Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: adler_kudo    27/07/2016    1 recensioni
Soma tornato dal padre in India richiamato con urgenza, ma il sovrano si rifiuta di farlo tornare in Inghilterra. Disperato, il ragazzo scrive a Ciel per chiedergli aiuto così il giovane conte ed il suo servitore sono costretti a partire per le Indie Britanniche. Anche nel lontano continente, dove tradizione e religione si mescolano con superstizione ed occulto, i pericoli sono sempre in agguato.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Agni, Ciel Phantomhive, Principe Soma Asman Gadal, Sebastian Michaelis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[avviso: shonen-ai appena accennato]

Il battello a vapore procedeva tranquillamente sulle acque placide che ormai cominciavano a tingersi d'arancio; il sole rosso, alle spalle dell'imbarcazione, calava dolcemente sull'orizzonte avvolgendo tutto con il suo colore. La terra che circondava il corso d'acqua iniziava a farsi più stretta e paludosa, in dirittura d'arrivo a Calcutta che cominciava ad intravedersi da lontano man mano che il battello risaliva la foce.

Seduto alla prua della nave, comodamente poggiato su una candida sdraio, il piccolo conte osservava annoiato e irritato ciò che lo circondava. La chiara pelle era esaltata nel suo pallore dai pantaloni candidi con risvolti alla caviglia e dalla camicia dello stesso colore, coperta da una giacca a righe verticali blu e bianche; la benda medica che copriva l'occhio destro si andava ad infilare tra i capelli antracite decorati da una paglietta chiara con un nastro che richiamava il motivo della giacca. Ogni dettaglio di come appariva lasciava dedurre che fosse un ricco, puro ed innocente rampollo, però lo sguardo freddo e irritato che troneggiava sul suo volto lo tradiva: di innocente la sua espressione non aveva nulla. Non era incuriosito dall'imminente tramonto come gli altri passeggeri, non rideva eccitato come gli altri bambini; era rigidamente bloccato nella sua posa rilassata di facciata, muovendo, oltre all'occhio, talvolta anche i piedi, coperti da mocassini chiari, con cui scacciava delle eventuali e fastidiose zanzare. Dietro di lui, in piedi, statico, il fedele maggiordomo vestito di nero.

-Siamo arrivati, Sebastian?- domandò il giovane trattenendo uno sbadiglio.

-Sì, signorino. Ci siamo quasi.- 

Il maggiordomo appariva, se possibile, più rigido del solito. I suoi sensi erano all'erta: l'India era la terra della dea sterminatrice di demoni. Ciò che provava però, se i suoi potevano essere considerati poi dei sentimenti, non era paura, anzi, era proprio curioso di incontrare questa divinità, se mai fosse stata reale.

Dopo l'ennesimo colpo sulla pelle per scacciare un insetto, Ciel sbuffò -Ripetimi perché ho acconsentito a questa cosa.-

Sebastian si permise di ridere elegante per poi rispondere, anche se era ovvio che fosse una richiesta retorica.

-Perché il principe Soma ha espressamente richiesto il suo aiuto per fare ritorno in Inghilterra.-

-Ah, già.- commentò stancamente il bambino portandosi una mano alla tempia. 

Erano passati già otto giorni da quando erano partiti da Londra, senza fare alcuna sosta, per raggiungere l'Italia e da lì arrivare in Egitto; avevano poi percorso tutto lo stretto mar Rosso e parte dell'oceano per Mumbai, lì avrebbero dovuto prendere un treno per il Bengala occidentale, ma un'avaria aveva ritardato la partenza così erano stati costretti a prendere un battello a vapore che facesse circumnavigasse il subcontinente fino a Calcutta, capitale del raji di Bengala. 

Sette giorni prima, era arrivata alla magione Phantomhive una lettera recante un sigillo di sicuro non occidentale. Ciel non si era poi così stupito di riceverla; sapeva che il suo “amico” Soma e il suo maggiordomo Agni avevano dovuto andare in India perché il padre del principe necessitava di un aiuto, era già da un mese che mancavano, e si aspettava dunque che prima di fare ritorno a Londra i due glielo comunicassero, ma ciò che aveva trovato scritto nella lettera lo aveva lasciato perplesso. Soma gli chiedeva espressamente di andarlo a prendere e di convincere il padre a lasciarlo tornare a Londra; in pratica il suo stesso padre l'aveva segregato nel palazzo con il suo maggiordomo per evitare che scappasse di nuovo. La prima reazione di Ciel a quella notizia era stata l'indifferenza: aveva buttato la busta e il relativo contenuto nel cestino e non se ne era curato. Successivamente però, Sebastian, voce della coscienza a quanto pareva, aveva avuto l'accortezza di fargli notare come Soma non si fosse mai tirato indietro per aiutarlo e anzi, si fosse molto speso per lui; tutto l'accorato discorso sulla lealtà e sull'amicizia, che poco si addiceva ad uscire dalla bocca di un demone, non aveva potuto che far presa sul lato buono e nascosto di Ciel che quindi, di malavoglia, aveva ordinato al maggiordomo di preparare i bagagli. Per quanto il giovane non fosse convinto di andare fino in India, ciò che lo consolava era che il massimo che poteva capitare sarebbe stato che i suoi servi rimasti imprudentemente alla villa la distruggessero, ma in fondo aveva un demone a disposizione e non sarebbe stato un gran problema. In più, quel lungo viaggio gli aveva aperto gli occhi su civiltà e pensieri che non aveva mai considerato prima. Era la sua prima volta fuori dall'Europa e vedere la città indiana, con i suoi edifici così atipici per lui, farsi sempre più vicina gli pareva più un sogno che semplice realtà.

