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Autore: Cara Jaime    28/07/2016    0 recensioni
Lui è un ladro di grande talento che svanisce come l'aria, lei è una spia altrettanto efficace, una cacciatrice nata, nome in codice Red Hood. Sono mesi che è sulle sue tracce senza però riuscire a catturarlo. Il Lupo ha l'abitudine di volatilizzarsi dai luoghi del delitto senza lasciare alcuna traccia. Ma lei è la spia migliore della G.R.A.N.M.A., un'agenzia che protegge progetti segreti per la Sicurezza Nazionale. Non può permettersi di sbagliare. Proprio per questo le viene affiancato un collaboratore esterno, che la giovane donna accetta con riluttanza. Ma è l'incontro fatidico faccia a faccia tra il Lupo e Red che segnerà la svolta della loro storia.
Una storia di spionaggio e azione di facile lettura.
Genere: Azione, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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 L'uomo procedeva verso il metal detector dell'aeroporto. Era appena sceso dal volo proveniente da Parigi. Indossava un paio di pantaloni multitasche marrone chiaro e un bomber nero. Un occhio particolarmente attento o esperto avrebbe notato subito la fattura dei suoi abiti di marca. I piedi calzati da anfibi neri misuravano a grandi passi la distanza che separava il loro proprietario dalla destinazione. Il borsone lasciò il fianco dello straniero e venne posato sul rullo. Quindi il passeggero passò il metal detector e recuperò il bagaglio. Mentre camminava, una mano raggiunse la tasca destra dei pantaloni e vi si immerse, portando alla luce un biglietto. Il viaggiatore lanciò un'occhiata intensa alla carta bianca spiegazzata quindi la rimise a posto. Alzò la testa e uscì nell'aria fredda e secca del tramonto attraverso le porte scorrevoli. Una sferzata di vento gelido gli graffiò dolorosamente il viso, ma egli non fece una piega. Puntò il primo taxi libero fuori dall'entrata. Sulla fiancata gialla troneggiava a caratteri cubitali la sigla del M.A.T, il servizio di trasporto taxi dell'aerodromo. Al cenno dell'autista, aprì la portiera e si accomodò sul sedile destro del passeggero.

“Dove la porto, signore?” domandò il guidatore con tono neutrale fissandolo attraverso lo specchietto retrovisore. Lo straniero notò il suo poco entusiasmo e immaginò non facesse quel lavoro perché gli piaceva. Gli diede l'indirizzo di un albergo in centro, quindi rimase silenzioso per il resto del viaggio, lo sguardo concentrato fuori dal finestrino. All'arrivo, il tassista avvertì il viaggiatore e snocciolò la propria tariffa. La mano grande e curata del cliente gli allungò una banconota da venti dollari e gli disse con accento francese di tenere il resto. L'autista ficcò il denaro nel taschino sinistro della giacca senza maniche blu scuro.

Il francese smontò e andò dritto verso l'entrata dell'hotel, sopra la quale lampeggiava un'insegna olografica recitante l'intestazione della locanda. Tirando l'orecchio udì il veicolo giallo riprendere la sua corsa. Il Crowne Plaza era un servizio a cinque stelle sito sul Riverfront, il quartiere lungo il fiume Detroit. Grazie alle abilità imprenditoriali del nuovo gestore, un tale Karl T. Bomberger, l'attività era risorta a nuova gloria dopo un periodo piuttosto oscuro causato dalla crisi. Ora era uno degli hotel più quotati della zona, dotato di tutti i comfort e ad alta tecnologia.

Lo straniero si guardò attorno nell'enorme salone illuminato d'oro da luci soffuse magistralmente nascoste. Esse proiettavano i fasci luminosi sulle pareti dal basso verso l'alto, creando ventagli impalpabili. L'uomo si diresse all'interminabile bancone della reception sulla sinistra. Di fronte a esso, presso due zone dotate di divanetti e tavolino, chiacchieravano rumorosamente due gruppi di persone. Egli le ignorò e si rivolse al receptionist. L'impiegato, alto e dai lineamenti affilati e scavati, indossava la divisa dell'albergo, una giacca blu scuro a maniche lunghe. Le spalle erano cinte da fasce rosse e sul davanti splendevano bottoni lavorati in oro, sui quali spiccava il logo. Sul capo portava un cappello con visiera, simile a quello di uno chauffeur e sul taschino sinistro aveva appuntata la targhetta d'oro con il nome, Andrew. La funzione di chiamata automatica eseguita da un sensore installato sopra al banco faceva il suo lavoro. Bastava avvicinarsi a sufficienza da entrare nel suo raggio d'azione e lo strumento emetteva un avviso sonoro nell'auricolare di cui era dotato il personale. Ed ecco che un assistente della reception accorreva.

“Buongiorno e benvenuto al Crowne Plaza. Ha una prenotazione?” esordì questi. Questa era la particolarità dell'albergo. Per accedere alla struttura e ottenere una camera era obbligatorio e necessario prenotare in anticipo. Per nessun motivo avrebbero concesso una stanza all'ultimo minuto. Il francese l'aveva imparato a sue spese pochi mesi prima. Aveva dovuto rimandare il viaggio a Detroit, poiché l'hotel non aveva accettato la sua prenotazione con tre giorni di anticipo. Quindi aveva prenotato per la settimana successiva. L'ospite fornì le proprie credenziali e reclamò la camera prenotata.

“Certamente signore.” L'addetto si chinò e batte velocemente una lunga serie di tasti sulla superficie olografica rettangolare di fronte a sé. Alzo lo sguardo sul terminale, quindi voltò la testa verso una piccola apparecchiatura. Da una fessura orizzontale fuoriuscì una tessera. Andrew la porse al cliente e gli augurò un buon soggiorno presso la loro struttura.

Finalmente libero, lo straniero si diresse verso l'ascensore e raggiunse la propria stanza. Stanco del viaggio, attraversò l'atrio della suite arredato in stile Liberty e andò nella stanza da letto. Lasciò il borsone ai piedi del letto a baldacchino e si spogliò, rivelando un fisico statuario degno di una scultura greca. I muscoli ben definiti guizzavano ad ogni movimento. Rapido e deciso, il francese andò velocemente a farsi una doccia, ma non prima di aver controllato l'ora sull'orologio da polso, che ripose sul letto.

Il dojo era particolarmente silenzioso a quell'ora. Una giovane donna dai capelli rossi stava sulla pedana d'allenamento, costituita da un ampio tappeto imbottito. Il piede sinistro avanti, il peso distribuito equamente su entrambi i piedi, teneva le mani sollevate di fronte a sé, una all'altezza del viso, l'altra più in basso. I gomiti aderenti al busto, girava su se stessa, fissando l'avversario. Si trattava di Douglas Moon, collega di lavoro e operativo presso la G.R.A.N.M.A. L'uomo possedeva un fisico da pugile e saltellava attorno alla donna formosa. La sala era priva di decorazioni, sebbene imitasse alla perfezione un vero e proprio dojo orientale. Le pareti erano costituite da pannelli ed erano predisposte secondo la tradizione. La parete più importante, quella più lontana dall'ingresso, ospitava l'altare e il ritratto del fondatore, Ning Lu. Egli era stato campione mondiale di Wing-Tsun per tre anni di seguito. Si era ritirato imbattuto quando l'Agenzia lo assunse a tempo pieno per addestrare i propri operativi.

“Avanti!” Douglas incitò nervosamente la collega, i pugni fasciati alzati in posizione di guardia e la pelle abbronzata ricoperta da una patina lucida di sudore. Si allenavano da ore. In assenza di un caso da seguire, Red diventata nervosa e inquieta. Così chiamava Doug per allenarsi. Fortunatamente, lui godeva di una salute ineccepibile e una strenua resistenza, non soltanto a letto. La rossa attendeva pazientemente il momento in cui il collega avrebbe attaccato. Conosceva il proprio avversario. Non era abituato ad attendere. Infatti, poco dopo si fece avanti, partendo con un diritto verso il viso di Red. Quest'ultima lo anticipò. Si scostò di lato non appena vide la sua spalla caricare il colpo e si portò alle sue spalle. Rapida, gli afferrò la testa, affondando le dita sugli occhi. Douglas si divincolò con un grugnito, ma lei avvicinò i gomiti uniti alla sua schiena, mentre con un ginocchio costringeva quello dell'uomo a piegarsi. Quindi arretrò, accompagnando la massa di muscoli del suo collega a sdraiarsi sul pavimento. Non era finita. Gli si accostò e balzò agilmente su di lui, bloccandolo a terra. Le ginocchia premute contro le spalle larghe e tornite dell'uomo, gli sorrise trionfante. Il collega si inarcò, un lampo di furbizia negli occhi. La rossa capì che stava per stringerle il collo in una morsa con le gambe potenti, quindi gli premette li polpastrelli dei pollici sugli occhi.

“Cazzo!”Lui abbassò istintivamente le palpebre, ma desistette dal reagire. “Okay, okay,” ansimò esausto, sorridendo. Alzò le braccia in segno di resa“Mi arrendo.”

“Ottima idea,” approvò la rossa e si rimise in piedi. Lo scavalcò quindi gli tese una mano per aiutarlo ad alzarsi. Non che ne avesse bisogno. Era un gesto di tregua convenuto tra di loro. C'erano sessioni di allenamento in cui se le suonavano di santa ragione, quando erano in vena. “Sei un po' fiacco,” osservò pungente e attraversò la sala, diretta alle docce. “Sì, sì,” borbottò lui agitando una mano e la seguì ciondolando. La collega, dal suo canto, sembrava rilassata e sciolta, come se avesse appena fatto una corsetta nel parco.

“Sfotti pure, bellezza. Tanto prima o poi ti batto.” Red gli rivolse un sorriso sornione.

“Sogna pure.” In quel momento stava passando attraverso la soglia che conduceva allo spogliatoio. In una frazione di secondo si ritrovò schiacciata contro gli armadietti allineati dalla parte opposta all'entrata. Ammortizzò il colpo con i palmi delle mani e sorrise con la faccia schiacciata contro lo sportello di metallo. Era abituata a colpi ben peggiori. A volte Doug sapeva essere rapido come un cobra. Ciò gli era valso il soprannome che ancora portava con orgoglio. Egli mormorò all'orecchio di Red, alitandole aria calda sul collo.

“Scommetto che se ti metto orizzontale, fai meno storie. Che ne dici?” Era vero. La rossa era succube del fascino rude di quell'uomo e non si disturbava nemmeno a nasconderlo. I rapporti sessuali tra colleghi non erano vietati, solo le storie d'amore. I sentimenti erano un ostacolo nel loro lavoro, mentre sfogare la libido con un operativo era preferibile al rimorchiare una persona qualunque che si sarebbe potuta rivelare un infiltrato di qualche tipo. La donna sentiva l'erezione sveglia del collega premerle tra le natiche ed espirò un gemito. Non poteva rimanere indifferente, ma doveva richiamarlo all'ordine. Se fare sesso era incoraggiato dalla politica dell'Agenzia, non lo era farlo in un luogo pubblico.

“Dico che se ci beccano, siamo nella merda,” ribatté enfatizzando le ultime due parole. Douglas ringhiò frustrato e la lasciò andare, al che lei si voltò con un sorriso sghembo sulle labbra carnose. Anche lei aveva sudato parecchio. Infatti esibiva una fronte alta lucida. Alcune ciocche di capelli erano sfuggite all'elastico e ora erano appiccicate ai lati del viso. “Ma se mi raggiungi a casa mia, stasera... non te ne pentirai.” Gli occhi verde smeraldo sfoggiarono uno sguardo ardente capace di polverizzare qualunque essere umano dotato di testosterone. L'uomo sorrise apertamente e il suo compiacimento maschile divenne palpabile in tutta la stanza.

“Ci puoi scommettere, bellezza, ribatte fissandola con i pugni sui fianchi. Osservò la donna donna volgersi e lasciare lo spogliatoio. Red raggiunse le docce femminili. Si trovavano in una stanza adiacente alla parete nord del camerino sportivo. Erano separate da quelle maschili. In alcuni settori, l'Agenzia manteneva un approccio tradizionale alle politiche sociali della struttura. Lasciò scorrere l'acqua sulla pelle calda il tempo sufficiente a sentirsi rigenerata mentre si massaggiava con cura per togliere il sudore, quindi tornò al proprio armadietto. Dal silenzio che vi regnava concluse che Douglas aveva già finito. Si asciugò e indossò la divisa interna. una tuta completamente nera in tessuto hi-tech lavabile a secco. La maglia era dotata di un busto in materiale antiproiettile, le articolazioni protette da cuscinetti in silicone. Calzò stivali dalla suola ergonomica in gomma e infilò un coltello a scatto nella tasca interna apposita, sita sul lato esterno del polpaccio destro. Indossò la fondina ascellare nella quale serbava la nove millimetri d'ordinanza e allacciò la chiusura a scatto sotto al seno. Uscendo dal dojo, richiuse la porta scorrevole a pannelli e attraversò il corridoio bianco costellato di porte. Perlopiù davano su sgabuzzini o stanzini adibiti alla manutenzione delle armi ordinarie. Cosciente delle quattro telecamere, attive ventiquattro ore su ventiquattro, una in ogni angolo dell'alto soffitto, si recò all'ascensore. Ormai aveva fatto l'abitudine alla sensazione fastidiosa di essere sorvegliata ogni minuto della propria vita. Dopo un determinato periodo di tempo, ci facevi il callo, non ti importava più. Tanto meno se non avevi qualcosa da nascondere. L'elevatore si annunciò con un suono argentino e spalancò silenziosamente le sue porte. La donna vi entrò e selezionò il pulsante corrispondente al piano nel quale si trovava l'ufficio della Nonna, ovvero l'ultimo. Era in anticipo per l'assegnazione degli incarichi, ma detestava stare con le mani in mano.

Arrivò presto all'ufficio della direttrice e bussò. Quando una voce femminile roca disse “Avanti” entrò. Il posto era arredato in stile minimale, nelle tinte del bianco e del nero. Rappresentavano il principio dello yin e yang su cui si basava l'esistenza dell'Agenzia, ovvero il mantenimento dell'equilibrio tra le forze distruttive e quelle costruttive della società. Il tavolo del capo era in formica. I blocchi di marmo del pavimento si alternavano in un chiaro scuro dallo strano effetto ottico. Le poltrone girevoli, una di fronte alla scrivania e una dietro, erano in vera pelle. Il grande capo si trattava bene, ma lo stesso tenore era riservato ai dipendenti. La donna si inoltrò a passo marziale e vide la direttrice alzare gli occhi di ghiaccio nella propria direzione. Reggeva una penna stilografica in mano e davanti a lei giaceva un foglio stampato. Red non ne scorse il contenuto, ma sapeva che si trattava di un documento ufficiale. Quella penna era un suo regalo e la direttrice la usava solo per compilare quel tipo di scartoffie.

“Red,” mormorò la Nonna e girò il polso per controllare l'ora. “Sei in anticipo.” Sul Cartier che portava al polso, le lancette segnavano sicuramente le otto e mezza del mattino. L'operativa l'aveva verificato sul proprio palmare prima entrare. “Come al solito, direttrice.” La rossa arrestò la marcia di fronte alla scrivania, tra le due poltrone. Portò le mani dietro la schiena e rimase in attesa a gambe divaricate. Senza distogliere lo sguardo dalla sottoposta, la donna aprì il cassetto inferiore della scrivania e ne estrasse una cartella olografica. Poggiò un gomito sul piano di scrittura nell'allungarla all'agente. Scrutava Red da dietro gli occhialini rettangolari con aria penetrante. Forse la Nonna non approvava il suo lo stile di vita, ma dato che non influiva sul suo rendimento lasciava correre. Dopotutto a la rossa la sua opinione non importava. Afferrò il plico e si congedò dal capo con un saluto militare.

Il suo ufficio era la metà rispetto a quello del capo, ma Red lo riteneva anche troppo spazioso. Lei e le sue attrezzature, nonché la documentazione relativa ai casi in corso, non richiedevano tanto spazio. Ciò nonostante, tale era la metratura assegnatale a seconda del suo rango nell'Agenzia. Cinque metri quadrati ingombri soltanto di una scrivania e una libreria in stile minimal. La rossa lo accettava volentieri siccome tendeva a soffrire di claustrofobia in ambienti chiusi eccessivamente ristretti. L'agente sedette sulla poltrona girevole e attivò il pad. Lo schermo di quest'ultimo si accese con un bip e mostrò le istruzioni per il nuovo incarico.

Mezz'ora più tardi era sul luogo della missione. Appostata in piedi sul cornicione dell'edificio , il piede poggiato sul muretto come un rapace pronto a spiccare il volo, Red spiava l'interno della struttura dirimpetto attraverso il mirino del suo MP5 SD6 poggiato contro la spalla destra. Era una carabina leggera, impostata sul colpo singolo, che montava un silenziatore rimovibile. Sulla slitta porta-ottica era installato un puntatore laser a luce verde con visione notturna, una delle invenzioni meno sofisticate di cui il suo datore di lavoro dotava i suoi agenti migliori. Unita alla capacità della donna di fare sempre centro, quell'arma era praticamente infallibile, letale.

Il laboratorio che stava sorvegliando si trovava in un capannone dell'ex GM Detroit-Hamtramck Assembly Center, nell'East Grand-Boulevard di Detroit, Michigan, Stati Uniti. La struttura era nata nel 1981 al posto di una comunità di ebrei polacchi. Negli anni Novanta del Ventesimo secolo, la General Motors vi aveva consolidato la propria attività di produzione di automobili. La produzione era durata ben cento anni. A causa della crisi economica globale, i cui semi avevano iniziato a germogliare nei primi anni Novanta, l'azienda chiuse definitivamente nel 2090. Un ulteriore danno all'azienda era stato provocato dalla riduzione drastica della cilindrata dei motori, dietro provvedimento ONU per tutelare la salute del pianeta e all'introduzione di veicoli ad alimentazione elettrica. Lo stabilimento si ritrovò in difficoltà nell'affrontare le ingenti spese di conversione della produzione e decise di accorpare la propria attività nelle metropoli statunitensi. New York, Washington, Los Angeles furono le prime scelte. Riducendo così i costi di mantenimento delle fabbriche, poté iniziare a produrre una nuova generazione di veicoli sulla quale costruire una base economica per future espansioni. Come al solito, i quartieri non erano stati completamente sgomberati e ogni tanto ci si poteva ancora imbattere in carcasse di automobili risalenti al secolo precedente. Con l'avvento del Ventiduesimo secolo, il luogo era stato riesumato dopo decenni di abbandono e acquistato tramite società di comodo dalla maggiore multinazionale all'avanguardia nella produzione di armi avanzate. L'attenzione della rossa venne calamitata da una sagoma a malapena accennata che si muoveva furtiva tra le ombre all'interno del capannone. I suoi occhi blu acciaio la seguirono attraverso il mirino. Ecco lì la sua preda. In quel posto erano custoditi, protetti da una cassaforte con serratura a combinazione e lettura della retina, i progetti per l'arma di distruzione di massa più potente del mondo, di una tecnologia che superava di vent'anni quella dei russi e dei giapponesi. Era un’esca succulenta per il soggetto a cui doveva dare la caccia. L'intelligence dell'Agenzia aveva previsto che si sarebbe fatto vivo lì. L’arma non poteva assolutamente finire nelle mani sbagliate Così avevano mandato Red a tenere d'occhio i progetti. Da mesi erano sulle tracce del Lupo, un ladro professionista, astuto e sfuggente che operava sul territorio americano da due anni. Ultimamente si stava dedicando a sottrarre progetti di prototipi di massima segretezza con la facilità con cui si ruba il gelato a un bambino. La Nazione non poteva permetterlo. La G.R.A.N.M.A. si riteneva protettrice e portavoce dell’America e, in quanto tale, non intendeva permettere che i delitti continuassero. Per questo avevano ingaggiato la migliore nel campo.


 

Nella penombra dell'ufficio dall'altra parte della strada, a malapena illuminato dai lampioni esterni, l'uomo si muoveva lentamente, silenzioso come un felino. Grazie le sue competenze, le sue abilità, quello era soltanto un incarico come un altro, una passeggiata nel parco. Tra le carte sparse sui tavoli da lavoro non c'era nulla che lo interessasse. Ciò che cercava si trovava sigillato in una cassaforte nascosta nello stanzino accanto. Dalla vetrata di fronte a lui si poteva contemplare lo skyline della metropoli, con le sue luci a tempestare la notte. Il misterioso figuro si diresse vero la porta alla destra dell'ampia finestra. Era aperta. Entrò nell'ufficio del direttore, passò dietro alla sua scrivania e spostò il quadro, il quale si aprì girando su perni invisibili come l'anta di un armadio. Rivelò così una cassaforte di ultima generazione incassata nella parete. Era delle dimensioni di una piccola finestra rettangolare, nulla che il Lupo non avesse mai visto prima. La studiò con cura, le braccia conserte e l'aria meditabonda. Sembrava incurante della s, ma era un'illusione. In realtà, niente gli sfuggiva. Il tempo che la rossa avrebbe impiegato per decidere di raggiungerlo gli era sufficiente a portare a termine il lavoro.

