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Autore: Lisi    29/07/2016    3 recensioni
Captain Swan AU
Quando ad Emma Swan, abile agente cia, viene affidato un importante caso sotto copertura, la donna si ritrova improvvisamente obbligata a trasferirsi a Storybrooke, una piccola cittadina nel Maine. Ma, contro le sue ferme intenzioni, non è sola. Nonostante il complicato rapporto con il suo nuovo partner, Emma è costretta ad affrontare con lui una convivenza forzata nel momento in cui le viene annunciato che, in quel suo nuovo incarico, il ruolo da interpretare sarà quello di fidanzata.
Genere: Azione, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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2. Horror city

 

 

 

 

Dopo tutte le mie lotte, e i numerosi tentativi di liberarmi di un partner che ancora non conoscevo, ecco che, al contrario di ogni pronostico, mi ritrovavo seduta accanto ad un uomo che a giorni sarebbe stato il mio fidanzato. 

O almeno, il mio finto fidanzato.

Quel primo incontro andava oltre la concezione di assolutamente disastroso, era qualcosa di peggiore. Forse non per lui, a giudicare dalla maniera in cui aveva continuato a comportarsi, ma per me di certo si. 

Eppure, nonostante stessi vigorosamente alzando gli occhi al cielo, non avrei di certo rinunciato a quell’incarico per colpa sua. 

“Allora, Swan, sei pronta per questa nostra avventura?” cominciò, a pochi centimetri da me, sul lato sinistro del sedile posteriore dell’auto di Liam. Pensava, il mio amabile capo, che, mettendoci vicini subito, saremmo riusciti ad andare d’accordo o, almeno, a riuscire a sopportarci entro la partenza per il Maine, a conoscerci meglio. 

Nessun errore più grave.

“Primo, Jones, non chiamarmi Swan perché, comunque, non riesco a gradire la maniera in cui lo pronunci e, secondo, no, non sono affatto pronta per questa partenza, avrei decisamente preferito essere sola” dichiarai tutto d’un fiato, mostrandogli una smorfia assolutamente irritata, quella che meglio riusciva ad esprimere le mie sensazioni in quel momento. Forse non era nemmeno completamente colpa sua, di Killian in sé, se non riuscivo a farmelo piacere. Probabilmente era il semplice fatto di dover lavorare con qualcun altro che non conoscevo. Tentai di ammorbidire all’ultimo quell’espressione contrariata, abbassando il volto.

“Viva la sincerità, Swan” sorrise, in una piega di labbra non amara, ironica, alzando le braccia al cielo. Mi fissò con fare quasi confuso per qualche secondo, ma lasciava a vedere che, in realtà, non era poi così stupito.

“Nulla di personale, a parte quell’osceno baciamano” continuai, schietta, voltandomi nell’altra direzione nel tentativo di evitare il suo sguardo di disappunto.

Lo sentii ridere, invece.

“È semplicemente un modo per farti onore Swan, e, inoltre, non sbaglia mai un colpo” ammiccò, esprimendosi con una vocetta il cui tono si collocava al limite della sopportazione. 

“Lo pensi davvero? Io credo che ti renda solamente insensato, e, personalmente, ti ho trovato assolutamente assurdo” dichiarai, senza più preoccuparmi di cosa avrebbe potuto pensare. Oramai era un continuo botta e risposta e percepivo senza dubbi che stesse tentando di  stuzzicarmi. Ma i suoi giochetti, 10 volte su 10, finivano per irritarmi più di quanto avrei voluto permettere.

“Lo dici solo perché sai che ti ho colpita e non lo vuoi ammettere. Dai, puoi dirmelo, non ti giudico” concluse, fissandomi con un’espressione soddisfatta, un tiepido sorriso dipinto sulle labbra, quell’aria di eterna superiorità e di trionfo.

Mi dava davvero troppo fastidio. Era sicuramente l’ultima goccia in un vaso che era probabilmente già traboccato nell’esatto momento in cui si era presentato in quella maniera non del tutto convenzionale.

“Non ho niente da ammettere, solamente che, se in questo momento non ci trovassimo su un auto, ti prenderei a calci e quelli si, che non sbagliano un colpo” parlai, con una tranquillità che non era poi tanto adatta a quella frase che uscì dalla mia bocca. Nonostante fossi sullo stesso veicolo del mio capo, e di suo fratello, colui che stavo prendendo di mira, smisi di trattenermi. Di certo non gli avrei riservato un buon trattamento solo perché era un parente di Liam, anzi, avrei continuato a comportarmi come avevo sempre fatto, senza peli sulla lingua, senza paura di farmi sentire. 