 

Quando scesero al porto, lo trovarono colorato di mille e mille e più sapori. L'aria odorava di spezie, dal curry al peperoncino, dal cumino allo zenzero, che si fondevano tra di loro dando vita a profumi piccanti e agrodolci. Milioni di persone brulicavano tra le sgargianti bancarelle di tutto e più, vestite con abiti colorati e leggeri veli. Ciel, per un attimo, si perse a contemplare quel nuovo territorio, catturato dalla curiosità di saperne di più; aveva letto parecchio sull'India, ma vedere dal vivo le cose era del tutto differente. Si sentiva tornato piccolo, senza esperienza, e moriva dalla voglia di farne, ma doveva controllarsi, in fondo era un nobile britannico, non un moccioso.

-Non si allontani troppo.- si sentì dire da poco distante da Sebastian. Non si era nemmeno reso conto di aver mosso dei passi da solo verso una bancarella di shari. 

-Non rimproverarmi come un bambino! Sono pur sempre il tuo padrone.- gli fece notare Ciel facendogli cenno di avvicinarsi, ancora rapito dalle stoffe dai colori cangianti esposte.

-Cosa c'è?- domandò il demone guardando prima la banca, poi il bambino e notando in lui un'espressione incuriosita -Quelli sono shari. Abiti tipicamente femminili. Come può vedere in molte qui lo indossano.- spiegò.

-Sì. Lo sapevo.- ovviamente Ciel non volle dargli soddisfazione. 

Mentre si destreggiavano per le intricate strade della grande Calcutta, il bambino continuava a guardare elettrizzato ogni cosa nuova che gli capitava sott'occhio e, celere, il suo maggiordomo gli dava la relativa spiegazione. Non che Sebastian ci fosse mai stato in India, aveva solo fatto delle ricerche prevedendo il comportamento del padroncino, che in fondo era pur sempre un bambino. E poi, il maggiordomo della famiglia Phantomhive doveva essere informato di ogni cosa potesse essere utile al suo padrone.

-Quelli cosa fanno?- chiese ad un tratto Ciel, rapito dal comportamento curioso di alcuni straccioni ai lati di un vicolo. Non si comportavano come gli altri poveri che aveva visto in Inghilterra, sempre ad importunare i passanti; erano semplicemente o fermi o intenti a raccogliere qualche scarto da terra, remissivi al massimo.

-Quelli sono i cosiddetti intoccabili, signorino. Sono gli ultimi nella gerarchia sociale, i fuori casta. Chiunque entri in contatto con loro è da considerarsi disonorato e impuro.-

-Intendi dire che nessuno può toccarli?-

-Già. Persino fare loro della carità è peccato.-

Ciel alzò un sopracciglio dubbioso. E c'era anche chi si lamentava degli inglesi lì... Almeno loro non vietavano il contatto con delle persone, per quanto anche in Inghilterra fosse disdicevole essere attorniato da mendicanti. In tutta la sua altezzosità si era sempre sentito superiore, si sentiva di non provare nemmeno compassione per gente come quella, di così basso rango, ma sapere che qualcuno non poteva nemmeno essere toccato gli dava una sensazione strana, anche se in fondo erano solo plebe.

-Domanda loro dov'è il Palazzo. E dagli qualche sterlina.- ordinò il bambino dando poi le spalle al maggiordomo che eseguiva. Sentì un vociare concitato dietro a sé e notò lo sguardo sconcertato di molti passanti indù. 

-Prego, signorino. Da questa parte. Dista molto poco a piedi, ma se è stanco posso portarla in braccio.- fece Sebastian, non dando peso agli insulti in lingua che varie persone gli stavano lanciando.

-Va bene a piedi. Sbrighiamoci, tra poco sarà buio. A proposito, che stanno urlando quelli là?- domandò Ciel indicando un gruppetto di paria molto acceso.

-Nulla di che.-

-Offese?-

-Desidera che li faccia tacere?-

-...No, lasciali. Sono solo dei plebei.-

 

L'ingresso del palazzo reale del Bengala era immenso; Buckingham Palace e la reggia di Versailles a confronto sembravano delle casette di campagna. Immensi giardini adornati da grandi peschiere erano ai lati dell'immenso viale in pietra chiara e liscia che conduceva alla mastodontica porta dorata ad arco arabo. Ai lati dell'entrata due guardie armate di scimitarra scrutavano i due strani visitatori inglesi.

Sebastian fu il primo a parlare presentandosi e comunicando loro il motivo del loro alquanto disdicevole arrivo senza preavviso. Dovettero attendere per un quarto d'ora buono, ma vennero accolti all'interno del palazzo da due ancelle e un servo che parlava inglese.

