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Autore: Layla    25/07/2016    1 recensioni
Shoshanna all'apparenza è una ragazza normale con la sola stranezza di non lasciare un centimetro di pelle scoperto.
Nemmeno nelle estati più calde.
Quello che nessuno sa è che un cyborg.
Non lo sa nemmeno Matt Kean che si prende una cotta per lei durante un concerto, ma lo scoprirà.
E Shoshanna scoprirà che non è la sola a nascondere un segreto.
Genere: Comico, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Daddy's Little Monster.

Grazie a Marilyn per l'idea.


La sveglia suona alle sette come ogni mattina, la spengo con un grugnito e getto le coperte ai piedi del letto.
Con un sospiro mi alzo e mi guardo allo specchio che rimanda l’immagine di una ragazza di media altezza con i capelli castano scuro e gli occhi castani, apparentemente l’unica cosa che mi differenzia da una comune ragazza sono i dilatori alle orecchie.
Cerchi di legno che le deformano, ma se ciò che mi rende diversa da una comuna ragazza si limitasse a questo farei la firma. Dato che indosso una maglia a mezze maniche la mia diversità salta subuto all’occhio, all’altezza del gomito destro si vede la parte robotica che connette la parte superiore con quella inferiore del mio braccio.
Abbasso gli occhi e appena sotto il ginocchio si vedono altre parte robotiche mi permettono di stare in piedi, dato che le mie articolazioni organiche se ne sono andate a puttane anni fa.
Ho ventiquattro anni e mi chiamo Shosganna, quando avevo dieci anni in casa si sviluppò un terribile incendio, mamma morì, mio padre si salvò e io rimasi gravemente ferita.
Avevo delle ustioni al braccio destro e sulle gambe che erano arrivate a compromettere l’uso dei miei arti, ero destinata a una vita sulla sedia a rotelle o alla morte, ma mio padre non poteva accettarlo.
Lui è un chirurgo e uno scienziato, si occupa di robotica e in particolare della costruzione di robot umanoidi e della costruzione di arti prostetici in grado di svolgere le funzioni delle parti organiche perse e come chirurgo si occupa di ustioni.
E così sono diventata il suo migliore esperimento, nonché quello più segreto.
Una volta arrivata a casa dall’ospedale, iniziò immediatamente a lavorare su di me, innestando parti meccaniche, controllando che non ci fossero rigetti. Ce ne sono stati parecchi invece e ogni volta lui cambiava qualcosa: circuiti, materiali, Dio solo sa cosa.
Alla fine, dopo due anni in cui non sono praticamente uscita di casa l’esperimento è riuscito, aveva sostituito le mie parti danneggiate con parti robotiche, le stesse che guardo ora con una tristezza infinita.
Certo, grazie a questo posso camminare e uscire, ma è vita?
Nessuno deve sapere cosa sono e quindi non ho mai avuto amiche o amici, ho avuto un paio di ragazzi, ma non è durata molto: quando ci avvicinavamo all’argomento sesso o anche solo un contatto più intimo di un bacio io mi tiravo indietro.
Avrebbero visto cosa ero, il mio segreto sarebbe stato svelato.
È da quando ho quattordici anni che penso che Dio non si sia comportato molto bene con me, avrebbe dovuto lasciarmi morire con la mamma, non lasciarmi viva.
È vita questa?
È davvero vita non poter condividere nessun sentimento o avvenimento con nessuno perché sono un cazzo di robot e non si deve sapere?
No, penso che non sia vita.
Mi accendo una sigaretta ed esco in terrazza.
Viviamo nella campagna inglese in una tenuta acquistata da un vecchio nobile decaduto e ha ettari di parco a separarci dal resto del mondo, quindi nessuno mi può vedere.
Fumare non è un’abitudine salutare, ma dato che non sono umana penso di poter fare un’eccezione o forse spero di invitare un cancro ad abitare nei miei polmoni e farla finita con questa farsa. Nemmeno mio padre sarebbe in grado di sconfiggere un cancro.
Finita la sigaretta metto un paio di leggins neri lungi fino alle caviglie, un paio di shorts di jeans stracciati, una maglia a maniche lunghe nera e sopra una canottiera sopra, metto un polsino e qualche collana al collo e poi scendo a fare colazione.
Il tavolo da dodici della sala da pranzo è preparato per una sola persona, me, ed è parecchio triste dal mio punto di vista.
