace del London Eye mi accolgono
insieme
a quella striscia d’acqua luccicante che è il
Tamigi.
L’uomo guida tranquillo fino al centro della città
e poi
mi lascia davanti a una delle villette anonime del quartiere, sul
campanello si
legge “Henry Dreyfrus, Chirurgo
Plastico-Ricostruttivo”, la sua
specializzazione è – inutile dirlo è la
chirurgia delle ustioni.
Suono e il cancellino si apre, entro e mio padre apre la
porta.
“Ben arrivata, tesoro. Oggi abbiamo lo studio e il
laboratorio tutti per noi.”
“Come sempre, papà.”
“Tutto bene?”
“Oh, sì! Sono arrivati i biglietti per il concerto
dei
Bring Me The Horizon.”
“Non sono sicuro che sia una buona idea andarci, vedremo i
risultati degli esami di
oggi.”
“Ma papà! Avevi promesso e i biglietti sono
già arrivati.”
“Abbiamo abbastanza soldi da spenderli in cose non
necessarie.”
Mi liquida lui, poi mi indica la porta del laboratorio, io sento il mio
cuore
sprofondare, perché non capisce?
Forse per lui è una stronzata, ma per me questo concerto
è importantissimo!
I Bring Me The Horizon sono la mia band preferita, quella
che mi è stata accanto in questa vita di merda come non
hanno fatto le persone
e poi per una volta voglio sentirmi normale. È una cosa
così sbagliata?
Non me la merito?
Devo essere il mostro di Frankenstein per sempre?
Faccio i soliti esami del sangue, poi lui controlla tutti
i miei meccanismi per il resto della mattinata e sembra soddisfatto:
l’orologio
funziona benissimo.
A pranzo esco a mangiare al Mac Donald più vicino,
qualcuno mi guarda stupito perché indosso i leggins e una
maglia a mezze
maniche in un giugno che è molto caldo. Ormai ci sono quasi
abituata, non mi fa
quasi più male, sono i quasi che ti fregano, che aprono
delle piccole crepe nel
tuo spirito.
E dalle crepe non entra la luce, entra la tenebra,
entrano i giudizi degli altri, entrano la paura, la paranoia e il
dolore.
Finito il mio pranzo fumo l’ennesima sigaretta e poi
torno al laboratorio e mi siedo su un divanetto ad aspettare che mio
padre mi
comunichi l’esito degli esami, intanto leggo per
l’ennesima volta “Frankenstein”.
Dopo circa un’ora esce dal laboratorio con
un’espressione
severa.
“I tuoi esami sono quasi perfetti, lo sarebbero se
smettessi di fumare.”
“Vuoi togliermi anche l’unico piacere che ho in
questa vita?”
“No, voglio solo conservartela questa vita che tanto
disprezzi.”
“Forse perché non è vita, è
solo una pallida imitazione. Sarei dovuta morire
quattordici anni fa e non essere condannata a diventare il tuo migliore
esperimento.”
Lui mi dà uno schiaffo sonoro che mi fa voltare il viso, io
appoggio la mano
incredula.
“Visto che gli esami sono perfetti potrai andare al
concerto e io fingerò di non aver mai sentito quello che hai
detto.”
Come sempre d’altronde, non mi ascolta mai.
“D’accordo, padre.”
Sibilo acida e me ne vado.
Me la sono guadagnata questa specie di libertà!
Una settimana dopo mi sveglio alle
quattro di mattina,
faccio una rapida colazione e prendo lo zaino militare che ho riempito
la sera
prima con l’occorrente per il concerto.
Salgo in macchina e mi dirigo verso l’autostrada, senza
autista alzo il lettore cd della mia Mini al massimo, cantando come una
forsennata le canzoni dei Bring Me The Horizon.
Oggi ho ottenuto il permesso di andare al concerto e di
poter guidare io la macchina, senza nessuno tra i piedi, come una
comune
ventiquattrenne.