L'uomo continuò il suo esame, sfiorando ammaliato il metallo verniciato di nero dello sportello frontale. Il peso della cassaforte si aggirava sulla tonnellata ed era ignifuga. L'impiego di una fiamma ossidrica era escluso e non era nemmeno nel suo stile. Lui preferiva lo scasso raffinato. Progettata per resistere trenta minuti in caso di incendio e a piccoli allagamenti, era dotata di una serratura elettronica con chiave d'emergenza. Quattro catenacci di tre centimetri di diametro erano locati sul lato apertura, altrettanti sulla cerniera e uno solo sulla parte superiore della porta, dallo spessore maggiorato per una resistenza più alta all'effrazione. Una mano guantata di nero si infilò nel doppiopetto della giacca di lana e ne estrasse un apparecchiatura rettangolare, molto sottile, simile a uno smartphone. In realtà, si trattava di uno scrambler digitale, progettato e realizzato da un'organizzazione segreta per la protezione dei segreti sia industriali sia militari. Collegò i sensori simili ad auricolari alla serratura elettronica della cassaforte e avviò il programma. Il software utilizzava un metodo di decrittazione di codici a forza bruta intelligente, una vera chicca high tech. Al classico algoritmo di risoluzione di un problema, che consiste nel verificare tutte le soluzioni teoricamente possibili fino a trovare quella corretta, accostava un'intelligenza artificiale elementare in grado di imparare dagli errori. In questo modo la decrittazione avveniva in un terzo del tempo. La porta della cassaforte si socchiuse con uno scatto metallico. L'apparecchiatura scomparì all'interno della giacca e l'anta venne spalancata. All'interno, tre ripiani con tasselli regolabili dividevano lo spazio in quattro sezioni orizzontali. Ognuno recava una targhetta con un codice alfanumerico corrispondente al progetto ospitato. Il figuro afferrò la cartellina olografica riposta sul secondo scaffale e richiuse lo sportello.

L'occhio fisso nel mirino, l'agente seguì il bersaglio cercando il momento giusto per fare fuoco. Tuttavia non le era permesso uccidere il soggetto. Doveva essere semplicemente catturato. Quindi il One Shot era stato modificato, in modo che potesse sparare bossoli costituiti da capsule con ago incorporato contenenti il flunitrazepam. Si trattava di un sonnifero sintetico usato un tempo in ambito ospedaliero nei casi in cui era necessaria una sedazione profonda. Il caro signor ladro professionista si sarebbe ritrovato a fare la nanna prima ancora di accorgersi che qualcosa l'aveva colpito. Una squadra, così ben nascosta da risultare invisibile, era pronta a prelevarlo non appena la sostanza avesse fatto effetto. Proprio nel momento in cui lei stava per premere il grilletto, l'ombra del criminale scivolò via come se fosse stata inghiottita dall'oscurità della notte.

“Ma che...?!” Red imprecò, sollevando il capo per vedere a occhio nudo. Poi afferrò il binocolo compatto e lo portò agli occhi. La messa fuoco automatica e la visione notturna rendevano le immagini nitide come alla luce del sole. Lo stabilizzatore d'immagine le permetteva di possedere la vista di un falco. Però del soggetto non vide più nemmeno l'ombra.

“Dannazione!” La ragazza in completo nero hi-tech balzò sulla pedana sottostante, dove aveva assicurato un cavo che andava allungandosi attraverso la strada e scompariva in direzione della costruzione che stava sorvegliando. Se il capo fosse venuto a sapere che si era lasciata sfuggire quell'uomo, la sua reputazione ne sarebbe uscita distrutta, per non parlare di tutte le lavate di capo che si sarebbe dovuta sorbire, o una bella sospensione dal servizio. Non poteva permettere che la sua carriera fatta di cinque anni di ininterrotti successi fosse rovinata da un ladruncolo qualunque. Tanto meno da un uomo.

Tirò su la zip fino al collo e raccolse i folti capelli rossi in una coda di cavallo improvvisata, avvolgendoli in un elastico nero di stoffa antistatica. Dal cavo in grado di sostenere il doppio dei suoi quarantacinque chili pendeva un gancio. La rossa lo afferrò e lo assicurò al moschettone che aveva in vita. Allungò le braccia sopra di sé, afferrò il cavo e sollevò le gambe incrociandole attorno al grosso groviglio di fili d'acciaio. Con lenta sicurezza iniziò la traversata nel buio, sospesa sopra un precipizio di duecento metri nel buio.

Pochi minuti dopo, dalla finestra senza vetro sul tetto dell’edificio, Red piombò all'interno della stanza in cui gli architetti progettavano e ideavano le tecnologie occulte che la G.R.A.N..M.A. doveva custodire. Il luogo era ingombro di tavoli da disegno perfettamente ordinati, corredati da portapenne fatti in serie. Il pavimento di cemento grezzo stonava con l’eleganza delle pareti bianche e della mobilia minimale in tinta.

La rossa esaminò i vetri sparsi a terra. A quanto pare il Lupo era entrato da lì. Aveva tagliato il vetro della finestra, ma alcuni pezzi erano precipitati al suolo, probabilmente perché il materiale era vecchio. Erano passati neanche cinque minuti dalla sparizione del ladro e la rossa si guardava intorno alla ricerca di tracce. Glielo doveva concedere: era dannatamente bravo a non lasciarne. Tuttavia, l’angolo lievemente flesso di un foglio al margine di un tavolo da lavoro tradì il suo passaggio.

“E' passato di qui,” mormorò tra sé e sé.

Grazie alla vista acutissima di cui era dotata dalla nascita, ben dodici decimi, la donna seguì una lievissima scia, a malapena visibile nella polvere sul pavimento, lasciata dai passi del criminale. La rossa lo seguì fino all'ufficio del direttore e si ritrovò a guardare il quadro retrostante la scrivania. Socchiuse le palpebre. Aveva qualcosa che non andava. Lo scrutò intensamente per un lungo istante e infine si illuminò. Avanzò e si portò davanti all'opera d'arte. Era la riproduzione di un famoso quadro, Il Bacio di Klimt, un genere che apprezzava. Le mani dalle lunghe dita e le unghie curate raddrizzarono la cornice e nel farlo rivelarono la cassaforte nascosta. Red fece per aprirla, ma la serratura era chiusa. Allora portò il polso sinistro alla bocca.

“Mi serve una mano.” Scassinare casseforti non era il suo compito. Se ne sarebbe occupata la squadra. Per quanto ne sapeva il campo ormai era sgombro e il criminale era fuggito. Restava da scoprire se aveva ottenuto ciò per cui era venuto. Mentre gli uomini in tenuta d'assalto si calavano attraverso il lucernario, Red riprese la traccia che conduceva all'esterno dell'ufficio e di nuovo nello spazio di progettazione. Improvvisamente quella si interruppe, al limitare di una balaustra protetta da una ringhiera in ferro. Red guardò in basso, incontrando solo del ciarpame; quindi spostò lo sguardo in alto, cercando di capire da dove diavolo fosse scappato il Lupo. In aria, però, non si potevano lasciare tracce. A parte un lievissimo profumo di... muschio bianco.

La giovane spia ruotò la testa per sciogliere la tensione alle spalle e sbuffò. Una bella scenata del grande capo non gliela levava nessuno. Nemmeno uno di tutti i ricercati a cui aveva dato la caccia nella sua breve, ma brillante carriera, l'aveva mai seminata in quel modo. Lei riusciva sempre a trovare una traccia, della sua preda, anche infinitesimale; aveva rintracciato e chiuso ogni caso che le avevano affidato. Questo ladro, però, era diverso da quelli a cui era abituata a dare la caccia. Come lei pareva dotato di grande intelligenza e una capacità di scomparire davvero invidiabile. Uno scontro alla pari, finalmente.

Sulla strada principale, il Lupo sorrideva dietro al casco integrale nero. La sua mano abbassò la manetta della Kawasaki un paio di volte. Giocare la piccola volpe rossa era un gioco da ragazzi. Se questo era il meglio che l'Azienda aveva da offrire il suo lavoro sarebbe stato un gioco da ragazzi portare a termine la missione. L'uomo montò in sella e imboccò la via che descriveva una parabola verso sud-est.

La sera stessa del suo sopralluogo senza successo, Red si recò in sede per fare rapporto. Era la prassi. Stravaccata sulla poltrona davanti alla scrivania del capo, Red si sorbiva imprecazioni e le lamentele a piacere. Nel frattempo si guardava in giro con aria evidentemente stizzita. Quello stronzo del Lupo le aveva giocato un brutto colpo.

Seduto in fondo all'ufficio accanto all'entrata, stava il un uomo corpulento sulla cinquantina in camicia, gilet di pelle, jeans e scarponi, con un fucile Garand M1 in spalla.

“Lei sarebbe?” si informò Red, voltando la sedia girevole nella sua direzione. L'uomo alzò semplicemente il mento, ricambiando lo sguardo.

“Red, permettimi di presentarti il nostro collaboratore esterno, Hudson Steel,” rispose la Nonna, facendo le dovute presentazioni. La nipote la fulminò con lo sguardo. “Da quando assumiamo mercenari per aiutare l'Agenzia a fare il lavoro sporco?”

“Da quanto la nostra migliore operativa è incapace di portare a termine una semplice missione!” sibilò la donna anziana, fissando la giovane dritto negli occhi. Quando rimproverava un sottoposto non aveva bisogno di alzare la voce. Suonava comunque minacciosa. Tuttavia Red non si fece intimorire. Conosceva il capo da una vita e sapeva come agire nei suoi confronti.

“Con tutto il rispetto, sua nipote qui ha una fama eccellente nel campo. La responsabilità del recente fallimento è difficilmente attribuibile a lei. La vostra intelligence ha semplicemente sottovalutato la minaccia,” si fece sentire l'uomo dai capelli argento, la voce bassa e roca. Parlava trascinando pigramente le parole con il suo accento particolare. A quanto pare il siparietto non faceva alcun effetto su di lui, a parte forse annoiarlo.

"La prego di tacere, lei è solo un esterno che non ha voce in capitolo!” La direttrice della GRANMA gli puntò il dito contro. Chiamare in causa l'intelligence della G.R.A.N.M.A. per negligenza era stata una pessima idea. Ciò non toglieva che Steel avesse ragione. Nel file recapitatole alla consegna dell'incarico, non era stato specificato il grado di abilità del criminale. Oltre ai capelli grigi, osservò l'operativa, i due si somigliavano molto poco. La Nonna era alta e magra, il viso affusolato e due occhi azzurri dallo sguardo tagliente. “Sono in grado di gestire i miei sottoposti! Evidentemente lei non si rende conto della gravità della situazione!”

“Non mi rendo conto della gravità della situazione?” L'altro fissò la Nonna con occhi castani che non tradivano alcun timore, ma pura determinazione. Il viso squadrato solcato dalle rughe del tempo sembrò ampliarsi. Si alzò in piedi e fece qualche passo in avanti, l'arma in spalla. “Se non fosse un caso di sicurezza nazionale non sareste ricorsi a me. Se non aveste avuto altra scelta, in altre parole. Quindi non mi venga a dire che non mi rendo conto di quanto siete nella merda!” rispose a tono, restituendogli il dito in faccia con veemenza. Red ammirò il coraggio di quell'uomo. Pochi avevano le palle di rivolgersi in quel modo al grande capo. Cacciatore 1, Nonna 0. La giovane agente soffocò un sorriso di compiacimento. La direttrice incrociò le braccia sotto al seno quasi assente e interpellò la giovane sottoposta.


 

“Cos'è stato rubato, di preciso?”

“Parte di un progetto per un'arma ad alta tecnologia che la Digital Technology stava sviluppando per noi,” rispose Red con calma.

“Parte?” La donna canuta la scrutò assottigliando lo sguardo.

“Sì. Solo metà era custodita lì. Il resto è nascosto in una cassaforte ad alta sicurezza dall'altra parte della città.” Una capatina ai servizi di intelligence dell'Agenzia aveva fornito a Red questi dettagli.

“Bene. Vediamo di sorvegliare ventiquattr'ore su ventiquattro l'altra parte del progetto. Non deve cadere nelle sue mani.”

Così congedata, Red si alzò e uscì dalla porta. Il Cacciatore la seguì, ma si ritrovò faccia a faccia con la rossa. Lo fissava. “Cosa?” borbottò celando la perplessità dietro a una maschera burbera.

“Tu non vieni con me.” La risata risuonò nel corridoio, costringendo Red a guardarsi attorno con circospezione.

“E chi lo dice? Tu?”

“Sì, lo dico io!” L'uomo avvicinò il viso a quello della ragazza. “Bambina, faccio questo lavoro da quarant'anni. Non venirmi a dire cosa posso o non posso fare. Io rispondo solo a tua nonna.” Detto questo se ne andò ridendo di cuore.

“Lieta di averti fatto divertire!” esclamò la giovane guardandolo girare l'angolo. Piazzò le mani sui fianchi, sbuffando. Solo perché l'Agenzia si avvaleva dei servigi del Cacciatore e la sua fama era nota, Red non era disposta a lavorare con qualcuno di cui non sapeva niente. Decise che il giorno seguente avrebbe fatto un salto negli archivi della sezione operativa per sbirciare il suo fascicolo . Al grande capo non sarebbe piaciuta la cosa, ma a Red non importava. Aveva sempre agito di testa sua, e non sarebbe cambiata.

Cartella olografica alla mano, Red sprofondò nella poltrona e allungò le gambe sopra il tavolo. Attivò lo schermo e richiamò il file identificativo del suo nuovo collaboratore.

Hudson Steel, alias il Cacciatore, era un libero professionista che aveva fatto la guerra nei Balcani, in Kosovo, a Mogadiscio e in Afganistan negli anni Novanta, ad aiutare i mujāhidīn contro l'invasione delle armate dell'Unione Sovietica. L'uomo era di origini australiane e discendeva da una famiglia di mercenari, noti per la loro sagacia e l'efficacia nell'esecuzione dei nemici. Quando si arruolò nell'esercito aveva già macinato esperienza nell'uso delle armi pur mantenendo una fedina penale linda e pulita. Per lo più si era dedicato allo spaccio di armi, sempre in veste di rappresentante, ma aveva sempre rifiutato di smerciare armi nucleari o chimiche. A quanto pare non credeva che la distruzione globale di un ecosistema aiutasse la causa, né che il fine giustificasse sempre i mezzi. Proprio per questo probabilmente era diventato efficace sia nella lotta corpo a corpo sia nell'uso di armi bianche (coltello da caccia) e da fuoco (il suo favorito era il fucile a pompa). Tra i monti dei Balcani, durante la guerra tra la Bosnia e la Serbia, e in Macedonia, aveva acquisito l'abilità di seguire tracce meglio del più acuto dei segugi e nel trovare le trappole e disattivarle senza riportare danno alcuno. Laddove i cani da cerca fallivano subentrava lui rintracciando immancabilmente la preda.

Se non altro, le avevano affidato un valido partner. Definirlo sostegno o aiuto avrebbe sminuito troppo il suo orgoglio professionale, già incrinato dalla missione in corso. Quella sera stessa, sul cornicione dell'ultimo piano di un alto palazzo storico in centro, un uomo procedeva a passo di gambero con la schiena aderente alla fiancata decorata. La proprietaria dell'alloggio, secondo il suo contatto, si trovava ancora al lavoro. Così aveva tutto il tempo di agire. Al riparo dell'ombra gettata dallo spiovente del tetto, il Lupo raggiunse inosservato la finestra dell'appartamento. Dal giubbotto multitasche in tessuto high-tech estrasse una girella con ventosa. Appoggiò la coppetta in silicone contro il vetro e regolò l'apertura del compasso. Bastava lo spazio di una mano per far scattare la serratura. "Ma prima," mormorò tra sé e sé. La sua voce era bassa ma melodiosa. Due dita premettero i lati dell'orologio da polso, nero come il resto del suo abbigliamento. Sul display lampeggiò una dicitura. Quando questa cambiò, segnalandogli il via libera, il ladro sorrise. Era stato un gioco da ragazzi sintonizzare il disabilitatore integrato sulla frequenza dell'allarme della casa. Con tutta calma, la mano raggiunse l'estremità della girella fissata al vetro e attivò il laser. Era tre volte più potente della punta di diamante comunemente in uso nel suo mestiere. Ancora una volta dovette ringraziare mentalmente il suo contatto per quel supporto prezioso. Il sottile raggio trasparente tagliò come burro il vetro rinforzato anti-proiettile con un minimo ronzio sottile.

Il Lupo acchiappò al volo la lastra di metallo rotonda e la inserì in una tasca interna della giacca. Ripose anche lo strumento e fece scattare la serratura della finestra attraverso il foro appena praticato. Aprì lentamente le imposte, facendo capolino dal parapetto. La stanza era deserta. L'uomo balzò agilmente all'interno. Il posto era arredato con gusto. Un tocco femminile e un lieve aroma di vaniglia nera aleggiavano nell'aria. Nonostante avesse studiato la planimetria dell'edificio e sapesse già chi fosse l'inquilino, avrebbe scommesso anche a occhi chiusi sulla proprietaria di quel posto. Il suono dei suoi passi venne attutito dalla suola sottile in gomma mentre si avvicinava al mobiletto accanto all'entrata. Dall'apertura della giacca, fissata alla vita da una fascia aderente, comparve un'anonima busta di carta bianca. Venne messa sul piano, appoggiata al cestino portachiavi in modo da risultare visibile a una prima occhiata.

Con la stessa rapidità e altrettanto silenziosamente, l'uomo si rituffò fuori dalla finestra dalla quale era entrato. Si aggrappò al cornicione e i suoi occhi per un attimo contemplarono il pigro scorrere delle luci del traffico sotto di sé. Cadere da quell'altezza non era una prerogativa, ma lo spettacolo era mozzafiato, tanto quanto la rossa che gli dava la caccia con tanto ardore. Sorrise e si voltò per chiudere le imposte della stanza. Bloccò la serratura, prese il cerchio di vetro e lo rimise al suo posto. Tirò fuori una bomboletta di spray e la agitò per alcuni secondi. Infine spruzzò la sostanza a base di resina lungo il bordo del cerchio per poi rimetterlo a posto. Al contatto con il vetro della finestra, i nanociti contenuti nel collante artificiale fusero nuovamente il pezzo al resto. L'uomo contemplò soddisfatto il lavoro. Non c'era traccia dell'effrazione. Rimise il contenitore in tasca e si voltò verso lo strapiombo. Prese un respiro e si gettò nel vuoto. Dopo alcuni lunghissimi secondi di caduta, lo zainetto sulla sua schiena cacciò fuori due ali simili a quelle di Leonardo. Erano solo molto più sottili ed allungate. La corrente ascensionale sollevò il ladro in quota per poi adagiarlo sul tetto a terrazza del palazzo vicino. "Missione compiuta," dichiarò Jacques con un sorriso rivolto all'appartamento di Red. Si voltò e fece un saltello alla Chaplin prima di dileguarsi nella notte.

Solo circa cinque minuti più tardi, Red richiuse la porta della residenza, calciandola all'indietro con il tallone. Durante la giornata aveva sbrigato pratiche d'ufficio. Nonostante fosse una donna d'azione e da lavoro sul campo era costretta come tutti gli altri a occuparsi della burocrazia relativa ai casi che seguiva. Mentre l'uscio si serrò con un ticchettio, si guardò intorno. Lasciò lo zainetto accanto al mobiletto del telefono, dove poggiò lo smartphone e le chiavi. Sul piccolo mobile trasparente, una busta di un bianco immacolato spiccava nella penombra dell'appartamento. La rossa batté le mani per azionare l'impianto di illuminazione e le luci si accesero. Prese in mano la busta sollevandone il lembo superiore, quindi ne estrasse un cartoncino con la stampa di un indirizzo. Sulla superficie patinata si rifletteva il color crema delle luci soffuse. Il biglietto indicava una locazione che si trovava nella zona industriale fuori città. Chiunque lo avesse lasciato, aveva violato la sacralità del santuario di Red, il suo nascondiglio. Casa sua era stato l'unico rifugio veramente sicuro dal mondo esterno e i nemici che si era creata nel corso della carriera di spia; fino a quel momento. La rossa si guardò intorno allarmata. Cautamente, si mosse furtiva per la casa controllando ogni porta ed ogni finestra, ma non trovò alcun segno di effrazione. A prima vista sembrava che quella busta si fosse materializzata sul suo mobiletto dal nulla. Controllò scrupolosamente tutte le serrature delle finestre, tastò i vetri per capire se erano stati tagliati.

“Eccolo,” mormorò tra sé. La mano era appoggiata contro il battente della finestra all'estrema sinistra della parete ovest. Il cristallo era caldo. La rossa avvicinò il viso e guardò in basso verso la strada, dove le auto scorrevano come su un infinito tapis roulant. “Pazzesco,” commentò. Una simile altezza avrebbe messo i brividi a uno scalatore provetto. Tuttavia, chiunque si era introdotto nel suo appartamento non si era lasciato intimidire. Doveva essere un tipo con le palle quadrate. Soltanto una persona di cui lei fosse a conoscenza era capace di un'impresa del genere. Il Lupo. Perché mai lasciarle un biglietto con l'indirizzo del suo prossimo colpo, del quale lei era comunque già a conoscenza? Non aveva senso.

Non c'era tempo da perdere, comunque. Anche se si fosse trattato di una trappola, non poteva farsi sfuggire un'occasione del genere. Se avesse agito rapidamente avrebbe avuto più possibilità di prenderlo. Avrebbe dovuto avvisare il Cacciatore, ma farlo le avrebbe richiesto del tempo. Decise che l'avrebbe chiamato una volta in strada. Avere una copertura nel caso qualcosa andasse storto era sempre una buona idea. Andò a prendere lo zaino che aveva abbandonato accanto al mobiletto del telefono e ne estrasse un astuccio. Fece scorrere la zip mentre tornava al luogo del misfatto. Ne estrasse un piccolo attrezzo simile a un leva-cuticole e grattò la superficie del vetro manomesso. Un ricciolo di materiale venne via e lei lo fece cadere in una bustina di plastica. Chiuse la cerniera e infilò la prova nella tasca interna del giubbino. Ripose lo strumento e il contenitore nella borsa. La indossò e si diresse a passo spedito verso l'ingresso. Tirò fuori lo smartphone dalla tasca dei jeans, pigiò un tasto e lo portò all'orecchio sinistro. “Ciao. Sono io. Sto arrivando. Ho della roba per te.” Scostò l'apparecchio dal viso e chiuse la comunicazione.