“Buongiorno, signorina Shoshanna.”
Mi saluta rispettosamente la cameriera che mi servirà il mio solito caffelatte e biscotti al cocco.
“Potresti chiamarmi solo Shoshanna, per favore?
Ho la tua età e mi sembrano assurde tutte queste formalità.”
“Signorina Shoshanna, il dottor Dreyfrus ha disposto così e non posso non seguire le sue istruzioni.
Con permesso.”
Si allontana per andare a prendermi la colazione spaventata.
I domestici che vivono qui sanno cosa sono e credo che siano per metà spaventati e per metà mossi a pietà: una ragazza così giovane condannata a un destino del genere!
Io vorrei solo che fossero più umani con me e non mi facciano sentire, seppur rispettosamente, un mostro.
Un’altra domestica entra nella sala da pranzo e appoggia la posta su un mobile – dove mio padre di solito la prende per leggerla – e poi si avvicina a me con una lettera in mano. Io inarco un sopracciglio, chi diavolo mi ha scritto?
Non ho amici o altri parenti, quindi sono un pochino confusa.
“Signorina Shoshanna, questa è per lei.”
“Uh, sì. Certo.”
Prendo la busta e la apro, il biglietto plastificato di un concerto ne esce subito: il concerto dei Bring Me The Horizon, quello per cui ho litigato un secolo con mio padre per farmi dare il permesso di andare.
Lancio un urlo selvaggio che fa spaventare la povera donna che ha portato la posta, mi guarda con gli occhi sgranati di un cervo davanti ai fari di una macchina.
“Tutto bene, signorina?”
“Sì, certo. Mi scuso per lo spavento che le ho fatto prendere,  non era mia intenzione, ma ho appena ricevuto una bella notizia.”
“Meno male, signorina. Pensavo si stesse sentendo male proprio oggi che ha la visita.”
La mia felicità svanisce come è arrivata.
“Ah, certo.”
Ogni mese mio padre controlla le mie parte meccaniche e i valori del mio sangue per controllare che io sia in perfetta salute. Ogni fottuto mese mi sento una macchina che deve superare il controllo per avere il tagliando di buon funzionamento ed è orribile.
Non mi sento umana, mi sento come il migliore esperimento di mio padre e anche questo è orribile, per questo prego ogni notte Dio di farmi morire, non importa come basta che lo faccia.
Sarei dovuta morire a dieci anni e solo la folle determinazione di mio padre mi tiene viva a mo’ di Frankenstein, che non a caso è il mio romanzo preferito. Capisco perfettamente la sofferenza del mostro che si sente gettato in un mondo che non lo vuole e la sua rabbia verso il suo creatore, il fatto che il mio creatore sia mio padre peggiora solo le cose.
Finisco di mangiare e poi vado in bagno a truccarmi e a pettinarmi in modo da rendermi decente per il tagliando e poi mi fumo un’altra sigaretta. Oggi fa caldo, ma uno dei lati positivi di essere un robot è che non senti il caldo, solo il freddo invernale.
“Signorina Shoshanna, è arrivata la macchina.”
“Va bene.”
Noi abitiamo tra Canterbury  e Brighton e il laboratorio di mio padre si trova a Londra, in un’ora e mezza lo raggiungiamo. Osservando il protocollo l’autista non mi parla per tutto il tempo, così io ascolto la musica con il mio mp3 e fumo un’altra sigaretta, so che a lui non dà fastidio e lui sa che io gli permetto di fumare a mia volta.
Cosa dice mio padre di questa abitudine?
La critica, ma sa che non smetterò perché sa che è un modo per oppormi a lui. Lui non capisce perché io sia così arrabbiata, pensa di avermi salvato la vita e che per questo debba essere onorato.
Non mi ha salvato la vita, me l’ha solo resa un incubo indegno di essere vissuto.
In ogni caso siamo arrivati a Londra, il profilo familiare del Big Ben, di Buckingham Palace del London Eye mi accolgono insieme a quella striscia d’acqua luccicante che è il Tamigi.
L’uomo guida tranquillo fino al centro della città e poi mi lascia davanti a una delle villette anonime del quartiere, sul campanello si legge “Henry Dreyfrus, Chirurgo Plastico-Ricostruttivo”, la sua specializzazione è – inutile dirlo è la chirurgia delle ustioni.
