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Autore: Gagiord    26/07/2016    1 recensioni
Aoko Nakamori, la prescelta. La ragazza, ormai diciassettenne, aspettava, seppure inconsciamente, l'arrivo di qualcosa. Qualcosa che le avrebbe cambiato la vita.
Ginzo Nakamori, il padre della giovane, sapeva tutto. Tuttavia, finché il potere in lei non si fosse svegliato, non poteva dirglielo. E, comunque, non ne avrebbe avuto l'occasione: stava giorno e notte fuori, ormai, alla caccia di Kaito Kid. Ebbene, il ladro era ancora costretto a rubare, determinato a trovare Pandora, quella gemma tanto importante per l'Organizzazione che si era promesso di distruggere. Eppure, non si era mai accorto che quel tanto ambito gioiello l'aveva sempre avuto sotto i propri occhi...
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Aoko Nakamori, Gin, Ginzo Nakamori, Kaito Kuroba/Kaito Kid
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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"Oh. Si è per caso risposato?" chiese il segretario, ridendo piano. Poi, l'espressione seria si ripresentò, facendogli corrugare le sottili labbra. Squadrò ancora un volta Aoko, che ricambiava il suo sguardo nel modo più altezzoso possibile. "Lo zaffiro? Cos'è, un scherzo?"
"Non mi sono risposato." Il suo tono di voce perse ogni cortesia, diventando gelido. Anche il suo sguardo era divenuto tagliente, quasi offensivo e violento. "Lei è la figlia di Yume Kouno, la decima prescelta: Aoko Nakamori, lo zaffiro."
L'uomo scoppiò in un'amara risata, provocando un lampo di stupore negli occhi della ragazza: non si immaginava che delle persone così discrete potessero addirittura scoppiare a ridere. "Ha fatto tornare la traditrice da un'altra epoca, ispettore?" chiese ironicamente tra le risate che gli scuotevano le spalle. "Oppure è andato direttamente da lei?"
"Lei è nata prima che Yume se ne andasse. Due giorni prima, precisamente."
Il segretario mise improvvisamente fine alle sue risa, alzando gli occhiali di fine montatura con l'indice della mano sinistra. "Se lei sta dicendo la verità, ci deve molte spiegazioni. In caso contrario, è pregato di andarsene subito."
"Bene, allora ci faccia entrare, signor Tamura."
'Sono tutti così inquietanti?' domandò la giovane a Johanne, sbigottita.
'Oh, figurati. Lui è solo il segretario.'
Il signor Tamura - così lo aveva chiamato Ginzo - fece spazio all'ispettore e alla viaggiatrice, facendoli accomodare nella sala. Si diresse nuovamente alla sua postazione, digitando alcuni numeri in un telefono fisso. Aoko, però, non poteva vederli senza allungare il collo e protendere il viso verso la scrivania, così decise di restare immobile al centro della stanza, insieme al padre. L'uomo borbottò qualcosa di incomprensibile per la ragazza, ma riuscì a cogliere le parole "zaffiro" e "millantatori". La giovane si chiese se li stesse davvero definendo come dei megalomani, pensando che stessero solo dissimulando per attirare l'attenzione. L'attenzione di chi, poi? Di una potentissima Organizzazione segreta? Come se a loro interessasse una cosa così futile!
Tuttavia, dopo aver parlato con un ricevitore sconusciuto, frustato, mormorò: "Venite. Ho l'ordine di portarvi nella Sala Magna".
La viaggiatrice rivolse uno sguardo interrogatorio al padre, ma lui si limitò ad annuire, offrendole un sorriso insicuro e vacillante.
Il segretario si abbassò a tastare diverse mattonelle di marmo del pavimento, quando una si abbassò improvvisamente: si aprì un varco tra i mattoni, lasciando intravedere una lunga scala di legno, protendente verso il basso. Aoko era meravigliata, confusa e sgomenta. Le sembrava di appartenere ad un film, uno dei tanti con tutti quei passaggi segreti che percorrono tutti i sotterranei della città soprastante. Ginzo, viceversa, sembrava stare ancor peggio di prima: aveva le mani chiuse in due pugni, le dita intente a conficcare inconsciamente le unghie nella carne dei palmi; le labbra erano contratte in una smorfia di ansia e preoccupazione; si muoveva nervosamente, passando il proprio peso da un piede all'altro.
