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Autore: bluecoffee    28/07/2016    0 recensioni
Livia si rannicchiò contro la schiena di sua madre, nascosta nel suo letto.
Andrea fissò il soffitto della sua stanza mimetizzato nel buio.
Edoardo si sedette sul balcone di casa e si accese una sigaretta.

♦♦♦♦
L'estate è fatta apposta per sbagliare, Livia è cresciuta con questo pensiero. Ha sempre pensato, poi, che per rimediare a qualsiasi cosa, ci fossero tutti gli altri mesi dell'anno, che si sarebbero portati via l'abbronzatura, l'odore di salsedine ed il profumo degli amori estivi lasciati sotto l'ombrellone di spiagge sempre troppo lontane dall'amata ed odiata Trento.
A diciassette anni, per giunta, è logico e lecito sbagliare, anche se non è estate. Così, tra gli errori di una Livia che non si riconosce più in quello che è diventata - o che forse è sempre stata -, si intrecciano Andrea ed Edoardo, amici fin da piccoli e compagni di scuola dal primo giorno delle elementari.
Tre occhi adolescenti che vedono la vita in maniera diversa, ma tre linee di pensiero che ogni tanto riescono ad incontrarsi.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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01.

Prologo
 
 
 
 
Una risata fragorosa si infranse contro le quattro pareti della cabina da spiaggia, mentre il collo della ragazza alla quale apparteneva la risata veniva esposto alle labbra del ragazzo che le stava addosso: una lenta e piacevole tortura; i brividi che costellavano le braccia di lei e lui che le imprimeva un succhiotto appena sopra il seno lasciato nudo dall’assenza del triangolo del bikini. Fuori dalla cabina si riuscivano a sentire gli schiamazzi dei bambini che giocavano tra le altalene e gli scivoli allestiti non troppo lontano da lì, mentre dalle docce ancora più vicine due giovanissime adolescenti si stavano lamentando del bello della spiaggia che non le aveva degnate neanche di un misero “ciao”. All’interno di quella stretta – e calda – cabina, la ragazza sentiva solamente il suo respiro affannato che si scontrava con quello eccitato del ragazzo che aveva preso a schiacciarla contro la parete bianca e buia, mentre le sue dita martoriate da anni di basso le sfioravano i fianchi, giocando ed allentando sempre di più i fiocchetti della parte del costume che le era rimasto addosso.
“Dopo non si torna indietro, lo sai, vero?” le chiese ansimando, la fronte poggiata contro quella di lei.
L’unica risposta che ottenne furono le mani della ragazza che arpionavano il cordino che reggevano i pantaloncini del costume sui fianchi magri, con una leggera forza il fiocco si sciolse e no, non era più tempo per tornare indietro, per fare la strada dalla cabina all’ombrellone come non fosse mai accaduto nulla, come se quel succhiotto non fosse lì, che bruciava e che sicuramente si sarebbe visto anche con il costume. La ragazza poggiò la fronte imperlata di sudore sulla spalla del ragazzo, mentre questo affondava per la prima volta con una lentezza esasperante ed esasperata: sapevano tutti che sarebbe successo, prima che si salutassero, semplicemente perché era la tipica cotta estiva del fiore degli anni – come le aveva sempre detto sua madre e raccontato sua sorella più grande.
Un morso alla sua spalla, leggero e strategico per trattenere un ansimo, mentre la seconda spinta arrivava più frettolosa ed appagante della prima. Un’altra ed un bacio a fior di labbra. Un’altra e lui che le stringeva un fianco, l’altra mano che reggevano i due corpi contro la parete. Un’altra ed una gamba liscia e leggermente abbronzata della ragazza che si avvolgeva attorno un fianco di lui, che spingeva un’altra volta, più comodo.
Gli orgasmi arrivarono quasi contemporaneamente, le bocche che premevano l’una contro l’altra per reprimere il rumore delle due voci troppo forti. Lentamente, il ragazzo si sfilò dalla sua posizione, mentre la ragazza spostava la propria gamba dal suo fianco e premeva con la schiena contro la parete per reggersi in piedi e non afflosciarsi a terra. Il ragazzo si chinò sul corpo nudo e che sapeva di salsedine della ragazza, le baciò la spalla ossuta e le mordicchiò la clavicola che emergeva di poco dal petto sporco solamente del succhiotto.
“Fine di agosto, quindi?”
Lei annuì piano, mentre si spingeva in avanti ed avvolgeva le spalle dell’altro con le braccia. Sfiorò la sua pelle abbronzata con la punta dei polpastrelli. Gli posò un bacio sul collo leggermente coperto dalla barba che non tagliava da due giorni.
“Sei bellissima” le sussurrò all’orecchio, mentre si lasciava stringere da quel corpo piccolo ed ancora nudo. “Sei bellissima e mi mancherà averti attorno, fastidiosa e silenziosa come ci riesci solamente tu” le avvolse la schiena con le braccia, avvicinò il bacino a quello della ragazza e le posò un bacio sul naso. Aveva gli occhi chiari lucidi dall’orgasmo.
“Torniamo?”
La ragazza scosse la testa: “Se torniamo la nostra bolla scoppia.” Aveva la voce sottile e bassa, come se fosse una bambina timida nel corpo di una ragazzina che aspetta ancora di finire di crescere.
“Allora fa’ l’amore con me. Un’altra volta.”
Lei sorrise e lo baciò a fior di labbra: “Ancora. Ancora. E ancora.”
Il ragazzo sorrise, le carezzò una gamba e lentamente se la portò nuovamente poggiata sul fianco. La mano sinistra di lei lasciò il suo posto a toccare la schiena e scivolò lentamente fino a giungere tra le gambe del ragazzo che aveva preso a stamparle baci per tutto il viso.
“E smettila!” borbottò lei, ridendo, mentre stringeva gli occhi per via delle labbra di lui che le stavano dando fastidio e che non le facevano vedere tra i loro corpi ancora avvinghiati.
Lui rise piano e la lasciò fare, mentre le sue dita piccole ed affusolate si lasciavano andare ad un’azione per il piacere esclusivo del ragazzo.
 