Ci si sente bene, ci si sente liberi.
Non appena esco dall’autostrada abbasso i finestrini e mi
godo la sensazione dell’aria tra i capelli, oggi tutto
è possibile, anche i
miracoli forse.
Forse incontrerò un ragazzo che si innamorerà di
me,
forse farò colpo su uno dei membri della band, forse
catturerò l’araba fenice
mentre sono in coda per il concerto.
Figurarsi se qualcuno se innamora di me, meglio che pensi
a godermi la musica perché non andrò a un altro
concerto tanto presto, il
prezioso orologio non si deve rompere. Può morire
internamente giorno dopo
giorno, ma non fermarsi.
Arrivata nei pressi dell’arena cerco parcheggio e ne
trovo uno che mi fa pagare la bellezza di 10 sterline per stare
parcheggiata
fino alla fine del concerto.
Wow! Economici!
In ogni caso pago il parcheggiatore senza battere ciglio –
come ha detto mio
padre abbiamo abbastanza soldi da poterci permettere spese inutili
– e poi
seguo il fiume di persone che si mette in coda.
Ci
sono tante ragazzine con la maglietta della band, ma anche persone
adulte con
la stessa maglia, capelli normali e capelli di colori improbabili come
verde,
azzurro, viola, rosa, rosso acceso, fucsia.
È
una vera e propria festa e io mi sento come se non avessi
l’invito, estranea
come al solito.
Forza
e coraggio, Shoshanna!
Sei
nel posto dove hai sempre sognato di essere, non lasciare che le crepe
delle
tua anima rovinino questo momento! Cosa hai di diverso dagli altri
esteriormente?
Nulla,
indossi la maglietta dei Bring Me The Horizon, hai i dilatatori e sei
pettinata
decentemente, nessuno potrebbe indovinare che sei un robot, solo una
tizia che
probabilmente ha sempre freddo.
Esistono
queste persone, esistono anche se non sono cyborg.
Le
ore passano lente sotto questo sole, bevo ogni tanto e una volta mi
assento per
andare in bagno chiedendo alla mia vicina di tenermi il posto.
Sono
fortunata che lo faccia davvero, non era scontato che lo facesse. Il
tempo
passa, altre sigarette vengono fumate, compro qualche gadget dai
venditori
ambulanti e mangiucchio un panino giusto per non dare
l’impressione di essere
ancora più diversa e poi è quello che la
sicurezza consiglia.
Alle
sei aprono i cancelli e vengo quasi calpestata da una massa che vuole
entrare
nell’arena e prendere i posti migliori a ogni costo. Corro
anche io come una
matta, alla fine mi accaparro un posto in prima fila dalla parte di
Matt Kean,
il mio preferito.
Ce
l’ho fatta, ancora non ci credo che sono qui!
Faccio
una foto al palco deserto per avere la prova che sia la
verità e poi mi metto
anche io a cantare insieme agli altri fans per manifestare la mia gioia
e
l’ansia per l’attesa. Credo che questa sia la
migliore serata della mia vita,
non mi sono mai sentita così… viva.
Sì,
viva è la parola giusta. Mi sento normale, una fra tante ed
è bellissimo per me
anche se so che per la maggior parte delle persone questo sarebbe un
incubo.
Finalmente
le luci si spengono per poi riaccendersi,
c’è un telo nero sul palco che mi fa
venire il batticuore, poi anche
quello si alza e arrivano le prime note di “Doomed”.
Io
urlo come tutte e poi canto di cuore questa e tutte le canzoni che
seguono,
ogni tanto ho la strana sensazione che Matt Kean mi stia guardando, ma
non può
essere, cioè sono solo coincidenze.
La
storia per cui la rockstar di turno si innamora della fan è
una cosa che
accade solo nelle fanfictions, nella vita reale non succede mai, per
loro
siamo importanti, ma non così tanto da iniziarci una storia.