-Buonasera.- iniziò l'uomo con un accetto fortemente indiano -Che Shiva illumini il vostro cammino. Il raja vi attenderà per il banchetto di cena. Il principe Soma è stato informato del vostro arrivo e presenzierà. Per il momento il conte Phantomhive può avere riposo da quello che sarà certo stato un lungo viaggio nella sua stanza. Queste due schiave l'accudiranno a dovere. La cena sarà tra due ore.-

L'uomo li guidò attraverso un intricato labirinto di corridoio dai motivi tutti uguali e sfarzosi fino ad una camera grande quanto un salone da ballo di discrete dimensioni.

-Prego voi avere buon soggiorno.- si inchinò il servo.

-Namaste.- replicò Sebastian in tono cordiale poi rivolse la sua attenzione al bambino rapito dal nuovo e strano ambiente di tende, cuscini, ori, incensi e piscine termali.

Una delle due serve si avvicinò a lui reverente -Conte, siamo liete di essere ai suoi ordini. Prego.- e iniziò a levargli giacca e cappello, mentre l'altra versava nell'acqua calda poco distante degli oli essenziali.

-Ma cosa?! Sebastian! Che stanno facendo! No! Ferme!-

-Un trattamento termale per rilassarla.- spiegò il demone con un sorriso.

-Cosa?! No, no! Non voglio!- 

Quando la donna iniziò a levargli la camicia, subito Ciel si ritrasse e cadde a terra. Lo sguardo spaventato tradiva i suoi dolorosi ricordi.

-Dì loro di andar via!- ordinò il bambino.

Con un sospiro il maggiordomo chiamò a sé le due donne e con un discorso in perfetta lingua hindi le liquidò. Sembravano felici di andarsene, quasi sollevate, a differenza dello sguardo mesto che avevano quando erano entrate.

-Che hai detto?- chiese Ciel, ancora per terra a tenersi la camicia con entrambe le mani.

-Ho spiegato loro che non gradisce usare schiave al suo servizio e che me ne sarei occupato io. Ho dato loro la serata libera, promettendo di non dire nulla al loro padrone.-

-E ti hanno creduto solo per il tuo fascino?-

-No, perché ci sono talmente tanti schiavi qui che uno o due in meno non si notano.-

Ciel abbassò lo sguardo -Rivestimi.-

-No, ho detto loro che mi sarei occupato io di lei.-

-E quindi?-

Sebastian si avvicinò a lui e lo prese in braccio; automaticamente Ciel fece scivolare a terra la camicia.

-Quindi non si vergognerà di certo per questo.- rispose l'altro sfiorando con l'unghia nera il marchiò impresso a fuoco sulla schiena del bambino.

Ciel sussultò appena: non si era accorto che il demone si era sfilato i guanti. Quelle mani ora erano solo per lui.

 

-Perché ho dovuto vestirmi così?- sbuffò il giovane conte osservando il suo smanicato blu notte tempestato di lustrini ai bordi che gli lasciava scoperto il petto. 

-Perché è bene farsi vedere aperto nei confronti della cultura indiana se vuole fare colpo sul re del Bengala.- rispose Sebastian sistemandogli gli ultimi bracciali d'oro al polso del suo signore.

-E perché tu no? Non lo dire, lo so. “Perché sono solo un mero maggiordomo”, ho capito.-

Sebastian rise cristallino.

-Non dovrebbe andare male per lei, signorino. Questo abbigliamento può essere considerato maschile... Anche se lei, che è forse più abituato alle gonne, avrebbe preferito un shari.-

Lo sguardo glaciale di Ciel gli fece capire di aver forse osato un po' troppo, ma non poteva non fare riferimento alla pessima figura che aveva fatto quando, una volta aperto l'armadio della sue stanze, aveva indicato come scelta un shari rosso probabilmente reduce di un qualche matrimonio di una serva. 

-Non. Un'altra. Parola.- sibilò minaccioso il bambino puntandogli l'occhio azzurro contro.

-Sì, signore.- Sebastian reclinò il capo per nascondere un sorriso: adorava il modo in cui il suo padrone prendeva le provocazioni.

 

Ciel fece il suo ingresso nell'immenso salone da ballo incespicando sul freddo pavimento dalle piastrelle color arancio tramonto; i piedi nudi come li aveva pretesi quel demone al suo servizio si irrigidivano ad ogni passo, la sua delicata e candida pelle si rifiutava di abituarsi a tale tortura. Il dhuti avorio che gli copriva le gambe era decisamente scomodo per camminare e si sentiva nudo senza nulla a fasciarlo stretto sulle cosce. Il jubba che portava sul petto poi era più che altro un vezzo dato che non serviva a nulla e che moriva di freddo in ogni caso. La benda sull'occhio era stata sostituita da una sorta di centrino blu scuro lavorato con lapislazzuli che Ciel si era francamente domandato da dove il maggiordomo avesse fatto saltar fuori; infine sulla testa non poteva mancare, a detta di Sebastian, un singolare intreccio di fili d'oro che tenuti insieme da una singola piuma nera al centro. 