“Ragazzi! Wow, siete molto affiatati” sentii Liam blaterare dal sedile anteriore. Potevo percepire una leggera risata nella sua voce, un trattenersi ormai non più velato dai nostri lamenti. Si stava chiaramente godendo quella mia sceneggiata.

“Ma vedete di tenere da parte la rabbia, e le arti marziali, per dopo” continuò, tentando di assumere una voce più seria, posando lo sguardo sullo specchietto centrale per dare un’occhiata alla parte posteriore dell’auto.

Sembravamo letteralmente due bambini dell’asilo, uno rannicchiato contro una portiera, l’altro proteso verso l’altra, un vuoto incolmabile tra di noi.

“Mi potresti almeno dire cosa stiamo esattamente andando a fare in una cittadina sperduta del Maine?” chiesi, attendendo di avere almeno una piccola parte di verità.  Ancora non riuscivo a capire quale fosse il grande problema di quella missione, perché mi era stato intimato di non parlarne con nessuno, perché era un segreto protetto con così tanta paura.

Scostai leggermente il volto dal finestrino sul quale lo avevo precedentemente poggiato nel tentativo di allontanarmi dagli sguardi indiscreti di Killian.

“È più complicato di quello che potrebbe sembrare. Ci sono degli affari illegali in corso in quella piccola cittadina, che forse, per quel suo essere così sconosciuta e isolata, rende il lavoro a quei criminali più semplice. Tutto ciò che sappiamo è che si stanno riunendo in una qualche società, di cui non siamo riusciti né ad avere il nome, né i componenti, sopratutto a causa delle scarse risorse che possediamo in quel luogo. Il problema principale di tutto ciò è il loro capo. Se riuscite a trovare chi manovra il tutto, la vostra missione è compiuta perché senza una guida, il gruppo si scioglie” 

“Cosa starebbero progettando?” intervenne Killian, interessato.

“C’è stato un furto una settimana fa che potrebbe costarci molto caro. Identità di agenti, capi, collaboratori, dettagli di ogni missione svoltasi, particolari vari su indiziati, criminali, chiunque abbiamo arrestato, file segreti di vario genere. Se qualcuno di malintenzionato se ne appropriasse sarebbe la fine” spiegò, e in quel suo tono riuscii a percepire una seria preoccupazione, un’agitazione che mai avevo registrato nella sua voce, nemmeno quando altri pericoli erano intercorsi a metterci tutti quanti a rischio.

“Abbiamo cercato di recuperarle, ma non c’è stato nulla da fare, e la distanza non ci aiuta di certo. Per questo ho bisogno dei miei due agenti migliori. Le informazioni sono nascoste su un chip, ed è tutto quello che siamo riusciti ad ottenere prima che sparissero nel nulla” 

“E come sapete che sono proprio in quella cittadina?” chiese Killian, assolvendo al compito di pronunciare quelle stesse parole che sarebbero altrimenti uscite dalla mia bocca a poco.

“Come ho detto, qualcuno ci ha chiaramente venduti. Una talpa. E siamo riusciti a scoprirla prima che causasse ulteriori danni. Ci ha solamente rivelato che le informazioni sarebbero andate a finire a Storybrooke, e che all’interno dell’agenzia c’è un altro traditore, ma che non sappia chi sia. Lavorano per sé, senza nemmeno sapere a chi andrà tutto il frutto del loro impegno. È tutto ciò che ha potuto dire, o, almeno, ciò che ha voluto dire. Non c’è stato modo di strappargli ulteriori informazioni, nonostante i continui tentativi” concluse, e sentì le idee che mi circolavano in testa cominciare ad ordinarsi a poco a poco, a fare spazio a più serie domande, a progetti differenti.

“Quindi, ci state mandando in una cittadina isolata dal resto del mondo, senza nessun indizio di dove quei chip potrebbero essere” affermò l’uomo accanto a me, e per una singola volta, dovevo dargli ragione. Era chiaramente una missione complicata, un incarico che andava affrontato con la massima cautela.

“Esattamente, ma so che porterete a termine questa missione nel migliore dei modi” confidò, un leggerissimo accenno di ottimismo che spiccava nella sua voce. Doveva fidarsi di noi, in un maniera che io non sarei mai riuscita.

“Nessun sospetto in particolare da segnalarci?” chiesi, cominciando a visualizzare nella mia testa cosa avrei dovuto fare, come mi sarei dovuta muovere, a ragionare sulle poche tracce che avevamo a disposizione.

“L’intera città potrebbe essere colpevole, dovete essere cauti”

Perfetto. 

Assolutamente fantastico.