In
ogni caso questa è la note più bella della mia
vita, mi scordo di essere un
cyborg e il mostro di Frankenstein, sono solo Shoshanna, una ragazza
che si sta
godendo il concerto della sua band preferita.
Si
dice che il tempo passi alla svelta quando ci si diverta ed
è davvero così, mi
sembra di essere appena entrata con le altre fans e già
siamo all’ultima
canzone: Hospital for souls.
Se
davvero esistesse un ospedale per le anime io sarei la prima paziente,
perché
la mia anima è danneggiata da tutto quello che mi
è stato fatto per salvami la
vita, non è mai consigliabile andare contro il corso
naturale degli eventi, si
rischiano solo casini e io sono un grande casino.
“Siete
pronti?”
Urla
Oli, la folla urla.
“Andiamo.”
Inizia a sussurrare l’introduzione e subito mi viene da
piangere.
Davvero
persino l’inferno può diventare confortevole se ti
ci abitui e a volte iniziare
da capo non è possibile, i demoni ti tengono per mano e ti
accompagnano e il
peggiore di loro è te stessa.
Canto
tra le lacrime, pesando che davvero qualcuno dovrebbe guardarmi
bruciare per
capire cosa provo, mio padre non capisce e non capirà mai e
non ho nessuno con
cui sfogarmi.
Alla
fine della canzone il mio trucco è colato miseramente sulle
mie guance, ma mi
sento in qualche modo meglio, immagino sia il potere catartico della
musica,
qualcuno mette in parole quei sentimenti che tu non riesci ad
articolare.
I
coriandoli argentati cadono come neve in una palla di cristallo, io ne
prendo
un paio e riesco a prendere anche un plettro di Matt, sono
soddisfattissima e mi
sto per avviare fuori insieme alle altre fans quando qualcuno mi
solleva da
terra, io urlo e scalcio colta di sorpresa.
Chi
diavolo è e cosa diavolo da me?
All’improvviso
mi ritrovo davanti a un omone, dall’altro lato della
transenna che separa lo spazio
dei fans da quello della band, le altre ragazze mi guardano male e io
divento
di fiamma.
“Ehm,
come mai mi ha sollevato e portato qui…”
“Mi
chiamo Rudy, ragazzina e comunque eseguo gli ordini.
Qualcuno della band
vuole conoscerti.”
Io lo guardo scettica.
“Divertente, davvero.
Ma lei mi sembra un po’
cresciuto per giocare scherzi del genere.”
Lui sbuffa.
“Di solito non vedono
l’ora di seguirmi, perché tu devi fare
problemi…”
“Shoshanna.”
“Ok, Shoshanna. Perché?”
“Perché non credo alle fiabe.”
Lui alza gli occhi al cielo.
“Senti, non mi va di
tornare da Matt Kean e dirgli che la sua bella gli ha dato picche, quel
ragazzo
ha gusti difficili.”
Il mio cuore salta un battito al nome di Matt, davvero mi vuole vedere?
E io davvero voglio perdere
un’occasione del
genere solo perché sono pessimista fino a midollo?
“Ok, allora vengo.”
“Vuoi davvero lui o è solo un mezzo?”
“Voglio lui, cazzo.”
L’omone se la ride e mi
scorta fino ai camerini, apre una porta e mi fa cenno di accomodarmi su
uno dei
divanetti, io eseguo l’ordine e inizio a sentirmi nervosa:
tra poco li
incontrerò.
Il primo a uscire dalla
doccia è Lee in pantaloni a tre quarti, senza maglietta e
con un asciugamano
attorno alla testa, lui urla, io urlo di riflesso.
In un attimo arrivano
tutti mezzi nudi e io mi copro gli occhi e sento che ormai non sono
rossa sono
viola.
“Che cazzo succede?
Chi cazzo sei?
Rudy!”
Urla Oli, l’omone
accorre.
“Sì, Oliver?”