"Samizu Kichiemon ha partecipato alla restaurazione della sede: tutti i congegni qui presenti sono stati ideati e realizzati da lui" informò con una sfumatura di orgoglio nella voce, come se stesse parlando del proprio bambino.
La più piccola, però, non sapeva chi fosse quell'ingegnere sopracitato.
La ladra, avvertendo l'ignoranza della sua ospite in quel campo, intervenne. 'Era un nonnetto a cui piaceva ingannare le persone con i propri giochetti' le riferì. 'Per tua fortuna è vissuto 150 anni fa.'
'Oh. A quanto pare, questa loggia segreta non è così segreta.'
Nel frattempo, il signor Tamura aveva cominciato a scendere i gradini. Il padre della ragazza lo seguì, ma si fermò sulla soglia. "Aoko, vieni?"
'Solo tra le persone più potenti' la corresse lei. 'È possibile che, da un giorno all'altro, ci troviamo davanti la Merkel che impreca in tedesco.'
"Arrivo!" Gli stette dietro, mentre percorrevano quell'interminabile e polverosa scala. L'elegante segretario - il quale presiedeva la breve fila - aveva con sé una lampada a LED, per illuminare modestamente quello stretto corridoio.
'Anna Merkel è il primo ministro tedesco, giusto?'
'Angela Merkel. Cosa studiate in geografia? Come si bacia in dieci nazioni diverse?' la schernì. 'Tu, di certo, fai coppia con Kaito.' Sogghignò.
Aoko sbuffò, incrociando le braccia al petto. Il più anziano l'osservò di sottecchi, pensando fosse pazza; il padre, invece, le scoccò un'occhiata divertita, intuendo che stesse parlando con Johanne.
Arrivarono al termine della scala: si allungava un altro esteso andito. La ragazza notò, però, che questo era abbastanza largo per contenere vetrine e armadietti. All'interno di essi vi erano documenti, boccette con liquidi sconosciuti e libri. Circa ogni dieci metri, scendevano dal soffitto preziosi lampadari di cristallo che illuminavano il passaggio. Quest'ultimo, a differenza della scala, era pulito e luminoso, benché non ci fossero finestre. Al posto di esse, le lunghe pareti di legno d'ebano erano ricoperte da quadri e da attestati scritti in lingua occidentale. Anche il solo corridoio, pensò la giovane, valeva quanto una casa. L'atmosfera, seppur si trovassero in un luogo così ristretto, era piacevole: le costose pareti e il pavimento composti in pregiato legno ricavato dall'albero di ebano erano illuminati dalla luce calda diffusa dai lampadari; l'aria, nonostante fosse un corridoio senza aperture, aveva un leggero aroma di cannella ed era perfettamente respirabile.
Camminarono fino ad un bivio: proseguirono in avanti, ma Aoko era troppo curiosa di sapere fin dove portava l'altro passaggio.
'Nell'atelier della signora Zhao' rispose Johanne dopo aver captato la corrente dei suoi pensieri.
"Uh?" Un altro sguardo di sbieco da parte del segretario. Quando se ne accorse, coprì la propria bocca con un mano, per poi imprecare sottovoce. Johanne ridacchiò un po'.
'Atelier?' domandò in seguito. 'Di che cosa?'
'Di vestiti, naturalmente.' Aveva la voce sognante - proprio come quella di una ragazzina che fantastica davanti ad un film d'amore. 'Sono tutti stupendi! Non sai quanti kimono spettacolari ci sono là dentro!'
A una ventina di metri dalle tre persone, si potevano scorgere due grandi porte. Procedettero, diminuendo la distanza tra loro e l'imponente portone.
'E a cosa dovrebbero servire, scusa?'
'Usa la testa, Aoko! Sei intelligente, o sbaglio?' la canzonò. 'Quando potrai decidere l'epoca in cui andare, dovrai indossare quei meravigliosi abiti per non dare nell'occhio.' Esalò un sospirò. 'Sai com'è; cent'anni fa non c'erano le Converse.'