Lungo l'ampia strada che costeggiava la zona industriale, Red rallentò al semaforo rosso e fermò il mezzo. Posò un piede a terra e si guardò serenamente attorno. Nel farlo notò con la coda dell'occhio un'anonima motocicletta nera. Si era fermata dietro a lei e il guidatore sembrava in attesa della luce verde. Invece i sensi di Red scattarono in allarme. Qualcosa non la convinceva. Perché proprio dietro? C'era posto accanto a lei, la strada era deserta a quell'ora. Osservò il braccio del motociclista, avvolto nella pelle, muoversi verso il fianco. Istintivamente, la mano della spia fece lo stesso correndo subito all'impugnatura della Walther P38 cromata, posta nella fondina ascellare che indossava sotto la giacca. Non era l'arma che usava di solito in missione, ma andava bene.

La rossa mandò su di giri il motore, girando a fondo la manetta. Il mezzo mandò un rombo e partì, sbandando. L'occhio acuto della donna inquadrò allora l'aerografia dipinta sul casco dell'aggressore; un lupo nero ringhiante. Una mano poggiata sul manubrio della moto ne mantenne l'assetto in movimento. L'altra venne tesa all'indietro con la pistola in pugno, mentre Red distanziava l'aggressore, intento a spararle addosso una gragnola di colpi con una Glock.

”Sorprendere una signora alle spalle, che vigliacco!” esclamò. Zigzagando per evitare di venire colpita, la donna sparava a sua volta con l'intento di ferirlo. Purtroppo la situazione non era delle migliori anche per la sua mira eccezionale. Allora prese di mira la ruota posteriore della moto avversaria, cercando contemporaneamente di mantenere il controllo della propria. Espirò lentamente, stringendo le labbra nell'atto di concentrarsi. Tirò il grilletto.

La moto nera dell'aggressore sbandò e scivolò sull'asfalto per parecchi metri, stesa su un fianco. Lo sfregamento della carena metallica contro la striscia di cemento fece scaturire una pioggia di scintille fino al momento in cui il mezzo si fermò. Allora Red frenò e voltò la propria moto, facendo perno sulla ruota anteriore. Diede gas nuovamente e raggiunse il veicolo incidentato. Fermò la due ruote, scese e abbassò il cavalletto con la punta dello stivale. Lasciò il motore acceso e si avvicinò all'altro mezzo. “Ma come...?” quando il fumo si fu diradato la donna fissò basita l'asfalto, ricoperto di graffi chiari e frammenti di vetro. Si guardò intorno ma dell'aggressore non v'era traccia. “Cazzo!” berciò e diede un calcio alla motocicletta ribaltata.

Mezz'ora più tardi e a diversi isolati di distanza, Red entrò nell'edificio che ospitava il quartier generale della G.R.A.N.M.A. Era un enorme palazzo in stile post-moderno, costituito da una parte centrale alta trecentoventitré metri e due costruzioni laterali più piccole sviluppate in larghezza. Le pareti a specchio, formate esclusivamente da finestre antisfondamento e antiproiettile, ricordavano le celle di un alveare. La sera, invece, quando le luci interne illuminavano la facciata, la sede appariva un super-computer in piena attività.

La rossa premette il pulsante di chiamata dell'ascensore e sbuffò seccata, alzando gli occhi al soffitto. Il casco rosso era incastrato tra il suo braccio e il fianco, la chiave della moto penzolava tra le dita dell'altra mano. Quando l'elevatore arrivò, si annunciò con il solito campanello elettronico. La donna entrò e premette il pulsante recante una S luminosa sul pannello a cristalli. Seguì una lunga discesa silenziosa, accompagnata solo da un ronzio sommesso. Quindi le porte si spalancarono con un suono altrettanto lieve. Lo sguardo della spia cadde sull'insegna che dichiarava la destinazione del piano. Laboratori tecnici. Uscì dall'ascensore, svoltò a manca e percorse il lungo corridoio. Porte tutte uguali si susseguivano sulla parete alla sua sinistra. Ognuna conduceva a un laboratorio diverso. Armi, veicoli, tecnologie, ricordava in tutto e per tutto i laboratori dell'agenzia per cui lavorava il celebre agente James Bond, conosciuto dagli amanti del cinema di spionaggio del Ventunesimo secolo. La rossa si fermò soltanto al termine della camminata, interrotta da una porta diversa dalle altre. Il vetro smerigliato del pannello centrale recitava una scritta. Inventore. La mano dalla pelle chiara si alzò e si preparò a bussare.

“Avanti, agente Red. Sei in ritardo.” La voce maschile proveniva dall'interno. L'interpellata aprì la porta, la infilò e così facendo incontrò lo sguardo sveglio dell'Inventore. Era un giovane di una discreta altezza, sui venticinque anni, abbigliato con un camice bianco da laboratorio aperto sul davanti. Sotto, una camicia verde, cravatta e gilet senza maniche marroni. Coi capelli castani corti a caschetto e i lineamenti da fanciullo, appariva innocuo a una prima occhiata superficiale. Solo un luccichio malizioso negli agli occhi neri e vispi suggerivano ci fosse in lui qualcosa di più.

“Scusa il ritardo, ho avuto un contrattempo,” replicò la rossa, sfoggiando un sorriso. Si avvicinò alla scrivania dietro alla quale sedeva il giovanotto e seguì il suo invito. Abbassò la zip della giacchetta e si sedette sulla poltrona, quindi allungò le gambe su quella accanto, appoggiandovi i piedi. Infilò una mano nella tasca interna e sogghignò allo sguardo colmo di curiosità del tecnico. Afferrò la bustina tra l'indice e il medio e la buttò sulla scrivania che li separava. L'Inventore si rizzò, raccogliendo i piedi sotto alla sedia e poggiando le mani sul piano di legno.

“Cos'è?” domandò guardando la collega. Pareva un bambino davanti a un pacchetto regalo.

“Scopriamolo,” ribatté Red con un sorriso sornione. L'aveva portato da lui per questo. Il tecnico saltò su dalla sedia e afferrò la prova con entusiasmo.

“Mi segua, signorina,” disse con decisione. In modalità ricercatore acquisiva una spigliatezza e una leadership normalmente insospettabili. La donna si alzò pigramente dalla sedia e lo seguì altrettanto svogliatamente. Voleva scoprire cosa fosse quella sostanza, ma aveva anche un immenso bisogno di riposare. Invece di essere a casa a dormire era costretta a tornare al lavoro.

L'Inventore la condusse in una stanza della quale aveva ignorato l'ingresso, all'andata. Era l'unica porta sulla parete ovest del corridoio e dava sul laboratorio di dimensioni maggiori. Al suo interno, chini su strumenti tecnologici di cui la donna poteva solo intuire la natura, vide diversi impiegati in camice bianco. Chi più chi meno, erano tutti vestiti come il giovane direttore del reparto. Seguì quest'ultimo fino a una scrivania ingombra di materiale di lavoro. Egli si sedette e la rossa si appoggiò al macchinario alle proprie spalle.

“Attenta con quello. Si potrebbe rompere,” la ammonì l'altro. Lei rispose con un mugolio e si piazzò accanto a lui a gambe larghe.

“Che fai?” domandò per pura curiosità e si lasciò sfuggire uno sbadiglio.

“Ora inserisco in questo scanner la sostanza che hai trovato,” spiegò il giovanotto. Prelevò il campione dalla bustina mediante un paio di pinzette e lo inserì in un apparecchio che sembrava davvero uno scanner per computer. Le dita volarono poi rapide sulla tastiera facendo comparire un'immagine sullo schermo olografico di fronte a sé. Mentre la macchina si metteva in moto con un sibilo piacevole, sul cristallo comparve l'immagine di una struttura atomica. Red si incuriosì ulteriormente e fece capolino da sopra la spalla del collega.

“Di che si tratta?” Improvvisamente si sentiva più sveglia.

“A quanto pare è una sostanza vischiosa simile al vetro,” dichiarò il ragazzo, fissando lo schermo. Pigiò una nuova serie di tasti sulla superficie di cristallo della tastiera, i cui tasti erano semplici icone retroilluminate.

“Simile? Vuoi dire che non è vetro?”

“La composizione molecolare è quasi identica, ma...” Prima di finire la frase, le sopracciglia folte e scure del tecnico si avvicinarono l'una all'altra e la pelle della fronte si raccolse nel centro. Red voltò di scatto il viso e lo guardò fremente.

“Cosa?” lo incitò. Il giovane sospirò, stringendo le labbra e digitò ancora. Continuò a fissare lo schermo per un altro po', quindi la sua espressione cambiò. La fronte si distese e così il resto dei lineamenti.

“Interessante,” disse allargando le labbra in un sorriso compiaciuto.

“Vuoi rendermi partecipe?!” sbottò la rossa, impaziente. Lui girò sulla sedia e strappò un foglio appena fuoriuscito dal macchinario rettangolare per la scansione. Si alzò e andò a consegnarlo a un collega lì vicino. Indicò qualcosa sullo stampato, quindi tornò alla postazione e si stravaccò sulla poltrona girevole. Finalmente degnò Red di uno sguardo e incrociò le braccia sul petto.

“Si tratta di vetro sintetico arricchito di nanociti.”

“Nanociti,” mormorò l'agente, pensierosa. “Ho già sentito questa parola.”

“I nanociti sono unità robotiche microscopiche che si occupano di legare due sostanze diverse tra loro in questo caso,” spiegò generosamente, poi fece una pausa. Quando riprese, scuoteva la testa. “Tuttavia non ne ho mai visti di così avanzati.” L'operativa lo fissò sorpresa. Bofonchiò e si grattò il mento, gesto del tutto automatico che faceva spesso quando rifletteva.

“Chi produce questo genere di tecnologia? E' davvero troppo avanzata per un semplice criminale freelance.” L'obiezione sollevata dalla collega incontrò un cenno affermativo del capo da parte dell'Inventore.

“Esistono due produttori in tutto il Paese. Uno siamo noi. L'altro è la Digital Technology.” Al contrario dell'Agenzia, che produceva i propri strumenti operativi per le missioni, la DT si concentrava sull'esclusiva progettazione di tecnologie di nuova generazione. Specializzata particolarmente nello sviluppo di accessori per lo spionaggio industriale e tecnologia bellica aveva ben pochi motivi per finanziare un'operazione criminale di quella portata. “La DT è una delle nostre protette. A che scopo assoldare un indipendente per sottrarre i propri progetti? Non ha senso,” ragionò l'agente.

“Il mio lavoro finisce qui,” dichiarò l'Inventore con un cenno negativo del capo. “Da qui in poi tocca a voi cervelloni trovare la soluzione al problema,” aggiunse alzandosi.

“Mmm... sì,” rispose la donna, riscuotendosi. “Grazie per il consulto, dottore,” abbozzò un sorriso e gli strinse una spalla con la mano. “Ci vediamo.” La mente presa da un vortice di pensieri, la rossa uscì dal laboratorio e si diresse all'ascensore. Mentre quello la riportava in superficie, Red fece una telefonata. Il suo smartphone era criptato, di conseguenza poteva parlare senza pensieri. “Nicholas, sono io. Fammi un favore. Controlla i movimenti bancari della Digital Technology dell'ultimo anno. Cerca qualsiasi spostamento sospetto. Fammi sapere.” Il collega del reparto informatica si era messo subito al lavoro e, a meno che non ci fossero novità entro la nottata, l'operativa decise di andare a casa a fare una dormita.

“Questa notte hanno cercato di uccidermi.” La frase, pronunciata da Red nell'ufficio della Direttrice, aveva sortito l'effetto di uno sparo. La rossa udii le mani della donna anziana stringersi sullo schienale di pelle della poltrona, producendo uno scrocchio. Il fruscio degli abiti del Cacciatore, seduto alle sue spalle in fondo alla stanza, lo seguì subito dopo. “Tutto a posto. Sto bene,” aggiunse con un gesto di noncuranza. La mattina seguente all'aggressione, si era recata per prima cosa dalla Nonna a fare rapporto. “Non esco mai disarmata,” concluse aprendo la giacca e mostrando la pistola infilata nella fondina ascellare.

“Chi era il tuo aggressore?” domandò il capo, sibillina. Il suo viso pareva un pezzo di marmo, talmente era contratto e immobile. Tutti nella stanza si rendevano conto che attentare alla vita di uno degli operativi dell'Agenzia equivaleva ad avere una talpa. L'identità di ogni agente segreto era custodita con la massima sicurezza. Era normale che essi si facessero dei nemici durante la carriera operativa, ma mai prima d'ora era successo che un criminale scoprisse dove abitasse uno di loro.

“Non mi è stato possibile identificarlo,” rispose Red, soffocando la sensazione di frustrazione per non essere riuscita a catturarlo. “Tuttavia, il mandante è sicuramente il Lupo. Per come si sono svolte le cose, posso addirittura ipotizzare fosse lui in persona.” La donna di fronte a lei spostò rumorosamente la sedia e ci si sedette. Intrecciò le dita davanti al visto, i gomiti appoggiati al piano di formica, lo sguardo fisso nel vuoto.

“Concordo.” La voce baritonale del Cacciatore spezzò il silenzio, e un po' di tensione. Red aveva appena raccontato per filo e per segno l'accaduto. Di conseguenza ognuno poteva permettersi una valutazione soggettiva.

“Ti metteremo sotto protezione,” annunciò la Nonna. Alla rossa suonò come una sentenza.

“Con tutto il rispetto, non posso lavorare con i babysitter tra i piedi. Rischiano di mandare a monte tutta l'operazione. Tra l'altro, ho dimostrato di saper badare a me stessa,” obiettò. Conoscendo la parente, madre di sua madre, comprendeva la sua preoccupazione. Nonostante le circostanze consentissero un provvedimento del genere, Red amava sentirsi libera di agire.

“La ragazza ha ragione,” le diede man forte il Cacciatore. “Mi impegno a tenerla al sicuro, se questo può farla sentire meglio.”

“Grazie, Hudson.” Il suono del cellulare di Red, un arpeggio di chitarra acustica, risuono forte e chiaro.

“Sì?” La donna annuì. “Certo.” Chiuse la telefonata e guardò la Nonna. “Se abbiamo finito avrei del lavoro da fare.”

Dopo aver aggiornato il capo su ulteriori dettagli riguardanti la sera precedente, inclusa la visita al laboratorio, Red e il Cacciatore furono congedati. Non appena uscirono dall'ufficio, la rossa lo informò. “Devo fare un salto al reparto informatica. Hanno alcune informazioni per me.”

“Per noi, vuoi dire,” ribatté l'uomo con un sorriso accennato e si tirò su i pantaloni. Nonostante le bretelle, sembravano continuare a scivolargli sui fianchi. L'operativa osservò il suo gesto. “Mai pensato di fartele fare su misura?”

“Nah, troppo costoso.” L'uomo la stava seguendo nel corridoio.

“Forse dovresti semplicemente perdere peso,” lo canzonò lei, sorridendo sghemba mentre pigiava il pulsante dell'ascensore.

“Forse,” si limitò a rispondere lui, dando un'occhiata al ventre arrotondato e poi alla collega.

“Avresti dovuto chiamarmi,” fece Hudson una volta entrati nella cabina d'acciaio.

“Sì, avrei dovuto,” ammise Red. “Ma non l'ho fatto. Ne avevo intenzione. Lui mi ha preceduto.” Steel si piazzò davanti alla collega quando le porte si aprirono. Lei lo guardò curiosa.

“Se devo pararti il culo voglio sapere sempre dove sei. Chiaro?” disse puntando un dito.

“Va bene,” rispose Red. Poi aggiunse. “Adesso levami quel dito dalla faccia.” Scivolò accanto a lui e infilò l'uscita dell'ascensore.

In pochi minuti raggiunsero l'ufficio informatico. “Nicholas, dimmi che hai buone notizie per me,” esordì la rossa e raggiunse la postazione dell'hacker. Lui digitò velocemente sulla tastiera e visualizzò i risultati della ricerca sul monitor.

“Niente, capo, desolato. È tutto perfettamente regolare.”

“Troppo regolare,” mormorò lei, china sulla scrivania. Spostò lo sguardo sul viso dell'informatico nel momento in cui si sentì osservata. Portava la giacca aperta e la maglia sottostante aveva una scollatura generosa. L'occhio del geek era caduto proprio lì. “Ti piace quello che vedi?” Nicholas arrossì violentemente e la donna sorrise a trentadue denti, soffocando una risata di cuore. Si rizzò e gli ordinò di estendere la verifica a un anno prima, per scrupolo. Dubitava avrebbe trovato qualcosa. Non era quella la pista da seguire.

“Venga, Hudson, devo parlare con la squadra strategica. Ho in mente un piano,” disse lasciando la stanza.

La sala tattica, quella in cui gli strateghi dell'Agenzia si riunivano per discutere piani per la risoluzione dei casi, era una camera blindata senza finestre. Se Red avesse sofferto di claustrofobia sarebbe schizzata fuori da quella stanza più di una volta. Quando vi fece ingresso insieme al Cacciatore, vide nei suoi occhi il caratteristico sguardo di chi sta entrando in una trappola per topi.

“Soffre di claustrofobia, Hudson?” chiese con un mezzo sorriso.

“No,” ribatté l'altro, ruvido. “Odio gli spazi chiusi.”

La rossa sorrise tra sé e sé e si introdusse in quel luogo dalle pareti insonorizzate blu. Al centro stava un'enorme tavolo dal piano luminescente; su di esso stavano chinati i capi squadra e i loro vice. Passò loro accanto alzando la mano in un cenno di saluto e si diresse direttamente alla postazione cibernetica. Si trattava di una serie di computer collegati tra loro e allineati alla parete nord. In un ampio spazio tra di essi era posizionato, contro la parete, uno schermo a led da due metri per uno. L'immagine di una mappa digitale della città troneggiava su di esso, .

“Pinkerton!” tuonò Red, al che accorse un uomo mingherlino con gli occhiali tondi dalla montatura grossa. Il Cacciatore lo squadrò, cercando di determinarne l'età, solo per scoprire che era impossibile. Nonostante le rughe d'espressione pronunciate, soprattutto le fossette, alte ai lati del naso, non avrebbe saputo dire quanti anni avesse. La collega gli lanciò un'occhiata, intuendo il suo pensiero e scosse la testa. Nessuno lì dentro era mai riuscito a vincere una scommessa sulla sua età. I tre convergerono verso la postazione e l'operativa si sedette.

“Mi serve assistenza, Young,” si rivolse allo stratega chiamandolo per nome.

“Sissignora,” rispose prontamente l'ometto e si schierò sulla sedia opposta, davanti a lei.

“Ho deciso di fare da esca a un pesce grosso. Mi servono dettagli, il più possibile,” ordinò l'interlocutrice. Le dita sottili di Pinkerton si mossero sulla tastiera ancor prima che l'agente ne avesse detto il nome. Un'altra sua caratteristica, molto apprezzata dagli agenti sotto copertura. Young ricordava chi era assegnato a quale caso. Non serviva dirgli cosa cercare. Quando vedeva la faccia di qualcuno, lo sapeva già. Red allacciò le dita dietro la nuca e appoggiò i talloni sulla scrivania, in attesa. Quel gesto le guadagnò uno sguardo di rimprovero da parte del capo squadra accanto tavolo strategico. La rossa gli sorrise beatamente e continuò a starsene in quella posizione. Almeno fino all'avviso acustico emesso dalla macchina di fronte a sé. Svelta, tirò giù i piedi e si sporse verso Pinkerton, trepidante.

“Ecco qui, signora.” Egli le porse una chiavetta USB contenente i dati recuperati. La donna la agguantò con un gran sorriso.

“Grazie bellezza,” disse e si alzò. A grandi passi uscì dalla stanza e il Cacciatore, finora rimasto in silenzio, le trotterellò dietro.

“Sono felice di essere uscito da quella stanza,” lo sentì dire alle proprie spalle. Rise.

“Tu e i posti chiusi proprio non andate d'accordo, vero Hudson?” gli lanciò un sorriso sghembo.

“E ora?” Si guardarono.

“Ora... mettiamo insieme un piano.”

La sala strategica era troppo affollata per i gusti di Red. Per questo indisse una riunione nel proprio ufficio. Le pareti erano altrettanto acusticamente isolate. La privacy era garantita dai vetri a specchio dell'ampia finestra sulla parete nord. L'agente usò lo smartphone criptato per inviare un messaggio a tutti i membri della sua squadra, mentre lei e il collaboratore esterno raggiungevano il luogo convenuto. Quando l'ascensore aprì le sue porte sull'undicesimo piano, una frotta di uomini attendeva all'ingresso. Tra di loro spiccava una donna dall'aspetto bizzarro. Mentre gli uomini indossavano una mise borghese, lei foggiava un look che sicuramente non ci si sarebbe aspettati. I capelli neri erano perfettamente pettinati in una coda di cavallo bassa. Una linea spessa di eyeliner sfumava verso l'alto sulla palpebra e le labbra erano tinte di rosso sangue.

“Ragazzi. Kimberly.” Si rivolse a loro in modo informale, ricevendo in risposta un appellativo formale insieme a un cenno della testa.

“Chi è il vecchio?” La ruvidezza nella voce e nel tono frustarono l'aria e per un istante parve che ogni cosa si fosse immobilizzata. Il solito effetto dell'intervento della bruna.

“Il nostro collaboratore esterno.” Non fu capace di finire la frase che alcuni commenti e versi canzonatori si levarono dal gruppetto.