Camminava davanti a lui lo stesso servo che lo aveva accompagnato alle sue stanze, mentre dietro aveva il fedele demone che pareva quasi rapito dalla maestosità tutta orientale del salone. Venne condotto sul fondo, attraverso la sala danzante; qui, immerso in nuvole di tendaggi sottili e cuscini di raso dai colori sgargianti, stava il re del Bengala attorniato da uno stuolo di serve, usate per lo più come portaoggetti, e da alcuni uomini di varie età. Portava un grosso turbante arancione sulla testa adornato da  un diadema d'oro e piccole piume; il fisico, non più giovane, era evidentemente segnato da un abbondante consumo d'alcol ed era fasciato da un kurta-pijama bianco latte arricchito da dettagli in oro su cuciture e orli.

Ciel non fece in tempo nemmeno a decidere se presentarsi o farsi presentare e il modo che subito Soma gli corse incontro abbracciandolo commosso e facendogli fare delle rapide piroette. 

-Ciel! Ciel! Sei arrivato! Che gioia!- gridava il principe euforico.

-Soma! Mettimi giù!-

Solo grazie all'intervento di Agni e Sebastian, l'erede al trono si decise a lasciare il piccolo conte che stava assumendo man mano una colorazione bluastra.

Ciel sbuffò sistemandosi la giubba e fece per rivolgersi al sovrano, ma Soma, come al solito, si mise in mezzo. 

-Padre, il conte Ciel Phantomhive e il suo maggiordomo Sebastian Michealis. Sono venuti qui dall'Inghilterra per portarti i loro ossequi e con essi anche quelli di Sua Maestà, l'imperatrice Vittoria.-

Il principe aveva tentato di sembrare serio e convincente mentre faceva le presentazioni, ma il suo tono tradiva una nota di giubilo troppo alta per passare inosservata. In compenso l'uomo era parso subito attento dopo che il figlio aveva nominato l'imperatrice delle Indie.

-Il conte Ciel Phantomhive?- domandò il re in un inglese dall'accento indiano neanche troppo evidente, doveva essere uso a trattare con gli anglofoni.

-Sì, vostra maestà.- rispose Ciel con un breve cenno del capo. Era indeciso se inchinarsi del tutto come il servo accanto a lui aveva fatto umiliandosi o semplicemente restare in piedi rispettoso: optò per la seconda, lui era umile solo nei confronti di una persona al mondo.

-Si sieda con noi.-

-Certamente.-

Il conte prese posto accanto a Soma a gambe incrociate su un morbido cuscino rosso. Non si aspettava di entrare nelle grazie del re così facilmente... Forse Sebastian aveva visto giusto con la storia dell'adattarsi ai costumi locali.

-Conte Phantomhive, sono lieto della sua visita. Mi auguro che i suoi appartamenti siano di suo gusto. Purtroppo la grave mancanza di preavviso da parte di mio figlio ha fatto sì che non potessi riceverla subito, me ne addoloro.- il re rivolse un occhiataccia al principe che abbassò gli occhi imbarazzato.

-Non ne abbia a preoccuparsi, vostra maestà. Sono altrettanto lieto di fare la sua conoscenza.- Cortese, breve e rispettosa: risposta perfetta.

-Oh, spero che abbia trovato di suo gradimento la stanza termale che mi sono premurato di farle avere.-

-La ringrazio per tale riguardo, non lo merito. Sì, in effetti è stato molto... piacevole.- Ciel non poté fare a meno di buttare l'occhio schivo in direzione del maggiordomo che ascoltava poco distante Agni intento ad illustrargli le meraviglie artistiche del salone; tornò poi a focalizzare l'attenzione sul sovrano che aveva continuato a parlare.

-Ne sono lieto. Dunque, mio figlio da quando è tornato non fa che parlare dell'Inghilterra... Perdoni l'impudenza se vuole, ma non ci giungono notizie del genere da così distante tutti i giorni, la vostra regina come sta? Ho sentito della sua grave perdita e ne sono addolorato.-

Il bambino se lo era aspettato; sapeva esattamente dove il raja voleva andare a parare e con lui i suoi uomini lì attorno, in più non aveva affatto gradito il riferimento a Lei con il termine “vostra regina”, era anche la loro imperatrice e come tale dovevano trattarla. L'atmosfera che si era creata era di forte attesa, persino Soma non osava fiatare ed alzare lo sguardo da terra.

-Sua Maestà gode di ottima salute. Riferirò le sue condoglianze.-

A tale risposta il re parve illuminarsi così come i suoi consiglieri.

-Dunque lei è molto vicino a sua maestà?- domandò in modo quasi impudente il re.

Il volto di Ciel si scurì appena e sul suo viso comparve un ghigno malevolo: quanto era tentato di dargli la risposta vera e punirlo per la sua arroganza; avrebbe voluto togliersi quel fastidioso centrino dall'occhio e chiamare a sé il demone ora troppo lontano, ma c'erano troppi testimoni, non poteva rivelare al mondo intero l'esistenza della Nobiltà del Male. 

-Non molto, no.- mentì spudorato; talmente tanto che Soma si sentì, purtroppo, in dovere di correggerlo.