“Chi è questa ragazza e perché
è qui?”
“Si chiama Shoshanna e Matt Kean mi ha chiesto di portarla
qui.”
Tutti guardano il bassista che si fa piccolino, nonostante sia il
più alto
della compagnia.
“Quando contavi di
dircelo?”
Bercia il cantante.
“Beh, adesso. Cioè,
dopo la doccia, non pensavo che Lee si sarebbe messo a
urlare.”
“Copritevi, accidenti a voi!
Sto per morire male!”
Tutti mi guardano e si
rendono conto della mia presenza e del fatto che sono una ragazza, per
di più
che non sembra nemmeno maggiorenne.
“Ehm, già. Hai ragione.
Potresti uscire un
attimo?
Poi parleremo.”
Oli mi rivolge un’occhiata un po’ sospettosa cui io
rispondo con un sorriso
imbarazzato, poi esco.
Quando sono fuori vado
in iperventilazione, ho appena visto i miei idoli mezzi nudi e non ero
psicologicamente preparata, ho voglia di urlare, ma sarebbe da pazzi e
non mi
farebbero di certo rientrare.
Dieci minuti Oli si
affaccia alla porta e mi fa cenno di rientrare, sono tutti seduti sul
divanetto, io alzo una mano.
“Ciao.”
Dico imbarazzata.
“Ciao.”
Mi rispondono in coro.
“Quindi Rudy ti ha
portata qui perché Matt Kean vuole,
conoscerti…”
“Shoshanna, mi chiamo Shoshanna.”
“Che nome strano, confermi, Matt?”
“Sì, confermo, mein Fuhrer.”
“Beh, allora benvenuta.
Una sola cosa ancora,
sei maggiorenne?”
“Ho ventiquattro anni.”
Oli alza un sopracciglio incredulo, io sospiro.
“Vuoi vedere la carta
d’identità?”
“Sì, se non ti dispiace. Sarebbe un casino se
qualcuno di noi finisse per fare
sesso con una minorenne.”
Ecco come mettere a
disagio le persone!
Con un sospiro tiro
fuori la carta d’identità dal portafoglio e la
porgo al ragazzo, lui la legge
attentamente e poi me la ridà.
“Non l’avrei mai detto
che tu avessi sul serio ventiquattro anni.”
“Non sei l’unico che lo dice.”
“Vabbè. Io sono Oli,
loro sono Lee, Jordan, Matt uno e Matt due.”
“Odio quando mi chiami
Matt due, Sykes.”
“Scusa, è l’abitudine.
Vuoi una foto e degli
autografi?”
“E me lo chiedi?”
Il cantante ridacchia e si mette in posa con me e mi firma un foglio
del
quaderno che mi sono portata, gli altri fanno lo stesso.
Sono tutti molto
amichevoli e simpatici, non sembrano delle star internazionali, ma
ragazzi che
potresti trovare al bar sotto casa.
Chiacchieriamo per
qualche minuto, poi Oli prende Lee, Matt Nicholls e Jordan per le
spalle.
“Forza, ragazzi!
Andiamo.
Il nostro bassista
vuole stare da solo con lei o non l’avrebbe fatta venire
qui.”
“Giusto. Ciao,
Shoshanna!”
Mi salutano tutti e poi
se ne vanno lasciandomi da sola con il ragazzo dei miei sogni.
“Beh, cosa vuoi?
Birra, coca?”
“Una coca per favore.”
Rispondo timida.
Non avevo previsto
questo sviluppo della serata, come mi devo comportare?
“Pensavo che fossi una ragazza da birra.”
“Devo guidare per tornare a casa.”
“Sei una ragazza giudiziosa, dove abiti?”
“Nel Kent, in mezzo al nulla.”
“Come mai?”
Io scuoto le spalle.
“Ho dei problemi di salute, non riuscirei a vivere in
mezzo allo smog.”
“È per questi problemi che non hai un centimetro
di pelle
scoperta?”
