Sperando vi piaccia, vi lascio con un grosso bacio e BUONA LETTURA!!
Ely
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Pvd Bella
Charlie era a pesca con Billy: da
quando Jacob se n’era andato, mio
padre cercava di rallegrare il suo migliore amico con ogni espediente
possibile, partite di baseball alla tv e gite al lago incluse. Io non
avrei
potuto esserne più felice: la casa era spesso tutta per me e
solitamente anche
per Edward…
La mattinata fu tranquilla e molto,
molto lunga. Possibile che la mia
percezione del tempo fosse pari a zero senza Edward? Quando eravamo
assieme le
lancette dell’orologio sembravano girare fin troppo
velocemente, le ore
parevano secondi ma quando eravamo distanti, anche se solo per pochi
attimi,
era come se il mondo si fermasse di colpo e quei pochi istanti in cui
eravamo
divisi fossero pari ad un‘eternità. Nel primo
pomeriggio, stufa di stare a casa
e senza più sapere dove sbattere la testa per trovare un
occupazione che mi
impegnasse a sufficienza, decisi di fare due passi in centro,
benchè Forks non
fosse proprio una metropoli. Da tempo non utilizzavo il mio fidato pick
up,
essendo sempre scortata da Edward e la sua stupida Volvo grigio
metallizzata;
non riuscivo proprio a capire perché se ne lamentasse tanto:
non faceva i 180
km/h, il climatizzatore era inesistente e a volte, il più
delle volte in verità,
mi aveva lasciata a piedi ma il mio pick up era perfetto per una come
me. Dopo
aver girato a vuoto per la ‘fornitissima’
biblioteca pubblica, non trovando
nulla che solleticasse la mia curiosità decisi di fare la
spesa, prima di
tornare a casa: Charlie sarebbe tornato certamente affamato dalla pesca
e, dopo
aver accettato di buon grado l’idea del fidanzamento tra me
ed Edward, mi
sembrava carino preparargli qualcosa di buono.
Mentre ero al reparto pasta e sughi,
concentrata su cosa
cucinare, una palla rotolò fino ai
miei piedi. Mi chinai per raccoglierla e così notai un
bellissimo bambino a
inizio corridoio che mi fissava: sembrava un angioletto, biondo e con
gli occhi
azzurri. Timidamente si avvicinò a me e protese le sue
piccole e paffutelle
braccia verso la palla.
“Matthew, Matthew dove
sei?” sentii urlare. Una donna, terrorizzata in
volto, comparve nella corsia e appena vide il bambino, ci venne
incontro quasi
correndo.
“Non ti allontanare mai
più senza dirmelo hai capito?”
gli disse agitata.
“Non si preoccupi signora,
gli era scappata la palla e la stava solo
recuperando” le risposi per tranquillizzarla.
“Ah sì, certo.
E solo che mi è sempre vicino e all‘improvviso non
l‘ho
più visto.. Mi sono spaventata”
“Capisco signora ma stia
tranquilla. Qui a Forks non succede mai nulla”.
Sorrisi alla falsità delle mie stesse parole.
Ah se solo sapesse..
“Hai detto grazie alla
signorina?” disse la donna rivolgendosi al
figlio.
“Grazie”
“Prego, non
c‘è di che. Come ti chiami?”
“Matthew”
“Ciao Matthew, io sono
Bella. Piacere di conoscerti” risposi al
bambino sorridendogli.
“Amore hai preso
tutto?Dobbiamo andare” si intromise un uomo nella
nostra conversazione, probabilmente il padre del bambino.
“Sì arriviamo,
grazie ancora. Andiamo Matthew”
“Si figuri. Ciao
Matthew” dissi mentre la donna si stava già
allontanando strattonando il bimbo.
Ritornai alla mia spesa e finii di
comprare le ultime cose per la
cena. Dopo aver pagato, uscii dal supermarket e mi diressi verso il
pick up.Per
coincidenza Matthew e famiglia avevano parcheggiato lungo la strada
proprio
dietro di me.
Rivolsi un sorriso alla
madre che, insieme al marito, stava caricando la spesa nel cofano e
salutai con
la mano il bimbo che contraccambiò timidamente. Raggiunsi il
pick up, aprii la
portiera e posai la busta della spesa sul sedile di fianco a me.
Stavo per salire
nell’abitacolo ma mi voltai un’ultima volta
indietro:
fu allora che vidi la palla scivolare dalle mani di Matthew e finire in
mezzo
alla strada. Subito spostai il mio sguardo preoccupato verso i suoi
genitori
che, ancora intenti a caricare le borse nel cofano, non si erano
accorti di
nulla. Il bambino senza esitazioni si buttò in mezzo alla
strada per recuperare
il suo gioco.
No no che sta
facendo?Perché i genitori non l’hanno
fermato?Non sa che non si attraversa la strada senza prima controllare?
E mentre mille domande accrescevano
la mia angoscia, un auto sbucò
dall’incrocio. Sapevo già cosa sarebbe successo,
vidi la scena come al
rallentatore: l’auto avrebbe inchiodato ma non avrebbe fatto
in tempo a frenare
e scansare il bambino;i genitori non lo avrebbero tirato via dalla
strada, non
si erano manco accorti che si era allontanato; il bambino sarebbe stato
preso
in pieno e scaraventato in aria, cadendo poi come un sacco di patate
sul freddo
asfalto a chissà quanti metri di distanza. L’urlo
di terrore della madre,
accortasi della disgrazia che si stava per compiere, mi fece scattare
come una
molla.
Non sono cosa mi prese, o cosa
pensai: probabilmente non pensai a
nulla…
D’istinto corsi verso il
bambino, lo presi per la maglietta e lo
gettai indietro verso i genitori.Forse sarebbe caduto e sbucciato un
ginocchio
ma era salvo. O almeno lui lo era. Mi portai le braccia al viso a
mo’ di scudo
e non feci in tempo a vedere nulla. Sentii i freni inchiodare, le gomme
stridere. L’auto mi caricò prepotentemente,
sbattei la schiena sul vetro, che
si deformò sotto il mio peso, e rotolando percorsi tutta la
tettoia dell’auto.
Giunta al cofano caddi a terra.
Strano non sentivo
dolore. Non sentivo nulla. Ero morta? Ero ancora
viva?
Non riuscivo a muovermi. La
vista era offuscata e le mie palpebre
erano sempre più pesanti. Prima che il buio mi inghiottisse,
debolmente,
chiamai il mio angelo con l’ultimo respiro che avevo.
“Edward”