-Ma, Ciel! Se ti chiama “ragazzino”!-

Il giovane conte represse la voglia di strozzare il diciassettenne e riuscì a barcamenarsi discretamente in quella situazione disdicevole che si era venuta a creare.

-Ma certo! Ovvio che mi chiami così! Insomma, quanti conti si sono mai visti della mia età?- sorrise amabilmente incantando i suoi interlocutori.

-A proposito, appunto della sua giovane età mi incuriosivo.- fece il re -Se posso chiederne il motivo...-

-Oh...- Ciel assunse appositamente un espressione addolorata e raccontò in breve, cercando di non cedere a nessun sentimento veritiero -I miei genitori sono morti in un incendio.-

-Mi perdoni. Le mie più vive condoglianze.-

-È stato tempo fa.-

Ci fu un breve momento di silenzio imbarazzato rotto dai rumori provenienti dal resto della sala festante che pareva in un altro mondo. 

-E come mai dunque ha affrontato questo viaggio? Per mio figlio?-

-Devo essere sincero. Suo figlio è stato molto prezioso per me per i miei affari e ho... stretto una particolare amicizia con lui. Avrei estremo piacere che facesse ritorno con me in Inghilterra.-

-Uhm... è scappato di casa...-

-Lo so. È già stato rimproverato da me per tale mancanza di rispetto verso quello che credo sia un ottimo padre.-

Piuttosto furbo da parte di Ciel mettersi a tessere le lodi di quello che aveva tutta l'aria di essere un soggetto alquanto vanitoso; difatti il raja parve rifletterci su prima di parlare.

-Davvero le è utile per gli affari?- domandò piuttosto stranito. 

Prevedibile, nessuno si sarebbe mai aspettato che quel disastro iperattivo di Soma potesse essere buono a qualcosa, ma dopotutto il conte era stato molto attento a fare il vago.

-Non immagina neanche quanto.- rispose convinto.

-Molto bene.- esclamò dunque il sovrano -Forse l'ho sottovalutato, ma buon sangue non mente dopotutto. Sono felice che si renda utile da qualche parte e che porti alto il nome del Bengala in Inghilterra. Se solo si fosse speso un po' di più nel darmi i dettagli della sua vita nella capitale non avrei mai e poi mai osato tenerlo presso di me. Vi sareste risparmiato un viaggio inutile in un luogo così distante.-

Ovvio che Soma non aveva detto una parola sulla vita di bambagia che conduceva a Londra, Sebastian in persona gliel'aveva proibito prima che partisse. Da buon diavolo qual era aveva previsto una reazione del genere da parte dei familiari e, Ciel odiava ammetterlo, ci aveva visto giusto come al solito.

-Oh, non tema!- lo rassicurò il giovane accompagnando l'esclamazione con un gran sorriso -Sono lieto di aver avuto un ottimo pretesto per una vacanza. Trovo questa terra estremamente ricca di stimoli.-

Il raja sorrise a sua volta -Eccellente! Ora basta conversare, godiamoci la festa! Soma sarà lieto di prendersi cura del nostro ospite.-

Bastò uno sguardo tra padre e figlio che subito il principe si alzò e trascinò via Ciel che ancora stava ringraziando il re.

-Soma! Fermati! Mi fai male al braccio!- si lamentò il bambino, ma l'altro non accennò a lasciare la presa fino a che non giunse in prossimità di Agni.

-Principe Soma! Padron Ciel!- esclamò il khansama.

-Allora com'è andata?- domandò invece Sebastian alla cui comparsa seguì il conseguente eclissarsi dietro Agni del principe.

-Perfettamente come al solito. Domani partiremo per Londra. Sono già stato via da casa troppo a lungo e gli affari ne risentiranno.- rispose Ciel in tono di superiorità. Magari Soma avrebbe pure gradito fargli fare una visita della sua terra natale, ma con quello sguardo cupo e quelle parole plumbee nessuno si sarebbe mai sognato di fargli una qualunque proposta.

-Sebastian, va a prendermi una giacca. Ho freddo.- ordinò più perentorio del solito.

-Gradisce nel frattempo la mia?- domandò il maggiordomo con cortesia.

Ciel ci pensò su e poi si guardò attorno sbottando arrogante -Non metto i vestiti di un servo... In pubblico.-

-Va bene, torno subito.- 

Mentre il maggiordomo si avviava alle sue stanze, il ragazzino non poté fare a meno di mordersi la lingua arrossendo appena: perché diamine aveva dovuto aggiungere “in pubblico”?

