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Autore: Gagiord    28/07/2016    1 recensioni
Aoko Nakamori, la prescelta. La ragazza, ormai diciassettenne, aspettava, seppure inconsciamente, l'arrivo di qualcosa. Qualcosa che le avrebbe cambiato la vita.
Ginzo Nakamori, il padre della giovane, sapeva tutto. Tuttavia, finché il potere in lei non si fosse svegliato, non poteva dirglielo. E, comunque, non ne avrebbe avuto l'occasione: stava giorno e notte fuori, ormai, alla caccia di Kaito Kid. Ebbene, il ladro era ancora costretto a rubare, determinato a trovare Pandora, quella gemma tanto importante per l'Organizzazione che si era promesso di distruggere. Eppure, non si era mai accorto che quel tanto ambito gioiello l'aveva sempre avuto sotto i propri occhi...
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Aoko Nakamori, Gin, Ginzo Nakamori, Kaito Kuroba/Kaito Kid
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Girò l'angolo. Stava camminando in una viuzza sporca e certamente mal vista, ma, in ogni caso, era mattina presto: nessuno si sarebbe azzardato a fare qualcosa ad un ragazzo alle 7:50 del mattino. Mangiava il suo ultimo toast con la Nutella, lo sguardo rivolto a terra e la mente affollata da mille pensieri. Aoko non stava male da almeno un anno. Certo, l'aveva vista anche lui, ieri sera, con quell'espressione poco serena. L'aveva sentita brontolare qualcosa di incomprensibile, mentre una strana smorfia si creava sul suo viso. Era confuso. Non sembrava stesse male fisicamente, piuttosto pensava che avesse qualche problema a livello emotivo. Ma più ragionava, più il caos nella sua testa aumentava. Gli aveva sempre detto tutto, ma non riusciva a capire cosa la prostrasse in quel modo. Era già preoccupato per l'avvenuto del giorno prima, quando lei gli aveva detto che non stava tanto bene e che stava per andare a casa. Quel giorno sì, stava male. Glielo si leggeva sul volto. Invece, quando la sera prima l'aveva osservata mentre dormiva, sembrava che qualcosa la turbasse. Era stato lì, a dedicarle quelle carezze tanto dolci quanto piene di dolore.
'Quando vorrai dirmi qualcosa al riguardo, sai sempre dove trovarmi.'
Si fidava di lui. E lui, come ringraziamento, non aveva fatto altro che mentirle e starle lontano. Aveva provato un dolore incomparabile al suono di quelle parole. Sapeva cosa voleva dire realmente: "Finché non mi dirai nulla, stai lontano da me". Ma lui ne aveva abbastanza. Ci aveva già provato, e aveva fallito miseramente. Non sarebbe riuscito a starle lontano. Non di nuovo. Avevano già sofferto - lo sapeva, anche Aoko non era felice di quel suo comportamento - per troppi mesi. Voleva dirle tutto, voleva liberarsi, almeno con lei. Quel suo muro che aveva innalzato per nascondere a tutti i suoi sentimenti, le sue emozioni, si apriva solo a lei. Solo con lei poteva togliere la sua Poker Face. Ma tutto ciò succedeva prima che lui prendesse le sembianze di Kaito Kid, il famoso ladro dalle ali d'argento. Non sapeva nemmeno lui come si sentiva circa il suo alter ego. Era euforico, in estasi, ogni qualvolta avesse un furto; adorava provare l'ebrezza di qualcosa di proibito, sentire l'adrenalina scorrergli nelle vene. Inoltre, doveva farlo per lui. Per suo padre. Per l'intera umanità. Doveva trovare Pandora e distruggerla, a qualsiasi costo. Non poteva lasciare che quell'Organizzazione criminale potesse ancora girovagare libera, lasciando che i suoi uomini meschini e spietati pullulassero per le strade come normali civili.