Suono e il cancellino si apre, entro e mio padre apre la porta.
“Ben arrivata, tesoro. Oggi abbiamo lo studio e il laboratorio tutti per noi.”
“Come sempre, papà.”
“Tutto bene?”
“Oh, sì! Sono arrivati i biglietti per il concerto dei Bring Me The Horizon.”
“Non sono sicuro che sia una buona idea andarci, vedremo i risultati degli esami di oggi.”
“Ma papà! Avevi promesso e i biglietti sono già arrivati.”
“Abbiamo abbastanza soldi da spenderli in cose non necessarie.”
Mi liquida lui, poi mi indica la porta del laboratorio, io sento il mio cuore sprofondare, perché non capisce?
Forse per lui è una stronzata, ma per me questo concerto è importantissimo!
I Bring Me The Horizon sono la mia band preferita, quella che mi è stata accanto in questa vita di merda come non hanno fatto le persone e poi per una volta voglio sentirmi normale. È una cosa così sbagliata?
Non me la merito?
Devo essere il mostro di Frankenstein per sempre?
Faccio i soliti esami del sangue, poi lui controlla tutti i miei meccanismi per il resto della mattinata e sembra soddisfatto: l’orologio funziona benissimo.
A pranzo esco a mangiare al Mac Donald più vicino, qualcuno mi guarda stupito perché indosso i leggins e una maglia a mezze maniche in un giugno che è molto caldo. Ormai ci sono quasi abituata, non mi fa quasi più male, sono i quasi che ti fregano, che aprono delle piccole crepe nel tuo spirito.
E dalle crepe non entra la luce, entra la tenebra, entrano i giudizi degli altri, entrano la paura, la paranoia e il dolore.
Finito il mio pranzo fumo l’ennesima sigaretta e poi torno al laboratorio e mi siedo su un divanetto ad aspettare che mio padre mi comunichi l’esito degli esami, intanto leggo per l’ennesima volta “Frankenstein”.
Dopo circa un’ora esce dal laboratorio con un’espressione severa.
“I tuoi esami sono quasi perfetti, lo sarebbero se smettessi di fumare.”
“Vuoi togliermi anche l’unico piacere che ho in questa vita?”
“No, voglio solo conservartela questa vita che tanto disprezzi.”
“Forse perché non è vita, è solo una pallida imitazione. Sarei dovuta morire quattordici anni fa e non essere condannata a diventare il tuo migliore esperimento.”
Lui mi dà uno schiaffo sonoro che mi fa voltare il viso, io appoggio la mano incredula.
“Visto che gli esami sono perfetti potrai andare al concerto e io fingerò di non aver mai sentito quello che hai detto.”
Come sempre d’altronde, non mi ascolta mai.
“D’accordo, padre.”
Sibilo acida e me ne vado.
Me la sono guadagnata questa specie di libertà!

 

Una settimana dopo mi sveglio alle quattro di mattina, faccio una rapida colazione e prendo lo zaino militare che ho riempito la sera prima con l’occorrente per il concerto.
Salgo in macchina e mi dirigo verso l’autostrada, senza autista alzo il lettore cd della mia Mini al massimo, cantando come una forsennata le canzoni dei Bring Me The Horizon.
Oggi ho ottenuto il permesso di andare al concerto e di poter guidare io la macchina, senza nessuno tra i piedi, come una comune ventiquattrenne.
Ci si sente bene, ci si sente liberi.
Non appena esco dall’autostrada abbasso i finestrini e mi godo la sensazione dell’aria tra i capelli, oggi tutto è possibile, anche i miracoli forse.
Forse incontrerò un ragazzo che si innamorerà di me, forse farò colpo su uno dei membri della band, forse catturerò l’araba fenice mentre sono in coda per il concerto.
Figurarsi se qualcuno se innamora di me, meglio che pensi a godermi la musica perché non andrò a un altro concerto tanto presto, il prezioso orologio non si deve rompere. Può morire internamente giorno dopo giorno, ma non fermarsi.
Arrivata nei pressi dell’arena cerco parcheggio e ne trovo uno che mi fa pagare la bellezza di 10 sterline per stare parcheggiata fino alla fine del concerto.
Wow! Economici!
In ogni caso pago il parcheggiatore senza battere ciglio – come ha detto mio padre abbiamo abbastanza soldi da poterci permettere spese inutili – e poi seguo il fiume di persone che si mette in coda.