Sommise un risolino: aveva già fatto troppe figuracce in presenza di quell'anziano.
'Me li faranno vedere prima di poterli indossare, vero?' Era euforica al solo pensiero di poter osservare quei capi così ben designati dalla ladra.
'Ma certo! Quella brava donna - ora sarà una vecchietta sulla sessantina - dovrà prima prenderti le misure. Sarà felicissima di disegnare per una mora!' esclamò la donna, ancora più euforica - se possibile - della sua ospite.
Si trovavano a pochi metri dalla porta, ormai. Aoko la scrutò con i suoi grandi occhi azzurri: legno di mogano dell'Honduras dal colore rossastro - che ben si abbinava al colore bruno dell'ebano - meravigliosamente intagliato. La ragazza notò una somiglianza tra questo portone e l'ingresso - decisamente meno imponente - della sala d'attesa in cui si trovavano pochi minuti prima: anch'esso aveva i pomelli delle due ante rappresentanti volti di due leoni con le fauci apertamente schiuse, visibilmente fabbricati in oro. Era anche più grande dell'entrata della torre: era poco più alta di 3 m e le sue larghe ante abbracciavano l'intero corridoio.
'Per una mora? Mi stai dicendo che tutte le Kouno erano bionde?'
Ora si trovavano proprio davanti la porta: il segretario afferrò una delle maniglie, spalancando lentamente un battente - come se fosse una fatica di Sisifo anche solo spostarlo di un centimetro.
'Esatto' asserì Johanne. 'Sai, agli inizi dell'undicesimo secolo, una ricca ragazza europea - ovviamente dai capelli biondi - venne qui, in Giappone, per visitare l'allora capitale nipponica: Kyoto. Ne rimase affascinata, così decise di viverci. Incontrò un ragazzo e - manco a dirlo - si sposarono. Indovina un po'; il ragazzo aveva il cognome "Kouno". A quanto dicono, così è nata la dinastia.' Fece un breve pausa, prima di realizzare una cosa. 'Ehi, ma mi stai ascoltando?'
L'uomo aveva aperto definitivamente la porta, lasciando che una decina di sguardi volgessero verso di loro. In particolare, si soffermarono sulla ragazza, esaminandola. Lei, sentendosi in soggezione, abbassò lo sguardo, ponendo fine a ogni attività del suo cervello. Si sentiva le guance bruciare, e, per di più, calò un imbarazzante silenzio. Fu un signore di circa cinquantacinque anni a romperlo. Sembrava piuttosto arzillo, sebbene avesse i lunghi capelli - che prima dovevano essere di un nero lucente - striati da ciocche bianche e grigie. Un grande e caloroso sorriso illuminò il suo volto - mostrando i suoi denti un po' cariati -, e si rivolse alla giovane.
"E così tu sei il nostro zaffiro, eh?" La sua voce presentava note calde e affettuose, somigliando a quella di un nonno. La viaggiatrice non lo ascoltò, non fece nulla per confermare quella domanda retorica. Anzi, restò immobile, come una statua di cera che si scioglie lentamente davanti al fuoco.
In seguito, posò gli occhi sul padre, e la sua espressione mutò totalmente: il suo sorriso comprensivo lasciò spazio ad una smorfia irritata; il suo sguardo si fece tagliente - come se con il solo suo ausilio volesse tranciarlo -; le sue bianche e mal curate sopracciglia si aggrottarono, accentuando le rughe che andavano spargendosi a partire dal suo naso aquilino. Si alzò, dirigendosi verso la povera ragazza ancora immobilizzata davanti la grande porta della Sala.
"Ginzo, amico mio, da quanto tempo." Il suo tono sembrava riflettere il suo sguardo: il veleno in essi impregnato era lo stesso. "Come stai?"