“Buoni, buoni,” sbottò Red, il capo squadra, aprendo la porta dell'ufficio. “Entrate e fate silenzio.” Richiuse l'uscio alle spalle dell'ultimo entrato e andò a collocarsi dietro la propria scrivania. Era già abbastanza umiliante dover essere affiancata da un esterno. Non aveva intenzione di permettere ai suoi sottoposti di prenderla per i fondelli.

“Hudson Steele, ti presento la mia squadra. Kimberly Elliott, prima le signore. Keith Lewis, Katherine Marrone, David Berry e il mio braccio destro, Trevor Taylor.” Fatte le presentazioni, fece una pausa. “La situazione è questa,” esordì a braccia conserte e testa alta. “Le nostre forze sono state valutate insufficienti per questo caso. Così...” Un cenno del capo indicò il Cacciatore, in piedi in cerchio insieme agli altri agenti. “E' stato chiamato un collaboratore esterno. Conoscete il soggetto a cui stiamo dando la caccia. Ciò di cui non siete al corrente è che si tratta di un gran figlio di puttana.” Evitò di menzionare l'invasione della propria privacy. Ammettere davanti alla squadra di aver permesso a un delinquente di entrare in casa sarebbe stato un grave errore.“Ci sta dando molto filo da torcere, ma sembra che abbia un tallone d'Achille. La sottoscritta.” Gli sguardi si incrociarono con aria interrogativa. “A quanto pare, la nostra preda ha scelto di dare la caccia alla sua cacciatrice, la quale farà da esca.” Red spostò il peso del corpo, scrutando la reazione sui volti dei presenti. Si levò un mormorio. “Se ci sono domande, sparate. Non voglio che qualcuno se ne stia zitto adesso per poi tirare indietro il culo in un momento successivo. Quindi, date fiato alle bocche.” Il tono di voce di Red era quello di un comandante e nessuno la contestò.

“Capo, con tutto il rispetto,” iniziò David, ma distolse lo sguardo grattandosi la nuca, evidentemente imbarazzato. Guardò Trevor in cerca di aiuto.

“Quello che Keith sta cercando di dire,” gli giunse in assistenza il braccio destro di Red, “è che siamo preoccupati per te.” Il modo in cui Trevor riusciva a mettere le cose sul personale le dava i brividi. Però la rossa non era il tipo che si lasciava impietosire, né si tirava indietro quando c'era da rischiare la pellaccia. Lo sapevano. C'era un motivo se il suo braccio destro sosteneva la critica del collega. Dal momento in cui si erano conosciuti era innamorato di Red. La squadra lo sapeva, la Direttrice pure, ma lasciavano correre dato che il fatto non influenzava il suo rendimento. Una relazione tra i due non era praticamente possibile. Erano usciti insieme per un lungo periodo, ma il temperamento dominatore della rossa li aveva portati a scontrarsi più volte. I capi li fecero smettere, dando loro l'opportunità di scegliere tra la relazione o il lavoro. La donna scelse il lavoro. Trevor non sembrava serbarle rancore.

“Ragazzi, vi ho riunito qui per studiare un piano, non per discutere della decisione,” disse infine. Per quanto l'esperienza con il collega avesse lasciato il segno, Red non lo diede a vedere. Dopotutto il passato era passato. “Ci serve una strategia a prova di bomba. Allora non avrete di che preoccuparvi.”

Lo scopo del piano era attirare il Lupo abbastanza vicino alla rossa in modo da piazzargli un tracciatore addosso, ovviamente non rilevabile. Doveva essere inserito sottopelle da un ago sottilissimo, in modo che egli non se ne accorgesse.

“E' un suicidio,” aveva commentato Keith, chino sulla scrivania ad esaminare la mappa del terreno di scontro.

“La tua mancanza di fiducia nelle mie capacità mi conforta,” lo aveva rimbeccato Red, ottenendo di fargli abbassare lo sguardo. Erano passate diverse ore ed erano state elaborate molte idee. L'unica soluzione rimasta era quella.

“Certo, il rischio è alto, ma vale la candela,” affermò Trevor, caldamente. La sua fiducia nel capo era leggendaria. Contagiava il resto della squadra.

“Grazie Trevor,” disse Red rivolgendogli un accenno.

“Figurati, capo. Ma se qualcosa andasse storto, dobbiamo avere un piano di riserva.”

“Ovviamente.” Sul volto della rossa apparve un ghigno.

“Ah, ci avevi già pensato,” aggiunse Trevor.

“Elementare, Watson,” ribatté lei ironica. Chi lavorava con Red da sufficiente tempo, ovvero tutti tranne Kimberly, sapeva che la rossa aveva sempre un piano di riserva. L'ultimo acquisto della squadra era stato un ottimo investimento. Era una donna tosta e un'agente ancora migliore. Attualmente il gruppo capitanato da Red vantava il record di casi risolti in tutta l'Agenzia.

La riunione fu sciolta quando tutti i membri della squadra avevano chiaro il loro ruolo e lo svolgimento dei piani. Red si premurò di farlo recitare a memoria a ognuno di loro, li mise alla prova con domande a trabocchetto e a sorpresa. Alla fine si ritenne soddisfatta e inviò i dettagli alla sala strategica. Di comune accordo, i ragazzi della squadra si recarono in un pub in attesa dei preparativi. Per quanto riguarda il loro capo, li avrebbe raggiunti dopo aver consegnato il rapporto e fatto visita all'Inventore.

Un'anonima motocicletta gialla parcheggiò di fronte al The Old Shillelag. La tenda verde ripiegata sulla facciata dell'edificio in mattoni recava la stampa di un trifoglio. Tra l'altro nascondeva parte dell'entrata, costituita da un'ampia finestra e una porta, entrambe in legno. Il pub irlandese era uno dei luoghi di svago preferiti dal Lupo. Il francese smontò dal mezzo e si avvicinò, levandosi il casco. Lo passò sotto a un braccio si introdusse nel locale. Ormai era sera e le luci di Detroit costellavano la città, offuscando la luce delle stelle incastonate nel velluto nero del cielo.

All'interno l'odore stantio di birra e sudore saturava l'atmosfera. Jacques si levò un guanto e portò un polso al naso, schiarendosi la gola. Quel posto avrebbe di certo avuto bisogno di un impianto di riciclaggio dell'aria. Si diresse verso il bancone in legno, dove posò l'elmetto. Ordinò una birra al barista e si guardò attorno. Un gruppo di allegri compari stava ridendo e chiacchierando nell'angolo più remoto del locale alla sua destra. Accanto a loro una coppia meno confusionaria di fidanzati consumava una pinta ciascuno . Due uomini si stavano sfidando a freccette accanto alla finestra, al lato opposto. I dardi appuntiti colpivano il bersaglio suddiviso in cerchi concentrici con tonfi sordi. Sembravano quasi scandire il ritmo lento della serata. Più di una volta si scatenava qualche rissa in quel posto. Quella sera sembrava non essere una di quelle occasioni.

Il grosso bicchiere atterrò davanti a lui, colmo di liquido ambrato coperto di un generoso strato di schiuma. In quel momento la porta d'entrata si spalancò chiassosamente e l'uomo si voltò. La chioma rossa che incorniciava il volto chiaro e affilato della proprietaria gli parve passare alle spalle al rallentatore. Gli occhi verdi come lo smeraldo si alzarono e incrociarono i suoi. In essi aleggiava senza ombra di dubbio un animo indomito e una volontà adamantina. La donna indossava un paio di jeans neri molto attillati, stivali e giacca da motociclista come i suoi. Il modo in cui i capelli ondeggiavano a ogni suo passo gli fece pensare alle fate irlandesi. Anche se lei somigliava piuttosto a un'accattivante e provocante ninfa. Osservò affascinato la padrona di quello sguardo proseguire oltre e unirsi alla compagnia casinista in fondo al locale. Lui distolse lo sguardo e lo fissò sullo schermo televisivo in alto di fronte a sé. Solo una giornata prima, lui stesso aveva attentato alla vita di quella giovane donna. Sapeva chi era. Tramite un abile hacker aveva reperito informazioni su di lei. Tuttavia c'era qualcosa che gli faceva desiderare di conoscerla di persona. Non poteva equivocare il fremito sottopelle quando era nella stessa stanza con lei. Persino tentare di ucciderla era stato eccitante. Ovviamente non si era aspettato fosse facile, ma il suo fallimento lo aveva perplesso.

Il bicchiere di vetro spesso si sollevò e il contenuto alcolico scivolò nella gola del Lupo. La bevanda aveva perso un po' del gelo, mentre teneva la coppa nella mano ed era intento a scrutare la rossa. Si maledisse per la distrazione. Non poteva permettersela. Aveva atteso di far perdere le proprie tracce subito dopo il furto. Attirare la sua attenzione ora sarebbe stata una pessima mossa. I progetti che aveva rubato non erano completi. Qualcuno era stato furbo e ora gli stava facendo giocare a rimpiattino con gli altri pezzi. Si aggiungeva il suo cliente, il quale aspettava la consegna. La sua pazienza si stava assottigliando, si era espresso così durante l'ultima telefonata. Jacques aveva tentato di spiegarsi, inutilmente. Comunque, quell'incontro era la conferma che lei non conosceva la sua faccia. Il piano poteva procedere. Buttò giù l'ultimo sorso di birra e lasciò il locale.

Red guardò lo sconosciuto uscire dalla porta principale quando la risata di Trevor attirò la sua attenzione. Guardò lui, poi David e concluse che aveva fatto una battuta. Peccato la rossa fosse intenta a osservare quell'uomo invece di godersela. Aveva qualcosa di familiare, sebbene non riuscisse a capire cosa. Non era la prima volta che il suo istinto la metteva in guarda su un estraneo, perciò prese mentalmente nota del suo viso.

“Rossa!” Di nuovo Taylor. Red soffermò lo sguardo sul suo collega. “Hai finito di far lavorare quel cervello? Goditi la serata, vuoi?” esclamò l'altro con un'espressione canzonatoria. Si guadagnò un'alzata di sopracciglio.

“Stai dicendo che non mi so divertire?” domandò Red.

“Beh...” Lui si massaggiò il mento e le rivolse un gran sorriso. Al che la rossa si alzò spingendo la sedia all'indietro con le cosce.

“Ti sfido. Chi perde paga l'ultimo giro,” ribatté, indicandolo con un dito. “David, anche tu.” Il collega si lamentò e, mentre il loro capo si dirigeva verso il tavolo da biliardo nella sala accanto, sentì che si accapigliavano.

China sul tavolo, tra le mani la stecca e l'occhio fisso sulla palla nera, Red era consapevole che fosse l'ultimo tiro. Tanto quanto sapeva degli sguardi maschili della squadra fissi sul suo fondoschiena. Non c'era voluto più di mezz'ora per batterli. Ebbe un moto di compiacimento che espresse con un largo sorriso. Gli occhi di Kimbery, invece, scrutavano concentrati la numero otto. Un colpo e l'ultima palla fu in buca. La rossa si raddrizzò sensualmente e rivolse un sorriso vittorioso ai colleghi. Trevor fece una smorfia.

“Vedi, non ti sai divertire,” disse riponendo la propria stecca.

“Che vuoi dire?” s'informò Red, che accanto a lui faceva la stessa cosa.

“Che gusto c'è a vincere sempre?” borbottò l'altro. Lei gli rivolse un'occhiata colma di soddisfazione.

“Molto gusto. Adoro vincere,” gli ammiccò.

A mezzanotte, l'operativa salutava i colleghi e lasciava il locale. Si incamminò nel viottolo senza uscita per recuperare la moto, facendo un gran sbadiglio. Il suo regime di vita includeva poche di quelle serate. Di solito andava a dormire presto. Fu un attimo e una mano le premette sulla bocca, tappandole il naso. L'altra le aveva avvolto fulmineamente qualcosa al collo. Le sue mani si erano portate istintivamente attorno a quel laccio nel tentativo di evitare il soffocamento. Solo che ora la corda d'acciaio sottile le stava tranciando i palmi. Emise un gemito roco di dolore e girò su se stessa. In quel modo, la presa dell'aggressore non poteva impedirle la mossa. I due si ritrovarono faccia a faccia. Gli occhi smeraldini della rossa affondarono feroci in quelli olivastri dell'uomo. Il resto del volto era coperto da un passamontagna. Vi lesse un'espressione scontenta.

“Non sono così facile da uccidere,” gracchiò e si lanciò contro il suo viso, dandogli una testata al naso. L'uomo barcollò all'indietro, lasciando la presa quel tanto che permise alla rossa di liberarsi. Ripresosi dal colpo, l'aggressore scosse la testa e afferrò le due estremità del cavo con entrambe le mani. Red lo valutò con una rapida occhiata e si mise in guardia. Era ben piazzato e atletico sotto quella tenuta da combattimento tattica del colore della notte.

Lui l'aggredì con un calcio frontale, che la rossa scansò spostandosi di lato. Sfruttò la posizione scoperta dell'avversario per attaccarglisi al fianco e tempestargli il rene sinistro di montanti. L'uomo tentò di liberarsi con una gomitata, ma Red si fece piccola e gli rimase appiccicata al fianco. Allora egli fece per afferrarle le spalle con l'intenzione di scrollarsela di dosso, ma la donna scomparve dietro la sua schiena.

Il Lupo ebbe una sensazione urgente, una sorta di brivido lungo la schiena. Se l'attacco della rossa alle sue spalle avesse avuto successo non avrebbe avuto scampo. Si chiuse a riccio e piroettò, spazzando la gamba sinistra a livello del terreno. Vide i piedi calzati da stivali da motociclista scomparire dalla propria visuale per poi ricomparire e posarsi nuovamente a terra. Sfruttò il momento per balzare di lato e allontanarsi da quella tigre. Non era mai stato messo in difficoltà da una donna. Era sinceramente colpito, ma il suo orgoglio era troppo solido per sentirsi sconfitto. Anzi, moriva dalla voglia di vedere fino a dove sarebbe riuscita a spingersi. Scattò e con la coda dell'occhio vide l'espressione sconcertata della donna. Non si era aspettata quella mossa.

Red guardò il suo aggressore fuggire verso il fondo del vicolo. “Sul serio?!” sbottò, rimanendo al suo posto. “Scappi?!” gridò per farsi sentire. “E dove vorresti andare? La strada è a fondo...” La voce le morì in gola. Vide l'uomo balzare contro la parete, posarvi un piede e slanciarsi oltre la rete che separava il viottolo da quello adiacente. “Cazzo.” L'agente partì in quarta e si mise all'inseguimento.

“Ora mi tocca anche correre, dannazione!” imprecò mentre si arrampicava sulla rete. Non era agile come il suo avversario. Del resto non era una fottuta scimmia, nonostante le discrete capacità atletiche. Tallonò l'uomo di vicolo in vicolo, guadagnando terreno ogni minuto che passava.

Il Lupo se ne accorse e puntò un edificio altissimo. Dall'aspetto doveva essere un palazzo di uffici. Avevano raggiunto la zona industriale vicina al pub e la rossa non dava segno di stanchezza. Fu lieto di averla sottovalutata, poiché significava aver trovato un degno avversario. Tuttavia rischiava di far saltare la propria copertura prima del tempo. Così agguantò una grondaia e iniziò ad arrampicarsi.

Red frenò, lo sguardo rivolto verso l'alto. Quel maledetto si stava inerpicando sul palazzo come un ragno. “Che cazzo...?” borbottò. “Mi stai prendendo per il culo?!” sbottò e si guardò intorno in cerca di un'altra strada. Scattò e si issò su un cassonetto dal quale poi balzò per afferrare la scala antincendio. La fece scendere con uno strattone e cominciò la sua ascesa.

Pochi metri più in alto, il Lupo lasciò il cornicione e atterrò sulla stessa scala. Guardò in basso e vide la donna procedere come un fulmine e con cieca determinazione. Imprecò in francese e si lanciò anche lui su per le scale. Pochi minuti più tardi aveva raggiunto il tetto. Aveva il fiatone e si guardò alle spalle per controllare la posizione di Red. Era una rampa più in basso, pericolosamente vicina. Guardò il tetto di fronte a sé, una lunga distesa di cemento disseminata di tubi d'acciaio e camini. Era la sua unica speranza. Fece un ultimo scatto, il suo fisico non gliene avrebbe concessi altri. Per quanto fosse allenato, le sue energie si stavano esaurendo.

“Fermo, dannazione!” Girò la testa, mentre già correva. La donna era furiosa. sebbene rossa in faccia ed esausta quanto lui, non avrebbe mollato l'osso. Per quanto desiderasse sfuggirle, non avrebbe rischiato la propria vita. Una caduta da quell'altezza sarebbe stata fatale. Rallentò gradualmente il passo, si voltò... e guardò l'operativa.

Rimasero a studiarsi a vicenda, come due samurai che saggiassero la tecnica e la potenza del rispettivo avversario ancora prima di sfoderare la spada.

“Finalmente,” mormorò la rossa, ansimando. Si avvicinò lentamente all'avversario, come una belva approccia la sua preda. Dovette fare uno sforzo per non lasciarsi sviare da quegli occhi. Avevano un potere magnetico straordinario. Si mise in posizione di guardia e restò in attesa. Il ritmo del suo cuore e del respiro rallentavano pian piano e Red era decisa a dar loro tutto il tempo necessario. Più fiato aveva, maggiori erano le possibilità di vincere lo scontro imminente. “Posso aspettare anche tutta la notte,” disse con un sorriso.

Lui la scrutò da capo a piedi e capì che non avrebbe fatto la prima mossa. Meglio così. Aveva bisogno di tirare il fiato almeno quanto lei. Allora avrebbe potuto sconfiggerla. Certamente si era dimostrata più tosta di quanto avesse immaginato; ma nel corpo a corpo nessuno lo batteva.

L'attesa bruciava. Mentre la rossa sembrava completamente a suo agio e rilassata, il cuore del Lupo scalpitava nel suo petto come un animale furioso. Fu lui a vibrare il primo colpo. Fece partire un diretto in faccia a Red, che lo parò con una mano, togliendo contemporaneamente la testa dalla traiettoria di tiro e portandosi al suo fianco. Essendo lui più alto di lei di una ventina di centimetri, iniziò a martellargli di colpi il rene sinistro.

Il Lupo imprecò e si volse nella sua direzione, fingendo di colpirla con un gomito. Lei si abbassò flettendo le ginocchia mentre il pugno sinistro dell'uomo rischiava di colpirla in pieno viso. Ancora una volta, Red di scansò di lato, ma stavolta gli afferrò il polso e tentò di torcerglielo dietro la schiena. Anticipando la sua mossa, il Lupo irrigidì il bicipite, così la rossa mollò la presa.

Un kickboxer, concluse mentalmente la rossa, mentre l'altro portava il ginocchio verso l'alto. Lo guardò distendere velocemente e con slancio la gamba nella sua direzione, mirando ancora alla faccia. Ah no... Savate, si corresse, mentre schivava il colpo, piegandosi leggermente di lato. Sfruttò la posizione di equilibrio precario dell'avversario e gli afferrò la gamba. Se la bloccò sotto all'ascella e cominciò a tempestargli l'interno coscia con diretti rapidi e precisi.

Il Lupo ritirò l'arto strappandola dalla presa della donna. Prese le distanze, saltellando all'indietro e imprecando per il dolore. Scrollò l'arto per cercare di sciogliere il muscolo contratto, e la fissò rabbioso, sì, ma anche colpito. La rossa, agguerrita e furente come una stupenda dea della guerra, si stagliava contro cielo notturno e incombeva su di lui, apparentemente senza alcun desiderio di smettere di lottare fino a che lui non si fosse arreso. Una parte di lui avrebbe voluto farlo, sì, ma tra le sue cosce, sopra al suo letto e tra lenzuola di seta.

Red notò il modo in cui la stava guardando. Qualcosa le si mosse nel petto, una sensazione piacevole ed eccitante si liberò e scivolò verso il ventre. Presa alla sprovvista , distolse caparbiamente gli occhi da quelli oliva del Lupo. Una debolezza del genere era inconcepibile da parte sua. Doveva mettere fine a quel duello in fretta e consegnare il criminale all'Agenzia. Loro avrebbero saputo cosa farne.

Eseguì una finta e aggredì il suo avversario con un colpo singolo improvviso a sorpresa, messo a segno mentre il Lupo si stava spostando per correggere la distanza. Falso attacco di pugno al quale l'altro però non abboccò, rifilandole invece un calcio frontale al ginocchio destro. Red urlò di dolore e rabbia, accosciandosi a terra e stringendo le mani sulla parte colpita. Rimase immobile, in attesa che il dolore passasse. Il suo sguardo, saettò verso il ladro, che decise di approfittare della stasi per consegnarle un calcio in bocca. Immediatamente la rossa gli afferrò il piede con entrambe le mani e lo fece roteare verso sinistra con un contraccolpo. Il gesto costrinse l'uomo a piroettare su se stesso.

Ritrovandosi a saltellare su una gamba sola, dando le spalle all'operativa, il Lupo si rannicchiò e si gettò in avanti. Il suo corpo descrisse una capriola in aria e atterrò sul fondoschiena. Subito dopo si rimise in piedi, mentre la rossa faceva lo stesso. Quel bastardo le stava facendo perdere la pazienza, e le toglieva tutto il divertimento. Era ora di farla finita. Il ginocchio le faceva un male cane e questo alimentava la ferocia con cui si stava battendo. Lasciò che l'uomo attaccasse nuovamente, caricando un calcio rotante. Non gli permise nemmeno di cominciare la mossa. Quando lui iniziò la mossa, flettendo le ginocchia e girando su se stesso, Red gli conficcò un tallone nella schiena bassa con tutte le proprie forze. Colto di sorpresa e in equilibrio su una gamba sola, cadde di faccia con un verso soffocato. Mentre l'uomo attutiva la caduta con i palmi delle mani, Red approfittò per balzargli a cavalcioni sopra la schiena e gli ancorò un braccio e una gamba con una presa immobilizzante.