Allo stesso tempo, odiava quella doppia personalità che lo costringeva alle menzogne. Soprattutto, non riusciva a sopportare di mentire a lei. Colei che gli aveva sempre confidato tutto, che lo aveva consolato per la morte del padre - stando ore e ore accanto a lui, senza proferir parola. Avevano solo nove anni, ma quei suoi gesti rasentavano la maturità di un adulto. Stava insieme a lui, accovacciata a terra con le piccole ginocchia raccolte al petto, accanto al migliore amico quasi inerme. E lo faceva per giorni interi, fin quando lui decise che non poteva obbligare quella bambina tanto dolce a restare con lui per il resto dei suoi giorni per il solo motivo che non poteva far altro che piangersi addosso. Era stato forte. Sapeva che suo padre sarebbe stato fiero di lui. Ma senza di lei non ce l'avrebbe fatta. Non lasciava avvicinare nemmeno sua madre: non voleva sentire alcuna parola, e Chikage provava sempre a confortarlo con esse. Invece, lei lo aveva capito: non avrebbe detto nulla, nemmeno un semplice saluto, finché lui non avesse deciso di farlo per primo.
Sorrise a quel ricordo, e si rese conto che era appena arrivato davanti la propria scuola. Guardò l'orologio del cellulare: 7:55. Tempismo perfetto. Il loro preside era talmente pignolo da aver stabilito l'inizio delle lezioni cinque minuti prima della norma, cosicché - a dir suo - potessero cominciare effettivamente alle 8:00 in punto. Kaito pensava fosse solo un'idiozia: il professore perdeva ugualmente tempo, e tra i ritardi, l'appello e le giustificazioni, la lezione non cominciava prima delle 8:15. Insomma, erano cinque minuti sprecati in tempo inutile, che invece lui avrebbe preferito investire in sonno o più tempo nella doccia, considerando la sensazione dello scorrere dell'acqua bollente sulla sua pelle idilliaca.
La campanella suonò in quell'istante, e Kaito non poté far altro che dirigersi nella struttura, ma non prima di aver esalato un sospiro: considerava la scuola pressoché superflua. Certo, aveva imparato molte cose, imprigionato in quelle mura, ma la maggior parte del tempo in quell'Inferno interminabile lo passava a scherzare e a dormire. Dunque, non poteva essere considerato uno studente modello. Tuttavia, aveva sempre ricevuto dei risultati più che buoni dai suoi test e interrogazioni. Forse, era anche questo il motivo per cui tutte le ragazze del suo anno e di quelli precedenti gli sbavavano letteralmente dietro. A lui non importava granché. O meglio, ne approfittava: spiava lo spogliatoio femminile senza particolari conseguenze - al massimo un urletto da parte di qualche ragazza con un po' di pudore -; si divertiva ad alzare la gonna a tutte le sue compagne di classe, beffeggiandone una in particolare; adorava più di tutto ricevere quell'infinità di dolcetti deliziosi e squisiti a San Valentino. Ma, nel complesso, il tutto non andava oltre alla goduria personale e a qualche scherzetto. Gli interessava solo una persona, la quale mai gli aveva dato la soddisfazione di guardare sotto la gonna dell'uniforme scolastica senza un colpo di straccio in testa. E lui ne era felice; era felice di sapere che fosse diversa. Sì, magari aveva una cotta anche lei per un qualche ragazzo - e che ragazzo fortunato doveva essere, pensava sempre lui -, ma certamente rimaneva sempre composta e discreta. Be', almeno fin quando Kaito non la scherniva con i suoi soliti giochetti. Era molto irascibile, e lui ne aveva preso atto, avvalendosene. Gli piaceva vedere quelle guance tanto morbide di un colore più roseo del solito, quella smorfia d'irritazione e imbarazzo sul suo volto. 
Si stava dirigendo in classe, camminando per i lunghi corridoi affollati della scuola, quando un ragazzo lo chiamò da circa cinque metri di distanza. Si bloccò, volgendo la parte superiore del corpo. Vide un suo compagno, Masashi Kawaguchi, raggiungerlo a grandi falcate. Appena gli si accostò, riprese ad avviarsi verso la propria aula.
"Ehi, Kuroba! Come ti va la vita?" domandò quasi urlando, dandogli più volte qualche pacca sulla spalla.