Nonostante il mio sesto senso, quella particolare percezione che possedevo per le persone specialmente inaffidabili, non riuscivo a darmi pace. Odiavo non avere una base solida su cui costruire qualcosa, forse perché mi era capitato fin troppe volte, e non solo per quanto riguardava i casi che mi venivano affidati.

“Avresti fatto meglio a mandarmi lì con un esercito allora…” riflettei, spostando il volto in un’altra direzione, muovendo il capo in segno di assenso a quella mia stessa affermazione.

“Swan, io sono più forte di un intero esercito” lo sentii solamente parlare, sempre quel suo classico, inimitabile, tono di superiorità.

“Ma certo”

“Dubiti per caso delle mie abilità?” potevo perfettamente immaginarlo, gli occhi fissi su un punto vuoto, il volto dominato da un’espressione confusa, basita, incredulo che qualcuno potesse contrastarlo in quella maniera.

“Si”

“Ragazzi, calmatevi. Partiremo tra qualche ora” annunciò Liam, lasciandomi, in quel caso, nel completo stupore. 

Solo pochissimo tempo e, di nuovo, avrei interpretato un nuovo ruolo in una vita che non mi apparteneva ma che, a poco, avrei dovuto fare mia senza ulteriori esitazioni.

 

 

 

 

***

 

 

Era stato un viaggio lungo. 

E quel Killian lo aveva di sicuro reso ancora più lungo e pesante di quanto sarebbe mai potuto essere con le sue continue frecciatine e quelle domande un po’ troppo personali. Quando avrei voluto raccontargli la mia storia, se mai avessi voluto farlo, lo avrei fatto. Ma in quel momento non ero ancora pronta a rivelare ogni mio più piccolo segreto ad un uomo che primo, era collocabile al limite della sopportazione e che, secondo, non conoscevo affatto.

Ed ora mi ritrovavo, di nuovo, sul sedile posteriore di un piccolissimo taxi, proprio accanto lui, diretta, attraverso una strada stretta e buia, in quella piccola cittadina degli orrori. Non riuscivo a trovare un altro nome per descriverla. Un paesino, disperso ed isolato dal resto del mondo, abitato da pericolosi criminali. Un posto adatto a dei bambini, senza dubbio.

L’unica cosa definita che riuscivo a scorgere, osservando attentamente dal mio finestrino già punteggiato da piccole gocce di pioggia, erano grandi sagome di alberi, una foresta fittissima, e un vento fortissimo che, sia metteva a dura prova l’affrontare quella strada già di per se scivolosa, sia muoveva animatamente le chiome folte di quegli imponenti pini.

Oltre al fatto che io, di andare in quella cittadina, non ne avessi alcuna voglia, ora ci si metteva anche il tempo a darmi un pessimo benvenuto. Il cielo era completamente coperto da nuvole nerissime, che, nonostante fosse notte fonda, si potevano chiaramente notare. Tutto ciò non prediceva eventi migliori di un temporale con i fiocchi.

Killian non sembrava essere meno immerso nei suoi pensieri, anzi, lo scrutai per qualche secondo intento a dare un’occhiata attraverso quel piccolo vetro che lo separava da un ambiente non propriamente accogliente. Era sinceramente più amichevole quando, tranquillo, non mi assillava con strani quesiti e con sguardi fastidiosi. 

Ed eccolo, di nuovo.

Si voltò verso di me, incrociando i miei occhi stupiti, che ormai non potevo distogliere da lui, dal momento in cui mi aveva colta a fissarlo. Parve guardarmi con un’occhiata differente dalle solite, con un modo di fare chiaramente più quieto, e mi rivolse un ultimo, tenero, sorriso, come se volesse riscaldare quell’ambiente già di suo parecchio gelido, sia per il nostro atteggiarci distaccato, sia per quel vento freddissimo che riusciva a farsi sentire anche all’interno del taxi.

Ricambiai, però con un accenno di dubbio, perché per qualche secondo mi sembrò essere un uomo diverso da quello che avevo conosciuto poche ora prima, quello particolarmente irritante.

“Swan, siamo arrivati” parlò, portando entrambi i nostri sguardi a rivolgersi su punti differenti.

Eravamo finalmente giunti nella piccola città degli orrori che, bagnata da un temporale fortissimo, ed offuscata da una tenue nebbia bassa, pareva essere ancora più inquietante e misteriosa. 

