Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
Segui la storia  |       
Autore: Ally Dovahkiin    26/07/2016    1 recensioni
Entrare nella testa di Lysandro per una manciata di giorni nei quali cui il suo universo psicologico si ritrova completamente capovolto a causa di una sola ragazza; vedere in lui sentimenti così contrastanti e, se vogliamo, fin troppo irriverenti per la sua persona: pregiudizio, illogica infatuazione, paranoia e desiderio.
---------
Ultimo capitolo modificato.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Lysandro
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Quando mio fratello mi venne a svegliare non avevo l'impressione di aver dormito, ma di aver chiuso gli occhi per un istante e di averli riaperti subito dopo, non avvertivo nemmeno il torpore che invade il corpo appena ci si sveglia o il ricordo di scene che avevano abitato libere la mia mente per il tempo di un sogno.

«Allora? Com'è andata? Vedo che sei tornato vivo» rise lui mentre si alzava dalla sponda del mio letto.

«Che?» chiesi confuso.

«Con la ragazza, quella che credi sia isterica. Com'è andata?».

«Che significa com'è andata?» dissi guardandomi distrattamente intorno «Oddio che ore sono?» chiesi impietrito.

Leigh sgranò gli occhi e prese un profondo respiro, capii subito che in realtà avevo dormito, eccome se avevo dormito!

«Sono le ventidue» sibilò guardandomi con un'espressione di compassione.

Mi alzai di corsa dal letto e appena fui con i piedi per terra venni colpito da un immenso giramento di testa, ma in quel momento non potevo permettermi di perdere altro tempo così mi appoggiai all'armadio, guardai mio fratello e dissi: «Perché non mi hai svegliato?».

«Non sapevo che dormissi, sono uscito verso le diciassette con Rosalya, sono tornato ora!» si giustificò alzando addirittura le mani.

Io me le passai entrambe sul viso, non potevo credere a quello che era successo, mi tremavano quasi le gambe, tuttavia dovevo farmi coraggio ed affrontare la cosa. Era un piccolo errore di percorso che poteva capitare a chiunque, anche se mi dispiaceva veramente troppo di averla lasciata lì ad aspettarmi a vuoto.

«Dici che se vado lì ce la trovo?» gli chiesi in preda ai sensi di colpa.

Espirò rumorosamente scuotendo la testa e si mise una mano dietro il collo, non sapevo quanto volesse essere rassicurante, ma in quel modo non lo era di certo.

«Se è veramente pazza come dici, sì» disse scettico.

Presi un profondo respiro e annuii a Leigh, così di corsa presi il soprabito e corsi verso il liceo senza nemmeno portarmi con me un effetto personale tanta era la fretta. Mentre correvo le parole di Rosalya mi echeggiavano nella mente, io non volevo essere quel genere di persona e in cuor mio ero certo di non esserlo. Forse per una volta ero in errore, anche se non mi piaceva pensarlo dovevo accettare anche questa possibilità.

Da quando avevo messo da parte la gentilezza, a volte anche forzata, che mi aveva sempre caratterizzato per lasciar spazio al pregiudizio? No, quello non ero io. Era stato un errore, un terribile errore.

Quando arrivai ai piedi dello stabile avevo il respiro affannato dai nervi e dallo sforzo fisico, rimasi per un po' lì, ad osservare la porta con le mani sulle ginocchia e il viso che mi andava in fiamme. Provai ad aprire il portone principale e vidi che non era chiuso a chiave. Non mi sentivo per niente rassicurato però, non potevo avere nessuna garanzia che fosse lei, effettivamente non avevo chiesto le chiavi a Nathaniel, e Dafne, in totale onestà, non vedevo come avesse potuto farlo, dato che oltre a non parlare a nessuno sembrava non dare nemmeno confidenza.