 

***

 

Correva, correva a perdifiato lungo il corridoio lustro. Non doveva raggiungerlo, non doveva assolutamente trovarlo. Era già un impresa districarsi tra i labirintici corridoi del palazzo, ma doveva raggiungere il luogo sicuro in cui era certo ci fosse la sua salvezza. I piedi nudi che cozzavano contro il pavimento freddo non lo aiutavano certo a scappare più velocemente e nemmeno quella sorta di pantalone largo che gli impediva falcate più ampie. Non era mai stato un grande cultore del corpo, odiava praticare sport, ma proprio in quel momento rimpiangeva di non essersi impegnato di più nell'attività fisica per quel breve tempo al college. Aveva quasi perso la speranza di riuscire a trovare il posto giusto, mentre dei passi si facevano più vicini e il suo fiato sempre più corto, quando la vide, la porta dorata che lo separava dalla salvezza. Raccogliendo le ultime forze scattò fulmineo in avanti, con una forza e rapidità pure a lui sconosciute, tirò la pesante maniglia e si fiondò dentro il piccolo spiraglio che era riuscito ad aprire; una volta all'interno con un doloroso colpo di calcagno la richiuse dietro a sé e riprese la corsa verso la nera figura intenta a riporre con la mano destra una scatola su un ripiano. Sfortunatamente la stanchezza per lo sforzo fisico iniziò a farsi sentire e, affannato, a soli pochi centimetri dalla meta, incespicò sui suoi stessi piedi ormai stremati e prese il volo. La mano sinistra della figura davanti a lui penzolava abbandonata sul fianco e fu quella a cui Ciel tentò di aggrapparsi con tutte le sue forze nel tentativo di frenare la sua caduta. Purtroppo la grande velocità che aveva preso non gli permise di afferrarla saldamente e la sua piccola mano scivolò portandosi dietro solo il candido guanto del maggiordomo. Un attimo dopo, il piccolo conte era al suolo, trascinato alcuni metri più avanti per inerzia, con il viso sprofondato tra i cuscini che dovevano fungergli da letto per la notte, il guanto bianco ancora stretto tra le mani.

-Ahia.- esalò esausto affondando il volto nella stoffa profumata d'incenso.

-Signorino?- domandò stranito Sebastian ancora immobile, gelato dallo stupore nella stessa posizione in cui Ciel l'aveva trovato.

-Muoviti, idiota!- sbottò il bambino irritato dalla caduta anche di stile.

-Che le è successo?- chiese il demone andando a rimetterlo in piedi. 

-Scappavo. Da Soma. Appena te ne sei andato ha cominciato a chiedermi di fare questo o quello... Com'è appiccicoso quel moccioso!-

Deliberatamente Sebastian evitò di commentare l'uso improprio dell'ultima parola del suo padrone e invece asserì -Certo. Come al solito.-

Ciel sospirò -Sono stanco, Sebastian. Voglio andare a dormire.-

-Certamente.- 

Il maggiordomo gli si inginocchiò accanto e carezzò lieve la sua pelle di porcellana, coperta da una lieve patina di sudore dovuto alla corsa. Percorrendo l'intero petto con la mano arrivò alle spalle da dove fece scivolare giù il piccolo gilet blu che ricadde sulle braccia del padrone. Alzò gli occhi per un attimo, giusto per godersi lo sguardo basso e glaciale del giovane e la sua bocca un poco aperta. Con la mano sinistra, ancora priva di guanto, prese a far scendere lungo le braccia la veste, con lentezza e cura, in una appena percepibile carezza sotto la quale Ciel non poteva fare a meno di rabbrividire con piacere. 

D'un tratto, la porta si spalancò e nella stanza fece capolino la testa sconcertata di un servo. I due non fecero in tempo a dire nulla perché questo prese a scusarsi per la sua irruenza e si chiuse la porta alle spalle scappando via. Immediatamente dopo, Ciel si voltò verso il maggiordomo impallidendo: oltre che la posa non proprio inequivocabile, il contratto faustiano e le unghie nere erano in splendida vista sulla mano del demone ancora posata sul suo braccio.

-Sebast...- balbettò, ma l'altro lo bloccò posandogli un dito sulla bocca.

-Non occorre temere nulla, mio signore. In India è piuttosto comune avere simboli sulle mani. Avrà pensato fosse fatto con l'henné.-

Lo sguardo alquanto scettico di Ciel fu seguito da un ordine perentorio.

-Basta giocare ora. Sii più attento. Vestimi e ritirati pure in camera tua.- 

In pochi istanti il bambino fu pronto e sotto le strane coperte orientali. Mentre osservava la figura del maggiordomo allontanarsi e scomparire dietro la porta che metteva in comunicazione le due stanze, non riuscì ad evitare il pensiero alla scena di poco prima: che razza di figura ci aveva fatto!

Sprofondò la faccia nel cuscino rosso di raso e respirò a fondo per calmarsi; i rumori dall'esterno non venivano affatto attutiti dato che mancavano i vetri alle finestre coperte solo da sottili grate, l'aria scivolava fredda nell'ambiente e produceva suoni non proprio rassicuranti.

“È solo il vento” pensò con noncuranza. Lui, il nobile conte Phantomhive, non poteva davvero avere paura di un po' di vento; eppure più volte prima di trovare pace nel sonno fu tentato di strillare il nome del suo maggiordomo.

 

Erano passate neanche due ore da quando Sebastian aveva lasciato il suo padrone tra le leggere lenzuola colorate e profumate di oli essenziali. Nella stanza accanto il demone si era sistemato comodamente nel letto, più per vezzo che per necessità, e non avendo bisogno di dormire aveva iniziato la calma lettura di un libro piuttosto interessante che si era portato dietro dall'Inghilterra. Aveva percepito però un senso di inquietudine nel bambino cui era legato e così aveva deciso di andarne a verificare lo stato di sonno. Quale stupore ebbe quando vide il grande letto vuoto e una delle grate alle finestre rotta. 