“Si può dire di sì.”
Beviamo insieme in silenzio, poi lui inizia a raccontarmi
gli episodi più assurdi che gli sono capitati in tour e io
rido di gusto
immaginandomeli: Matt N. che piscia in frigo ubriaco marcio, Oli che
piscia sui
fan perché arrabbiato, Lee con i capelli verdi dopo che Matt
K ha scambiato lo
sciampo con una di quelle tinture temporanee e in ultimo lo stesso Matt
K. nudo
come un verme che vaga nella zona riservata alle band durante un
festival
perché Oli e Jordan gli hanno nascosto i vestiti
L’ultima visione mi fa anche arrossire un po’.
Lo guardo negli occhi blu e mi ci perdo per un attimo o
due e lui se ne accorge, appoggia la birra sul basso tavolinetto e mi
bacia con
gentilezza. Quando capisce che non lo respingerò, ma che ho
dischiuso le rabbia
per invitarlo a continuare diventa un po’ più
aggressivo.
Ben presto le nostre lingue sono impegnate in una lotta
per la dominanza e finiamo sdraiati sul divano dei camerini, le mie
mani gli
accarezzano i capelli e il petto da sotto la maglietta, lui mi toglie
la maglia
lasciandomi solo in dolce vita.
Poi scende a baciarmi la mascella e il collo e io mi
inarco per facilitargli il lavoro, mi così bene che mi
sembra di avere fumato
una canna prima del concerto.
Ma le cose belle arrivano sempre a una fine e quando lui infila
una mano sotto il dolcevita io mi irrigidisco e sguscio via.
Trattenendo le
lacrime mi rimetto la maglietta che ha come logo ironico il fiore della
vita,
che razza di vita è la mia? Che razza?
“Cosa c’è che non va?
Pensavo che lo volessi anche tu!”
“Vorrei, ma non posso.”
“Perché?”
“Io non so come tutte le altre ragazze, non sono lesbica o
cose del genere, ma
non posso lo stesso.”
“Hai fatto un voto di castità? Sei una suora in
incognito?”
“No.”
“E allora?”
“Matt, non capiresti.”
Afferro la mia borsa.
“Lasciami almeno il numero.”
Io prendo l’indelebile che hanno usato per firmarmi gli
autografi e gli scrivo il mio numero sul braccio, poi gli do un rapido
bacio e
me ne vado.
Ancora una volta la mia anormalità mi ha rovinato la
vita.
Il giorno dopo scendo a fare
colazione con le occhiaie e
trovo stranamente mio padre che legge il giornale, di solito a
quest’ora è già
in viaggio per Londra.
“Buongiorno.”
Gli dico sorpresa.
“Volevo solo controllare che tu stessi bene, ieri sera
sei tornata più tardi del previsto.”
“Sì, scusa. Con delle altre fans ho aspettato che
i Bring
Me The Horizon uscissero dopo il concerto per avere una
possibilità di avere
degli autografi e delle foto.”
“E ci sei riuscita?”
“Sì, e ho preso il plettro di Matt Kean.”
“Ottimo.”
Mi scruta con il suo occhio più professionale e io mi sento
in imbarazzo.
“Non sembri stare male, ma hai un tremendo bisogno di
dormire. Finita la colazione vai a dormire, per favore.”
“Va bene.”
Bevo il mio latte e mangio i miei biscotti al cocco, poi mi alzo in
piedi.
“Beh, buon lavoro.”
Me ne torno in camera mia e vado sulla terrazza, mi accendo una
sigaretta e mi
godo la quiete della campagna inglese: niente rumore di macchine, tanto
verde,
il rumore del ruscello che attraversa la nostra tenuta e in cui mio
padre ha
ricavato un laghetto con tanto di ponte giapponese e ninfee e il rumore
del
giardiniere che taglia l’erba.