Con il cuore in gola mi feci strada. I corridoi erano bui, sembrava che nessuna luce fosse accesa, camminai adagio fino a quando non vidi un barlume che proveniva dalla porta socchiusa della biblioteca. Bussai due volte ma non ricevette risposta, al che mi armai di buon spirito e feci scorrere la superficie legnosa sotto la mia mano.

C'era. Era lì; ma non era la Dafne malata di mente che mi fissava in classe, era una diversa e sicuramente addormentata. Aveva le braccia conserte sopra il tavolo della biblioteca e il volto appoggiato con i capelli che vi ricadevano sopra. La sua espressione era distesa, come se finalmente in un sogno avesse trovato la pace. Mi balenò subito in mente l'idea che potesse anche sognare me, ma scacciai subito via quel pensiero, in fondo le parole di Rosalya non erano proprio legge.

Mi chinai appena su di lei e le scostai i capelli dal viso, per poi scuoterla delicatamente per farla svegliare. Lei mosse gli occhi appena e poi li aprì, mi guardò e sorrise di gioia, scoprendo i suoi denti bianchi leggermente macchiati dal rossetto rosso che aveva messo. Vidi in lei l'istinto e la voglia di abbracciarmi, il quale non cercò di frenare in alcun modo. Le sue braccia mi cinsero il collo e subito arrivò alle mie narici il suo profumo dolce, che mi riportò a casa dei miei genitori, aveva un odore simile a quello che sentivo da piccolo, quando si mettevano a riscaldare i croissant con lo zucchero a velo sopra. Non resistetti, lasciai scorrere le mie mani sulla sua schiena, i suoi abiti erano così morbidi, mi piaceva la contrapposizione che le mie dita avvertivano fra loro e i suoi capelli ispidi, cotonati e pieni di lacca.

In quel momento capii che Dafne non parlava, lei dava e basta, non aveva altro mezzo di comunicazione se non quello. Da una parte la ammiravo, lei non aveva paura di agire, di esternare nel concreto quello che sentiva; repressione che io spesso non riuscivo a vincere data anche la timidezza che spesso mi vincolava.

Quando mi allontanai non riuscivo a nascondere l'imbarazzo, e lei rideva divertita, rimasi anche un po' offeso dalla sua risata poiché non fece altro che mettermi in ulteriore disagio. Quando se ne accorse non tolse il suo sorriso dalla bocca, ma moderò notevolmente. Infine mi prese la mano e la premette verso il basso, così mi misi seduto, nacque spontanea nella mia testa un'unica domanda, più o meno fondamentale.

«Come hai avuto le chiavi?» le chiesi un po' spaventato dall'eventuale risposta.

Mi mostrò l'indice teso dalla sua mano scarne e bianca, mentre con l'altra frugava vorticosamente nella sua borsa a tracolla nera piena di scritte fatte col bianchetto e toppe di vari gruppi musicali che ondeggiavano dal gothic metal al rock classico; alla fine trovò il suo cellulare, sbloccò lo schermo e mi fece vedere i messaggi che si erano scambiati lei e Nathaniel.

Ero ancora più confuso, come faceva ad avere il suo numero? Mi venne spontaneo scuotere la testa in segno di dissenso, così sospirò e mi fece vedere gli ultimi messaggi ricevuti, aveva la casella piena di contatti di persone della nostra classe, tra i quali lessi con una specie di orrore anche il nome di Rosalya. Cominciavo a riconsiderare chi dei due fosse veramente quello strano e asociale.

«Sono contento che ti sei integrata bene» dissi un po' secco.

Un'ombra si formò nel suo viso, poi scosse la testa e mi porse il foglio che aveva sotto il viso, nel quale vi erano stampati una parte di rossetto e la parte finale dell'occhio di Ra, dettaglio con il quale aveva arricchito il suo solito trucco nero già egizio. Quando lo vidi non potei far a meno di sorridere, vidi che era un testo di un gruppo del quale non avevo mai sentito parlare. Le parole erano scritte a macchina, cosa che gradii molto, poiché significava che non lo aveva solo copiato e incollato da internet. Lessi il testo “Acrostico in memoria di Laio”, del gruppo Area, mi sconvolse letteralmente. Non riuscii a capirne a pieno il significato, non comprendevo cosa mi volesse comunicare e dai suoi occhi era tangibile che volesse dirmi qualcosa.

