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Autore: scrittrice in canna    29/07/2016    2 recensioni
[Si può leggere la storia anche senza aver visto Sense8]
Otto ragazzi da tutto il mondo, con storie diverse ma complementari, si aiuteranno a vicenda in un viaggio alla scoperta di loro stessi quando si troveranno legati in maniera inesorabile da qualcosa che va oltre il DNA e il fato: l'empatia.
La loro vita verrà messa in pericolo da un nemico comune e solo lavorando insieme potranno avere una possibilità di sconfiggerlo, senza però dimenticare i problemi di tutti i giorni e i demoni che si portano dentro.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Finn/Rachel
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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9.

 

Kurt era tornato dal lavoro incredibilmente tardi ma non gliene poteva fregare assolutamente nulla, era troppo felice per potersi innervosire - niente l’avrebbe fatto arrabbiare per i prossimi giorni.

Gl vibrò il telefono proprio mentre chiudeva la porta di casa, era un messaggio di Blaine che gli augurava la buonanotte. Sorrise e lasciò il cellulare sul comodino dell’entrata. Se avesse voluto una risposta avrebbe potuto fargli visita, gliel’avrebbe data volentieri.
Vide suo fratello seduto al tavolo della cucina, lo prese per un altro episodio d’insonnia e si diresse direttamente alla caffettiera per versarsi del caffè; era felice, vero, ma non sarebbe rimasto sveglio soltanto con la forza della sua euforia.
“Cos’hai sognato sta volta?” gli chiese senza girarsi.
“Era tua madre” sputò fuori Finn senza nessuna cautela.
Kurt s’immobilizzò, lasciò la tazza che stava tenendo e per circa un minuto l’unico rumore all’interno della stanza fu quello della ceramica che urtava il pavimento e si spargeva in mille pezzi. Il caffè caldo macchiò le mattonelle e ne inghiottì le rifiniture arrivando fino ai piedi coperti solo dai calzini di Finn.
Dopo aver metabolizzato le parole del ragazzo, Kurt si rivolse a lui col viso più pallido del solito e un’espressione stoica: “Co- come lo sai?” borbottò inciampando sulle sue stesse parole.
“Brittany l’ha riconosciuta dalla foto che ho nel telefono” ammise.
Kurt inghiottì a vuoto e sbatté le palpebre per trattenere le lacrime, ma non ci riuscì, perché una linea lucida gli solcò la guancia seguita da un’altra e un’altra ancora, sembravano non volersi fermare mai. Aveva tolto la base al castello di carte che si era costruito nella sua mente e tutte le sue convinzioni stavano crollando alla velocità della luce: Non mi fa più male. Lei mi ha abbandonato ma l’ho accettato, non è stata colpa mia. Come potevo saperlo? Avevo solo tre anni. E lei ha preso le sue cose e se n’è andata, senza dirmi neanche addio o ‘mi raccomando, fai il bravo, Kurt. Ti voglio bene.’ Ma è tutto apposto.
Bugie, bugie, bugie, solo bugie.
Aveva il viso rosso. Si passò una mano sotto gli occhi per asciugarli perché lui era forte, lui poteva affrontarlo. Si mentiva da tutta la vita, poteva farlo anche per quello, poteva convincersi di essere forte abbastanza giusto il tempo che bastava per raggiungere la sua camera da letto e piangere in pace.
Tirò su col naso e fece un’unica, semplice constatazione: “Ti avevo detto di cancellarla. Perché ce l’hai ancora?” Aveva la voce rotta da un pianto costipato.
Finn sollevò le spalle: “Non è questa la parte più importante, amico. Ti sto dicendo che ho sognato tua madre ed è urgente!” 
“Ti avevo chiesto di cancellarla!” ripeté l’altro con voce più autoritaria sbattendo i pugni contro il marmo con forza. Sentì la pelle delle nocche rompersi all’impatto, ma l’unica cosa che fece in risposta fu stringere i pugni più saldamente.
Finn abbassò la testa, si sentiva colpevole, sapeva cosa provocava in suo fratello il pensiero di Elizabeth, ma doveva dirglielo, era la cosa giusta da fare: “Io e Brittany siamo riusciti a connetterci con lei, cioè, lei si è connessa con noi perché è la madre della nostra cerchia” spiegò tutto d’un fiato.
Kurt spalancò gli occhi e strinse le labbra, aveva  il naso gonfio per tutte le volte che l’aveva strofinato, eppure sembrava così forte nella sua postura dritta e sicura, con le mani dietro al busto, incurante del sangue che gli stava sporcando la divisa da lavoro.
“Dov’è Brittany?” domandò con voce sicura. 
Finn boccheggiò, capiva che fosse sotto shock, ma cominciava a fare domande stupide.
“Devo parlare con Brittany” sbraitò uscendo dalla stanza e chiudendosi nella sua, senza preoccuparsi della porta che sbatteva dietro di sé.