Mi accendo una sigaretta e il mio cellulare vibra per un
messaggio, il mittente è sconosciuto, ma io lo apro lo
stesso.
“Ciao, sono
Matt.
Come va?”
Inaspettatamente sorrido, un messaggio fa molto piacere
soprattutto in un momento critico come la mattina.
“Bene, sono
solo un po’ stanca.
Mi sono alzata e ho
fatto colazione, ma sono ancora
stanca e penso tornerò a letto.”
“Ok, anche io
mi sono appena alzato.
Oli e Matt uno si sono
messi a litigare per non so cosa.”
“I tuoi
vestiti sono al sicuro?”
“Sì,
li ho messi in un armadio con un lucchetto.”
“Mossa poco
saggia, qualcuno potrebbe metterti dell’Attacks nel lucchetto
e tu
potresti non riuscire più ad aprirlo.”
C’è un lungo momento di silenzio, poi arriva un
altro messaggio.
“Cazzo, hanno
fatto quello che ai detto tu!
Buonanotte, Elsa, adesso
vado a uccidere la mia band.”
“Mi raccomando
fai sparire tutte le tracce.
Buon lavoro.”
Mi metto a letto sorridendo come un’idiota, i suoi messaggi
mi hanno messo di
buon umore e non mi succedeva da tempo. Non sono abituata a queste
attenzioni, ma
lo divento presto, ogni giorno – per un’intera
settimana – ci scriviamo e lui
sembra sempre più gentile simpatico e preso da me e io sono
presa da lui.
Sono finita di nuovo nella solita situazione: amo
qualcuno e non posso permettermi una storia d’amore
perché sono un cyborg.
Due settimane dopo ho la casa libera, mio padre è a un
convegno e io ho dato la serata libera a tutta la servitù,
voglio stare da sola
anche perché ho invitato Matt.
Ieri gli ho scritto e gli ho chiesto se poteva venire a
casa mia, lui ha stranamente detto di sì, non so come faccia
visto che dovrebbe
in tour.
Cucino un lungo trancio di pizza margherita e mentre è in
forno a cuocere, vado a cambiarmi. Indosso un paio di leggins zebrati,
pantaloncini di jeans strappati, una maglia a mezze maniche e una felpa.
Ok, sono accettabile.
Esco sul portico e mi accendo una sigaretta, attorno a me
ci sono i colori de tramonto, io mi siedo sulla sedia a dondolo, da
piccola era
la mia preferita. Amavo starci seduta e dondolare sognando di essere su
una
barca che mi portasse via verso mondi lontani dove fossi libera.
Libera di avere una mia vita, degli amici, un ragazzo e
magari un corpo umano.
Sogni di una bambina solitaria che ancora non sapeva
distinguere bene la realtà dalla fantasia, io non posso
avere nulla di quello
che sognavo, soprattutto un corpo nuovo.
Il rumore di un motore mi fa tornare alla
realtà, una macchinina scura sta percorrendo il viale e si
ferma a poca
distanza dal portico, Matt ne esce poco dopo.
“Non mi avevi detto che vivevi in un castello.”
“Non me l’hai mai chiesto.”
“È di ghiaccio?”
“No, direi di no.
Entra, ho della pizza…calda.”
“E la macchina?”
“Giusto.”
Apro il garage e lui parcheggia, poi entriamo tutti e due in casa.
Lui sembra colpito dal lusso delle stanze, continua a
guardarsi attorno come un bambino alle giostre.
“Io pensavo che la casa di Oli fosse lussuosa, ma questa
la batte di brutto.
Ma chi sei, Shoshanna Dreyfrus?”
“Sono la figlia di un chirurgo ricchissimo.”
E il suo migliore esperimento, ma non posso dirlo.
“La cosa non ti fa piacere?”
“Non è mai a casa, non è mai stato a
casa, ma adesso mangiamo.
Siediti.”
Vado in cucina ed estraggo la teglia, poi la porto in tavola.