In un attimo ci ritrovammo sulla strada principale, quella che attraversava direttamente la cittadina e che costeggiava case e negozi. Cercai di guardarmi attorno il più possibile, di annotare ogni singolo particolare di quegli edifici e di ciò che li circondava per fare un quadro più completo della situazione. Ad attirare subito la mia attenzione fu un’insegna luminosa particolarmente eccentrica, “Granny’s”; doveva di certo essere un piccolo bar, anche da ciò i graziosi tavolini collocati proprio davanti, scarsamente illuminati sia dal colore fosforescente di quel nome, sia dai pochi lampioni che dominavano i marciapiedi, mi suggerivano. Subito dall’altro lato scorsi, in lontananza, un negozio che teneva in vetrina un abito da sposa, e alcune altre attività commerciali principali di vario genere, e poi, giunti quasi all’incrocio, un’alta torre dell’orologio le cui lancette indicavano un orario particolarmente bizzarro: 8.15. Rimasi quasi basita per qualche istante. Data l’oscurità di quella notte, dubitavo fortemente che fossero le 8.15. Pensai di essermi sbagliata, forse perché la vista non era di certo chiarissima in quel momento, sia a causa di quel muro bianco che intralciava una corretta visione, sia a causa della stanchezza che minacciava le mie palpebre.

Il taxi cominciò a frenare più avanti, sempre di più, fermandosi davanti ad una piccola casetta dallo stile vittoriano, una di quelle villette di quartiere con lo steccato bianco che sembrano essere sempre presenti nei classici film. Era di un colore grigiastro, o piuttosto di un azzurro spento, e non sapevo se fosse dato dalla poca luce che animava quella via, o dal fatto che fosse davvero di quel colorito. Di certo i raggi del giorno avrebbero potuto chiarire tutti i miei dubbi.

“Mi è stato chiesto di portarvi qui, il conto è già stato pagato” intervenne il tassista, cauto, prendendo in mano la poca attenzione che sia io che Killian riuscivamo ancora a conservare. 

“Grazie mille” conclusi, avviandomi a scendere dal veicolo nonostante quelle leggere gocce di pioggia che mi avrebbero sicuramente bagnata. Ma non era certamente da considerarsi una tragedia. Avevo affrontato situazioni peggiori di quella. 

Vidi Killian fare lo stesso, e poi dirigersi al baule dell’auto per estrarre i nostri bagagli. Sembrava che entrambi non portassimo poi granché con noi, viste le dimensioni ridotte delle nostre pochissime valige. Come dicevo, l’indispensabile. Porta solo ciò che ti serve, ciò di cui hai veramente bisogno, era ciò che mi avevano sempre consigliato. Ed era quello che avevo sempre tentato di fare. Una spia non ha di certo spazio per fronzoli o dettagli insignificanti.

Mi avvicinai al mio bagaglio, per tentare di portarlo dentro, ma la mano di Killian mi raggiunse prima. 

“Faccio io” parlò, la sue dita, strette sul mio braccio, e i suoi occhi fissi più che mai sui miei. 

“La questione del gentiluomo, presumo” dichiarai, sicura che stesse ancora cercando di farsi bello ai miei occhi. 

“Io sono sempre un gentiluomo, Swan” disse, accennando una piega di labbra amichevole, non lasciando però andare il mio braccio, ancora intrappolato nella sua mano. Quando avrebbe deciso di rendermi libera da quella sua stretta? 

“Non ho bisogno che ti prenda cura di me, non serve che mi aiuti” rivelai, tranquilla, scostandomi il più possibile da lui per potermi finalmente appropriare del mio bagaglio. Appena si spostò a sua volta, lo sguardo chiaramente basso, raggiunsi a grandi passi la porta di casa, senza guardarmi indietro. 

Sfilai dalla tasca destra della giacca le chiavi che Liam mi aveva dato prima della partenza, e con un leggero tintinnio le infilai nella toppa della porta, girando, rapida, nel tentativo di assicurarmi finalmente l’entrata in un luogo assolutamente più accogliente di un giardino bagnato da troppa pioggia.  

Aprii poco prima che Killian potesse raggiungermi, e, appoggiando la valigia a terra, sgattaiolai all’interno con lentezza cercando a tentoni l’interruttore della luce, perlustrando così, fatto più visibile l’ambiente, ogni singolo centimetro di quella casa. 

A destra, era un piccolo divano a regnare all’interno della stanza, accompagnato, proprio di fronte, da un tavolino di acciaio, e su un lato da una poltrone di pelle, di un colore beige che si intonava perfettamente alle pareti leggermente rosate. Poco più in là, sistemato in un angolo, un grande tavolo rotondo illuminato da una fioca luce proveniente dalle enormi finestre che si affacciavano direttamente sul giardino dal quale eravamo passati. Proprio accanto, invece, era stato situato un grande mobile, le cui fattezze sembravano antiche, e, sulle pareti erano appesi alcuni dipinti, gradevoli alla vista, che riuscivano a dare quel tocco particolare alla stanza. 