"Smetti di muoverti!" sibilò rabbiosa. A corto di mani, si chinò tentando di togliergli il cappuccio con i denti. Ora l'aveva proprio fatta incazzare. Tentò di sfilarglielo ma sembrava unito alla maglia, quindi desistette. Si rizzò e fece un profondo respiro, fissando il ladro che, stranamente, non si dibatteva. C'era tutto il tempo di identificarlo, una volta arrivati in Agenzia.

"Non puoi fermarmi," fece l'altro . Giaceva quieto con la testa voltata verso sinistra, una guancia schiacciata contro il cemento Red imprecò e gli intimò nuovamente di tacere, mentre assicurava la sua caviglia al polso opposto con una fascetta. Premette un pulsante sull'orologio, il quale un segnale alla squadra di recupero più vicina. Sarebbe arrivata a secondi, meditò l'agente tenendo d'occhio il Lupo.

"Lo sai chi era tuo padre?" domandò lui, insistendo.

"Sì, certo." ribatté la rossa. “Ma questo cosa centra?” Il suo sguardo spaziava nel cielo. "Non rispondere,” lo interruppe poi bruscamente. “Non sono qui per fare conversazione. Fammi il favore e chiudi la bocca, non ho tempo da perdere con te." La rossa non aveva mai conosciuto suo padre. Deceduto in un incidente stradale, ecco tutto ciò che sapeva, dal racconto di altri. Anche sua madre era perita in quell'occasione.

La stretta delle cosce toniche di Red si stava allentando, segno che era distratta. In quel momento, l'uomo si girò rapidamente sulla schiena.

"Cazzo, no!" la sentì urlare. Con un calcio della gamba libera scagliò la donna a un paio di metri di distanza. Rotolò su un fianco con il coltello appena estratto dallo stivale e tranciò di netto la fascetta che lo immobilizzava. Lanciò il pugnale verso Red, la quale si stava rimettendo in piedi, pronta a riprendere il criminale. La vide scartare di lato e sfruttò il momento per darsi alla fuga. Puntò il cornicione più vicino e si mise a correre verso di esso a perdifiato.

Se il Lupo fosse fuggito sarebbe stato un casino. Non poteva permetterselo. La spia sgambettò agile dietro a lui e allungò un braccio. Riuscì ad aggrapparsi alla sua giacca, ma così si ritrovò a essere trascinata dietro a lui. Mollò la presa quando colpì il bordo del parapetto con un piede.

“Sei pazzo!” sbraitò, allarmata. Vide il Lupo lasciarsi cadere nel vuoto. Si affrettò a guardare in basso e lo vide atterrare con una capriola su una terrazza pochi metri più in basso. Non tentò nemmeno di raggiungerlo o di inseguirlo. Rotolò sulla schiena e rimase sdraiata sull'asfalto. “Incredibile...” ansimò, sinceramente impressionata dalle abilità di quell'uomo. "Dannazione!" batté un pugno sul cemento. Voltò il capo proprio quando un ultraleggero a quattro pale si abbassava con un sibilo sopra la sua testa. Dalla sua pancia vomitò un nugolo di soldati armati fino ai denti.

"Dov'è il prigioniero?" domandò il capogruppo, la voce attutita dal microfono del casco.

"E' andato." Il tono di Red era rassegnato e stanco.

"Andato?"

"Sì, andato! Hai qualche problema?!" Red alzò la voce. Ne aveva abbastanza di tutte queste stronzate.

"Nossignore!" rispose l'altro, mettendosi sull'attenti.

“Bene. Ora riportatemi a casa,” mormorò Red e allungo una mano verso il sergente. L'agente annuii e la aiutò a rimettersi in piedi. Poi fece cenno ai compagni di rimontare sull'elicottero, che ritornò su in cielo senza un fragore con un ospite in più a bordo.

Quindici minuti più tardi, Red spalancò la porta dell'ufficio della direttrice. Si diresse alla scrivania con l'andatura di un bovaro, la giacca stretta in mano. Vide gli occhi della Nonna alzarsi dal rapporto che stava scrivendo e lasciò che la squadrasse dalla testa ai piedi.

“Hai un aspetto terribile.” La donna affermò l'ovvietà con tono neutro, quindi si rimise a scrivere.

“Lo so,” ribatté la giovane con irritazione. “E' ora di fare la nostra mossa.”

Il Cacciatore e Red giacevano proni. Armi alla mano e binocolo attaccato gli occhi, vigilavano e scorrevano minuziosamente ogni finestra e ogni anfratto visibile del prossimo obiettivo del Lupo. La seconda parte del progetto dell'arma a cui mirava era custodita in una cassaforte ritenuta impossibile da scassinare; ma data la piega degli eventi, l'Agenzia aveva ritenuto necessaria una sorveglianza extra.

Da settantadue ore i due agenti erano accampati nella zona, cambiando spesso punto d'osservazione per tenere d'occhio la struttura da ogni angolazione. Red aveva goduto di poche ore per riposare e ripulirsi. Dire che era esausta sarebbe significava minimizzare. Il giorno pranzavano al sacco, riforniti al volo da un drone comandato a distanza. La notte si alternavano ogni quattro ore, durante le quali uno dormiva e l'altra faceva la guardia. Al tramonto del secondo giorno, la rossa iniziò a credere di aver perso la battaglia.

“Probabilmente non verrà,” disse al collega. Sdraiata contro il parapetto, giocherellava distrattamente con il panino che aveva ridotto a pezzetti sopra una carta argentata.

“Cosa te lo fa pensare?” domandò il Cacciatore, senza staccare la faccia dal binocolo. Gli occhi verdi della donna si spostarono sull'orizzonte arrossato in cui il sole stava affondando. Un po' come la sua carriera in quel momento.

“Sono quasi tre giorni che aspettiamo. E di lui nessuna traccia.”

“Sembri quasi dispiaciuta.” Ora che glielo faceva notare, Red si accorse della verità di quell'affermazione.

“Voglio chiudere il caso. Ne ho abbastanza,” ammise senza remore. Allora Steel le lanciò un'occhiata significativa.

“Tutto qui?” A quell'interrogativo, lei alzò gli occhi. Incontrò quelli castani e profondi del collaboratore esterno e socchiuse i propri.

“Cosa vuoi dire?” Vide l'angolo della bocca dell'uomo sollevarsi a formare un sorriso storto. “Pensi che non sia in grado di riconoscere una sconfitta?” s'informò, cambiando posizione contro il parapetto dov'era seduta. Inclinò la testa e attese la sua risposta.

“Sono parole tue, non mie,” rispose l'altro, stringendosi nelle spalle con un certo divertimento.

“Lasciami stare,” mormorò l'altra. I suoni del traffico notturno lungo la statale a circa dieci chilometri di distanza erano un fruscio lontano a malapena udibile. In quella zona, specialmente a quell'ora, passavano ben poche macchine. Una sagoma apparve sul tetto dell'edificio, muovendosi rapidamente e senza far rumore. L'occhio esperto del Cacciatore lo colse attraverso l'ingrandimento dello strumento.

“E' il nostro uomo,” decretò. Simultaneamente, i due operativi si alzarono in piedi e si lanciarono nel vuoto.

Gli alianti hi-tech incorporati nei loro mini-zaini tattici si aprirono quasi all'istante, facendo scivolare le due figure sull'aria. Silenziosi e precisi, atterrarono sulla sommità dell'edificio a una cinquantina di metri di distanza dalla figura. Le ali fasulle si staccarono automaticamente non appena misero piede sul cemento, ricadendo a terra con un rumore plastico.

L'uomo era fermo in piedi, per metà voltato verso di loro. Sembrava un corridore alla linea di partenza. Gli agenti si lanciarono ad armi spianate verso il Lupo, lei con due Colt Double Eagle, una in ogni mano, e l'altro imbracciando un fucile automatico M16.

Quando li vide Le Loup sogghignò dietro al passamontagna. La rossa aveva accettato la sua sfida, lanciata quando le aveva lasciato quel biglietto nell'appartamento. Si lanciò in una corsa sostenuta verso il cornicione, guardando ogni tanto dietro di sé. Pallottole di due diversi calibri fischiavano accanto alle orecchie senza colpirlo. Mantenne l'andatura a zigzag vedendo il parapetto dell'edificio avvicinarsi rapidamente a ogni passo. Raggiuntolo, si lanciò a volo d'angelo oltre il bordo del tetto. Dietro di lui si aprì un paracadute. Ne afferrò le redini e iniziò a pilotarlo verso una finestra aperta del palazzo fatiscente di fronte. Red e il Cacciatore si arrestarono all'ultimo istante, osservando la loro preda distanziarli sulle ali del vento.

“Dannazione! Stiamogli addosso!” Red incoraggiò il collega e lo guardò annuire. Gli agenti imitarono il Lupo e lo seguirono a rotta di collo La rossa e il Cacciatore si librarono nell'aria grazie alle tute tattiche munite di membrane. Planarono e atterrarono nella stessa stanza in cui era entrato il ladro. Era vuota. Si guardarono l'un l'altro, quindi si misero a cercare segni del suo passaggio.

“Trovato qualcosa?” domandò Red dopo un minuto scarso.

“Sì,” rispose l'altro con un mugugno. Era accovacciato a terra, intento ad esaminare il parquet impolverato e sporco. Alzò la testa in direzione della stanza successiva e partì di corsa, imbracciando il fucile. Red lo imitò per tenersi al passo, ma qualcosa la trattenne per una spalla.

Il Lupo afferrò la rossa per le spalle e la trascinò nello stanzino accanto. Come previsto lei iniziò a dimenarsi tra le sue braccia, le quali però non accennavano a diminuire la morsa. Con quella donna ci voleva veramente del polso. La sbatté contro il muro e le tappò la bocca, infilando un ginocchio tra le sue gambe per immobilizzarla. Red urlò contro il suo palmo di lasciarla andare e tentò di morderlo.

Lui levò la mano di corsa.“Solo se mi prometti di startene buona per un secondo e ascoltare quello che ho da dire.” Lo sguardo d'odio della rossa si tramutò in sospetto e Jacques lo ritenne un buon segno. Fece un passo indietro, le mani alzate in segno di resa. “Non voglio farti del male,” esordì. “Anzi, in realtà ti ammiro. Nessuno mi è mai stato così addosso, né mi è arrivato così vicino in tutta la mia vita.”

Red strinse gli occhi. Ecco, il Lupo si sentiva minacciato e voleva trattare. “Cosa stai cercando di fare? Non rinuncerò a catturarti, se è questo che mi vuoi chiedere.” Parlò normalmente, come lui aveva chiesto. Era curiosa di vedere dove stava andando a parare. Vide farsi strada sul suo viso un sorriso sornione.

“Beh, sai come si dice. Se non li puoi battere, alleati con loro.S” L'uomo piantò le mani sui fianchi.“Se non riesco a ucciderti, devo provare sedurti.” La rossa sorrise suo malgrado e alzò gli occhi al cielo. “Dannazione, tu sì che hai una bella faccia tosta,” sospirò scuotendo la testa.

“Sì, lo ammetto,” commentò l'altro e si avvicinò di un passo. Lei si irrigidì e lui dovette notarlo, poiché si fermò. “Te lo ripeto. Non voglio farti del male.” Lo sguardo che le rivolse le rimescolò qualcosa dentro. Non avrebbe saputo dire cosa, ma il suo cervello stava sicuramente andando in una direzione pericolosa. “Non esiste,” sbottò. Si diede una spinta con il fondoschiena per allontanarsi dalla parete e si incamminò verso la porta socchiusa.

Quando vide che se ne stava andando, Le Loup la afferrò per un polso. “Non andare.” Bastò a fermarla. Riusciva a percepire la sua esitazione, il conflitto eterno tra mente e cuore. Era lo stesso che lo dilaniava da quando quella volpe sexy aveva iniziato a mettergli i bastoni tra le ruote.

“Ascolta,” fece lei girandosi nella sua direzione. Stranamente non sentiva il bisogno di liberarsi dalla presa. Quel contatto fisico le faceva piacere. Diede una bella scrollata alla testa. “Non sono così stupida da negare di provare una certa attrazione nei tuoi confronti,” la udì mormorare. C'era un bel ma in arrivo, grosso come una casa.

“Ma?” La anticipò. Lo smeraldo delle sue iridi lampeggiò in quelli del ladro. Nella semi-oscurità del posto parevano splendere di luce propria. “Ma la mia fedeltà va innanzitutto all'Agenzia per cui lavoro, alla quale ho dedicato la mia vita.” La voce era pacata e decisa.

Jacques mollò la presa e tornò ad alzare le mani. Indietreggiò guardandola e sul suo viso era evidente la delusione;. ma a quanto pare sapeva quand'era il momento di rassegnarsi. Red non lo degnò più di uno sguardo e lasciò la stanza, sebbene qualcosa la trattenesse. Aveva voglia di restare. Stavolta non fu fermata. Tuttavia la sensazione che si dibatteva nel suo petto la diceva lunga sul fatto che le sue parole e ciò che davvero provava erano in totale disaccordo.

“Finalmente!” esclamò Hudson. Aveva cercato la collega in tutto il dannato palazzo. Alla fine l'aveva trovata esattamente dove l'aveva lasciata. “Dove sei stata? Mi stavo preoccupando,” disse con sincerità e si avvicinò alla donna. Vedendo la sua espressione turbata, le mise una mano sulla spalla. “Tutto bene?” s'informò chinando il capo.

“Sì.” La risposta fu immediata. La giovane evitava il suo sguardo. “È andato. L'abbiamo perso.” Teneva le spalle curve.. Il Cacciatore era troppo esperto e acuto per lasciarsi sfuggire il quadro. Era successo qualcosa che la collega non voleva condividere. “Credo tu abbia bisogno di una pausa. Prenditi un giorno libero. Ti copro io.” Red alzò rapidamente la testa.

“No,” sentenziò caparbia. “Sto bene. Devo solo... riprendere respiro.” Ne aveva un gran bisogno. “Maledizione,” sbottò e si voltò, incamminandosi.

“Dove andiamo?” Steel la guardò allontanarsi. Poi la donna si voltò.

“In sede. Devo riportare un nuovo fallimento.” Le labbra piene si contorsero in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso sarcastico, ma al Cacciatore parve una smorfia.

Venti minuti più tardi, in sede, Hudson si offrì di fare rapporto al posto suo, cosa che Red apprezzò moltissimo. Tuttavia era sua la responsabilità del caso e non si sarebbe tirata indietro. Avrebbe dato alla Nonna la notizia che il ladro non era stato fermato. Si sarebbe presa la propria responsabilità e ne avrebbe subito le conseguenze. Per colpa della sua debolezza, il Lupo era libero. L'aveva avuto tra le mani e invece di metterlo k.o. e consegnarlo aveva fraternizzato con lui. Sarebbe stata una fortuna per lei non essere accusata di tradimento.

Ovviamente, la Nonna era furibonda. La rossa era rimasta sull'attenti, sorbendosi la rabbia del capo fino in fondo. Non aveva fatto una piega. Hudson, in piedi in fondo all'ufficio, ammirava la spina dorsale della ragazza, ma pensò che fosse giunta al capolinea. Giovane, addestrata fin da ragazza a combattere il crimine, le era mancato il tempo per vivere certe cose. Era normale che accadesse prima o poi. Per questo motivo lui non si era legato ufficialmente ad alcuna organizzazione. Tranne in tarda età, quando siglò la collaborazione come esterno con la G.R.A.N.M.A. Naturalmente avrebbe fatto del suo meglio per supportare la collega e salvarle il culo. Era una brava fanciulla, alla fine.

Red non subì la pena che aveva previsto. Non venne accusata di tradimento ma si beccò una bella sospensione. Per sei mesi. Prima però avrebbe dovuto collaborare alla chiusura del caso. La Nonna diede l'ordine di mobilitare l'intera rete di informatori e scoprire quando sarebbe avvenuta la consegna dei progetti rubati. La rossa venne mandata a casa a ripulirsi e riposarsi, con un paio di ore libere a disposizione per distrarre la mente. Quando sarebbe stata richiamata, doveva essere nel pieno delle sue facoltà.


 


 

L'aria era satura di umidità come al solito a Detroit. Ruby McLane passeggiava per il centro abbigliata come una qualsiasi donna civile. Vedendola in jeans attillati, stivali fino al ginocchio e coprispalle a mo' di poncho, nessuno avrebbe sospettato fosse un agente segreto. Il suo nome era stato scelto dalla madre quando l'infermiera le aveva messo tra le braccia un fagottino dal ciuffo rosso. Questo tratto l'aveva acquisito decisamente dalla madre, fulva di capelli anche lei e originaria della Scozia. Il carattere autoritario invece proveniva dal padre texano, egli stesso noto agente della G.R.A.N.M.A. fino alla sua morte. Tuttavia queste informazioni erano attentamente custodite in un luogo segreto, al quale Red non avrebbe mai avuto accesso.

Passeggiava serena lungo Lafayette St, diretta al bar più vicino. L'intenzione era quella di farsi un bel cappuccino con tanta schiuma, quindi raggiungere il parco omonimo. Lì si sarebbe goduta in pace una delle sue letture preferite, un vecchio romanzo di fantascienza. Iniziò a insinuarsi in lei una spiacevole sensazione sottile, quella di essere osservata. Si guardò intorno, cercandone il responsabile. Si girò verso la folla alle proprie spalle I passanti deviarono e le passarono accanto senza prestarle attenzione. Un uomo anziano dall'aria anonima e il viso smunto, le orbite incavate caratteristiche della vecchiaia intrisa di malanni fissava il vuoto davanti a sé e camminava con passo misurato. Ruby distolse lo sguardo solo per scorgere un viso familiare tra la gente e vederlo scomparire subito dopo. Sistemò la tracolla della borsa sulla spalla. Chiuse brevemente gli occhi e si concentrò per rilassarsi.

“Va tutto bene,” mormorò tra sé, ma quando riaprì gli occhi, questi saettavano da un viso all'altro alla ricerca del sospetto. Non poteva essersi sbagliata. Il suo colpo d'occhio era infallibile. Con il passare dei minuti, la tensione calò, ma l'impressione di essere seguita non fece lo stesso. Si voltò di scatto una sola volta ancora. I lunghi capelli rossi le finirono sul viso spinti dalla brezza. La strada era sgombra. Altri passanti le scivolarono accanto, qualcuno la guardò con aria interrogativa. In quel momento doveva apparire stupida. Girò su se stessa e tornò a camminare verso la propria destinazione.

Red Hood non era il suo vero nome. La sua identità era coperta da segreto ai più alti livelli. Offertasi all'organizzazione a vent'anni di sua spontanea volontà, era cresciuta addestrandosi, combattendo e conducendo indagini. In pratica non aveva mai avuto una vita sua.

La rossa fece una nuova piroetta su se stessa. Questa volta aveva scorto un guizzo. Una sagoma di cui non era riuscita a scorgere i dettagli. Essa si era appena infilata in un vicolo adiacente. Era la conferma che aspettava. Non perse tempo e decise di tendere un tranello al suo stesso inseguitore. Raggiunse il Detroiter Bar ed entrò.

Prese posto ad un tavolo vicino all'ingresso e si sedette rivolta verso di esso. Così avrebbe potuto vederlo passare. Non credeva avrebbe sparato o causato scompiglio in pubblico. Era un ladro, non un assassino. Una cameriera ben vestita si accostò e le chiese con voce soave cosa desiderasse ordinare. Ruby ordinò un cappuccino con molta schiuma e attese. Si aspettava di veder passare l'uomo davanti al locale. Scommise con se stessa che avrebbe atteso finché non fosse uscita. e non vedendola, si sarebbe ritirato. Incontrare il Lupo un'altra volta faccia a faccia era l'ultima cosa che le serviva. Il solo pensiero le metteva ansia. Aveva guai sufficienti al momento.

La bevanda calda arrivò di lì a un paio di minuti. Red lasciò una generosa mancia alla commessa. Infilò le dita nella coda della scodella per portarla alle labbra e gustò a occhi socchiusi un sorso cremoso. Bastò per spazzare via il suo disagio. Lo sguardo vagava pigramente fuori dal locale attraverso la vetrata anteriore Forniva una generosa visione dell'ambiente esterno pur isolando dai rumori. La donna aveva scelto una posizione strategica, dato che alle spalle dell'operativa si trovava una parete. Nessuno l'avrebbe potuta cogliere di sorpresa. Quando inquadrò l'entrata, il tempo parve decelerare gradualmente e poi procedere a rallentatore.

Un uomo sui trent'anni dai lineamenti familiari si avvicinò alle porte del locale a passo svelto e deciso. Le ante si aprirono con un sibilo ed egli marciò confidente verso la rossa. Red sollevò lentamente un sopracciglio. L'aveva riconosciuto immediatamente. Il cuore le balzò in gola e il sorso rimase bloccato lì. Il Lupo si fermò davanti a lei, il portamento disinvolto e sicuro. Sul suo viso torreggiava un sorriso sfacciato e le iridi oliva luccicavano di malizia.

"Posso accomodarmi?" finalmente la donna riuscì a deglutire con un po' di sforzo e fece un cenno vago con la mano.

“Ma certo.” Scivolò più in basso sulla sedia e incastrò un braccio sotto al seno. In silenzio, lo fissava sottecchi.. L'uomo si rivolse alla cameriera che aveva servito Red. Ordinò un caffè liscio, nero. La spia osservò la scena affascinata dal modo in cui la donna flirtava con lui, maneggiando la folta chioma scura. Per un'istante la cosa le diede fastidio, ma si guardò bene dal mostrarlo.