-Oh, cielo.- commentò studiando la situazione -Di nuovo rapito. Non si smentisce mai. Mi chiedo se gli piaccia fare la parte della principessa...-

Era semplice da ritrovare. Quegli idioti dei sequestratori avevano lasciato la loro firma inconfondibile: il simbolo della dea Kalì sul muro. 

Gli occhi di Sebastian brillarono di rosso non appena lo vide.

-Interessante.- mormorò mentre la sua natura demoniaca premeva per uscire in modo sempre più forte.

 

La testa gli doleva molto; il colpo che aveva ricevuto alla nuca non era stato certo dei più delicati. Non appena aprì gli occhi si rese subito conto dell'assenza della benda, ma non ebbe tempo di preoccuparsi per quella: quattro paia di occhi lo scrutavano dal buio. La prima cosa che riuscì a mettere a fuoco fu la sorta di triangolo dalla punta rovesciata, inscritto in un cerchio a sua volta posto in un quadrato, al cui centro era incatenato. Aveva abbastanza familiarità con i sacrifici umani per capire che la buia e piccola stanza piena di fumi d'incenso dove lui e i suoi rapitori si trovavano era per quelli. Di fronte a lui troneggiava un'immensa statua di Kalì la cui testa era sporcata di un qualcosa decisamente simile al sangue. Involontariamente rabbrividì: uno spiffero d'aria gli raggelava la spina dorsale.  

Si guardò attorno, senza timore. Quelli che lo avevano rapito dovevano appartenere alle Tughs, sette di assassini fanatici della dea che volevano epurare il mondo dalle divinità maligne; guarda caso era sempre molto fortunato nel trovare estremisti religiosi legati al demonio. 

Non era molto esperto, ma sapeva che l'India era estremamente legata alle tradizioni e alle superstizioni, non gli ci volle molto per capire che il responsabile fosse il servo di poco tempo prima. Ovviamente il simbolo faustiano sulla mano di Sjebastian non poteva passare inosservato a un occhio allenato a ricercare manifestazioni demoniache e un -odiava ammetterlo- bambino nobile e inglese come lui era un sacrificio alquanto allettante. Il maggiordomo aveva sottovaluto la cosa: che caduta di stile per lui. Per un brevissimo istante Ciel esibì un sorrisetto compiaciuto per primo errore di Sebastian; glielo avrebbe rinfacciato immediatamente non appena lo fosse venuto a prendere, perché ovviamente sarebbe venuto. Questo suo tripudio si interruppe bruscamente non appena i quattro nell'ombra iniziarono a cantare una litania in hindi; nulla di anormale, se non fosse stato per il fumo che lentamente iniziava a prendere vita di fronte a lui. La nebbia in poco tempo aveva assunto sembianze mostruosamente umane: otto braccia di effluvio d'incenso si erano appena materializzate prendendo un colore azzurro carta da zucchero, le mani, anch'esse del medesimo colore, reggevano un vasto repertorio di dorate armi bianche, tranne una che teneva ancora la testa sanguinolenta del demone che aveva sconfitto centinaia di anni fa; il resto del corpo era ricoperto da un'armatura d'oro e lapislazzuli e l'espressione irata del viso era distorta in una smorfia con la rossa lingua di fuori.

Ciel faticò a deglutire nell'istante in cui se la trovò di fronte: non era bella, i capelli disordinati nella testa incoronata d'oro la facevano apparire ancora più inquietante, ma di sicuro la potenza che irradiava era enorme.

Un solo cenno di una delle mani e i quattro uomini che ancora cantilenavano come ignari della sua apparizione caddero al suolo privi di vita. Al bambino sfuggì un gemito di orrore quando la dea mosse un passo verso di lui, e un altro, e un altro ancora; si chinò sul suo volto rivelando le venature rosso sangue della sclera e con il falcetto d'oro che teneva in una delle mani gli graffiò la guancia facendogli colare un piccolo rivolo di sangue.

Ciel era immobile, ipnotizzato dalle iridi magnetiche della divina figura; era in sua totale balia, nemmeno il sangue caldo di cui percepiva il ferroso sapore all'angolo della bocca ebbe il potere di ridestarlo. Si stava per assopire di fronte a quegli occhi mentre intanto la dea alzava la sua spada pronta a inferirgli il colpo mortale.

-Ti libererò io dal male che avvolge il tuo giovane corpo. Ti donerò una reincarnazione più dignitosa, nobile piccolo bambino. Meriti di più che essere schiavo di un demonio.- parlò Kalì; la sua voce era melodiosa, ma orribilmente distorta in un suono metallico cupo.

-Io... Io...- balbettò Ciel confuso. Un unico pensiero si formulò nella sua mente; un nome: Sebastian.