L'ispettore, dapprincipio, da quando tutto ciò era iniziato, aveva cominciato a tremare impercettibilmente. Il panico gli attanagliava il petto, così come il dolore. Era rimasto fermo lì, a poco più di un metro da sua figlia, paralizzato, proprio come lei. Non aveva abbassato lo sguardo, né aveva cominciato ad arrossire, ma era momentaneamente incapace di dire o fare qualcosa. Poi, quando sentì gli occhi di quell'uomo - tanto affettuoso e comprensivo con la figlia ma altrettanto tagliente e aspro contro il padre -, abbassò anch'egli lo sguardo. Sembrava qualcosa di impossibile da sostenere. Non ce l'avrebbe fatta, gli passò per la mente. Avrebbe ceduto. Anche dopo le raccomandazioni, i consigli e gli incoraggiamenti che la sua amata gli aveva rivolto tanti anni fa, sapeva che non sarebbe riuscito a sostenere tutto ciò. Si ricordò di Yume. Quella sfumatura nella sua voce era presente anche quando parlava con lei. Quella tranquillità che trasmetteva, tutto quel calore con cui l'avvolgeva si trasformarono in freddezza, disprezzo. L'aveva chiamata traditrice, da quando quell'evento si era susseguito alla rapina del meridian: la fuga della giovane donna. Così, una nuova emozione si fece strada in quel cuore ormai martoriato: la rabbia. Essa sostituì il panico, la paura: prese il sopravvento. Alzò gli occhi, sostenendo in modo altezzoso tutti quei volti che solo un'altra sensazione riuscivano a suscitargli: disgusto. Volse il capo verso colui che più odiava, assottigliando lo sguardo e alzando il mento nella maniera più dignitosa possibile. Doveva farlo per Yume. Doveva farlo per loro.
"Rimandiamo a più tardi i convenevoli, se non ti dispiace." La sua voce riusciva in tutto e per tutto a sostenere quella dell'uomo più anziano. Era analogamente pungente, sprezzante. "Pensavo che non guidassi più questa loggia, Hiro."
Hiro - così l'aveva chiamato il poliziotto - stava ancora avanzando verso Aoko, ma al suono di quelle parole si fermò di scatto e scoppiò in un'amara risata. "Non l'ho mai guidata e mai lo farò." Si avvicinò a grandi falcate alla ragazza. Le mise un braccio sulle spalle in un gesto quasi amorevole, ma lei sembrava pietrificata. Non provò nemmeno a scansarsi. Non fece - ancora una volta - nulla. Quegli sguardi la stavano esaminando. Stavano penetrando il suo corpo, raggiungendo la sua anima, il suo cuore. Si sentiva vuota, priva di ogni cosa. L'uomo si rivolse nuovamente a Ginzo. "Ora, mio caro amico, ti dispiacerebbe raccontarci questa storia?" Scosse un po' le spalle della giovane, ma lei non si destò da quella specie di trance. "Oppure dobbiamo chiedere a lei?"
Ma lui come faceva ad esporre tutto ciò che aveva passato? O meglio, tutto ciò che avevano passato. Doveva essere schietto, ma secco. "Yume ha partorito due giorni prima della sua fuga." Esalò un sospiro. Doveva dirglielo, o avrebbero pensato che la neonata - ai tempi - fosse stata inserita in qualche registro di ospedale. "Sua sorella ci ha aiutato."
Hiro sfilò il braccio dalle spalle della viaggiatrice. Rientrò nella Sala, quindi cominciò a camminare su e giù dinanzi a tutti loro. "Cos'è? Uno scherzo? Sai bene che non è possibile che un genitore e il proprio figlio abbiano il potere. Non possiamo sapere se stai dicendo la verità." La voce ora aveva assunto una nota seria, ma quella tagliente non l'aveva abbandonata del tutto.
"Potrete vederlo, invece" obiettò l'ispettore. "L'ultimo salto l'ha fatto ieri. Aoko, tesoro, ti ricordi a che ora?"
Ora tutti gli occhi presenti in quella Sala e nel corridoio erano indirizzati a lei. Anche quello di suo padre, che la guardava con aspettativa. Le sembrava tutto un incubo. Era troppo inverosimile per essere la realtà. Dal giorno prima la sua vita sembrava talmente surreale che anche lei stentava a crederci.