"Bene" bofonchiò l'altro - sebbene sapesse fosse un'enorme bugia -, con il capo chino verso terra. Ma, alla fine, cosa avrebbe dovuto dire? "Uno schifo"?
"Ohi, Kuroba! Dov'è finito il tuo sorriso?"
Non rispose, si limitò a scoccargli un'occhiata torva.
"Oh, ho capito" continuò, con un ghigno beffardo che si faceva strada sul suo viso. "Ieri qualche pollastrella ti ha mollato? Dai, non tutte poss..."
"Ma quale pollastrella!" sbottò Kaito. Si ricompose all'istante, dopo essersi accorto di ciò che aveva detto. "Ieri non ho fatto proprio nulla. Vedrò se oggi posso rifarmi." Gli rivolse un sorriso sghembo e un occhiolino, per poi aumentare il ritmo dei passi. Voleva limitare al minimo le conversazioni, quella giornata. Non era dell'umore adatto per quegli argomenti da ragazzini in preda agli ormoni.
Varcò la soglia della porta, passando dalla cattedra della professoressa che stava già sistemando le proprie cose sulla superficie.
"Oggi Nakamori Aoko non c'è: sta male" annunciò lui. Keiko, la sua migliore amica, aggrottò la fronte e gli rivolse un'occhiata di sottecchi.
'E lui come lo sa?'
Decise di dar voce ai propri pensieri non appena il ragazzo si andò a sedere al proprio posto - dietro la sedia vuota dell'amica -: "E tu come lo sai?"
"Me l'ha detto suo padre stamattina." Non le rivolse nemmeno uno sguardo, e questo la irritò ancor di più.
La professoressa si intromise. "Peccato, si perderà la presentazione di un nuovo compagno." Si strinse nelle spalle. "In ogni caso, è giustificata."
Tutti gli alunni presenti nell'aula aguzzarono la vista e le orecchie: dovevano assolutamente vedere come fosse quel nuovo compagno. Solo quel ragazzo tanto enigmatico quanto bello restò con la testa poggiata sulle braccia incrociate sul banco, gli occhi serrati e le labbra leggermente schiuse. Gliene importava davvero poco.
Una presenza sconosciuta per tutti gli studenti di quella classe entrò. Era un ragazzo alto, con un fisico asciutto e di una bellezza mozzafiato. Capelli castano chiaro, corti e sbarazzini gli decoravano il volto illuminato da un sorriso a trentadue denti che, con ogni probabilità, stava facendo sciogliere ogni ragazza. Occhi color nocciola brillavano vivaci, osservando tutti quei ragazzi tanto stupefatti nel vedere un essere così bello entrare nella propria aula. Si avvicinò alla professoressa, che gli sorrise a sua volta.
"Eccolo qui. Lui è Katashi Hirawata" lo presentò, con un raggiante riso dipinto in faccia. Poi si rivolse a lui: "Puoi andare a sederti lì, alla sinistra della sedia vuota di Nakamori".
Tutte le ragazze lo seguirono con lo sguardo: alcune con la bocca completamente aperta, altre con gli occhi divaricati, altre ancora con entrambi. 
Keiko, invece, si divertiva a vedere tutte le sue compagne ammaliate da quel ragazzo. Si sporse verso il migliore amico di Aoko, sussurandogli: "Sembra che tu abbia un rivale". Ridacchiò.
"Non me ne frega nulla" mugugnò lui, e le parole uscirono ovattate dalla sua posizione. Girò la testa dall'altro lato.
Il nuovo alunno, nel frattempo, aveva raggiunto il posto stabilito e si stava sedendo. Poi si voltò, esaminando la nuca di Kaito. Si sedette, con il busto ancora volto verso il ragazzo che, nel frattempo, non sembrava avere il benché minimo interesse in Takashi.
"Ehi, coso," lo chiamò "sai dov'è questa Aoko Nakamori?"