«Credi sia un buona idea? Non sono riuscito a capirne granché» dissi io lievemente imbarazzato.

Lei abbassò lo sguardo e mi indicò il nome di Freud alla fine della canzone, dopo una piccola riflessione capii che era deliziosamente collegabile all'ultimo argomento che stavamo trattando con la professoressa, anche se ero certo del fatto che non avesse scelto quel brano solo per questo.

«Capisco...» sussurrai.

Mi voltai verso di lei, ma i suoi occhi questa volta non cercavano i miei, avevo compreso bene il mio errore, ma quel testo poteva significare così tante cose, che ne ignoravo il messaggio più elementare.

Lei cominciò a scrivere nel suo quaderno, la sua grafia era tondeggiante e curata nonostante scrivesse a gran velocità, questo mi lasciava intendere che fosse abituata a scrivere molto, e la capivo forse troppo bene. Mentre se ne stava rannicchiata a mezz'aria sopra il quaderno potevo osservare il suo profilo illuminato dalla fredda luce artificiale della biblioteca.

La sua fronte era una linea tondeggiante che si intersecava alla perfezione con il suo naso leggermente all'insù, il quale scendeva nelle curve morbide della sua bocca non troppo carnosa, tinta da quel rossetto rosso acceso che brillava a contrasto con la sua pelle bianca e i capelli corvini, i quali incorniciavano alla perfezione le sue orecchie lievemente a punta che sorreggevano un paio di orecchini argentei con delle croci rovesciate.

Dinnanzi a quella visione non potei far a meno di mordermi il labbro, era una visione così soave, forse era l'oscurità a renderla così bella.

Sì, la vidi, all'interno della mia fantasia, lei aveva oltrepassato la porta della mia sensibilità e se ne era vestita, entrando in quella dimensione che solo io potevo vedere. Quando le parole morivano e le luci si spegnevano, restava questo universo che mi cullava e rimetteva ordine nei miei pensieri così incredibilmente irrazionali. La sua visione era bellissima, come mai nessuna avevo visto. Lei si copriva di tenebra, veniva cullata dal pianto della luna che solo lei poteva udire e prenderne l'essenza senza rubarla. Lei se lo meritava, meritava di danzare fra le luci del crepuscolo fino a scomparire con l'arrivo della luce dagli occhi di chi non poteva vedere come una stella, poiché come le stelle, era sempiterna.

Quella visione mi inebriava, ma la mano ossuta di Dafne mi portò radicalmente alla realtà e mi guardò come per accusarmi che non la stavo seguendo, infatti era vero, ma se solo avesse saputo cosa in realtà stavo vedendo sono sicuro che mi avrebbe perdonato all'istante. Così con un mezzo sorriso da ebete stampato in faccia lessi quello che aveva scritto, tuttavia lo consideravo un po' esanime, freddo, e anche se era un testo veramente difficile da comprendere, sentivo che c'era dell'altro da metterci al suo interno.

«Secondo me non è completo, ma non credo che a quest'ora ci verranno delle illuminazioni...» dissi biascicando le parole.

Ricordo ancora con imbarazzo quella frase pronunciata con una dizione così oscena, la quale ancora oggi ha ben pochi rivali nel suo campo. Non seppi bene il come o il perché esse fuoriuscirono in quella maniera così confusa, cacofonica, forse quelle sono le prime parole prima di un'epifania. Un miracolo che si presta alla tua visione senza chiedere il permesso, quelle sono le parole che escono quando finalmente lo capisci.

Lei annuì mentre mi dava il foglio con la canzone e il suo quaderno, era logico che spettasse a me la parte introspettiva ed era anche giusto.