Il Lupo si accorse dell'aria contrariata della rossa grazie a una variazione quasi impercettibile nella sua espressione. Era un esperto nel leggere le emozioni sul viso delle persone. si Sorrise trionfante alla sua cacciatrice. quindi prese la mano della cameriera e la ringraziò con un bacio da gentiluomo. Guardò la donna bruna andarsene via tutta eccitata, quindi rivolse l'attenzione alla rossa davanti a sé, consapevole del fatto che stava ribollendo."Come va?" Le sorrise come se niente fosse e appoggiò i gomiti sul tavolo. “Ho sentito che qui fanno un ottimo caffè.”

Ruby lo fulminò con lo sguardo e accavallò le gambe in modo sensuale nell'altro senso. Ormai aveva compreso che LeLoup intendeva sedurla seriamente. L'avrebbe ripagato con la sua stessa moneta e al momento giusto l'avrebbe incastrato. "E' vero," rispose monosillabica,. Lo guardò intensamente, tentando di penetrare nella sua mente e carpire anche solo un vago indizio dei suoi pensieri. Di solito era brava a capire cosa pensava la gente. Lui sembrava completamente a suo agio ed era convinto di poter fare breccia. Quando la commessa tornò, il viso ancora arrossato dall'emozione, il Lupo non la degnò di uno sguardo. Red sorrise maliziosa e si sentì soddisfatta. I due si studiarono attentamente per un lungo momento. Lei lo osservò portare la tazzina alle labbra sottili e rosee e si sorprese a umettare le proprie. Nel linguaggio del corpo significava una sola cosa.

L'uomo lasciò vagare lo sguardo sul corpo della rossa. Dall'incavo dei seni esibito dalla profonda scollatura, scese verso il basso, dove il suo corpo scompariva sotto al tavolo e accendeva la sua fantasia. Sorrise quando la vide sistemarsi meglio sulla sedia. Conferma il suo successo. Il desiderio di lei palpitava senza vergogna nei pantaloni e lui non fece nulla per nasconderlo.

Quando tornò cocciutamente a sfidare il Lupo con gli occhi, Red sentiva il viso in fiamme. Soffocava sotto al poncho e avrebbe dato qualunque cosa per una doccia fredda. Però mantenere il contatto visivo e quindi il dominio sulla situazione era prioritario. Almeno questo è ciò che ripeteva a se stessa. Ormai aveva perso il conto dei propri battiti e iniziava a sudare. Se solo avesse avuto una pistola alla mano! Un buco in testa avrebbe messo fine a quell'atroce duello. La rossa preferiva di gran lunga sparare e poi parlare. Si mosse a disagio sulla sedia, provando tra le cosce una sensazione sopita da tempo.

"Ora devo andare." fece lui. Red sbatte le palpebre con aria confusa. Non voleva che se ne andasse. Si morse un labbro per non replicare. Lui si alzò e lasciò delle banconote sul tavolo. Si allungò verso la donna e le sussurrò all'orecchio. “È stato un vero piacere.” Ruby sentì qualcosa che si disfaceva e poi esplodeva in lei. Lui si scostò sorridendo. Si voltò, rapido e sicuro come era arrivato, e se ne andò. Le porte d'ingresso si richiusero alle sue spalle, lasciando la rossa a guardare il vuoto come un'ebete.

Mentre percorreva la distanza che lo separava dalla sua prossima destinazione, un sorriso compiaciuto allargava le sue labbra. Rivedeva la faccia di Red nella propria mente. Scacco, e anche matto avrebbe osato dire Riuscendo a farle ribollire il sangue aveva segnato un punto sul tabellone. Era chiaro che la rossa non avesse rapporti sessuali con un uomo da un po'. Dopo aver soddisfatto quel bisogno, avrebbe fatto scattare la sua trappola.

Red rimase come una rimbecillita a guardarlo andar via, con una voce dentro che le gridava di non lasciarlo andare, di rincorrerlo e sbatterlo al muro nel vicolo più vicino. Nel petto una voce ruggiva per la frustrazione. il Lupo si stava prendendo gioco di lei e la cosa peggiore era che le piaceva. Quel gioco la stimolava oltre ogni immaginazione, meglio della missione più pericolosa. In quell'istante, la rossa si pentì amaramente di aver scelto l'astinenza. I suoi ormoni femminili l'avrebbero cacciata in un brutto guaio. C'era un solo rimedio.

Trevor viveva su una barca di cinque metri attraccata al porticciolo di Worthy Marine, un tempo meta turistica dei visitatori. Suo nonno aveva condotto un'attività di giri panoramici in barca lungo il fiume per ben vent'anni. Il padre l'aveva ereditata e mantenuta, ma il figlio Taylor non era mai stato il tipo da mandare avanti un'azienda. Deludendo il genitore deceduto anni addietro, aveva intrapreso la carriera militare. Il sottoposto di Red era stato un Marine, fino al momento in cui la G.R.A.N.M.A aveva notato le sue capacità e deciso di integrarlo nell'organico. Aveva ereditato quella vecchia bagnarola e aveva speso molti dei suoi risparmi per metterla a nuovo. Red aveva partecipato ai lavori e gli aveva procurato pezzi introvabili sfruttando i propri contatti nel mercato nero. Invece di andare al parco, la rossa raggiunse il molo in circa mezz'ora, prendendo la metro e percorrendo a piedi un tratto di strada. Trovò il suo braccio destro intento a ingurgitare un'incredibile quantità d'acqua da una bottiglietta da mezzo litro. “Mi sono sempre domandata come fai a berla tutta in una volta,” disse avvicinandosi all'uomo. Era a torso nudo e indossava un paio di shorts di jeans e scarpe da ginnastica, la sua tenuta da corsa.. La pelle era ricoperta da una leggera patina d'olio mista a sudore. Red l'aveva visto un sacco di volte spalmarsi di protezione solare e uscire a fare jogging sul lungo fiume. Incontrò il suo sguardo sorpreso e lo salutò con un cenno del capo.

“Come mai da queste parti?” ribatté lui. Richiuse il contenitore e andò incontro alla donna. Il suoi splendidi occhi verdi lo guardarono dal basso in alto e Trevor si sentì un gigante accanto a lei. La superava di almeno una trentina di centimetri. Da quando la conosceva provava un'inspiegabile istinto di protezione nei suoi confronti. Il fatto che la rossa si mettesse spesso in situazioni ad alto rischio lo teneva sempre sull'attenti. Red era una donna con un alto bisogno di stimoli e un pessimo carattere. Per questo l'amava, ma per lo stesso motivo non aveva funzionato tra loro. Lui voleva una vita tranquilla. Lei no. Le cinse le spalle con un grosso braccio. “Vieni, ti offro da bere.” Red gli sorrise e si lasciò accompagnare dentro.

L'interno era un vero e proprio salotto. Tutto era rimasto come Red lo ricordava. Lungo le pareti correvano i divanetti beige, disseminati di cuscini. In fondo alla stanza, il mobile bar riempiva lo spazio tra le due porte. Quella di sinistra conduceva alla cabina di guida. L'altra portava alla camera da letto e il bagno, site sul ponte inferiore. Uno strano senso di malinconia si impossessò di lei. Quante volte i due si erano ritrovati a fare l'amore su quei mobili, ovunque ci fosse spazio? Com'era possibile che due persone come loro non fossero riuscite a rimanere insieme? Sospirò e raggiunse il suo ex. Scivolò sopra lo sgabello cromato.

“Non fare quella faccia.” Trevor si infilò dall'altra parte del bancone e prese una bottiglia di Gosling's, un rum ricco, morbido e pieno di corpo prodotto alle Bermuda. Versò due shot nei bicchierini appositi e ne prese uno. Buttò giù il proprio prima che Red si decidesse a guardare il suo. “Cos'hai? Sei strana,” la incalzò. Il suo silenzio lo metteva a disagio. Di solito si apriva senza problemi, nel confidargli i suoi problemi. Doveva trattarsi di qualcosa di grave. Trascinò uno sgabello tra le proprie gambe e sedette di fronte alla donna. Poggiò una mano sulla sua, cercando i suoi occhi. “Qualsiasi cosa sia la possiamo risolvere. Lo sai questo, vero?”

La rossa si decise a incontrare lo sguardo di Trevor. Era colpa della sua voce; le scendeva sempre in profondità. Rilasciò un sospiro, ma l'inquietudine di cui era preda non voleva mollare la presa. Intrecciò le dita alle sue come faceva una volta, quando ancora stavano insieme. Oltre alla voce, vide addolcirsi anche l'espressione dell'amico. “Ho un grosso problema. Io...” Come faceva a dirglielo? Improvvisamente si rese conto di non potergli chiedere quello per cui si era recata a casa sua. Lo guardò ammutolita. “Non posso. Non posso chiederti una cosa del genere,” mormorò, buttò giù il drink e si incamminò verso il retro della barca.

Taylor la guardò, grattandosi la testa. “Red! Aspetta!” svicolò da dietro il mobile e la inseguì. La raggiunse nel momento in cui si fermò in mezzo alla stanza. Le girò attorno e strinse le sue spalle esili tra le mani. “Qualsiasi cosa. Lo sai.” Il viso pallido della rossa si alzò e i suoi occhi grandi lo guardarono. Faceva male ogni volta, talmente erano belli. Per un istante si scordò il motivo per il quale non aveva funzionato. Scosse la testa, socchiudendo le palpebre, per risvegliarsi da quell'incantesimo, ma si sentì afferrare i polsi.

Red abbassò le mani del collega e lo fissò negli occhi. “No, questo non posso chiedertelo.” Una smorfia contrariata si formò sul bel viso dalla mascella forte. “Allora perché diamine sei venuta?!” sbottò. “Sono stanco dei tuoi giochi, Ruby!” Ecco, lo aveva fatto incazzare. Solo quando erano in intimità o in altre poche occasioni usava il suo nome vero. Lui le passò accanto diretto verso la cabina e lei sospirò, mogia. “Non lo so,” mormorò voltandosi lentamente per seguirlo.” Sul momento sembrava una buona idea. Poi mi sono resa conto che è una stronzata.” Alzo lo sguardo in cerca del suo. “Non voglio spezzarti il cuore. Non di nuovo.” Non era necessario che si voltasse per sapere che Trevor stava armeggiando nervosamente con una bottiglia di birra. Lui la guardò, scoppiando a ridere. “Non mi hai spezzato il cuore,” disse con un sorriso sulle labbra e strappò il tappo. “Invece sì.” Red sorrise di rimando e lo guardò bere a collo. “Non lo puoi più fare,” disse lui tergendosi la bocca con l'avambraccio.

L'uomo fece cadere il tappo nel cestino della spazzatura, quindi ne richiuse l'anta con il ginocchio. La grande mano stretta intorno al collo della Heineken, andò a poppa, dove si accomodò su una sdraio. Ignorò appositamente il suo caposquadra e lasciò vagare lo sguardo sull'oceano. Lo distendeva. Poco dopo udì i passi della donna raggiungere la sua posizione. Non la degnò di attenzione. “Allora lo faresti?” La domanda lo incuriosì. Guardò Red.

La rossa sedette sul bordo della sdraio accanto e resse il suo sguardo. Leggeva l'interrogativo sul suo volto, ma attese ancora prima di svelargli il motivo per il quale era lì. Non più per incertezza. Si stava gustando l'attesa. “Voglio venire a letto con te. Ne ho bisogno.” Una mano affusolata scorse sull'interno coscia dell'uomo risvegliandone la virilità. Quella grande di lui la fermò di colpo. L'incredulità del suo ex era palese. Lei gli sorrise, confermando la serietà delle sue intenzioni.

Il moto di divertimento dell'uomo durò una manciata di secondi. Quindi si tramutò in perplessità, per lasciare in seguito posto al dubbio. Il tutto successe nell'arco di un minuto, durante il quale analizzò l'espressione della rossa. “Cazzo.” Le afferrò i fianchi e se la piazzò a cavalcioni su di sé. La borsa della donna cadde con un tonfo, ma venne ignorata. Entrambi si adoperarono per levarle il poncho poi le aprì la camicetta facendo saltare i bottoni.

Le sue mani sul seno la spinsero a incarcarsi contro di esse in preda a un brivido caldo. Red gemette e iniziò a strofinarsi contro l'inguine rigido di Trevor. Lui le afferrò le natiche subito dopo per premersela addosso. Aveva il respiro pesante. La voglia crebbe in lei che si sporse per addentargli una spalla. Sorrise quando udì il suo breve gemito e le sue dita insinuarsi tra le cosce. Quando raggiunsero il suo fulcro non capì più niente.

Solo una decina di minuti dopo era avvinghiata con le gambe alla vita del suo ex, nella camera da letto al piano inferiore. Si inarcava contro la sua bocca famelica, ansimando e gemendo, mentre le mani maschili liberarono rudemente ogni centimetro della sua pelle per poi possederla con la lingua. Dio, non provava quella sensazione da quando si erano mollati. Adesso le sembrava di scoppiare. Non importava più nulla, né la stanza chela circondava, né i problemi a lavoro, tutto quanto spariva nel buco nero della passione. Quando le sue labbra si strinsero attorno a un capezzolo rigido, non trattenne un grido roco.

Aprì gli occhi, ridestandosi dal sonno comatoso in cui era sprofondato. Sbatté le palpebre per schiarire la vista e riscontrò di essere in camera da letto. I ricordi di quella notte precipitarono nella sua mente sgombra. Girò la testa e guardò al proprio fianco. Le lenzuola erano spiegazzate come se vi fosse passato un tornado. I cuscini erano allo sbando, per non parlare degli abiti. Sembrava che qualcuno li avesse infilati in un cannone per poi spararli nella stanza. Imprecò, si passò una mano sul viso e andò in bagno a farsi una doccia.

Quando si era risvegliata accanto a Trevor, profondamente addormentato, Red si era commossa. Era così bello, le palpebre abbassate sopra gli occhi turchese e il volto disteso. Sembrava pacifico. I globi si muovevano a scatto in senso orizzontale. Chissà cosa stava sognando. Non era rimasta ad aspettare che si svegliasse. L'ultima cosa che le serviva era che il suo ex si illudesse. Doveva prenderla per quello che era, una botta e via. Mentre lui dormiva, si era fatta una doccia, rivestita ed era salita al ponte di sopra. Aveva sorriso nell'attraversare il soggiorno messo a soqquadro ed era uscita nell'aria umida della sera. Il sole era tramontato. Non c'erano state smancerie tra loro, solo puro e sano sesso. Avrebbe dovuto farlo più spesso, dopo la loro rottura. In quel modo non si sarebbe lasciata tentare di nuovo. Trovare un altro partner non era facile, con le restrizioni imposte dall'Agenzia. Raggiunse casa propria nel momento in cui il messaggio dell'intelligence arrivò al suo telefono cellulare. Avevano trovato il Lupo. Sì, ma prima lui aveva trovato lei. Sospirò. Una notte di gloria e già si ripiombava nel presente.

Un informatore era riuscito a scovare un identikit approssimativo del criminale. Con l'aiuto di un software avanzato, lo staff aveva ricostruito i lineamenti mancanti. Infine aveva inserito l'immagine nel programma di riconoscimento facciale e lo aveva collegato alla rete informatica della città. Telecamere, video di sorveglianza e altri media, inclusi smartphone civili erano stati scannerizzati alla ricerca di quel volto. Infine, il risultato era arrivato. Se solo avessero saputo che la loro operativa numero uno conosceva fin troppo bene quel viso...

La consegna dei progetti da parte del Lupo al suo cliente sarebbe avvenuta a mezzogiorno nel parcheggio tra la Poe e la Pallister Ave. Il luogo era circondato da alcune case basse nascoste dagli alberi dei viali a sud, est e nord. A ovest, oltre la strada, un palazzo torreggiava su un altro posteggio. Red e la sua squadra erano appostati Là sopra. Armati fino ai denti , attendevano. La tensione era palpabile. Le squadre di supporto della G.R.A.N.M.A. avevano preso posto nelle case private a nord e a sud, sfollando i civili con una scusa di copertura. Dispositivi di riconoscimento facciale e per l'ascolto a distanza erano stati piazzati nelle case e sul tetto del palazzo. Erano certi che stavolta il criminale e il suo mandante non sarebbero sfuggiti. Red era sdraiata sull'asfalto da ore, l'occhio destro attaccato al mirino del fucile. Trevor si era offerto più volte di darle il cambio, ma era stato come parlare a un muro. Alla fine aveva desistito e si era piazzato accanto a lei con un cannocchiale. Due paia d'occhi facevano un lavoro migliore di uno. Ogni tanto lanciava un'occhiata ansiosa alla collega, domandandosi a cosa stesse pensando. Sembrava davvero determinata a catturare quel tipo. Più il caso si era fatto ostico, maggiore si era fatta la sua decisione nell'affrontare la situazione. Ammirava quel tipo di atteggiamento, tuttavia non poteva fare a meno di chiedersi se ci fosse qualcos'altro dietro. Per non parlare di quanto era successo la sera prima... “Signori. Eccolo.” La voce della rossa interruppe i suoi pensieri. Guardò dal cannocchiale.

Jacques sedeva nell'auto mimetizzata in mezzo alle altre, sul limitare nord del parcheggio. Giocherellava stancamente con il suo cellulare stealth, facendolo saltellare nel palmo della mano. Odiava aspettare, ma poteva solo sperare che il cliente fosse puntuale. Con le telefonate lo era sempre stato. Il telefono irrintracciabile piombò un'ultima volta prima che lo sguardo del proprietario si volgesse verso una berlina anonima bianca che faceva ingresso dall'entrata principale. “Finalmente,” sospirò di sollievo, ma non scese. Gli ordini erano precisi. Doveva attendere che l'auto raggiungesse la sua posizione. Un addetto avrebbe effettuato lo scambio dei progetti con l'ammontare della somma richiesta da lui. Quindi avrebbe aspettato che il mandante se ne fosse andato per lasciare anche lui il luogo. Secondo il Lupo tutte le precauzioni erano inutili. Era stato attento a non lasciare tracce. Nonostante la volpe rossa lo tenesse sott'occhio come una pulce al microscopio, non l'avrebbe catturato. Dell'incolumità del suo cliente si era occupato lui stesso, fornendogli i mezzi per diventare impossibile da rintracciare o da seguire. Cosa poteva andare storto? Eppure aveva una strana sensazione.

Come pattuito, un uomo in borghese si avvicinò al suo finestrino con una busta in mano. LeLoup recuperò quella sul sedile del passeggero e la porse. Ritirò il malloppo e rimase immobile. Nello specchio retrovisore seguì i movimenti del corriere. Lo vide salire a bordo della berlina e chiudere la portiera. All'interno era buio pesto. I vetri erano oscurati. Tanto bastava per insospettire qualcuno. Scosse la testa e sorrise divertito. Lui aveva scelto un'auto di seconda mano scassata. Chi avrebbe sospettato che a bordo ci fosse un ladro? Indossava una semplice tenuta casual come qualunque altro abitante di Detroit. Se c'era qualcuno che dava nell'occhio era proprio il suo cliente.

“Ora. Seguite l'auto bianca.” A quell'ordine impartito da Red via auricolare alle squadre appostate nella case, gli agenti in tenuta antisommossa si riversarono nei giardini come una macchia nera di petrolio. La Jaguar accelerò sgommando in direzione ovest, ma ganasce magnetiche vennero sparate alle gomme. Queste si inchiodarono all'istante facendo sbandare il veicolo. Le squadre lo accerchiarono e intimarono agli occupanti di uscire con le mani in alto.

Jacques assisté alla scena dal proprio posto di guida, gli occhi spalancati per lo sconcerto. Com'era possibile?! Aveva preso tutte le precauzioni possibili e nessuno conosceva il suo volto. Era praticamente impossibile che avessero scoperto il luogo dell'incontro. Imprecò, colpendo il volante, che vibrò contrariato. “Red,” ghignò a denti stretti. Lei lo aveva tradito. O meglio era stato lui a palesarsi tanto stupidamente. Quella donna gli aveva fuso il cervello. Si preparò per fare retromarcia, ma un tonfo attirò la sua attenzione sul cofano dell'auto. Gli occhi di smeraldo della volpe rossa lo fissavano glaciali. Quindi sedurla non era servito. L'aveva incastrato. Bene, ma non l'avrebbe mai catturato. Le sorrise sornione, sganciò la cintura e sollevò le braccia mentre precipitava nella botola aperta sotto di sé.

“No!” ruggì la rossa, premendo le mani sul parabrezza. Scese dal cofano e si precipitò a spalancare la portiera. Guardò in basso e vide un lungo canale che finiva nelle fogne. Il Lupo si era costruito una via di fuga proprio sotto al sedere attraverso un tombino. Doveva seguirlo. Udì solo una cacofonia di voci eccitate dietro di sé, quando fece un balzo e si lasciò cadere di piedi nel foro. Ammortizzò la caduta flettendo le ginocchia e con la coda dell'occhio scorse un'ombra svoltare a destra, dove il canale di scolo faceva un angolo. Se fosse servito a qualcosa, avrebbe gridato al fuggitivo di fermarsi. Era stufa marcia di corrergli dietro. Invece strinse i denti e si lanciò in una corsa feroce.

Jacques voltò la testa di scatto per guardarsi alle spalle. Quella donna cocciuta gli stava alle calcagna. Imprecò tra gli ansiti e fece uno sprint. Doveva seminarla in modo da poter raggiungere il rifugio sul fiume. Altre voci distanti provenivano dai corridoi puzzolenti che si lasciava alle spalle. Doveva trattarsi dei colleghi di Red, pronti a tendergli una trappola. Grazie al GPS incorporato nell'orologio da polso al proprio udito addestrato, però, riusciva a determinarne la posizione.