Aveva decisamente attirato l'attenzione del giovane. Alzò il capo di scatto, guardandolo con aria truce. Come faceva a sapere il nome di Aoko? Ricordava perfettamente che l'insegnante aveva accennato solo al cognome. Inoltre, chi era quel tizio per rivolgersi a lui in quel modo? 
"Come fai a sapere il suo nome?" ribatté, scontroso.
Il sorriso del nuovo studente si trasformò in un ghigno sprezzante. "Sai, io e lei abbiamo qualche rapporto... fuori dalla norma." Il suo tono era pungente e derisorio, come se avesse captato il fastidio che aleggiava intorno all'altro ragazzo. Detto ciò, si volse, ascoltando apparentemente la lezione che la professoressa di fisica aveva cominciato a spiegare, non smettendo di ghignare.
'Fuori dalla norma?' si chiese, quasi preoccupato. Cosa voleva dire? Pensò, cercò di ricordare, ma la sua memoria non custodiva nessun avvenimento che potesse ricollegarsi a quel misterioso ragazzo. Non capiva. Tutto ciò non faceva che irritarlo ancora di più. Sbuffò lievemente, ricollocando il mento sopra le braccia conserte.
La migliore amica della ragazza si sporse ancora una volta verso il ladro, facendo attenzione a non farsi scoprire dalla professoressa, lanciandole sguardi di sottecchi.
"Ehi, Kuroba" bisbigliò, curiosa. "Cosa intendeva quello?" Scoccò una fugace occhiata al nuovo arrivato, facendo capire al moro a chi alludesse.
"Non lo so." Sbuffò un'altra volta. "Se lei ti fa sapere qualcosa, dimmela."
La ragazza lo guardò con aria torva. "E perché dovrei?" chiese, mentre sul suo volto appariva un sorrisetto maligno.
Lui sollevò il capo, reggendo la mascella con il palmo della mano. Chiuse lentamente gli occhi e sospirò, come se volesse reprimere un'improvvisa ira. "Keiko, per favore."
La ragazza sgranò gli occhi e spalancò leggermente le labbra: non la chiamava mai per nome, e tantomeno pronunciava espressioni come "per favore". Il ghigno quasi derisorio che aveva abbandonato il suo viso pochi secondi prima ritornò, ancora più deciso. "Devi essere proprio disperato!" Ridacchiò piano, mentre il diretto interessato la fulminava con gli occhi color mare. Nessuna ragazza avrebbe resistito davanti a quella visione celestiale; certo, nessuna, tranne Keiko. Era immune al fascino del moretto - almeno nella sua versione da normale studente. Non sapeva nemmeno lei perché; forse dipendeva dal fatto che, avendo notato sin da subito l'interesse dell'amica nei suoi confronti, si era semplicemente fatta da parte e non aveva fatto altro che aiutarli. Già, cinque anni di aiuto, vani. Ma quando si parlava di amore, quei due bruciavano istantaneamente i loro neuroni, riducendo il loro brillante cervello alle dimensioni di una nocciolina. E, purtroppo, lei non poteva farci nulla.
"Kuroba!" All'improvviso richiamo, l'appellato sobbalzò, assumendo una posizione eretta. "Sarai anche intelligente, ma questo non significa che puoi distrarre i tuoi compagni!" ringhiò la professoressa, infuriata. Ah, si doveva aggiungere anche la loro insegnante di fisica alla lista "Chi resiste a Kaito". Poi proseguì con la sua ramanzina: "E tu, Momoi! Non farti sedurre dal suo finto fascino, intese?"
La ragazza sommise a stento una risatina: lei? "Sedurre dal suo finto fascino"? Piuttosto usciva con un criceto! "Certo, professoressa." Le sorrise bonariamente, lanciando occhiate furtive al soggetto di quel rambuffo: il povero ragazzo stava imprecando sottovoce.
"Ma è possibile che danno sempre a me la colpa?" borbottò in modo indecifrabile. La professoressa, tuttavia, sembrò aver sentito, e gli scoccò uno sguardo minaccioso, provocando un brivido lungo la schiena del ragazzo. Poi si girò, continuando ad esporre la lezione. Kaito, invece, ritornò ad oziare nella sua solita posizione, non riuscendò, però, ad addormentarsi sul serio: era troppo impegnato a cercare di interpretare quelle strane parole dette qualche minuto prima da Katashi Hirawata.