Brittany si sarebbe aspettata di tutto, davvero, ma non che Kurt apparisse davanti a lei mentre si stava facendo il bagno, che le tirasse addosso un asciugamano e le urlasse: “Esci. Immediatamente.”
Cinque minuti dopo erano seduto al tavolo del salone, ai due lati opposti. Il ragazzo non aveva perso la sua compostezza. Era comunque molto arrabbiato, si vedeva chiaramente.
“Che ti ha detto lei? Com’è possibile che sia la… ‘madre’ della nostra cerchia? Cosa vuol dire?” Quella parola gli bruciava la lingua.
La ragazza si schiarì la voce e cominciò a spiegare: “Quando due sensate della stessa cerchia hanno una connessione particolare possono dare vita ad un’altra cerchia.”
Kurt aggrottò la fronte: “Cioè Elizabeth era come noi?”
Brittany annuì, l’altro si mise una mano in fronte e disse qualcosa sottovoce che sembrava: “E non me l’hai mai detto, mai - mai fatto dire.” Non poteva dirglielo, aveva solo tre anni quando lei aveva deciso di sparire senza motivo, quando aveva deciso di lasciarlo da solo. E per cosa? Per raggiungere un tizio che non aveva mia visto. Era suo figlio, porca miseria.
“Mi ha avvertita di proteggere Finn.”
Kurt sembrava rassegnato, sbatté la mano sporca di sangue sul pantalone: “Ovvio. Finn. E non poteva dirlo a me? Sono suo figlio! Sono il fratello di Finn! Non ha pensato che magari avrei potuto aiutarlo meglio?!” Era arrivato all’isteria, aveva bisogno di calmarsi quindi Brittany si mise in ginocchio davanti a lui e gli prese le mani, attenta a non fargli male.
“Devi rilassarti, ok? Chiaramente non sei nella condizione giusta per parlarne ora. Prenditi del tempo. Io e Santana abbiamo un piano.”
Kurt la guardò e fu come se un po’ della sua tranquillità gli si fosse trasferita dentro di lui tramite le loro mani. Prese il suo primo vero respiro da quando era cominciata tutta quella storia, dopo minuti interi di apnea, deglutì a vuoto e annuì: “Hai ragione. E mi dispiace… per averti aggredita” disse stringendo la presa sui polsi di Brittany quanto bastava per farle capire che era tornato.

 

Stava davvero facendo le valigie, c’era stato un momento in cui aveva pensato: “Basta, non posso più aspettare.” In fondo chi poteva sapere per quanto suo padre sarebbe rimasto vivo? Non se lo sarebbe mai perdonato se fosse morto senza aver chiarito le cose con lei, se lo meritavano entrambi.
Mercedes prese l’ennesima maglietta e la piegò ordinatamente prima di metterla con le altre. Non stava tornando indietro, sarebbe stato stupido, semplicemente aveva bisogno di risposte come chiunque, ma la sua famiglia si era sempre rifiutata di darle qualsiasi tipo di spiegazione. Avrebbe fatto tutto da sola, come sempre.
“Lo stai facendo davvero!” si stupì Blaine guardando la valigia quasi piena. Si passò un palmo della mano sulle nocche dell’altra, c’era qualcosa che gli dava fastidio.
Mercedes annuì profondamente e raccolse il biglietto aereo dal beauty in un angolo della stanza per sventolarlo orgogliosa sulla testa.
“L.A., caro mio!”
“Sono molto felice per te” si complimentò il ragazzo ammirando l’egregio lavoro che Mercedes era riuscita a fare coi vestiti. Lui non era mai stato capace di sistemare una valigia in maniera ordinata, nonostante tutti i suoi viaggi.
“Grazie, sto solo-” Diventò improvvisamente seria, gli occhi che guardavano ogni dettaglio del biglietto aereo, come se lo stesse vedendo per la prima volta. “Sto seguendo il tuo consiglio” finì, con un sorriso tirato lanciando un’occhiata a Blaine da sotto le ciglia scure.
“Non ci stai ripensando, vero?”
“No, no!” Mercedes mise le mani avanti: “È solo che…” sbuffò, spostò il peso da un piede all’altro. Le parole non volevano proprio uscirle dalla bocca. Dopo aver superato tutti i dubbi e le incertezze aveva ancora un sassolino nella scarpa: “E se non mi vuole vedere?”
“Non lo saprai mai se non vai.”
“Lo so, è difficile. Tutto qui.”
Blaine si avvicinò con cautela e le poggiò una mano sulla spalla per confortarla: “Saremo tutti qui per te.” Potevano solo sperare che andasse tutto per il verso giusto.
Il ragazzo continuava a toccarsi le nocche; Mercedes se ne accorse quando spostò il braccio per strofinare di nuovo le mani l’una contro l’altra e corrugò la fronte.
“Tutto okay?”
“Non lo so… mi sento come se avessi colpito qualcosa con le mani. Mi fanno male, ma non ho nulla.”
Nel loro caso poteva significare una cosa sola: “Dev’essere qualcun altro. Cerca di non pensarci.”
Blaine cercò di non preoccuparsi, ci provò davvero, pensò che forse Santana era caduta provando un passo particolarmente complesso, forse Rachel aveva sbattuto contro qualcosa nella sua foga di arrivare al teatro per le prove generali della seconda serata - quella donna si muoveva sempre come se fosse in ritardo per qualcosa - ma niente lo calmava, sentiva che c’era qualcosa di sbagliato ma non riusciva a capire cosa fosse.