“Fermo.” Kimberly lo disse con decisione e profonda soddisfazione. Finalmente aveva trovato il bastardo. “Non muoverti,” ordinò rimarcando la prima parola. “Ti piazzo una pallottola in testa se lo fai. Abbiamo il tuo mandante, tu non servi a niente,” sogghignò spietata. Infilò una mano dietro la schiena per prendere le fascette. Però fissava il criminale che aveva il cappuccio della felpa sollevato sopra la testa, e lo vide alzare le mani. “Lentamente!” intimò, mantenendo la sua Colt 1911 semiautomatica fissa sul bersaglio. L'uomo fermò il gesto, quindi riprese con lentezza. “Bene... così... L'ho preso!” annunciò al microfono integrato nell'auricolare.

Trevor procedeva lungo i cunicoli delle fogne, il fucile M16 fermo contro la spalla e davanti al viso. Si muoveva con l'andatura di un predatore a caccia. Quando la voce della collega raggiunse il suo apparecchio guardò lo schermo LCD dell'orologio. Due piccoli pallini rossi pulsavano nella galleria parallela a quella in cui si trovava. “Localizzati. Sto arrivando,” e si mosse svelto nella galleria di fronte a sé. Svoltò l'angolo. L'uomo era di schiena, le mani alzate, e indossava una giacca logora e jeans larghi. Chiunque avrebbe potuto scambiarlo per uno dei vagabondi di cui erano spesso piene le fogne. Accadde così in fretta che in un primo istante Taylor rimase a guardare la scena a bocca aperta.

Jacques sollevò il ginocchio mancino e si slanciò verso il muro alla propria sinistra. Poggiò la punta del piede contro il cemento armato e balzò verso la parete opposta. Ammortizzò il colpo con le mani e le usò insieme alla punta del piede destro per balzare come un animale verso l'angolo del corridoio. Udì quattro proiettili sibilare pericolosamente vicini, per poi colpire il muro. Rifece la mossa, quindi si lanciò oltre l'angolo.

“Dannazione!” Kimberly avanzò di corsa, dopo aver visto gli spari andare a vuoto. Inseguì il criminale, seguita da Trevor con un po' di ritardo. Svoltò a destra solo per veder sparire LeLoup dietro un altro angolo. “Fermati, figlio di puttana!” urlò, e la sua voce riecheggiò tra le pareti ricoperte di muschio. Svoltò al momento giusto per vedere il fuggitivo inerpicarsi leggero sulla scalinata che conduceva all'aperto. Fece uno sprint, ma quando uscì venne accecata dal contrasto della luce esterna con la penombra delle fogne. Chiuse gli occhi d'istinto e si portò un braccio al viso.

Quando Trevor la raggiunse, Jacques era ormai scomparso. Il collega si guardò attorno e identificò il luogo dov'erano finiti. Erano in un canale ormai in disuso del fiume Rouge. Il letto di quel tratto del fiume era stato cementato una cinquantina d'anni prima. Sopra di esso era stato costruito un ponte di collegamento tra la Schaefer e la Miller Rd che procedevano parallele a millesettecento metri l'una dall'altra. Trevor sospirò. “Red, mi ricevi?” disse portando un dito all'auricolare e picchiettandolo in un gesto di frustrazione. La voce del caposquadra provenne dalle sue spalle. “Sono qui.” Si voltò a guardarla ed era scura in viso. L'espressione contratta gli rivelò che aveva assistito alla scena via audio. Era già al corrente della situazione.

Ruby scoprì il polso e premette lo schermo del proprio orologio un paio di volte. “Inutile restare qui. La squadra d'appoggio ha fermato e arrestato il mandante. Ci faremo dire da lui come trovare LeLoup.” Kimberly, ancora arrabbiata per essersi fatta sfuggire il criminale, sbottò. “Credi che parlerà?” La rossa alzò lo sguardo, freddo come il ghiaccio e sorrise. “Lo farà.” Pochi minuti dopo, uno dei mini elicotteri silenziosi dell'Agenzia passò a prendere il gruppo. Nel frattempo anche David li aveva raggiunti profondendosi in scuse per essersi perso. Aveva dato la colpa al GPS difettoso del suo apparecchio. Mentre il velivolo solcava lo skyline di Detroit, Red gli disse di recarsi dall'Inventore non appena arrivati alla base.

Trenta minuti dopo, la rossa entrava nella stanza scura dietro allo specchio e pigiava sullo schermo dello smartphone per disabilitare la suoneria. Alzò lo sguardo e dall'altro lato guardò Robert Jones seduto al tavolino. Insieme alla seggiola sulla quale posava il suo ricco deretano, era l'unica mobilia presente nel cubicolo dalle pareti bianche. L'interrogatore stava in piedi davanti a lui, dando le spalle al pubblico nascosto. Rivolse lo sguardo alla sua destra e vide la Nonna. Teneva gli occhiali in una mano e rosicchiava una stanghetta. “Buongiorno, capo,” mormorò. Andò quindi a piazzarsi con una spalla contro la parete accanto al falso specchio.

L'uomo snocciolò con voce neutra l'elenco di domande preparato dai suoi superiori. Fissava il soggetto con noncuranza, dopotutto era soltanto uno dei tanti casi a cui doveva lavorare. Niente di speciale, insomma. “Perché rubare questi progetti?” Vide gli occhi dell'interlocutore muoversi in senso orizzontale un paio di volte, rapidamente. Stava cercando una risposta. Se Jones aveva intenzione di mentire avrebbe trovato pane per i suoi denti. Il nome in codice dell'uomo affidato agli interrogatori era il Mentalista per un motivo ben preciso. Sapeva studiare le reazioni di un essere umano e prevedere quando avrebbe mentito e sapeva piegare la volontà di un uomo. “Non dovrei avere il diritto ad un avvocato?” Ferguson lo fissò per un istante. Stava a braccia conserte come se non avesse una preoccupazione al mondo. “Sono sicuro che riusciremo a convincere il magistrato a soprassedere, dato il peso delle accuse.” Sì, Robert Herbert Jones era accusato di essere il mandante del furto di progetti per armi chimiche segrete, omicidio, traffico illegale di armi e droga, truffa, associazione a delinquere e almeno altri cinque capi di imputazione. Un giudice compiacente avrebbe chiuso un occhio. L'avrebbero rinchiuso in gattabuia e buttato le chiavi. Visto com'era messo il sistema giudiziario dopo le nuove riforme, non avrebbe avuto scampo. In prigione sarebbe diventato la puttanella preferita di qualcuno. Messo all'angolo, il signor Jones batté con un pugno sul tavolo. “Non avete prove! E state violando i miei diritti costituzionali! Io non ho fatto niente!”

Red, finora annoiata dalla conversazione, si rizzò e allungò una mano verso la console davanti alla finestra. Pigiò un pulsante. La sua voce sarebbe stata udita soltanto dal collega dall'altra parte del vetro antiproiettile. “Chiedigli del Lupo.” Un'occhiata da parte della direttrice attirò brevemente l'attenzione della rossa. Lei, però, tornò subito a guardare l'interrogato. Il Mentalista sembrò ignorare il suo ordine, quindi la donna allungò di nuovo la mano.

“Ferma.” Il tono della voce della Nonna era secco. Red la guardò e sollevò un sopracciglio. “Lasciagli fare il suo lavoro,” aggiunse.

“Ma ci servono informazioni su come rintracciare LeLoup,” fece notare la rossa.

“Jacques LeLoup non è più una nostra priorità. Abbiamo delegato all'FBI il compito di rintracciarlo. Il suo fascicolo è già stato spedito via mail criptata. Noi abbiamo il bersaglio.” Red sbatté le palpebre. Le ci volle un minuto perché le parole della direttrice divenissero chiare.

“Mi sono fatta in quattro per catturarlo,” sbottò alzando la voce e battendosi un pugno sullo sterno, ma provava anche un moto di sollievo. La Nonna la guardò.

“Hai fatto il tuo lavoro. Red.” Fece una pausa, l'aria pensierosa. “Credo che tu sia eccessivamente ossessionata dalla cattura di un semplice criminale. L'hai presa sul personale?” La rossa abbassò lo sguardo. Conosceva il significato di ammettere una cosa del genere. Voleva dire mischiare il lavoro con qualcos'altro. Alzò gli occhi con determinazione.

“No.” Quando la donna anziana distolse lo sguardo per tornare a seguire l'interrogatorio, Red si chiuse in un muto silenzio, le braccia incrociate sotto il seno e l'espressione assente.

Durane le cinque ore di durata dell'interrogatorio, la saletta retrostante vide aggiungersi Trevor, Keith, David e Kimberly. Si riempì anche di confezioni vuote di vari snack, nonché di bicchieri di plastica. Alla fine, il mandante confessò. Il responsabile della sala interrogatori aveva provveduto ad alzare la temperatura della stanza di un grado ogni ora. Nel contempo, John Ferguson lo incalzava con domande atte dapprima a confonderlo, infine a indurlo a dire ciò che sapeva. La tecnica aveva funzionato. Stremato e ridotto a una massa di carne sudata, Robert H. Jones consegnò alla G.R.A.N.M.A le chiavi del regno criminale di Detroit. C'era un sacco di materiale sul quale lavorare. La Nonna fece mandare i dati all'intelligence per verificarne l'autenticità e fece trasferire Jones in una cella detentiva sicura all'interno del complesso. A mezzanotte, Red e la sua squadra furono mandati a casa a riposare. L'indomani dovevano presentarsi in sala tattica alle sette in punto. L'intero organico dell'Agenzia non impegnato in missione avrebbe dato il contributo nell'attuare un piano strategico per mettere fine alla criminalità organizzata di cui faceva parte Robert Jones.

Mezz'ora dopo essere stata congedata, Red entrò in casa propria e gettò le chiavi della moto sul mobiletto. Era passata meno di una settimana da quando aveva trovato la busta bianca su di esso. Sospirò malinconica. I suoi capi avevano preso il pesce grosso e lasciavano fuggire quello più piccolo. La rossa si sentiva in dovere di proseguire con la missione di catturarlo, ma era conscia di rischiare la sospensione per insubordinazione, per non parlare del posto di lavoro. Raggiunse la camera e si lasciò cadere supina sul letto. Quel mestiere era tutta la sua vita; non riusciva a immaginarsi senza. Certo, avrebbe potuto fare qualcos'altro. La verità era che non voleva. In quel momento della sua vita si trovava esattamente dove voleva essere. Però non poteva continuare e inseguire la sua preda succulenta. Che spreco. Per non parlare dell'attrazione che provava nei suoi confronti. Improvvisamente si rese conto del collegamento tra questa e la sua determinazione a catturare il Lupo. Non è che lo voleva per un altro motivo?

Un fruscio alla sua sinistra le fece voltare la testa di scatto. Il Lupo stava appollaiato sul cornicione fuori dalla finestra. Istintivamente, Red si affrettò ad aprirla. “Sei pazzo?!” gli urlò in faccia.

Jacques si infilò in casa con un sorriso sornione sul volto. “No, bambolina. So esattamente quello che faccio. Non è la prima volta,” ribatté rizzandosi in tutto il suo metro e ottanta. La guardò negli occhi.

“Ti prego, non cominciare.” La donna alzò una mano e scosse la testa.

“Cosa c'è? Non sei contenta di vedermi?” Corrugò la fronte. “Aspetta non stai cercando di arrestarmi. Credevo di trovarmi in manette in quattro e quattr'otto.” Il Lupo porse i polsi con fare scherzoso e sorrise sfacciato.

“Ti piacerebbe,” ribatté la rossa e andò in cucina. Lui la osservò incuriosito, quindi la seguì.

“Che vuoi dire?” Una bottiglia trasparente ricoperta di strane scritte e di un disegno rosso a forma di stella stava già sul mobile. La mano piccola di Red estrasse due bicchierini dalla dispensa. “Vuol dire che non ti stiamo più dando la caccia,” mormorò .. Inclinò il contenitore e il liquido incolore contenuto in esso scivolò nei piccoli boccali, colmandoli fino all'orlo. Il Lupo si vide passare uno dei due shottini.

“Cos'è?” Annusò il contenuto con sospetto.

“Vodka russa.” La donna invece tracannò a collo. Lui spalancò gli occhi e si bagnò le labbra.

“Come fai a reggere una cosa del genere? EÈ petrolio! Come diavolo fai a buttarla giù a collo?” Non ci pensava nemmeno a imitarla. Era da pazzi. La donna scrollò le spalle e se ne versò un altro.

“Ci sono abituata. Reggo bene l'alcol.” Jacques scosse piano il capo e bevette un altro sorso.

“Sei piena di sorprese...” Red sorrise e si spostò nella stanza da letto insieme alla bottiglia e al suo bicchierino.

“Rossa...?”

“Seguimi. Per oggi non ti arresterò.” Jacques obbedì.

. “Per oggi?”. Si chiedeva cosa volesse fare. Se lei non era più una minaccia, forse poteva rivelarle quel segreto lungamente celato. “Rossa, dovrei dirti una cosa...” Si bloccò a pochi passi dal talamo. Red era china accanto al fianco sinistro, in mutandine. Spostò lo sguardo sui pantaloni appena tolti, ora abbandonati sul pavimento. D'istinto si umettò le labbra. Sollevò l'angolo destro della bocca in un mezzo sorriso e andò a sedersi sul fondo del materasso, facendo finta di nulla. La donna scivolò accanto a lui in pantaloncini e canotta. “Stai più comoda adesso?” le domandò con quell'espressione stampata sul viso. Gli occhi del francese brillavano di malizia. A Red non era sfuggito.

“Certo,” ribatté secca e bevve direttamente dalla bottiglia.

“Questa la prendo io.” Le dita del Lupo si avvolsero attorno al contenitore di vetro e glielo levarono gentilmente di mano. La donna fece per protestare, poi borbottò qualcosa di inintelligibile. Appoggiò la testa su una mano mentre guardava l'uomo posare la sua bottiglia a terra.

“Quella è mia.”

“Sì, ma non ti fa bene bere tanto.” Lo guardò negli occhi e improvvisamente li trovò pieni di dolcezza. Distolse lo sguardo, imbarazzata. Poi un pensiero le sfiorò la mente. Guardò il suo ex avversario.

“Perché sei qui?”

“Per offrirti un ramoscello d'ulivo?”Ancora quel bellissimo sorriso sghembo.

“Non ci credo.” Prese una mano tra le sue, sdraiato su un fianco; un gomito era sprofondato nel morbido materasso.

“Stavo pensando a una cosa. Ora che non siamo più nemici potremmo uscire insieme.” Fece una pausa. “Cosa? Perché mi guardi come se fossi matto?” Lei sbuffò.

“Sei un criminale! Quelli come te li caccio e li sbatto in galera!” esclamò lei alzandosi e grattandosi una tempia, frustrata. Non era arrabbiata con lui. Si stava opponendo a quello che il proprio cuore voleva. Lui le sorrise

“Ah, ero preoccupato di non piacerti.”

“Non scherzare,” gli intimò lei lanciandogli un'occhiata.

“Davvero...” Jacques le prese di nuovo una mano, il sorriso stampato sulle labbra.

“Cavolo, smetti di sorridere,” brontolò la rossa.

“Perché? Ti piace?” Riuscì ad attirarla a sé e le cinse la vita con un braccio; così la rossa si ritrovò sdraiata accanto a lui, pericolosamente vicino al suo viso. Prese un respiro profondo e non rispose.

“Lo so.” Il Lupo si limitò a scostare una ciocca fulva dal viso. Il modo in cui i capelli le ricadevano sulle spalle, mossi e voluminosi, gli faceva pensare alla chioma rossiccia di un particolare albero giapponese dalle foglie rosso scuro. La pelle rosea e le labbra di un colore più intenso erano in perfetta armonia con essi. Avvolse la ciocca dietro al suo orecchio, avvicinò il volto e premette le labbra sulle sue. Erano morbide proprio come sembravano.

Red percepì che si stava abbandonando a una sensazione stupenda, ma il senso di colpa per il tradimento che stava operando la riscosse. Combattuta tra il desiderio di lasciarsi andare tra le sue braccia e sbatterlo fuori casa, impugnò la P38 che teneva sempre sotto il cuscino. Si ritrovò lunga distesa sul materasso in men che non si dica.

Il peso dell'uomo gravava sulle ginocchia piazzate ai lati del suo corpo formoso e la inchiodava al letto con una mano stretta al collo. Il respiro affannoso della donna si poteva sentire nel quieto fruscio del traffico, molti metri più in basso sull'arteria principale della città. Lassù, in cima al palazzo d'epoca, equivaleva a vivere praticamente tra le nuvole.

Lo sguardo della spia percorse i lineamenti del Lupo oscurati dalla penombra, registrandone inconsciamente ogni particolare. I suoi occhi... Sotto quello sguardo bramoso si sentì liquefare e lasciò andare l'arma. Guardandolo negli occhi, afferrò il telecomando del sistema di sicurezza dell'appartamento e ne spense le telecamere. In seguito avrebbe manomesso le registrazioni. La rossa giaceva abbandonata tra le sue braccia e Jacques fu percorso da un brivido. Quella donna lo voleva almeno quanto lui desiderava lei. Sarebbe stato un crimine resistere. Si incuneò tra le sue cosce senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi di smeraldo e cominciò a strofinarsi su di lei. L'erezione si risvegliò prepotente mentre la sua mano sinistra percorreva la pelle liscia e nivea della giovane spia.

Red la sentì salire lungo il fianco e si inarcò in preda a uno spasmo. Si scoprì del tutto incapace di dominare il proprio corpo, che chiedeva solo di essere posseduto da quell'uomo. Era diverso da come lo faceva con Trevor. Tremendamente diverso, ma la sua mente inebriata ora non riusciva a ragionare bene. Si ritrovò stretta contro il torso ampio del Lupo, le caviglie annodate dietro la sua schiena. Una nuvola di profumo fresco e intenso l'avvolse, ottundendole i sensi. Era muschio bianco...

Il tocco umido e caldo della sua lingua le accarezzò le labbra, strappandole un gemito. Una sensazione familiare di calore al basso ventre le fece pulsare le parti intime, spingendola pericolosamente vicino al baratro. La mente abbandonò subito il campo, lasciando posto agli impulsi più bassi della carne. Red si impadronì di quella bocca che restituì le sue attenzioni con foga.

Le sagome scure dei due amanti presero a muoversi sul grande letto. Le mani dell'uno spogliavano l'altra, e viceversa. I palmi scorrevano sulla pelle sempre più calda, le bocche si esploravano fameliche a vicenda. Red percepì a occhi chiusi la lingua dell'uomo chiudersi sui boccioli freschi in cima ai propri seni e un istinto selvaggio si impadronì di lei. Lui la sentì vibrare in preda a quella foga e strinse i denti attorno al capezzolo fino a farla gridare. Fu allora che si spinse tra le sue carni calde, invadendole con la sua arrogante presenza. La guardò contorcersi e gemere, sciogliersi come argilla tra le sue mani. Così la cavalcò. La spinse al limite numerose volte quella notte, prima di portarla all'apice. I loro corpi si muovevano sinuosi nella notte, colmandola di gemiti e respiri ansimanti.

Jacques giaceva su un fianco, tra le lenzuola scomposte del grande letto. Un gomito affondato nel cuscino, aveva appoggiato l'orecchio destro sulla mano. Era così da ore. Guardava la rossa accoccolata contro di sé dormire come un ghiro. Sorrise colto da un moto di tenerezza. Sembrava talmente indifesa, sprofondata nel sonno. Eppure aveva lo spirito più combattivo che avesse mai trovato in una donna. La sua testardaggine l'aveva colpito. Ogni volta in cui si erano incontrati, insieme alla possibilità di venire catturato, qualcos'altro si era fatto spazio dentro di lui. La competizione si era trasformata in ammirazione, quest'ultima era mutata in altro. Talvolta era affetto, altre volte desiderio incontrollato. Non aveva mai provato niente del genere. Nel suo lavoro non c'era tempo per l'amore e si era sempre fatto qualche femmina nei porti in cui era sostato. Tuttavia ogni avventura sbiadiva a confronto di ciò che provava in presenza della rossa. Sollevò gli occhi cogliendo il chiarore delle prime luci dell'alba illuminare leggiadramente la stanza. Guardò la sua volpe un'ultima volta e scivolò giù dal letto. Si rivestì in silenzio e altrettanto furtivamente lasciò l'appartamento, uscendo dalla finestra.

Gli occhi di Red si spalancarono allarmati. Il suono fastidioso e insistente della sveglia elettronica trapanava quel poco che era rimasto del suo povero sistema nervoso. La giovane sollevò il busto, effettuò una mezza torsione e allungò la mano verso il maledetto aggeggio. Sicuramente poteva permettersi di meglio, ma la verità era che quel suono era l'unico in grado di svegliarla alla mattina. Si guardò intorno spaesata, infine riconobbe l'ambiente. Di colpo le immagini della sera precedente le si riversarono davanti agli occhi. Risentì le sue mani e la sua bocca sulla pelle e tra le cosce e si ritrovò più eccitata e confusa di prima. “Dannazione.” Calciò via le lenzuola con fare rabbioso e si diresse in bagno.

Era già nuda quindi entrò direttamente in doccia. Sollevò la manopola del miscelatore regolandola sull'acqua a trentasette gradi centigradi e lasciò che l'acqua le inzuppasse la pelle. Appoggiata con una mano alla parete di fronte a testa bassa, si ritrovò a guardare le aureole scure sui propri seni. Certo che quella notte ci avevano dato proprio dentro. Era stato fantastico. Il senso di colpa per essere stata a letto con un ex ricercato dall'Agenzia si dimenava in un angolino della sua coscienza, ma era troppo debole per dargli importanza. Sorrise. Si passò le mani sulla pelle per levare il sudore e altri liquidi della notte di passione e quando si sentì soddisfatta della doccia chiuse il getto d'acqua. Si avvolse in un corto asciugamano bianco e approdò sul tappeto disteso ai piedi del box. Alzò lo sguardo e incontrò la propria immagine allo specchio; vide una nuvola di capelli rossi circondarle la testa come una criniera. Scoppiò a ridere, contemplando anche la faccia stravolta dal sonno.