 


"Oh! Aoko mi ha mandato un messaggio." Fece vedere all'amico ciò che la viaggiatrice le aveva scritto.
"Non puoi chiamarla ora?" domandò, troppo irritato per aspettare ancora. "Tanto abbiamo ancora venti minuti, prima che la pausa pranzo finisca."
La ragazza sembrò meditare. Si mise a sedere sul suo banco, facendo penzolare le gambe. Aveva fame, ma pensò che ciò che le doveva dire l'amica doveva essere molto più importante. Si ricordò, però, che la mora le aveva scritto che l'avrebbe chiamata lei, una volta uscita da scuola: forse era occupata. Ma cosa la poteva impegnare a tal punto da saltare un giorno di lezioni? Se lo chiese più e più volte, non riuscendo a trovare risposta. Perché lo sentiva, anzi, lo sapeva, che la sua migliore amica aveva problemi molto più gravi rispetto ad una semplice influenza o malore, e gli eventi del giorno scorso non facevano che confermarglielo. Decise, quindi, di chiedere informazioni al ragazzo accanto a lei. Si girò, intenzionata a parlargli, ma lo vide con due dita che massaggiavano lentamente il mento, lo sguardo perso nel vuoto, totalmente assorto nei suoi pensieri. Si chiedeva cosa Aoko dovesse dire alla biondina così urgentemente. Una smorfia gli increspò le labbra: non era l'unico a nascondere qualcosa. Tuttavia, Keiko era restia a rivelargli tutto. Non che lei sapesse molto, dato che non riusciva a spiegarsi l'accaduto del giorno prima, ma non era sicura che l'amica avrebbe acconsentito ad esporlo. Inoltre, presumeva che Kaito non avrebbe creduto ad una sola sua parola. Ma, del resto, come biasimarlo? Si parlava di un improvviso salto in un'altra epoca, per non parlare della miracolosa caduta da trenta metri; ne era uscita quasi illesa, al massimo qualche ferita sui palmi delle mani e uno stiramento al braccio destro. Niente che lasciava presupporre una disastrosa cascata nel bel mezzo di una via di centoventi anni fa.
Il ragazzo, che prima aveva assunto una vera e propria aria da detective intento a rimuginare su un caso, chiese alla giovane accanto a lui: "Cosa significa il tuo messaggio?"
"Eh? Oh, nulla! Sai, ieri sera Aoko era uscita con un tizio" gli ammiccò lei. Un sorriso compiaciuto si stava facendo largo sul suo viso, ma si fermò nel vedere il ladro ghignare beffardo.
"Ah, sì?" Alzò un sopracciglio, incuriosito. "Peccato che ieri sera io l'abbia vista a letto."
"COSA?" sbraitò Keiko, incredula. Scese dal banco con un balzo, fronteggiando il giovane. Cosa voleva dire? "Giuro che se l'hai anche sfiorata..."
"No, no, no" si difese l'altro, le mani alzate in un segno di resa e le gote insolitamente avvampate. "Ieri sono andato a casa sua per cenare, ma suo padre mi ha detto che era a letto perché stava male. Quindi sono salito, e l'ho trovata già addormentata." Dopo aver notato lo sguardo bieco dell'amica, aggiunse, distogliendo lo sguardo: "Non ho fatto nulla."
"Meglio per te." Si rimise a sedere, poggiando un gomito sulla coscia e sostenendosi il capo con la mano.
"Quindi? Cosa intendevi in quel messaggio?"