Un ombra nera passò in un lampo e improvvisamente la stanza buia e lo sguardo della dea si fecero solo un ricordo, il giovane si trovò libero da ogni catena. L'aria era di nuovo pulita e fresca, la luna splendeva alta nel cielo e si specchiava sul Brahmaputra, il grande ramo del Gange di Calcutta. Tutto all'esterno era estremamente tranquillo; il manifestarsi della dea Kalì non pareva aver modificato nulla. Sentì attorno al suo corpo una salda e famigliare presa e non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: Sebastian era arrivato. Ma c'era qualcosa di diverso in lui; la sua presa era più rude del solito. Ciel sollevò gli occhi verso il suo viso e lo trovò cupo, gli occhi rossi risaltavano paurosamente sulla candida carnagione del demone.

Il maggiordomo lo posò senza troppi complimenti su una roccia polverosa della riva del Gange. -Stia fermo qui, signorino.- disse senza degnarlo di uno sguardo. I suoi occhi demoniaci erano come catturati da quelli magnetici della dea; i due si fissavano, si studiavano, non si distingueva preda da predatore. Sebastian rivolse le spalle al padrone e avanzò di qualche passo verso Kalì che ora era immobile al centro del fiume, sfiorava l'acqua sacra con i piedi e stava sospesa nell'aria. 

Ciel osservò senza fiato le due creature sovrannaturali scrutarsi; in un istante, senza che Sebastian muovesse un dito, le ombre circostanti si radunarono velocemente attorno a lui, vorticando come un fuoco nero e distruttore. Le fiamme nere avvolgevano l'intera figura del demone che aveva ora perso ogni inibizione verso la sua vera forma, nonostante ci fosse il padrone; l'estetica in quel momento era l'ultimo dei suoi pensieri.

Il bambino avvertì una scossa elettrica nell'aria: lo scontro stava per avvenire. E lui doveva impedirlo. Aveva totale e cieca fiducia nel suo maggiordomo, ma la dea era riuscita con la sua sola presenza a fargli perdere la razionalità e persino a fargli rinunciare alla sua preziosa estetica; per battersi con lei, lo aveva deliberatamente ignorato. La potenza della divinità del caos e della distruzione era immensa se aveva avuto un effetto del genere sul suo demone; non sarebbe stato in grado di vincere. Per un attimo Ciel faticò a respirare: le ombre nere che avvolgevano Sebastian, il pensiero che tutto sarebbe potuto finire, il pensiero di rimanere di nuovo solo, di non essere più con lui... Non poteva accettarlo.

Un istante prima che il demone si lanciasse contro la dea, Ciel si gettò nella coltre di ombre e afferrò la prima cosa vagamente umana che riuscì a toccare: le gambe ormai quasi inconsistenti.

-Fermati! È un ordine!- gridò. L'eroismo del gesto era perso nel tono di disperazione con cui involontariamente aveva parlato.

Subito, il vortice nero cessò e la figura trasfigurata di Sebastian riprese le solite sembianze. Solo quando Ciel sentì tra le dita il liscio tessuto dei pantaloni del maggiordomo osò alzare gli occhi, timoroso, per incontrare gli occhi di nuovo mogano dell'altro. Non appena gli sguardi si incrociarono, l'espressione stupita del demone si tramutò in una quasi colpevole. Si chinò su di lui e lo avvolse nella stretta della sua braccia sussurrandogli -Mi perdoni.- 

Non c'era un vero rammarico nelle sue parole, forse solo stupore per la perdita di controllo. 

Lo raccolse in braccio e diede le spalle alla dea ancora immobile. Ciel sbirciò da dietro la spalla del maggiordomo l'espressione ora senza emozioni di Kalì, non pareva avesse intenzione di attaccarli. Stava per rivolgersi di nuovo a Sebastian quando quella parlò in tono enigmatico.

-Il legame non si può dissolvere solo con la fine. Non accadrà.-

Ciel fu piuttosto stupito di sentire il maggiordomo irrigidirsi, ma non fece in tempo a chiedere cosa intendesse la dea perché in un attimo sparì nel nulla.

Sulle sponde ora quasi ambrate del Gange, il sole stava per fare la sua comparsa ad est; nessuno avrebbe mai saputo di ciò che era successo quella notte. Nulla restava a testimoniarlo eccetto i quattro cadaveri della casa. 

Il giovane conte si strinse di più a Sebastian che ora pareva di nuovo padrone di se stesso.

-Cosa voleva dire?- domandò con voce bassa.

-Nulla.- fu la risposta riluttante dell'altro. 

Ciel lo fissò dubbioso negli occhi, aveva capito qualcosa che non voleva dirgli; stava per ordinargli di parlare, ma il maggiordomo lo guardò con un mezzo sorriso e rafforzò la presa su di lui in modo rassicurante. Ci sarebbe stato tempo di discuterne con calma... A casa magari.

Il bambino appoggiò la testa al suo petto, esausto.

-Torniamo a casa, Sebastian.- mormorò.

Il demone sorrise forse dolcemente e rispose -Sì, mio signore.-


Angolo Autrice:
Buonasera/giorno. Mi annoiavo così ho deciso di riguardare questa vecchia storia e, perché no, di condividerla con qualcuno.
Spero vi sia piaciuta. Ho adorato informarmi sulla cultura indiana, soprattutto sugli abiti... sono incantevoli!
Grazie per la lettura!
A presto.
-AK

  
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