 
 
 
 
 
  Ciao Camille,
ho capito che i messaggi non ti piacciono, quindi, anche se non sono così all’antica da essere contenta di inforcare una penna alla mano e di mettermi a scrivere, non posso che fare a questo modo per inaugurare il nostro primo anniversario di conoscenza. Perché non ricordo mai nulla, ma ricordare che un anno fa, in quella piazza di Berlino, ci siamo sorrise e ci siamo messe a parlare in un italiano un po’ deforme ed in un francese parecchio stentato, mi ha consolata dalla consapevolezza che non ci saranno più falò, non ci saranno più le nottate in spiaggia rannicchiati contro corpi semisconosciuti per scaldarci, non ci saranno più il profumo del mare e non ci sarà la spiacevole sensazione della sabbia dentro le scarpe. Odio le infradito, le Converse in spiaggia sono d’obbligo.
In una sola estate ho fatto più di quanto mi fossi mai aspettata e tornare a Trento mi fa sentire una mancanza d’aria nei polmoni che non mi sarei mai aspettata. Non vedo l’ora di riabbracciare mia madre e mia sorella, di vedere Biscotto saltarmi addosso nella speranza di essere leggero come un tempo e di ritrovarmi incastrata nella mia stanza, è vero, però è come se non mi sentissi pronta a lasciare indietro tutte le esperienze e tutti i casini combinati in due mesi e mezzo. E di esperienze e di casini ce ne sono stati in abbondanza. Andando in ordine ho intenzione di raccontarti il più possibile, quindi fatti un piacere e mettiti comoda, perché sto per scrivere la lettera più lunga che ti abbia mai scritto.
Inconsapevole della bellezza della Norvegia e con un mutismo da terzo incomodo sono partita a metà giugno con Vittoria e Riccardo – anche se alla fine terzo incomodo non lo sono stata, e nemmeno zitta. Abbiamo passato una settimana di crociera nella più assoluta tranquillità familiare, perché ormai Riccardo è di famiglia e perché, alla fine, la mancanza di mamma non si sentiva così tanto. Ci siamo scoperto poco affidabili turisti ed abbiamo rischiato di perderci almeno due volte: ne abbiamo ricavato solamente nessuna assunzione di chili per via del cibo smaltito con le corse per le vie alla ricerca dei porti e foto scattate a turno che ritraggono sorrisi spensierati e vivaci come non ricordavo da tempo addosso a me e mia sorella. L’unica foto che abbiamo noi tre insieme è un patetico selfie scattato da un Riccardo particolarmente ispirato, mentre io e Vittoria, dietro di lui, torniamo bambine e ci mettiamo a fare le smorfie delle bambine imbronciate, come quando eravamo davanti l’obiettivo che ci puntava addosso mio padre.
Le due settimane successive Vittoria è stata impegnata con gli ultimi esami prima della tesi e mamma aveva le sue sessioni universitarie da ascoltare, così ci siamo divise: loro due a Trento, Riccardo di nuovo a Venezia ed io che, in completa solitudine, ho preso il treno e sono andata a trovare mia nonna paterna a Genova. Ho passato il tempo in compagnia dei suoi libri e delle sue chiacchiere che non andavano mai a toccare papà. Mi ha lasciata cinque giorni in barca assieme al nipote di uno della sua compagnia di bridge e quello mi ha portata attorno la Corsica e la Sardegna, ci ha provato spudoratamente ed infantilmente ci sono stata, ma si è limitato tutto a sguardi smaliziati e battutine spinte che non avevano né senso né contesto, ma mi sono divertita.
Tre giorni li ho passati a Trieste, chiusa in una stanza d’hotel e spesso dentro la vasca da bagno che era diventata una piscina. Dopo tre giorni di totale solitudine papà si è ricordato di avere una figlia che lo attendeva per passare insieme le consuete due settimane: questa volta mi ha portata in Croazia. Ho visto la casa che ha comprato ad Abbazia ed una sera sono riuscita a fare il bagno completamente nuda, con solamente la luce del salotto che passavano dalle ampie vetrate chiuse e che illuminavano anche il piccolo tratto di spiaggia privata che si raggiungeva tramite una decina di scalette scoscese e troppo ripide per farle pensando ad altro. La casa non è grande, ma in due persone riuscivamo a perderci ed evitare piacevolmente di vederci se ci mettevamo d’impegno. Anche lì le pareti sembravano sputare libri, come hanno sempre fatto nei luoghi che mio padre chiama casa e sono riuscita a rilassarmi, nonostante i pasti erano sempre carichi di una tensione e di un silenzio pesante che non ricordavo così fastidiosi da farmi chiudere la bocca dello stomaco. Probabilmente, però, è stato meglio così. Al