Lei, presa alla sprovvista, fece vagare gli occhi per qualche secondo, per poi riposarli su di lui, dopo aver trovato una scusa soddisfacente. "Ieri siamo andate in negozio di vestiti; Aoko ha preso una camicia per suo padre - sai, tra poco fa il compleanno anche lui." Sorrise, soddisfatta, mentre lui la osservava con un sopracciglio alzato. "Le chiedevo semplicemente se gli fosse piaciuta." Cercò di essere più convincente possibile, ma il ragazzo aveva le sopracciglia corrugate e doveva essersi reso conto che era una scusa, quindi riprese a parlare: "Invece, dimmi un po': sai cosa sta facendo? Hai detto che stava male, era ovvio fosse una balla".
Lui sbuffò, evidentemente frustato: non sapeva nemmeno lui cosa stesse succedendo. "Ho detto quello che suo padre mi ha riferito ieri sera" tentò, ma notando lo sguardo indagatore di Keiko, alzò gli occhi al cielo. "Sto dicendo la verità. Non ci credo nemmeno io, ma a quanto pare 'sta cosa è top secret, eh?"
L'amica azzardò un risolino. "Comprare una camicia è top secret? Certo, ha un rilevatore GPS e un microfono integrati, ma shh, non dirlo a nessuno!"
Il mago sospirò e socchiuse le palpebre. "Come preferisci." Un ghigno spavaldo si aprì sul suo luminoso viso. "Sono sicuro che lei mi dirà tutto."
"Che c'è, vuoi una camicia anche tu?" gli chiese, sarcastica. Almeno era riuscita ad evitare di dire qualcosa; se la sua amica non ne avesse voluto parlare con lui, si sarebbe cacciata in un mare di guai.
"Sei impossibile." Sbuffò, cercando nelle tasche dell'uniforme il suo cellulare, assumendo una smorfia contrariata nel vedere che mancavano pochi minuti alla prossima lezione. "Alla fine della scuola mi devi dire tutto, intesi?" Assottigliò lo sguardo: quella ragazza sapeva essere davvero furba, e avrebbe tentato l'impossibile pur di non riferirgli niente, lo sapeva.
Lei scese nuovamente dal banco, virando la traiettoria del suo corpo verso la porta. Poi, volse la testa, rivolgendo un occhiolino al ragazzo, ancora fermo davanti alla finestra, con le mani incrociate al petto e uno sguardo penetrante. "Come no, Kuroba." Si diresse alla mensa, intenzionata a mangiare qualcosa prima della ripresa delle lezioni, mentre il mago poggiò le braccia sul davanzale della finestra, scrutando nei minimi particolari il cielo grigio, pensando alla ragazza che gli provocava tutti quei problemi.

 


"Aoko!" esclamò, mentre percorreva il cortile dell'edificio che pullulava di ragazzi di tutte le età. "Finalmente."
"Metti il vivavoce" ringhiò il ragazzo al suo fianco, sporgendo il capo verso il cellulare che l'amica teneva saldamente vicino al suo orecchio, sperando di sentire qualcosa.
"Mmh... Keiko?" la chiamò la voce dall'altro capo del telefono, quasi incerta.
"Dimmi."
"C'è Kaito, lì con te?" Ridusse la sua voce ad un bisbiglio, provando a criptare le sue parole da orecchie indiscrete.
L'appellato, tuttavia, si sporse ancor di più verso l'oggetto, avendo fortuitamente udito il suo nome. "Momoi, giuro che il microfono lo metto io!"
Lei, però, non lo degnò di uno sguardo, sorridendo sorniona. "Ah, la camicia è piaciuta a tuo padre?"
Aoko corrugò le labbra in una smorfia, spaesata. Dopo qualche secondo, però, si rese conto di ciò che la sua amica stava facendo: aveva omesso gran parte delle cose al ladro, e gliene era realmente grata; sorrise, quindi, e sostenne il gioco. "Oh, sì! Davvero tanto." Aveva quasi urlato, auspicando che il moro potesse sentire le sue parole, dissimulando alla perfezione. Quelle due ragazze si capivano al volo, su questo, di certo, non si poteva discutere.