'Aoko?' sussurrò Johanne. La sua voce era morbida, soave, come se non volesse disturbarla. Avvertiva i suoi sentimenti, sapeva cosa provava. Era preoccupata: solo un giorno fa le avevano cambiato totalmente la vita. Le avevano detto che era l'ultima di un cerchio della massima segretezza, che doveva cominciare a rubare gemme preziose per soddisfare un desiderio di un uomo completamente estraneo, ma soprattutto le avevano detto tutto circa la "morte" di sua madre. Era stata costretta ad assimilare troppe informazioni in poco più di un'ora, era naturale che ne fosse rimasta sconvolta, turbata. E ora, tutti quegli sguardi erano rivolti verso di lei. Tutti erano pronti ad ascoltarla e, probabilmente, a contraddirla.
Il padre le si avvicinò, le si pose dinanzi e la trasportò in un caldo abbraccio. Anche quel solo gesto poteva trasmettere i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue parole alla figlia, ma decise di parlare.
"Scusami" mormorò mentre le carezzava gentilmente i capelli. Non gli interessava se la giovane non stesse ricambiando tutte le attenzioni, sapeva solo che doveva consolarla e farla ritornare in sé. "Sono stato uno sciocco. Scusami... Aoko, io e la mamma ti vogliamo bene, sappilo."
Al suono dell'ultima frase, il cervello della viaggiatrice si riattivò, come se prima fosse solo stato messo in stand-by. Chiuse gli occhi per assaporare meglio quella sensazione meravigliosa: essere avvolta nelle braccia del padre. Ricambiò l'abbraccio, e il padre capì che si era ripresa. Sorrise dolcemente.
"Ehm..." Quel che sembrava essere il direttore della loggia si schiarì la gola, spezzando quel momento magico. Tutti coloro sedessero nella Sala avevano un sorriso compiaciuto stampato sul volto. Effettivamente, dava l'impressione di essere il primo abbraccio da parte di un padre verso la figlia. Anche Hiro - che non provava un'evidente simpatia per il poliziotto - sorrideva lieto.
Ginzo si scansò, dando così la possibilità alla ragazza di rispondere alla sua domanda precedente.
Aoko si rese conto solo in quel momento che molte delle persone che la stavano osservando non sembravano ostili, o in qualche modo non avevano intenzioni maligne. Al contrario, la maggior parte di loro aveva un aspetto bonario. Si soffermò ad osservare pochi di loro: una donna - poco più che ventenne - era vestita con dei pantaloni neri che seguivano le sue delicate forme e una maglietta bordeaux, che era coperta da una giacca nera. Non aveva i lineamenti completamente orientali, ma non sembrava nemmeno una straniera. Un carré di capelli mossi e color biondo cenere le contornava il volto dai tratti dolci e morbidi. Delle lentiggini le danzavano sul naso e occhi a mandorla verdi le luccicavano vispi. Aveva un piccolo naso alla francese e labbra sottili e vermiglie. Era davvero bella, constatò la viaggiatrice. Poi, gli occhi si posarono su un uomo dell'età di suo padre, robusto, ma non grasso. Occhi scurissimi, quasi neri, si accordavano perfettamente ai capelli castano scuro che orlavano il viso come un casco. Poi ancora, adocchiò una giovane donna - nemmeno di trent'anni- che vestiva un kimono di un delicato ciano. Aveva enormi occhi a mandorla di un colore quasi unico: l'iride sembrava una vera e propria pietra d'ambra. Aoko ne rimase rapita. Erano davvero singolari, meravigliosi. Capelli nerissimi le ricadevano lisci sulla spalla sinistra dopo essere stati raccolti in un'elaborata acconciatura: delle trecce piccolissime partivano dalle ciocche adiacenti all'orecchio destro, per poi essere sciolte sulla parte della nuca opposta. Infine, rivolse lo sguardo ad un'ultima persona. Trattenne un risolino: l'uomo era vestito totalmente di bianco e aveva un grande cappello dello stesso colore sul capo. Era davvero buffo: la veste da cuoco gli stava eccessivamente larga. Era magro - fin troppo - e degli occhietti sopra il suo naso adunco vigilavano attenti tutto ciò che li circondava.