“Wow! Una teglia di pizza!”
“Esatto, signor Kean. Una teglia di pizza per noi!”
Taglio due pezzi giganteschi e li metto sui nostri
piatti.
“Buon appetito!”
Mangiamo, lui chiacchiera tutto il tempo, io sorrido e
annuisco.
Porto in tavola il dolce, una cheesecake, e poi il caffè.
È arrivato il momento di parlare e io non voglio,
perché
so che ora lo perderò e non mi va di perdere la mia luce di
speranza.
“Immagino ti sarai chiesto perché ti ho detto di
venire.”
“Sì e tu mi hai detto
che mi avresti
spiegato delle cose importanti.”
“Sì. Io e te non possiamo stare insieme
Tu sei un bravo ragazzo, Matt.
Davvero, ti voglio molto
bene e mi piaci parecchio.”
“E allora perché no?”
Io mi tolgo la felpa, in questo modo le parti meccaniche del mio
braccio sono
ben visibili, abbasso gli occhi, spaventata di incontrare i suoi occhi.
“Tu sei…”
“Sono un cyborg. Quando avevo dieci anni
c’è stato un incendio nella casa di
Londra, mamma è morta e io sono rimasta gravemente
ustionata. Così gravemente
che mio padre ha deciso di provare su di me
la sua nuova tecnologia e mi ha trasformata in un robot.
Ora che sai come sono sai perché non possiamo stare
insieme.”
Lui non dice nulla e chiude gli occhi e in un attimo succede qualcosa
di
stupefacente, qualcosa che avevo letto solo nei libri. Al posto di Matt
c’è un
omino grigio con tre dita per mano e grandi occhi neri dalla forma
allungata.
“Matt?”
“Sì, sono io. Questa è la mia vera
forma.”
“Tu sei…”
“Un alieno.
Sì, sono un alieno mutaforma.
Che ne dici ora?”
“Che non avevo previsto questo sviluppo.”
Lui torna alla sua forma umana e mi prende per mano.
“Allora, adesso che ne dici?”
Io sorrido, all’improvviso tutte le mie paure mi sembrano
stupide.
Io sono un cyborg, lui un alieno: siamo entrambe pecore
nere e possiamo stare insieme.
“Mh, Matt Kean… Ti va di essere il mio
ragazzo?”
“Con molto piacere, Shoshanna Dreyfus.”
Ci baciamo con passione e io mi sento finalmente completa.
Ho trovato il mio pezzo mancante!
Continuando a baciarci saliamo fino alla terrazza più
alta della casa e poi ci sediamo sul divanetto,
c’è un meraviglioso cielo
stellato.
“Sai da dove vieni?”
“No e non mi importa. Questa è casa mia.”
Ci baciamo di nuovo.
“E adesso cosa facciamo, Matt?”
“Quello che potrebbero fare due come noi: tentare di
conquistare il mondo.”
Io rido e ci baciamo di nuovo.
Adesso la mia vita ha un senso e il corpo che ho sempre
odiato mi piace.
Quando una ragazza in pezzi incontra un ragazzo in pezzi
possono succedere miracoli.
Due sbagliati possono diventare qualcosa di giusto.
Possiamo ripararci a vicenda i nostri cuori infranti con delle
spille da balia.
Ci si può salvare a vicenda.
Ci può essere nuova vita.
Sorrido e mi stringo a lui.
Grazie universo, grazie mille.
E le stelle ci guardano benigne.
Tutto è andato a posto.
Il vento si è alzato e si può tentare di vivere
ancora.
Angolo di Layla
Ci ho messo così tanto perché ogni volta che mi mettevo a scrivere questa storia succedeva qualcosa.
Anyway spero vi piaccia.
Annuncio anche che probabilmente tornerò presto a pubblicare perché non manca molto alla conclusione della long che sto scrivendo, sarà sui Pierce The Veil e sui Bring Me The Horizon.
Alla prossima.