Ci sono tante ragazzine con la maglietta della band, ma anche persone adulte con la stessa maglia, capelli normali e capelli di colori improbabili come verde, azzurro, viola, rosa, rosso acceso, fucsia.
È una vera e propria festa e io mi sento come se non avessi l’invito, estranea come al solito.
Forza e coraggio, Shoshanna!
Sei nel posto dove hai sempre sognato di essere, non lasciare che le crepe delle tua anima rovinino questo momento! Cosa hai di diverso dagli altri esteriormente?
Nulla, indossi la maglietta dei Bring Me The Horizon, hai i dilatatori e sei pettinata decentemente, nessuno potrebbe indovinare che sei un robot, solo una tizia che probabilmente ha sempre freddo.
Esistono queste persone, esistono anche se non sono cyborg.
Le ore passano lente sotto questo sole, bevo ogni tanto e una volta mi assento per andare in bagno chiedendo alla mia vicina di tenermi il posto.
Sono fortunata che lo faccia davvero, non era scontato che lo facesse. Il tempo passa, altre sigarette vengono fumate, compro qualche gadget dai venditori ambulanti e mangiucchio un panino giusto per non dare l’impressione di essere ancora più diversa e poi è quello che la sicurezza consiglia.
Alle sei aprono i cancelli e vengo quasi calpestata da una massa che vuole entrare nell’arena e prendere i posti migliori a ogni costo. Corro anche io come una matta, alla fine mi accaparro un posto in prima fila dalla parte di Matt Kean, il mio preferito.
Ce l’ho fatta, ancora non ci credo che sono qui!
Faccio una foto al palco deserto per avere la prova che sia la verità e poi mi metto anche io a cantare insieme agli altri fans per manifestare la mia gioia e l’ansia per l’attesa. Credo che questa sia la migliore serata della mia vita, non mi sono mai sentita così… viva.
Sì, viva è la parola giusta. Mi sento normale, una fra tante ed è bellissimo per me anche se so che per la maggior parte delle persone questo sarebbe un incubo.
Finalmente le luci si spengono per poi riaccendersi,  c’è un telo nero sul palco che mi fa venire il batticuore, poi anche quello si alza e arrivano le prime note di “Doomed”.
Io urlo come tutte e poi canto di cuore questa e tutte le canzoni che seguono, ogni tanto ho la strana sensazione che Matt Kean mi stia guardando, ma non può essere, cioè sono solo coincidenze.
La storia per cui la rockstar di turno si innamora della fan è una cosa che accade solo nelle fanfictions, nella vita reale non succede mai, per loro siamo importanti, ma non così tanto da iniziarci una storia.
In ogni caso questa è la note più bella della mia vita, mi scordo di essere un cyborg e il mostro di Frankenstein, sono solo Shoshanna, una ragazza che si sta godendo il concerto della sua band preferita.
Si dice che il tempo passi alla svelta quando ci si diverta ed è davvero così, mi sembra di essere appena entrata con le altre fans e già siamo all’ultima canzone: Hospital for souls.
Se davvero esistesse un ospedale per le anime io sarei la prima paziente, perché la mia anima è danneggiata da tutto quello che mi è stato fatto per salvami la vita, non è mai consigliabile andare contro il corso naturale degli eventi, si rischiano solo casini e io sono un grande casino.
“Siete pronti?”
Urla Oli, la folla urla.
“Andiamo.”
Inizia a sussurrare l’introduzione e subito mi viene da piangere.
Davvero persino l’inferno può diventare confortevole se ti ci abitui e a volte iniziare da capo non è possibile, i demoni ti tengono per mano e ti accompagnano e il peggiore di loro è te stessa.
Canto tra le lacrime, pesando che davvero qualcuno dovrebbe guardarmi bruciare per capire cosa provo, mio padre non capisce e non capirà mai e non ho nessuno con cui sfogarmi.
Alla fine della canzone il mio trucco è colato miseramente sulle mie guance, ma mi sento in qualche modo meglio, immagino sia il potere catartico della musica, qualcuno mette in parole quei sentimenti che tu non riesci ad articolare.
I coriandoli argentati cadono come neve in una palla di cristallo, io ne prendo un paio e riesco a prendere anche un plettro di Matt, sono soddisfattissima e mi sto per avviare fuori insieme alle altre fans quando qualcuno mi solleva da terra, io urlo e scalcio colta di sorpresa.