In seguito al quel breve esame, la giovane si decise a parlare. "I-ieri... I-io..." balbettò. Dannazione! Aveva ancora la voce tremante. Cercò di riprendersi e di stabilizzarsi meglio. "Ieri" ricominciò "sono saltata per circa venti minuti. Penso che fossero le 6:00, o giù di lì." Si sorprese della voce ferma e matura che riuscì a simulare. Per una volta nella sua vita, era riuscita a ribattere in modo diretto, anche se si trovava al centro dell'attenzione di tutti. Almeno in un'occasione era stata fiera di sé.
Il sorrisetto che prima delineava la forma delle labbra di Hiro svanì. "Bene" sentenziò con un tono indecifrabile. "Se quella è stata l'ultima volta, allora dovrebbe manifestarsi di nuovo. Staremo a vedere."
'E starai via per molto, molto tempo.' Era Johanne. Non aveva detto nulla dopo la sua delucidazione circa le origini della famiglia Kouno.
'E perché?' domandò Aoko. Non capiva. C'erano dei tempi standard per ogni viaggio?
'Perché hai il potere più forte che abbia mai sentito! È strano che tu non sia ancora saltata. Non ritornerai prima di un'ora, ne sono sicura.' Anche la sua voce lo dimostrava. Non tradiva incertezze né dubbi.
"Che incubo" borbottò in modo incomprensibile la sua ospite, ottenendo qualche occhiata stranita dalle poche persone che aveva sentito quell'inspiegabile mugugno.
"Dovrai essere stanca" osservò l'uomo che la ragazza aveva appurato essere coetaneo di suo padre. Si alzò dalla pregiata sedia imbottita e ricamata con velluto rosso. Era piuttosto basso per essere un uomo - superava la giovane di tutt'al più un paio si centimetri. Le sorrise apertamente, riscaldando il cuore della piccola viaggiatrice. Provava già simpatia per quella persona. Non sapeva bene il perché, ma le sembrava particolarmente leale - come se fosse una cassaforte in cui infondere fiducia. "Vuoi sederti?"
Lei annuì, rivolgendogli un timido sorriso. Egli prese una sedia dal lungo tavolo presente in quella sala, posizionandola accanto alla sua.
"Penso che ci dovremmo presentare" disse imbarazzato, mentre si grattava distrattamente uno zigomo. "Comincio io: sono Takashi Sugimoto. È un piacere conoscerti."
Aoko si limitò ad annuire nuovamente e ad accentuare il sorriso.
"Sono Kohaku Zhao, la sarta" si presentò la ragazza dagli occhi d'ambra. Le sorrise dolcemente.
'Ma non doveva essere sulla sessantina?'
'Ehi!' si difese Johanne. 'Non sapevo fosse cambiat...'
"Ayame Sakura." La ragazza con le lentiggini le sorrise raggiante. "Sono nuova, sono sicura che andremo d'accordo." Le strizzò l'occhio. Il sorriso di Aoko si allargò e i grandi occhi azzurri le brillarono.
"Non vedo perché mi dovrei presentare" bofonchiò l'uomo che la ragazza aveva identificato come il cuoco. "In fondo, non siamo sicuri che tu sia l'ultima." La giovane storse il naso a quell'affermazione. Se solo avesse saputo!
Il vicecapo dell'Organizzazione sospirò e socchiuse gli occhi, lasciandosi cadere su una sedia. "È vero" asserì. "Però potresti essere meno sgarbato, Iwa..."
Aoko non fece in tempo a sentire il nome, che già si trovava catapultata in un'altra epoca. Per poco non cadde a terra. Si rese conto che era immersa nel buio più totale.
'Ecco cos'era quel senso di nausea.'




Ehilà, ragazzuoli! Eccomi con un nuovo capitolo!
Intanto, ringrazio Miky2911 per aver recensito il Prologo e per aver inserito sia me che la storia tra i preferiti :3
Ora, passiamo al capitolo! Che ve ne pare dei nuovi personaggi? Chi vi fa più simpatia? A me la ragazza col carré e Takashi, è tanto carino lui :P
Lasciate una recensione, così posso sapere se il capitolo vi è piaciuto ;)
Bien, alla prossima!

Baci
Shizuha

 

  
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