Kaito rimase esterrefatto dalle parole dell'amica, schiudendo per un attimo la bocca. Un attimo dopo, contrasse le labbra e socchiuse gli occhi, sibilando un "Non me la bevo". D'altra parte, però, non poteva che credere alla viaggiatrice: sapeva che non gli mentiva mai, che gli diceva sempre tutto. Tuttavia, il suo atteggiamento non lo convinceva totalmente. Certo, però, che non poteva biasimarla: era il primo ad essere sempre enigmatico e ambiguo.
"Ah, come ti senti? Ho saputo che stai male" continuò a fingere, non abbandonando il ghigno che, ormai, albergava il suo viso. Varcò l'uscita del liceo Ekoda, insieme al suo compagno che, tra l'altro, non sembrava intenzionato a lasciare la sua posizione da ascoltatore furtivo. "Saranno state le montagne russe di ieri!"
Il riso della futura ladra si allargò ulteriormente. "Eh, sì." Poi, seppur le guance si fossero sfumate di un leggero rosso e lei stessa provasse un certo imbarazzo a pronunciare quelle parole, aggiunse: "Se Kaito è ancora con te, salutamelo".
All'udito di quella frase, il moretto sussultò: non si aspettava una cosa del genere, nemmeno lontanamente. Poi sogghignò, compiaciuto. "Momoi, sappi che non mi convinci affatto" esordì, con tono pungente. "Ma va bene. Ah, ricambia il saluto." Le rivolse un sorrisetto sghembo, per poi svanire in una nuvola di fumo grigio.
"Finalmente quel mago da quattro soldi se n'è andato." Sospirò in modo melodrammatico. "Ti saluta anche lui."
"D-davvero?"
"Aoko!" l'ammonì la biondina. "Non ho intenzione di parlare del tuo principe azzurro!"
"Non è i..."
"Forza, racconta" la incalzò, interrompendola. Si era seduta alla fermata dell'autobus, aspettando quest'ultimo e aguzzando le orecchie per il discorso dell'amica.
"Oh, è una storia lunga..."
"Quindi comincia subito!" Si stava spazientendo, e per poco non aveva alzato la voce.
Aoko le raccontò tutto, ricordando al meglio delle sue possibilità il discorso del padre; non preterì nessuna vicenda. Certo, i Guardiani le avevano severamente vietato di parlare di questa storia con chicchessia, ma, oramai, il gioco era fatto. Il giorno prima le aveva riferito tutto riguardo al suo pericoloso ed inaspettato imprevisto; ora, quindi, come poteva mentirle? In ogni caso, non avrebbe saputo che scusa inventare.
"Stamattina sono andata alla torre dell'orologio" seguitò. Keiko rimase ammutolita, come aveva fatto per l'esposizione precedente - salvo un "Che figata!" alla rivelazione dei viaggi nel tempo. "E' la sede dei Guardiani. Dopo un po', siamo riusciti a convincerli che io ero davvero lo zaffiro - anche se mi sono procurata un bel livido sul gomito. Mi hanno detto che dovevo 'spropriare'. Sarebbe un altro modo per dire viaggiare o saltare, ma con il meridian. Bah! Si complicano la vita. Ah, però c'è stata una cosa bella: sono entrata in un atelier."
"Atelier?" sbottò la ragazza, guadagnandosi uno sguardo attonito di un'anziana che, come lei, era seduta alla fermata.
"Proprio così! Non puoi immaginare che cose meravigliose c'erano là dentro!" decretò, mentre teneva il telefono tra la spalla e l'orecchio. Stava studiando, dato che non ne aveva avuto voglia né tempo il giorno prima. Era intenta a risolvere una disequazione di secondo grado; benché per lei la matematica - e in particolar modo l'algebra - non fosse un problema, non riusciva a riflettere lucidamente per via di tutti quei pensieri che le offuscavano la mente. "Kimono di tutti i colori, abiti occidentali del Settecento, vestiti di attori e celebrità... Di tutto! Un Paradiso, davvero." Sospirò, sognante. "A te com'è andata? Ci sono novità a scuola?"
"Puoi scommetterci!" asserì, con voce squillante e vivace. "Abbiamo un nuovo compagno."
"Scherzi?" La mora, nel frattempo, si era alzata dalla sedia posta dinanzi alla scrivania, lasciando stare momentaneamente la matematica, e camminando avanti e indietro per la stanza.