Chi diavolo è e cosa diavolo da me?
All’improvviso mi ritrovo davanti a un omone, dall’altro lato della transenna che separa lo spazio dei fans da quello della band, le altre ragazze mi guardano male e io divento di fiamma.
“Ehm, come mai mi ha sollevato e portato qui…”
“Mi chiamo Rudy, ragazzina e comunque eseguo gli ordini.
Qualcuno della band vuole conoscerti.”
Io lo guardo scettica.
“Divertente, davvero.
Ma lei mi sembra un po’ cresciuto per giocare scherzi del genere.”
Lui sbuffa.
“Di solito non vedono l’ora di seguirmi, perché tu devi fare problemi…”
“Shoshanna.”
“Ok, Shoshanna. Perché?”
“Perché non credo alle fiabe.”
Lui alza gli occhi al cielo.
“Senti, non mi va di tornare da Matt Kean e dirgli che la sua bella gli ha dato picche, quel ragazzo ha gusti difficili.”
Il mio cuore salta un battito al nome di Matt, davvero mi vuole vedere?
E io davvero voglio perdere un’occasione del genere solo perché sono pessimista fino a midollo?
“Ok, allora vengo.”
“Vuoi davvero lui o è solo un mezzo?”
“Voglio lui, cazzo.”
L’omone se la ride e mi scorta fino ai camerini, apre una porta e mi fa cenno di accomodarmi su uno dei divanetti, io eseguo l’ordine e inizio a sentirmi nervosa: tra poco li incontrerò.
Il primo a uscire dalla doccia è Lee in pantaloni a tre quarti, senza maglietta e con un asciugamano attorno alla testa, lui urla, io urlo di riflesso.
In un attimo arrivano tutti mezzi nudi e io mi copro gli occhi e sento che ormai non sono rossa sono viola.
“Che cazzo succede?
Chi cazzo sei?
Rudy!”
Urla Oli, l’omone accorre.
“Sì, Oliver?”
“Chi è questa ragazza e perché è qui?”
“Si chiama Shoshanna e Matt Kean mi ha chiesto di portarla qui.”
Tutti guardano il bassista che si fa piccolino, nonostante sia il più alto della compagnia.
“Quando contavi di dircelo?”
Bercia il cantante.
“Beh, adesso. Cioè, dopo la doccia, non pensavo che Lee si sarebbe messo a urlare.”
“Copritevi, accidenti a voi!
Sto per morire male!”
Tutti mi guardano e si rendono conto della mia presenza e del fatto che sono una ragazza, per di più che non sembra nemmeno maggiorenne.
“Ehm, già. Hai ragione.
Potresti uscire un attimo?
Poi parleremo.”
Oli mi rivolge un’occhiata un po’ sospettosa cui io rispondo con un sorriso imbarazzato, poi esco.
Quando sono fuori vado in iperventilazione, ho appena visto i miei idoli mezzi nudi e non ero psicologicamente preparata, ho voglia di urlare, ma sarebbe da pazzi e non mi farebbero di certo rientrare.
Dieci minuti Oli si affaccia alla porta e mi fa cenno di rientrare, sono tutti seduti sul divanetto, io alzo una mano.
“Ciao.”
Dico imbarazzata.
“Ciao.”
Mi rispondono in coro.
“Quindi Rudy ti ha portata qui perché Matt Kean vuole, conoscerti…”
“Shoshanna, mi chiamo Shoshanna.”
“Che nome strano, confermi, Matt?”
“Sì, confermo, mein Fuhrer.”
“Beh, allora benvenuta.
Una sola cosa ancora, sei maggiorenne?”
“Ho ventiquattro anni.”
Oli alza un sopracciglio incredulo, io sospiro.
“Vuoi vedere la carta d’identità?”
“Sì, se non ti dispiace. Sarebbe un casino se qualcuno di noi finisse per fare sesso con una minorenne.”
Ecco come mettere a disagio le persone!
Con un sospiro tiro fuori la carta d’identità dal portafoglio e la porgo al ragazzo, lui la legge attentamente e poi me la ridà.
“Non l’avrei mai detto che tu avessi sul serio ventiquattro anni.”
“Non sei l’unico che lo dice.”
“Vabbè. Io sono Oli, loro sono Lee, Jordan, Matt uno e Matt due.”