"Dio, sono proprio un disastro!" esclamò mettendo ordine in quei ricci ribelli con i soliti mezzi: pettine per i capelli ricci e spray disciplinante. Fortuna che bastasse così poco. Si rivide nel riflesso a lavoro ultimato. I dolci boccoli ricadevano sul capo simili al glicine e gli occhi grandi e rotondi brillavano di una luce maliziosa. Qualcosa era cambiato in quello sguardo, spento e stanco fino alla mattina precedente. Forse la notte trascorsa con il Lupo... Non era possibile una cosa del genere. Solo al cinema e nei romanzi succedevano cose simili. Per di più, il Lupo era il suo mortale nemico! Un sorriso si aprì sulle sue labbra carnose, sfuggendo al suo controllo. Doveva aver perso la testa. Sì, aveva decisamente perso la ragione.

Sospirò e un paio di occhi languidi restituirono lo sguardo. 'No Red. Non puoi esserti innamorata. Non farai sul serio?!' Si voltò stizzita fuggendo dal suo stesso riflesso, rifugiandosi in camera da letto dove indossò un completo casual nero. Afferrò lo zainetto nero da motociclista e si diresse verso la porta. Salì in sella alla propria moto, parcheggiata sotto casa nel posteggio apposito. Percepì il prepotente bisogno di fuggire dalla propria vita, in un luogo dove nessuno la conoscesse e in cui avrebbe potuto trovare la pace tanto cercata. In un paio di quarti d'ora giunse in sede e si recò in archivio. Era una stanza del piano interrato in cui erano conservati tutti i casi archiviati. A Red piaceva sapere sempre con chi aveva a che fare, nell'ambito del lavoro e fuori. Trovò il fascicolo virtuale che cercava nel server centrale e lo scaricò sul pad d'ordinanza.

Gettò il fascicolo della sua attuale preda sulla scrivania del proprio ufficio. Si abbandonò sulla comoda poltrona girevole, domandandosi perché non la utilizzava più spesso. Il sollievo che la colse, seduta rilassata in quel luogo asettico, la sorprese piacevolmente. Fissò il palmare posato sul piano della scrivania come se fissasse un nemico. Forse il Lupo era suo nemico; ma c'era sicuramente qualcosa di più. Lo sentiva come un suo pari, uno spirito libero che niente e nessuno può imprigionare, proprio come lei. Nonostante lavorasse per l'Agenzia non seguiva mai le regole e faceva sempre ciò che le dettava l'istinto. Solo questo le aveva permesso di arrivare dov'era. In realtà, in quel criminale scorgeva la propria metà, l'unico in grado di tenerle testa. La cosa la spaventava e la eccitava per la prima volta nella vita. Il suono di notifica di ricezione di un messaggio la distolse. Guardò pigramente l'apparecchio e lo prese. Era Doug. “Cazzo...” Si grattò una tempia. Come glielo avrebbe spiegato? Lesse il messaggio.

Ci vediamo?

Lavoro.

Quando hai finito?

Red sospirò. Non le andava per niente. Da quando era stata a letto con Jacques non le importava più nulla.

Dovremmo prenderci una pausa.

La lunga pausa che seguì la disse lunga.

Mi stai scaricando?

No è che... È che? Le dita rimasero sospese sullo schermo. Cosa diavolo doveva dirgli? Mi sono innamorata di un criminale e ho voglia solo di lui? Ebbe un'idea.

Mi sono innamorata di un altro.

Nuova pausa.

Ah...

Lo conosco?

No.

Beh, buona fortuna. Sarà difficile trovare una che scopa come te.

Red strinse i denti. Non sapeva se sentirsi lusingata o insultata. Spinse lontano il telefono. Lo riprese, lo spense e lo rifece scivolare via. Aveva chiuso. Non sarebbe arrivata da nessuna parte se avesse continuato a fissare quel gruppo di carte. Sospirando annoiata attirò a sé il fascicolo e lo aprì.

Jacques LeLoup, detto il Lupo, era un uomo originario del Belgio. Cresciuto nel ghetto, aveva sviluppato le sue abilità furtive e acrobatiche, iniziando la sua carriera nel ramo del crimine compiendo borseggi, quindi si specializzò in furti nelle case con entrata dall'alto. Nel suo campo era diventato infallibile e molto presto richiesto da diversi mandanti per compiere i furti più difficili . Non lasciava mai una traccia, sembrava arrivare e svanire come il vento; la rossa lo aveva constatato di persona. In più, nella lotta corpo a corpo usava la Savate, un'arte marziale molto elegante, nata nei quartieri più poveri di Parigi e sviluppatasi nell'aristocrazia francese durante i primi anni dell'Ottocento. Un avversario davvero temibile. Sbuffò e spense lo schermo del tablet. In quel file c'erano dettagli sui suoi colpi, ma non c'era traccia di ciò che la spia stava cercando. Come disse Emily Dickinson il passato non era un pacchetto che si poteva mettere da parte. Ti rendeva quello che eri e l'unico modo per conoscere davvero una persona era conoscere il suo passato. Red imboccò la porta dello spogliatoio dopo un'ora di allenamenti in palestra e si recò al proprio armadietto, verniciato di rosso, uguale a tutti gli altri, accostati al muro della stanza uno accanto all'altro, stretti come sardine. Una collega coetanea che armeggiava con il lucchetto accanto a lei le scoccò un'occhiata incerta e solidale. Stava ancora rimuginando su ciò che era successo tra lei e il Lupo. Ovviamente sarebbe dovuto rimanere un segreto.

"Mi spiace molto." A quanto pare le voci circolavano in fretta. La notizia della sua sospensione doveva aver fatto scalpore, data la sua reputazione. Qualcuno probabilmente se la stava ridendo in un angolo.

"Anche a me," sospirò la rossa con più rabbia di quanta credeva di provare, mentre ritirava alcune cose personali dall'interno del mobiletto in metallo. La sua mano si fermò dopo aver richiuso lo sportello. "Del resto sono qui per fare il mio dovere, non per correre dietro ai pesci piccoli." Guardò la collega giapponese.. Tra tutti, Lucy era quella con cui aveva legato di più. Sapeva quanto era divenuto importante per lei catturare il Lupo e quando la Nonna aveva ritirato la taglia sulla sua testa, Lucy era stata una delle prime persone a saperlo direttamente da lei.

"Allora, Spy... abbiamo fatto il botto?" La voce canzonatoria che riecheggiò nella stanza poteva provenire solo da una persona. Red si voltò, il viso di selce.

"George," osservò con tono mellifluo. L'uomo, sulla trentina, occhi e capelli castani, lineamenti banalmente comuni e insignificanti, allargò le labbra orrendamente carnose in un sorriso di scherno. Red decise che ne aveva abbastanza per quella giornata. Salutò Lucy, che si eclissò in un angolo,e passò accanto al collega per uscire.

"Battiamo in ritirata, eh?" fece quello allegramente, quasi stesse parlando del tempo. Guardava con aria di scherno la collega appoggiato a braccia conserte allo stipite della porta. La rossa si fermò davanti a lui mentre solcava la soglia e lo guardò dritto negli occhi con uno sguardo che fiammeggiava d'ira.

"Sei sempre stato un pezzo di merda. Non peggiorare la tua situazione. Okay?" Gli rivolse un'occhiata d'intesa, sollevando le sopracciglia. Vide il pomo d'Adamo dello scavezzacollo alzarsi e abbassarsi, e sorrise malefica. Quindi distolse lo sguardo, ignorandolo completamente e lasciò la stanza.


 

Giunta al proprio appartamento, come sempre, lasciò le chiavi sul mobiletto di fronte all'ingresso. Abbandonò lo zaino sul pavimento lì accanto e allungò le braccia in alto, stirando i muscoli tesi. Quanto sentiva il bisogno di un po' d'amore, ora...

"Sembri aver avuto una brutta giornata." La voce bassa e vellutata del Lupo la raggiunse dal punto estremo del loft, eppure sembrava che sussurrasse al suo orecchio. Red voltò la chioma tiziana e guardò la finestra aperta sul traffico mattutino. La sagoma dell'uomo seduto sulla finestra, si stagliava nella luce argentea.

"Sì. Molto brutta." La rossa andò a stendersi sul proprio letto con un sospiro, fissando il soffitto sopra di sé con aria pensierosa. Le mani dell'uomo salirono sulle sue cosce fino ad afferrarle dolcemente la vita. Si muoveva con una velocità e una furtività quasi soprannaturali. Le iridi verde scuro della spia si fissarono su quel ladro, di nome e di fatto, accendendosi subito di desiderio. Strano come le facesse quell'effetto... mai provato con nessuno. L'uomo si stese su di lei, le mani che accarezzavano la pelle sotto la maglietta leggera.

"Sono dispiaciuto." Dal tono non pareva. Ma a Red non fregava un cazzo. Significava una vittoria in più per lui e una in meno per lei. Si domandò quando avrebbe smesso di perdere in quello strano confronto fatto di passione e competizione. Le gambe della rossa si separarono spontaneamente come se avessero atteso il corpo di quell'uomo per molto tempo, e avvolsero la sua vita in una morsa implacabile. Le labbra del Lupo sfiorarono la pelle della gola di lei strappandole un sospiro d'eccitazione. La vista le si appannò per un attimo.

“Non puoi entrare così in casa mia,” sospirò lei.

“Perché no?”

“Perché ti beccheranno prima o poi.” Lo guardò perplessa. Possibile che non capisse?

“Non mi hanno preso finora...” Con i denti lui afferrò il tessuto della scollatura e lo portò fino sotto al suo seno, scoprendolo. La sentì fremere sotto di sé e avvicinò il sorriso alla sua pelle calda. “Tra l'altro hanno addirittura smesso di darmi la caccia.”

“Idiota. Ci stai esponendo senza alcuna considerazione per me e per il mio lavoro,” sbottò lei.

“Hai ragione.” Lui sospirò rassegnato e si sdraiò accanto a lei con le dita intrecciate sotto la nuca. La lasciò mezza nuda e piena di voglia. La udì sistemarsi la maglietta con un borbottio e trattenne una risata. Farla arrabbiare era troppo spassoso.

"Perché mi sento così?" disse la rossa, girandosi su un fianco.

"Perché mi ami." Jacques la vide sollevare la testa.

"No, non è vero." Lui sorrise e lei seppe di aver detto una cazzata. Non era così facile ammettere un sentimento che razionalmente non comprendeva e che la rendeva più debole ed inerme alla mercé di un criminale. Il suo orgoglio non glielo concedeva. Non era nemmeno sicura di cosa provasse realmente.

"Continua a parlare. Forse un giorno ti convincerai." La rossa digrignò i denti e scattò verso di lui, tentando di azzannargli il naso.

"Smettila. Perché vuoi che lo ammetta?” esclamò l'altra.

"Perché voglio la tua ammissione di sconfitta. Voglio che tu dica che sei mia." I loro occhi si incontrarono. I visi erano seri.

"Mai."

"Ma ti ho sconfitta. E sei mia."

"No. Ti sbagli." Jacques rotolò sopra di lei senza lasciare il suo sguardo. Le mani scorsero verso l'alto per sfilarle la maglietta da sopra la testa, la chioma rossa venne sparsa sul letto... e a quel punto lui aveva già vinto.


 

La baita di montagna era situata su un promontorio con una parete a strapiombo, circondata da alti pini dal fusto sottile e gli aghi scuri. La vegetazione alpina la circondava avvolgendo le sue mura di legno in un abbraccio naturale.

Tra le lenzuola bianche del grande letto rustico, Red raggiungeva il terzo orgasmo di fila senza che lui ne avesse avuto alcuno. Il suo ghigno soddisfatto le dava ai nervi, ma non poteva non ammirare la potenza del suo fisico. Ansimante e stremata lo fissava con un misto di amore-odio. Il Lupo scivolò al suo fianco, sistemando la testa su una mano e il gomito piantato nel materasso. La guardò sorridendo. Lei sorrise a sua volta, lasciando cadere le proprie difese, come ogni volta che lui sfoderava quell'arma letale.

"Come fai?" bisbigliò allungandosi per posare le labbra sulle sue in un bacio caldo. Alla fine delle indagini aveva ceduto. Approfittando della sua sospensione, i due si erano ritirati in un cottage di proprietà dell'Agenzia.

"Non te lo dirò mai," ribatté l'altro, e si vedeva che si divertiva un mondo a stuzzicarla. Era stato facile disattivare le difese dell'abitazione. Red stessa ne conosceva il funzionamento.

"Ti prego... pensi che non sia capace di scoprirlo? Sono una spia dopotutto," rispose l'altra a tono e fece un sorrisetto malizioso. Non è che pian piano stava diventando come lui?

"Ma non sei riuscita a catturare me," saltellò l'altro sul letto con un colpo di fianchi. Il mandante del Lupo e il suo giro d'affari erano stati arrestati. Un centinaio di migliaia di persone erano state fermate e interrogate. Più della metà avevano collaborato in modo consapevole con il criminale, di conseguenza vennero arrestati in attesa di processo. Erano passati sei mesi, durante i quali aveva costretto Jacques a restare nascosto. Stare lontana da lui era stata un'agonia, ma sapeva che era per il suo bene. Red aveva dato il suo contributo insieme alla squadra d'assalto, scovando i sospettati e rendendoli incapaci di nuocere, perché potessero essere presi e interrogati. Alla fine quella vacanza se l'era meritata.

"Mmm... ne sei sicuro?" Piantò lo sguardo dritto nei suoi occhi. Lui perse l'espressione beffarda e si portò nuovamente sopra di lei, senza interrompere il contatto visivo con lei. Avvicinò il viso al suo fino a poggiare la fronte su quella della giovane donna.

Sbuffò. Con lui non poteva vincere. Era davvero testardo, di gran lunga più di lei. Il Lupo tornò a stendersi sul materasso, stavolta supino, e sorrise fissando il soffitto con un'aria divertita. Red non resistette all'impulso di stuzzicarlo ancora un poco.

"Scherzavo." Scoppiò a ridere e si alzò fuggendo

“Ma che...?” Jacques si alzò a sua volta e la inseguì. Lei corse tirandosi dietro il lenzuolo per tutta la casa, quindi tornò a buttarsi sul lettone, rimbalzando. Lui la raggiunse e le finì addosso, sorridendo.

"E pensare che eri uno spietato criminale," sorrise lei, gli occhi brillanti fissi in quelli di lui.

"Lo sono ancora," rispose l'altro con un sorriso beffardo.

"Non ci credo," fece Red piegando un po' la testa. "Raccontami qualcosa sul tuo passato," lo incoraggiò. Lui sospirò e assunse un'espressione concentrata. "Dove hai imparato a combattere?" lo incalzò lei.

"La Savate," iniziò lui, ripercorrendo mentalmente i ricordi legati a quelle parole, "mi è stata insegnata dall'allenatore di una palestra clandesina, François Martin. Disse che serviva a difendermi e sopravvivere sulla strada. So che non ci crederai, ma da ragazzino ero piuttosto mingherlino e tendevo perciò ad attirare l'attenzione dei bulli del quartiere. Martin mi fece partecipare anche agli incontri illegali e mi allenò duramente, trasformandomi in uno spietato assassino." Lo sguardo gelido e oscuro che le rivolse le diede i brividi lungo la schiena. Al che l'uomo scoppiò a ridere "Coraggio tigre, mica ti mordo!" sbottò ma le diede un morso alla spalla

"Ma con me sei adorabile,” miagolò lei.

"Tu sei speciale," mormorò il Lupo con una strana luce negli occhi. Era forse felicità quella che vedeva negli occhi del selvaggio e inarrestabile criminale? Era forse riuscita a fare breccia in un cuore nato e cresciuto nella violenza per renderlo più cedevole e plasmabile? Fosse stata una spia in servizio attivo avrebbe potuto usare tutto questo contro di lui.

“Userai ciò che ho detto contro di me?" Lei lo fissò, seria, cercando di capire se la stesse prendendo in giro come al suo solito. Lui sorrise. Red scosse la testa.

"Anche se volessi, ormai non potrei più farlo," mormorò sollevando il capo e incontrando le sue labbra in un dolce bacio.

Quella sera era speciale. Doveva andare tutto come preparato in largo anticipo. Le candele alte poste a centrotavola svettavano verso l'alto, diffondendo una tenue luce dorata nella cucina dello chalet. In forno attendeva un pollo arrosto cucinato con le patate che la rossa avrebbe apprezzato. La vide apparire sulla soglia, uno stretto vestito aderente che brillava al buio..

"Sei bellissima," bisbigliò avvicinandosi. Le baciò le labbra e la mano destra. La guardò negli occhi e seppe che la sua compagna era carica di aspettativa. Lui non l'avrebbe certo disattesa. La condusse come fosse una contessa e le scostò la sedia facendola accomodare. Quindi pose sulla tavola imbandita il vassoio con la pietanza che aveva cucinato con le proprie mani. Sedette al proprio posto all'altro capo del tavolo, mentre Red lo fissava.

"Che c'è? Non vorrai mica che ti tagli pure il pollo?" esclamò l'altro con il suo classico sorriso beffardo.

"No, scemo, sono in grado di tagliarmelo da sola!" ribatté lei a tono e affettò bella coscia, esibendola come trofeo infilzata sulla forchetta. "Ta-da!" Gli sorrise provocante.

"Rinfodera l'arma, tigre, o ci ritroveremo a letto prima di aver finito la cena," ridacchiò lui servendosi una porzione di carne.

"Non sarebbe male," commentò la rossa con una risatina e uno sguardo eloquente.

"Ninfomane!" ringhiò l'altro dall'altro lato del tavolo.

"Perdente!" esclamò lei con un sorriso malefico. Entrambi scoppiarono a ridere.


 

Le due candele che avevano rischiarato il delizioso pasto si spostarono in camera, una per comodino, mentre i due corpi sotto le lenzuola tornavano a cercarsi ancora, nell'ardore della passione che consumava le due anime. Continuò a possederla più e più volte, le sue urla attutite da chilometri di boschi, risuonavano nella notte stellata. Non si fermò finché lei non gridò "Basta!" in preda a un orgasmo delirante. L'aveva sfiancata. Proprio com'era suo proposito. Le braccia forti si strinsero intorno alla sua esile vita e le labbra le baciarono la pelle dal ventre fino al solco tra i seni sodi, che al solo sguardo gli facevano scorrere i brividi di piacere lungo la schiena.

"Lascia che ti possieda, un'ultima volta," mormorò roco, a voce bassa, mentre gli occhi della spia si schiudevano, lucidi. Aveva sentito il trillare del cellulare nascosto che squillava solo in un unico caso: se al capo della GRANMA fosse successo qualcosa. Qualcosa di grave. Prima che la sua mente sveglia concepisse il significato delle parole dell'uomo, quegli occhi verde giada si spalancarono insieme alle labbra rosse in un urlo silenzioso. Il sangue caldo di Red colò sul manico del coltello da caccia del Lupo, la cui lama era interamente infilata nella schiena della spia.

"Je suis désolé, mon amour..." la baciò il ventre con un vago senso di disagio al petto e alla bocca dello stomaco che si andava intensificando lentamente. Si sforzò di non farci caso.

“Perché?” balbettò Red, fissandolo scioccata.

“Niente di personale,” fece lui alzandosi e pulendo la lama con il lenzuolo. Dietro alla maschera da gelido assassino si muoveva qualcosa. “Sono solo affari.” Si spostò nella stanza. Ruby, che sentiva la vita scivolarle dalle mani inafferrabile come un fantasma, lo seguì con lo sguardo lucido. Ogni battito si distanziava di più dal precedente.

“Dimmelo guardandomi negli occhi,” sussurrò. Lui si fermò davanti al cassettone alla destra del letto e le diede le spalle. Il suo pugno colpì lo specchio appeso sopra di esso e lo mandò in frantumi. La rossa singhiozzò. Lui se fu sopra subito dopo.

“Scusami, amore, scusami,” lo udì gemere, ma la vista si era fatta offuscata, i sensi attutiti. Guardò verso l'alto, incapace di reagire.

Jacques si mosse rapido e la voltò. Afferrò il lenzuolo e lo pigiò sulla ferita, continuando a mugugnare frasi sconnesse. Si fermò solo quando il suo cervello gli permise di registrare il corpo senza vita della sua amata supino sotto di sé. “Che cosa ho fatto...” Saltò giù dal letto e indietreggiò fino ad andare a sbattere contro un altro mobile. “Cazzo...” In quel momento, quella che era stata la sua missione fin dall'inizio perse importanza.

Non fece caso alla presenza che sembrava essersi materializzata nella stanza, facendolo voltare giusto nel momento in cui il dito del Cacciatore premeva il dito sul grilletto del suo fucile. La testa del Lupo esplose come una bomba di carne, le cervella schizzarono materia cerebrale ovunque ridotta a brandelli sanguinolenti.

Hudson Steel contemplò il casino. Sospirò, chiamando via radio la squadra di pulizie, che era rimasta in assoluto silenzio radio fino a quel momento. Che grande spreco. Due elementi così capaci andati perduti in una maniera così stupida. Se solo lei fosse stata abbastanza sveglia... Se solo lui non avesse scelto la via del crimine... Se solo la collega si fosse fidata abbastanza di lui da confidargli cosa le stava succedendo, forse sarebbe arrivato prima. Si sa, la vita non è fatta di se e di ma. Si basa sui fatti. Uno di questi è: il lupo perde il pelo, ma non il vizio.


 

FINE

   
 
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