"Assolutamente no. Ah, e tutte le ragazze gli sbavano dietro." La donna sulla settantina, seduta vicino all'amica della viaggiatrice, aveva cominciato ad ascoltare i loro discorsi, evidentemente interessata a quei gossip adolescenziali. "Effettivamente, è carino. Però non credo che tu gli darai attenzione: hai sempre il tuo principe azzurro, no?" ridacchiò, punzecchiando la ragazza con cui stava felicemente dialogando. 
La giovane sbuffò. "Non ho nessun principe azzurro!" Alzò gli occhi al cielo, mentre prendeva nuovamente posto sulla sedia di legno. "Stasera c'è il furto di Kid, vero? Tu ci vai?"
"Certo! Sai che non me ne perdo mai uno. Perché?"
"Voglio venire con te" declamò lei, stupendo l'amica. "Devo vedere come si ruba e come si fa a scappare dalla polizia."
Keiko aveva gli occhi sgranati, quasi le fosse stato detto che era incinta. Si riebbe dopo qualche secondo di pura incredulità. "Ma tuo padre è un ispettore! Dovrebbe sapere come si fa a scappare dai piedi piatti, no?"
"Mi ha detto lui stesso di andare con lui, a vederlo, in realtà. 'Potrai vedere tutto dal vivo, saprai meglio come fare', sue testuali parole." Sbuffò - ancora una volta - rumorosamente. "Dovrò somigliare a quel ladro da strapazzo, ti rendi conto?" proruppe, infuriata. "Perché, naturalmente, le mie antenate dovevano complicare tutto: dovrò fare spettacolini, mica posso limitarmi a rubare, certo!"
La bionda, intanto, era salita sull'autobus che era solita prendere, trovando un posto libero e mettendosi a sedere. A differenza della sua amica, a lei brillavano gli occhi: riteneva estremamente eccitante dare vita a furti come quelli di Kaito Kid. "Stai scherzando! Avrai un'audience tutta tua, e, chissà, potrai incontrare anche Kid! T'immagini collaborare con lui?"
La viaggiatrice alzò gli occhi al cielo, irritata. Quella era una delle cose che la sdegnava di più. "Sicuro, non vedo l'ora di diventare sua amica!" ironizzò, con le labbra contratte in una strana smorfia. "Piuttosto mi faccio sbattere in galera."
"Ah, quanto t'invidio!"
Un rumore interruppe la loro conversazione: il cellulare di Aoko si stava scaricando.
"Keiko, ti devo lasciare! Fatti trovare alle 10:00 qua, mio padre ci riserverà posti in prima fila."
"Ti adoro!" Ridacchiò un po', felice, e qualche secondo dopo si unì anche la moretta. "A stasera!"
La figlia del poliziotto mantenne il riso sul suo volto, sapendo che, almeno, con lei ci sarebbe stata anche la sua migliore amica; questo non poteva che rincuorarla: a lei non andava proprio di assistere a una delle esibizioni di quel ragazzo che, anche in veste di normale cittadino, non faceva altro che occupare i suoi pensieri. "A dopo!"






Nota autrice: Ehilààà, popolo di EFP! Se! Magari potessi dirlo sul serio x'D Ho fatto presto, stavolta, eh!
Ma, ora, passiamo al chap! Abbiamo un tonno (<3) frastornato e geloso (anche se non se ne rende conto, poverino), che pensa talmente tanto alla sua amata, che non si rende conto di essere arrivato a scuola. Di chi sto parlando? Ma della Nutella, ovviamente! Okay, devo tornare seria...
Cosa ve ne pare di Mr Tichiamocoso? Vi sta simpatico? A me no :P
E della relazione Kaito-Aoko? Sembriamo tanto io e mio fratello :'D
Infine, c'è il furto del gelataio! Lo vedremo nel prossimo chap, eheh.
Fatemi sapere cosa ne pensate ;) Alla prossima!

Baci
Shizuha

 

  
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