“Odio quando mi chiami Matt due, Sykes.”
“Scusa, è l’abitudine.
Vuoi una foto e degli autografi?”
“E me lo chiedi?”
Il cantante ridacchia e si mette in posa con me e mi firma un foglio del quaderno che mi sono portata, gli altri fanno lo stesso.
Sono tutti molto amichevoli e simpatici, non sembrano delle star internazionali, ma ragazzi che potresti trovare al bar sotto casa.
Chiacchieriamo per qualche minuto, poi Oli prende Lee, Matt Nicholls e Jordan per le spalle.
“Forza, ragazzi! Andiamo.
Il nostro bassista vuole stare da solo con lei o non l’avrebbe fatta venire qui.”
“Giusto. Ciao, Shoshanna!”
Mi salutano tutti e poi se ne vanno lasciandomi da sola con il ragazzo dei miei sogni.
“Beh, cosa vuoi?
Birra, coca?”
“Una coca per favore.”
Rispondo timida.
Non avevo previsto questo sviluppo della serata, come mi devo comportare?
“Pensavo che fossi una ragazza da birra.”
“Devo guidare per tornare a casa.”
“Sei una ragazza giudiziosa, dove abiti?”
“Nel Kent, in mezzo al nulla.”
“Come mai?”
Io scuoto le spalle.
“Ho dei problemi di salute, non riuscirei a vivere in mezzo allo smog.”
“È per questi problemi che non hai un centimetro di pelle scoperta?”
“Si può dire di sì.”
Beviamo insieme in silenzio, poi lui inizia a raccontarmi gli episodi più assurdi che gli sono capitati in tour e io rido di gusto immaginandomeli: Matt N. che piscia in frigo ubriaco marcio, Oli che piscia sui fan perché arrabbiato, Lee con i capelli verdi dopo che Matt K ha scambiato lo sciampo con una di quelle tinture temporanee e in ultimo lo stesso Matt K. nudo come un verme che vaga nella zona riservata alle band durante un festival perché Oli e Jordan gli hanno nascosto i vestiti
L’ultima visione mi fa anche arrossire un po’.
Lo guardo negli occhi blu e mi ci perdo per un attimo o due e lui se ne accorge, appoggia la birra sul basso tavolinetto e mi bacia con gentilezza. Quando capisce che non lo respingerò, ma che ho dischiuso le rabbia per invitarlo a continuare diventa un po’ più aggressivo.
Ben presto le nostre lingue sono impegnate in una lotta per la dominanza e finiamo sdraiati sul divano dei camerini, le mie mani gli accarezzano i capelli e il petto da sotto la maglietta, lui mi toglie la maglia lasciandomi solo in dolce vita.
Poi scende a baciarmi la mascella e il collo e io mi inarco per facilitargli il lavoro, mi così bene che mi sembra di avere fumato una canna prima del concerto.
Ma le cose belle arrivano sempre a una fine e quando lui infila una mano sotto il dolcevita io mi irrigidisco e sguscio via. Trattenendo le lacrime mi rimetto la maglietta che ha come logo ironico il fiore della vita, che razza di vita è la mia? Che razza?
“Cosa c’è che non va?
Pensavo che lo volessi anche tu!”
“Vorrei, ma non posso.”
“Perché?”
“Io non so come tutte le altre ragazze, non sono lesbica o cose del genere, ma non posso lo stesso.”
“Hai fatto un voto di castità? Sei una suora in incognito?”
“No.”
“E allora?”
“Matt, non capiresti.”
Afferro la mia borsa.
“Lasciami almeno il numero.”
Io prendo l’indelebile che hanno usato per firmarmi gli autografi e gli scrivo il mio numero sul braccio, poi gli do un rapido bacio e me ne vado.
Ancora una volta la mia anormalità mi ha rovinato la vita.

 

Il giorno dopo scendo a fare colazione con le occhiaie e trovo stranamente mio padre che legge il giornale, di solito a quest’ora è già in viaggio per Londra.
“Buongiorno.”
Gli dico sorpresa.
“Volevo solo controllare che tu stessi bene, ieri sera sei tornata più tardi del previsto.”
“Sì, scusa. Con delle altre fans ho aspettato che i Bring Me The Horizon uscissero dopo il concerto per avere una possibilità di avere degli autografi e delle foto.”