A sinistra, invece, era assolutamente di spicco il grande tavolo rettangolare, di un legno scuro e massiccio, circondato da 6 sedie, posto accanto a ciò che era la mobilia della cucina.

Centralmente, invece, si poteva subito notare una grande scala che portava al piano di sopra, e, proprio sotto, una piccola porta, chiusa con un ridicolo chiavistello, che attirò subito la mia attenzione. Uno scantinato forse? 

Lo avrei certamente scoperto con il tempo. 

“Allora Swan, che ne pensi?” sentii una voce alle mie spalle, e un rumore cauto di passi che si avvicinava.

“Carina” dissi, voltandomi velocemente verso Killian, per poi dare un’occhiata generale alla casa.

“In effetti, ho molto gusto” dichiarò, assumendo quel classico sorrisetto malizioso che, in realtà, ero sicura non l’avesse quasi mai abbandonato da quando l’avevo conosciuto. Gli rivolsi un cipiglio di di dubbio, e poi, sempre costellata di diffidenza portai gli occhi al cielo. Non poteva di certo tenere nascoste queste sua qualità di agente immobiliare, figuriamoci. Sembrava essere un pavone pieno di se stesso quando si atteggiava in quella maniera, con quello sguardo trionfante e un volto padroneggiato da un impagabile senso di soddisfazione. Si guardò attorno, fiero di sé stesso, per poi rivolgere tutte le sue attenzioni su di me, accennando un segno di assenso, come a segnalarmi che tutto ciò era proprio opera sua.

“L’hai scelta tu?” domandai, più basita che mai. Avrebbe mai smesso di irritarmi? L’avevo quasi pensato su quel taxi, quando si era levato quella maschera da eterno sbruffone e si era dimostrato non così eccessivamente fastidioso. Era stato un errore anche solo immaginare che uno come lui potesse possedere anche solo un briciolo di umiltà.

“Certo, è meglio non lasciare questi compiti a Liam. Non se ne intende, te lo posso assicurare” dichiarò, terminando quella frase con un’espressione più orgogliosa della precedente, e due occhi quasi sbarrati al pensiero che potesse essere una scelta di suo fratello. 

Accennai un sorriso distante, e quasi alzai le spalle, come a dimostrargli che, in realtà, non mi avrebbe colpita più che tanto. Forse era abituato che qualsiasi donna gli cascasse ai piedi, che qualunque persona gli fosse amica come per magia.

Ma ero non di certo il tipo che si fa condizionare.

“Domani arriveranno i mobili che mancano, sai, così sembrerà più normale il nostro trasloco improvviso” annunciò, spostandosi finalmente della porta per perlustrare a sua volta la casa che aveva scelto.

“Altri mobili?” ero evidentemente stupita. Mi sembrava essere già perfettamente completa e ben fornita, e non pensavo davvero che servisse altro, forse perché l’essenzialità era sempre stata alla base di tutto nella mia vita.

“Non si bada alle spese in questi casi e, comunque, al piano di sopra manca praticamente tutto, letto compreso”

“Letto? Forse intendevi letti”

Quella parola al singolare non mi convinceva affatto. Stava per caso scherzando? Io non avevo alcuna intenzione di dormire nel suo stesso letto. Per nessuna ragione al mondo mi sarei infilata sotto le stesse coperte di un uomo che non conoscevo e che ritenevo un completo idiota. 

Lo osservai con uno sguardo di fuoco, la fronte aggrottata in un’espressione completata rabbiosa, e allo stesso tempo quasi scioccata.

“Non credo proprio Swan. Siamo o non siamo una coppia? Se qualcuno dovesse andare di sopra e vedesse due letti separati, cosa potrebbe pensare? Che sia tutta una finzione? Non possiamo permettercelo. La copertura è tutto in queste missioni” spiegò, assumendo un'espressione quasi ridicola, come se fossero concetti banali, dei quali sarei dovuta essere a conoscenza. Si fermò di scatto, voltandosi nella mia direzione, una smorfia piena di malizia e divertimento, come se amasse prendersi gioco di me con quelle sue insensate occhiatine.

Se voleva giocare, allora l’avrei fatto anche io. 