ritorno in barca mi ha lasciata a Venezia da Riccardo, sono stata tre giorni con lui a sfogarmi, ad urlare contro un uomo che non è più un padre da troppo tempo e che – con ogni probabilità – non lo è mai stato, neanche quando chiamava il mio nome a gran voce – quello stesso nome che ha scelto lui – ed aveva la macchina fotografica che gli copriva metà volto e che, minaccioso, richiudeva un sorriso. Ecco, quell’uomo che non ha mai avuto l’affetto di un padre è sempre apparso come una figura di contorno nella mia vita con mia sorella e mia madre. Non era mio padre, era il flash durante tutti i momenti della mia infanzia. Quando se ne è andato, quattro giorni dopo il mio compleanno dei sei anni, mia madre ha provato a scattare foto di qualsiasi momento, ma non ne ha avuto la forza di oscurarsi a tal punto da diventare completamente nera e di un azzurro accecante e fastidioso. Dai miei sei anni ad oggi non ho più interi album da riempire con le mie fotografie, è sempre mancato il fotografo.
Il terzo giorno a Venezia ho rivisto mia sorella e mia madre. Ci siamo strette così forte come non facevamo da tempo e le lacrime di mia madre mi hanno inzuppato la maglietta. Il giorno dopo mi hanno accompagnata a Milano a prendere l’aereo, con una valigia con abiti puliti e leggermente più pesanti, ed ho preso il volo per Dublino: la vacanza studio in una famiglia irlandese mi avrebbe fatto tornare il sorriso dopo la Croazia, lo sapevamo sia io che Vittoria che mia madre che Riccardo. È stato proprio a Dublino, un pomeriggio di pioggia sottile e fitta, che ho avuto il piacere di affrontare il dolore della mia prima volta. Era il migliore amico del figlio della famiglia che mi ospitava. Vent’anni, la passione per il football americano ed i complimenti sempre sulla bocca; era la prima domenica che passavo lì ed indossavo una sua felpa come giubbetto, perché ero uscita di casa senza il mio giacchetto, mi ha presa per mano e mi ha portata fino all’appartamento con condivide con la sorella più grande e mi ha stretta a sé quando affondava piano e cercava di tranquillizzarmi con baci e battute per sdrammatizzare la situazione e farmi ridere.
Il resto del mese d’agosto l’ho passato in Sicilia, dove sono anche ora, ospitata a casa di una mia vecchia amica delle medie. Sono stati giorni pieni di tranquillità e degli stereotipi delle vacanze estive: Giulia ci ha provato spudoratamente con il bagnino della spiaggia dove hanno l’ombrellone tutti gli anni, io ho trovato il mio sconosciuto da abbordare e con il quale ho fatto l’amore quasi tutte le sere – solamente due volte in un letto, per il resto ho la schiena che soffre dei graffi di qualsiasi altra superficie scomoda utilizzata. Abbiamo dormito in spiaggia quasi tutte le sere, andavamo a dormire alle sei, per poi svegliarci all’ora di pranzo, raggiungere la sua famiglia in cucina o al ristorante, mangiare il più possibile e dimenticarsi degli altri pasti, perché stare in mare o in giro su una bicicletta da condividere in due ed un po’ arrugginita ci faceva sentire indipendenti. Ho fumato più erba in Sicilia in questi giorni, che a casa dai quattordici anni. Mi sono abbronzata e sono riuscita a non pensare a tutto quello che mi mancava e che mi aspettava a Trento, all’istantanea scattata da Gianluca la sera prima della mia partenza ad una me sorridente e ad un Edoardo, un po’ brillo, che mi stringeva a sé.
Edoardo l’ho sentito solamente due volte: durante le telefonate di Andrea alle quali sono riuscita a rispondere. C’è sempre e solo stato un ciao, distaccato e disinteressato come tutte le volte che ci vedevamo. La sua mancanza l’ho sentito veramente solamente quei tre giorni a Venezia, avrei voluto che la sua mano stringesse possessiva il mio gomito e mi tenesse vicina a sé solamente con quel gesto. Poi, però, è passata e non ci ho più pensato, perché avevo altre persone vicino, nonostante negli occhi di Christopher rivedevo gli occhi di Edoardo e non potevo che tremare un po’ quelle volte che stavamo troppo vicini o quel paio di volte in cui, sopra il suo corpo, mi muovevo lenta e cercavo di sentirmi donna e non bambina.
Andrea mi ha parlato un po’ di ciò che facevano a Barcellona e delle ragazze che riuscivano a rimorchiare ogni volta, ma non faceva riferimenti precisi, perché sapeva. Va bene anche questo, anche se ora tornare a Trento mi fa un po’ più paura di quanto avessi realmente creduto all’inizio.
A sentirci presto,
  Saluti,
  Livia.