“E ci sei riuscita?”
“Sì, e ho preso il plettro di Matt Kean.”
“Ottimo.”
Mi scruta con il suo occhio più professionale e io mi sento in imbarazzo.
“Non sembri stare male, ma hai un tremendo bisogno di dormire. Finita la colazione vai a dormire, per favore.”
“Va bene.”
Bevo il mio latte e mangio i miei biscotti al cocco, poi mi alzo in piedi.
“Beh, buon lavoro.”
Me ne torno in camera mia e vado sulla terrazza, mi accendo una sigaretta e mi godo la quiete della campagna inglese: niente rumore di macchine, tanto verde, il rumore del ruscello che attraversa la nostra tenuta e in cui mio padre ha ricavato un laghetto con tanto di ponte giapponese e ninfee e il rumore del giardiniere che taglia l’erba.
Mi accendo una sigaretta e il mio cellulare vibra per un messaggio, il mittente è sconosciuto, ma io lo apro lo stesso.
“Ciao, sono Matt.
Come va?”
Inaspettatamente sorrido, un messaggio fa molto piacere soprattutto in un momento critico come la mattina.
“Bene, sono solo un po’ stanca.
Mi sono alzata e ho fatto colazione, ma sono ancora stanca e penso tornerò a letto.”
“Ok, anche io mi sono appena alzato.
Oli e Matt uno si sono messi a litigare per non so cosa.”
“I tuoi vestiti sono al sicuro?”
“Sì, li ho messi in un armadio con un lucchetto.”
“Mossa poco saggia, qualcuno potrebbe metterti dell’Attacks nel lucchetto e tu potresti non riuscire più ad aprirlo.”
C’è un lungo momento di silenzio, poi arriva un altro messaggio.
“Cazzo, hanno fatto quello che ai detto tu!
Buonanotte, Elsa, adesso vado a uccidere la mia band.”
“Mi raccomando fai sparire tutte le tracce.
Buon lavoro.”
Mi metto a letto sorridendo come un’idiota, i suoi messaggi mi hanno messo di buon umore e non mi succedeva da tempo. Non sono abituata a queste attenzioni, ma lo divento presto, ogni giorno – per un’intera settimana – ci scriviamo e lui sembra sempre più gentile simpatico e preso da me e io sono presa da lui.
Sono finita di nuovo nella solita situazione: amo qualcuno e non posso permettermi una storia d’amore perché sono un cyborg.
Due settimane dopo ho la casa libera, mio padre è a un convegno e io ho dato la serata libera a tutta la servitù, voglio stare da sola anche perché ho invitato Matt.
Ieri gli ho scritto e gli ho chiesto se poteva venire a casa mia, lui ha stranamente detto di sì, non so come faccia visto che dovrebbe in tour.
Cucino un lungo trancio di pizza margherita e mentre è in forno a cuocere, vado a cambiarmi. Indosso un paio di leggins zebrati, pantaloncini di jeans strappati, una maglia a mezze maniche e una felpa.
Ok, sono accettabile.
Esco sul portico e mi accendo una sigaretta, attorno a me ci sono i colori de tramonto, io mi siedo sulla sedia a dondolo, da piccola era la mia preferita. Amavo starci seduta e dondolare sognando di essere su una barca che mi portasse via verso mondi lontani dove fossi libera.
Libera di avere una mia vita, degli amici, un ragazzo e magari un corpo umano.
Sogni di una bambina solitaria che ancora non sapeva distinguere bene la realtà dalla fantasia, io non posso avere nulla di quello che sognavo, soprattutto un corpo nuovo.
Il rumore di un motore mi fa tornare alla realtà, una macchinina scura sta percorrendo il viale e si ferma a poca distanza dal portico, Matt ne esce poco dopo.
“Non mi avevi detto che vivevi in un castello.”
“Non me l’hai mai chiesto.”
“È di ghiaccio?”
“No, direi di no.
Entra, ho della pizza…calda.”
“E la macchina?”
“Giusto.”
Apro il garage e lui parcheggia, poi entriamo tutti e due in casa.
Lui sembra colpito dal lusso delle stanze, continua a guardarsi attorno come un bambino alle giostre.
“Io pensavo che la casa di Oli fosse lussuosa, ma questa la batte di brutto.
Ma chi sei, Shoshanna Dreyfrus?”
“Sono la figlia di un chirurgo ricchissimo.”