“Certo, hai ragione. Il letto matrimoniale deve comunque esserci di sopra. Dormirai sul divano allora”

Lo fissai con la stessa soddisfazione che poco prima regnava sul suo volto, spegnendo quella scintilla che illuminava i suoi occhi in maniera particolare. Sciolse il suo viso da quell’espressione chiaramente allegra, scrutandomi con serietà. Portò lo sguardo in basso, cominciando a blaterare parole senza senso, per poi osservarmi di nuovo con un tenero accenno di sorriso, come nel tentativo vano di farmi cambiare idea. 

Probabilmente non amava i divani.

“Sei o non sei un gentiluomo?” scherzai nuovamente, regalandogli un’espressione sgombra da divertimento, ma solo regnata da una totale, serena e sincera serietà. Sembrava un cane bastonato quando mi guardava in quella maniera. Il mio rifiuto continuo pareva giocare molto alla sua autostima, quella che gli permetteva di atteggiarsi sempre come un’imbecille in mia presenza.

“E allora comportati come tale” conclusi, sferrando quella mia ultima mossa, un momento di pura gioia. Se c’era qualcuno di veramente felice, in quei secondi, ero senza dubbio io, soddisfatta di averlo finalmente contrastato in un certo modo.

“Come desidera la signora” si arrese, senza ulteriori pretese, accennando un gesto che pareva quasi un inchino.

Ormai non riuscivo più a stupirmi per quel suo assurdo modo di porsi.

Non ebbi nemmeno il tempo di voltarmi nell’altra direzione che già, senza esitazione, era tornato all’attacco con le sue ridicole battute da manuale. 

Mi chiedevo sinceramente se, prima di andare a dormire, trovasse il tempo per fermarsi a leggere una guida al corteggiamento, o se, più probabilmente, le pensasse a tempo perso e se le scrivesse in un qualche taccuino. Il problema era che noi, a causa del nostro lavoro, tempo perso non ne avevamo di certo. Era assolutamente insensato quell’uomo.

“Ma penso comunque che stasera dovrai farmi compagnia, sul divano”

Ripresi ad assumere un’espressione furiosa, ma che in realtà non volevo dare a vedere, e che cercai quindi di smascherare con una singola, ma profonda, occhiata di puro disappunto. 

“Non provarci nemmeno Jones. Io da un lato, tu dall’altro, e se ti trovo un po’ troppo vicino, ti butto sul pavimento che sono sicura sia assolutamente più scomodo” intimai, con assoluta serietà. Era decisamente quello che avrei fatto se lo avessi trovato anche spostato di un solo centimetro rispetto alla sua postazione originale. 

Non avevo inizialmente pensato a quel problema, al fatto che ci fosse un solo divano, e che quella notte sarebbe toccato ad entrambi. Non sarebbe comunque stato così confortevole ritrovarsi in due su un piccolo sofà, rannicchiati l’una in un angolo, l’uno in un altro.

“Sei sempre così gentile Swan?” era chiaramente, ancora una volta, immensamente divertito dalle mie reazioni alle sue provocazioni. Avrei semplicemente dovuto evitarlo, ignorarlo come se non esistesse.

“Solo con chi se lo merita” risposi, dirigendomi, senza esitazioni, direttamente al divano, sperando che non mi seguisse, sperando di evitare le sue battutine, e tutte le sue assurde espressioni. Non era nemmeno un giorno che ci conoscevamo, e già non ne potevo più, già lo avrei buttato fuori. Mi appoggiai di peso su quel piccolo sofà, nonostante la giaccia fievolmente bagnata, come a scrollarmi di dosso ogni problema, come se il solo sedermi per qualche secondo potesse permettermi di liberarmi da tutte le mie preoccupazioni, da lui. Accostai la testa sul morbido appoggio che mi era stato offerto, chiudendo per qualche istante gli occhi, lasciando che il buio prendesse spazio su tutto ciò che mi circondava.

“Swan”

La sua voce mi raggiunse fioca, come velata da un qualche senso che si stava affievolendo, certamente dovuto alla stanchezza che mi aveva colta appena avevo deciso di trovare conforto per qualche minuto, seduta su quel divano. 

Nonostante Killian stesse cercando la mia attenzione, sicuro che avrei risposto, continuai ad immergermi in un sonno che ero sicura sarebbe presto giunto. 

Riuscii solamente a percepire un movimento leggerissimo del sofà stesso, segno che aveva deciso di sedersi a sua volta, le luci sicuramente spente, segnalato da un rumore forte d’interruttore che aveva preceduto il suo arrivo accanto a me.

E tutto continuò a farsi sempre più scuro, così come li leggero ticchettio della pioggia che scendeva, ed ero certa che anche quei suoni si sarebbero presto spenti.