 
bene bene...
è praticamente tantissimo tempo che non pubblico più nulla qua, ma oltre che essere una cosa volontaria, è stata anche dettata dal fatto che le piccole gioie proprio mai e nella casa in cui attualmente sono residente con mia mamma, il wifi ancora non si è visto, e nella vita, purtroppo, faccio l'alcolista classicista, quindi nei momenti in cui non stavo sopra i libri ero felicemente rinchiusa dentro qualche salotto o qualche pub a sclerare assieme alle mie amiche davanti ad una bellissima birra. e sì, ho anche scoperto che con il classico è venuto fuori tutto il mio lato "che bello, si beveee!!".
una sera, tornata a casa con le guance rosse e la testa leggera, tra le pagine della moleskine nuova di pochi giorni, è nata una ragazza, l'anno scorso più grande di me, che aveva quest'estate fatta di spiagge e gente incontrata a caso, mentre a casa sua la aspettavano due persone "particolari": da qui, livia, andrea ed edoardo. salto tutti i particolari che mi hanno portata a mettere per iscritto questa cosa, ma so che in quella livia c'è un pezzo di me che quest'estate è emersa nei momenti meno opportuni e con le persone meno opportune. sì, perché io sono quella che ha detto no ad un ragazzo tenerissimo perchè andrà troppo lontano all'università e poi si è beccata una cotta per uno altrettanto lontano che rivedrà giusto a fine mese. proprio perché la vita è mai una gioia. 
gli aggiornamenti, lo dico in partenza, non sarà regolari, perché ovviamente ad agosto starò pochissimo in casa e per giunta dovrò anche pensare al debito di latino e che bella la vita al classico e che bello lamentarsi e che bello essere una sorta di sfigate per cui ho il mare a due passi ed odiare profondamente mare, salsedine, spiagge e bambini che urlano di qua e di là per fare castelli di sabbia.
dopo aver tirato fuori tutto il mio lato più lamentoso, grazie mille di aver letto e tanti abbracci!
federica ;)
 
  
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