E il suo migliore esperimento, ma non posso dirlo.
“La cosa non ti fa piacere?”
“Non è mai a casa, non è mai stato a casa, ma adesso mangiamo.
Siediti.”
Vado in cucina ed estraggo la teglia, poi la porto in tavola.
“Wow! Una teglia di pizza!”
“Esatto, signor Kean. Una teglia di pizza per noi!”
Taglio due pezzi giganteschi e li metto sui nostri piatti.
“Buon appetito!”
Mangiamo, lui chiacchiera tutto il tempo, io sorrido e annuisco.
Porto in tavola il dolce, una cheesecake, e poi il caffè.
È arrivato il momento di parlare e io non voglio, perché so che ora lo perderò e non mi va di perdere la mia luce di speranza.
“Immagino ti sarai chiesto perché ti ho detto di venire.”
“Sì e tu mi hai detto  che mi avresti spiegato delle cose importanti.”
“Sì. Io e te non possiamo stare insieme

Tu sei un bravo ragazzo, Matt. Davvero, ti voglio molto bene e mi piaci parecchio.”
“E allora perché no?”
Io mi tolgo la felpa, in questo modo le parti meccaniche del mio braccio sono ben visibili, abbasso gli occhi, spaventata di incontrare i suoi occhi.
“Tu sei…”
“Sono un cyborg. Quando avevo dieci anni c’è stato un incendio nella casa di Londra, mamma è morta e io sono rimasta gravemente ustionata. Così gravemente che mio padre ha deciso di provare su di me  la sua nuova tecnologia e mi ha trasformata in un robot.
Ora che sai come sono sai perché non possiamo stare insieme.”
Lui non dice nulla e chiude gli occhi e in un attimo succede qualcosa di stupefacente, qualcosa che avevo letto solo nei libri. Al posto di Matt c’è un omino grigio con tre dita per mano e grandi occhi neri dalla forma allungata.
“Matt?”
“Sì, sono io. Questa è la mia vera forma.”
“Tu sei…”
“Un alieno.
Sì, sono un alieno mutaforma.
Che ne dici ora?”
“Che non avevo previsto questo sviluppo.”
Lui torna alla sua forma umana e mi prende per mano.
“Allora, adesso che ne dici?”
Io sorrido, all’improvviso tutte le mie paure mi sembrano stupide.
Io sono un cyborg, lui un alieno: siamo entrambe pecore nere e possiamo stare insieme.
“Mh, Matt Kean… Ti va di essere il mio ragazzo?”
“Con molto piacere, Shoshanna Dreyfus.”
Ci baciamo con passione e io mi sento finalmente completa.
Ho trovato il mio pezzo mancante!
Continuando a baciarci saliamo fino alla terrazza più alta della casa e poi ci sediamo sul divanetto, c’è un meraviglioso cielo stellato.
“Sai da dove vieni?”
“No e non mi importa. Questa è casa mia.”
Ci baciamo di nuovo.
“E adesso cosa facciamo, Matt?”
“Quello che potrebbero fare due come noi: tentare di conquistare il mondo.”
Io rido e ci baciamo di nuovo.
Adesso la mia vita ha un senso e il corpo che ho sempre odiato mi piace.
Quando una ragazza in pezzi incontra un ragazzo in pezzi possono succedere miracoli.
Due sbagliati possono diventare qualcosa di giusto.
Possiamo ripararci a vicenda i nostri cuori infranti con delle spille da balia.
Ci si può salvare a vicenda.
Ci può essere nuova vita.
Sorrido e mi stringo a lui.
Grazie universo, grazie mille.
E le stelle ci guardano benigne.
Tutto è andato a posto.
Il vento si è alzato e si può tentare di vivere ancora.


Angolo di Layla

Lo so che Matt ha compiuto gli anni tipo il 2 giugno e quindi è abbastanza assurdo dire che è stata scritta per il suo compleanno, ma è così. LOL
Ci ho messo così tanto perché ogni volta che mi mettevo a scrivere questa storia succedeva qualcosa.
Anyway spero vi piaccia.
Annuncio anche che probabilmente tornerò presto a pubblicare perché non manca molto alla conclusione della long che sto scrivendo, sarà sui Pierce The Veil e sui Bring Me The Horizon.
Alla prossima.

 

 

 

Questa è Shoshanna.

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