 

***

 

 

Mi svegliai quasi di soprassalto, riscossa da un movimento strano, differente, sotto il mio volto, una sensazione completamente e assolutamente non identica a quella che mi aveva accompagnato in quel rapido viaggio nel mondo dei sogni, un sottile, vellutato, strato di tessuto che ero sicura non appartenesse ai cuscini che avevo precedentemente notato. Mi dimenai così velocemente che fu solamente un grande tonfo, seguito da un verso di dolore, a riportarmi completamente allo stato cosciente. 

“Ma cosa stai facendo”

Killian, a terra, la voce quasi roca per il colpo subito, mi osservava con un solo occhio, una smorfia di disappunto misto ad afflizione. 

“Mi dispiace” pronunciai, sincera, un tono ancora palesemente intontito. Non era mia intenzione, davvero, di catapultarlo sul pavimento senza un vero motivo, senza alcun preavviso. Era stato solo un istinto, l’abitudine di una persona pronta a reagire ogni singolo istante. Avrei preferito farlo con una valida intenzione, così da dimostrargli che non scherzavo affatto sul non volere che si spostasse di un solo centimetro dal suo angolo prefissato.

“Swan, ti sei avvicinata da sola, non è stato il contrario” dichiarò, ancora a terra, sdraiato sempre nella stessa posizione, probabilmente ancora troppo stordito per muoversi.

“Non è affatto vero” tentai di difendermi, nonostante sapessi perfettamente che era quella la verità visto che, al mio risveglio, mi ero ritrovata appoggiata al suo fianco. Semplicemente, non ero abituata a dormire in spazi ristretti, e il mio continuo girarmi e rigirarmi probabilmente aveva contribuito al tutto. Non avrei comunque ammesso che la colpa era effettivamente mia.

“E visto che sei laggiù, restaci” continuai, appoggiandomi nuovamente al divano dal quale mi ero rapidamente scostata per controllare cosa avessi combinato con quelle mosse un po’ troppo azzardate.

“Dai Swan, mi hai rotto la schiena” tentò, facendomi portare gli occhi al cielo, un’altra volta.

“Non esagerare. Ti avevo comunque avvertito” conclusi, lasciandolo sia senza parole, sia, dolorante, a continuare il suo riposo su quelle fredde assi di legno. Dopo quella lunghissima giornata, ora toccava a me tutto il divertimento.

 

 

***

 

Fu un tenero cinguettio a svegliarmi questa volta, non una mossa improvvisa di Killian che, intanto, addormentato, giaceva ancora a terra, forse troppo stanco per spostarsi, o, più probabilmente, troppo intontito a causa del colpo che gli avevo inferto. Probabilmente un po’ mi dispiaceva, ma non abbastanza da farmene un cruccio. Aveva di sicuro provato dolori più grandi di quello, data la sua professione.

Cominciai, però, a sentire uno strano senso di preoccupazione, quello che sempre accompagnava un qualche evento sfortunato, esattamente nel momento in cui avvertì dei leggeri passi avvicinarsi a noi e, poco dopo, un rumore chiaro di una porta che si spalancava.

“Buongiorno!”

Mi voltai di scatto, pronta a combattere se sarebbe servito, ma, osservate le due persone che mi trovavo di fronte, a soli pochi metri, ero certa che, di lotte, non ce ne sarebbe stato bisogno.

A quel punto anche Killian si svegliò e, quasi spaventato, si alzò di scatto, dimenticandosi del volo non programmato che aveva fatto qualche ora prima. Allora, poi così addolorato, non lo era.

“Io sono Mary Margaret Blanchard, e lui è mio marito, David Nolan”

Erano entrambi così sorridenti e, all’apparenza così desiderosi di fare amicizia, che non sapevo sinceramente come rispondere. Se sorridere, annuire, o semplicemente ignorare quelle loro presentazioni. Non ero affatto abituata a questo genere di persone, e probabilmente mai lo sarei stata. Era un modo di fare che di certo non mi apparteneva.

“Come siete entrati?” chiese Killian, confuso quanto me, il volto segnato da mille dubbi. Li osservava con un debole cipiglio, la fronte quasi aggrottata, di certo non benevolo a presentazioni, esattamente come la sottoscritta. Era decisamente troppo assurdo quell’evento perché potessimo prenderli sul serio. Non mi sembrava normale che due sconosciuti si introducessero in casa mia, senza il mio permesso. E credetti che nemmeno a Killian fossero piaciuti poi così tanto.

“La porta sul retro” indicò la donna, mai smettendo di stamparsi in viso quel sorriso pieno di gioia, di allegria.

“Di solito qui restano sempre aperte e, insomma, volevamo darvi il benvenuto. Abbiamo saputo ieri che una nuova coppia si sarebbe trasferita” spiegò, lasciandomi basita. Chi non chiude le porte della propria abitazione? Di certo avrei interrotto quella ridicola tradizione.