«Domani alla stessa ora?» le chiesi distrattamente e mi morsi la lingua poco dopo «Cioè… l'ora effettiva» risi per sdrammatizzare.

Lei sorrise un po' e mi accarezzò un'altra volta il viso, guardandomi intensamente negli occhi. Sembrava che volesse scavarmi dentro, quasi per andare a cogliere tutte le mie sfumature come se fossi un corpo iridescente, in realtà in quei frangenti sapevo essere relativamente criptico se volevo e non lasciavo trasparire niente che io non volessi dal mio sguardo.

Sospirò rumorosamente, dopodiché prese la sua roba e si incamminò verso l'uscita salutandomi con la mano, ma io la fermai e le proposi di riaccompagnarla a casa. Quella era sì, una città tranquilla, ma ai miei occhi lei era così fragile, volevo proteggerla in ogni modo ed anche passare un altro ritaglio di tempo con lei.

Mentre camminavo al suo fianco a passo lento non riuscivo a non guardarla, i suoi vestiti tracciavano le linee guida del suo corpo, ma in realtà bramavo di scoprire come esso realmente fosse, le sue guance erano scarni, evidenziavano gli zigomi, anche le sue mani lo erano, ma le sue gambe e il suo seno sembravano prosperosi quindi mi mandava decisamente in confusione. Sapevo che non dovevo vederla subito in quest'ottica, dovevo darmi un freno se non volevo vederla scivolarmi via dalle dita ancora prima di averla afferrata, ma non ero abituato a tutto quello. Quelle emozioni che mi avevano colpito durante e dopo al visione erano così tumultuose da togliermi il respiro.

Sentivo il cuore contorcersi e la gola chiudersi sotto quella morsa infernale, d'un tratto capii che sarebbe stato un fardello che avrei portato con me fino a quando mi sarei dichiarato a lei, ma come fare? Ero così dannatamente chiuso, mi sentivo in equilibrio fra inettitudine e razionalità, faticavo a capire cosa avrei dovuto fare una volta arrivato sotto casa sua. Mi sentivo in qualche modo minacciato dallo scambio di messaggi con Nathaniel, il bel delegato dai capelli biondi e gli occhi azzurri, sapevo bene che fosse ridicolo, ma non riuscivo a capire perché nascesse in me quella prorompente gelosia.

Ero terrorizzato dall'immediatezza dei miei sentimenti, ma mi sentivo anche avvilito da quel senso di profonda dolorosa repressione.

Arrivati sotto casa sua lei mi salutò con un gesto e restò per un po' a guardarmi con le sue stupende, iridi grige, sapevo bene cosa si aspettasse da me, ma io non potevo, non in quel momento, era troppo presto.

La salutai anch'io con la mano senza dire una parola, e me ne tornai verso casa nel dubbio atroce di aver sbagliato qualcosa, non mi voltai nemmeno per paura di vedere della delusione nel suo volto. Mi stavo comportando in una maniera così immatura e codarda che quasi mi facevo pena da solo, ma sapevo che non era naturale un sentimento del genere all'improvviso, l'amore non nasceva così di punto in bianco, oppure sì?



***
Spazio Autrice:


Ebbene sì, si può dire che finalmente sembra stia succedendo qualcosa. So bene che i ritrmi delle mie fic, soprattutto se sono corte come questa, prendono via d'improvviso dopo un capitolo o più di pura stasi, ne prendo la piena coscienza! Però sono un'inguaribile amante delle introduzioni, non posso farci nulla e sto attraversando il periodo dell'abominio dei dialoghi diciamo. 
Bene, se siete arrivati fino a questo capitolo vi ringrazio e ci tengo a dire che il prossimo, che sarà anche l'ultimo, sarà molto OOC, vogliate perdonarmi ^^"
Un saluto,
Ally!

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Dolce Flirt / Vai alla pagina dell'autore: Ally Dovahkiin