“Che ci facevi sul pavimento?” chiese Mary Margaret rivolgendosi al mio collega, un secondo dubbiosa. Se n’era accorta, nonostante le mie speranze che nessuno avesse preso realmente nota di quel dettaglio. Io e Killian ci guardammo, entrambi assolutamente imbarazzati ed evidentemente senza parole. Cercò di avviare un discorso che avesse senso, ma fu prontamente interrotto dalla voce squillante di quella donna.

“Sorvoliamo, capisco perfettamente che ogni tanto si senta il bisogno di spazio in un rapporto di questo genere” chiarì, dando una velocissima occhiata al marito che le sostava accanto, più interessato a perlustrare con sfuggenti occhiate l’intera casa che ad altro.

“Dai Mary Margaret, non sono argomenti di cui parlare, qui, adesso” sibilò sotto voce, ma ad un tono comunque percepibile a tutti, poi voltandosi nella nostra direzione, rivolgendoci un fiacco sorriso, una maniera di alleggerire quell’entrata già troppo invadente.

Si respirava un’aria di assoluta tensione in quella casa, pesante, un imbarazzo che ci circondava che nemmeno quei sorrisi, incessantemente colmi di positività, dei nostri due ospiti, avrebbero potuto rendere meno percepibile. 

“In ogni caso, noi abitiamo qui vicino, quindi in caso vogliate passare la nostra porta è aperta… letteralmente, così potrete presentarvi, con calma” continuò la moglie, cominciando già a percorrere alcuni passi verso l’uscita, la stessa porta dalla quale erano entrati senza troppi problemi.

“Speriamo di vedervi presto” concluse il marito, raggiunta la soglia con la donna, accennando con una mano, allo stesso modo della consorte, un segno di saluto e poi, in pochissimi istanti, li osservammo sparire dal nostro campo visivo.

“Ma dove siamo arrivati?” tuonò Killian, probabilmente ancora scosso per entrambi i risvegli movimentanti, e per quella stessa sensazione che mi sentivo sulla pelle, un’intensa voglia di fuggire da una cittadina che in sole poche ore si era rivelata un luogo alquanto bizzarro, forse, un po' troppo.

 

 

 

Angolo dell’autrice:
Ciao a tutti!!
Dopo una settimana sono di ritorno con il nuovo capitolo!
Premetto che la frequenza di aggiornamento sarà questa, poiché sono sommersa di impegni e cose da fare ultimamente, e quindi, a meno che non riesca a trovare più tempo, sarà postato un capitolo a settimana :)
Venendo a noi, voglio prima di tutto ringraziare la gentilezza delle persone che hanno lasciato recensioni al primo capitolo. Le ho apprezzate moltissimo e davvero mi avete dato una spinta in più a continuare. Stesso ringraziamento va a tutte le persone che l’hanno inserita nelle preferite/ricordate/seguite, e ovviamente anche a chi legge silenziosamente!! Non pensavo davvero che sarebbe stata accolta così calorosamente ♡
Secondo capitolo:  abbiamo capito cosa stanno andando a cercare a Storybrooke, e allo stesso modo ora sappiamo che c’è un qualche traditore nascosto da qualche parte. Ma non sarà poi il loro unico problema quello. Chi sia il colpevole è ancora un mistero, perciò lascio a voi varie ipotesi. La cittadina degli orrori (😂😂 così come piace ad Emma) è parecchio inquietante e decisamente bizzarra. Diciamo che il benvenuto che hanno ricevuto non è stato dei più convenzionali, ma è stato semplicemente un evento che non poteva mancare.
Se qualcuno se lo chiede, la casa in cui loro vivono è proprio l’amata villetta che siamo riusciti a vedere in alcuni episodi della quinta stagione. Ho cercato di riprendere più particolari possibili da ciò che riuscivo a ricordare degli interni e degli esterni, quindi spero davvero di non aver dimenticato qualcosa, o sbagliato qualcosa. In ogni caso penso sia mio dovere andare a rivedere quella casa.
Emma continua ad essere molto fredda e distante da Killian che, poverino, vuole solo essere un gentiluomo. Le battutine però non mancano assolutamente, e la prima notte in quella casa ne è stata un esempio lampante (Killian che vola dal divano è stata una scena fantastica da immaginare😂)
Momenti imbarazzanti stanno arrivando, decisamente.
Ci si vede molto presto.
Spero di riuscire a continuare a soddisfare le vostre aspettative :) 
Lisi

   
 
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