Dormire ormai era diventato un optional per Santana che passava le sue nottate camminando avanti e indietro per casa con una coperta leggera sulle spalle. Aveva anche sviluppato una sua routine: prima provava a chiudere gli occhi per mezz’ora, poi si alzava e accendeva la televisione del salone, sperando di addormentarsi sul divano, quando neanche quello funzionava si recava in cucina e si preparava una tisana rilassante che riusciva solo a farla andare in bagno ogni dieci minuti di orologio; alla fine si arrendeva e tornava a letto con un libro o col cellulare in mano, aspettando l’alba, cosciente del fatto che si sarebbe addormentata mezz’ora prima del suono della sveglia per recarsi allo studio di danza - cosa che effettivamente era inutile, perché non aveva nessuno a cui insegnare e tutti i suoi colleghi stavano cominciando a notare le sue occhiaie, ma aveva bisogno di evadere in qualche modo e il ballo era sempre stato quello più efficace.
Era arrivata alla seconda replica di Desperate Housewives quando sentì la voce di Jessie accanto a lei: “Davvero? Guardi questa roba?”
Santana sbuffò e cambiò canale alla cieca, andando a finire su un telegiornale della notte che mandava le notizie ripetute del mattino.
“È l’unica cosa che non mi fa venire voglia di sbattere la testa dei personaggi l’una contro l’altra come due piatti. Il più delle volte, almeno.”
Jessie annuì divertito, le braccia incrociate sul petto.
“E poi tu che ci fai qui, non dovresti essere in giro a reclutare scimmie saltellanti per il tuo show?”
“Non sto mettendo in scena ‘Il Mago di OZ’, lo sai.” Era abituato a quel genere di sarcasmo, usato come mezzo difensivo, anche lui lo faceva, troppo spesso, il problema era che lo stava capendo solo in quei giorni, dopo anni sprecati a tenere tutti a distanza. Quei ragazzi gli stavano dando più di quanto non pensassero.
Santana grugnì, voleva essere palesemente lasciata in pace, ma non sapevano come fare. Controllavano le visite abbastanza bene ma ancora non potevano evitare certe apparizioni casuali o come interrompere il contatto a comando; avevano imparato che uno shock o un cambiamento improvviso d’umore aiutava, ma non sempre.
“Hai mai pensato di ballare professionalmente?” chiese Jessie guardando verso la televisione.
La ragazza era stata presa alla sprovvista, quel suggerimento stava letteralmente arrivando dal nulla, di punto in bianco.
“Non mi hai mai vista ballare” gli ricordò girandosi verso di lui con uno sguardo sospetto, non sapeva bene dove voleva andare a parare ma in ogni caso non le piaceva.
“Ho visto i tuoi ragazzi, se loro sono a quei livelli tu sicuramente sarai spettacolare.”
“Oh.” Era da tempo che non riceveva un complimento, Brittany era l’unica ripeterle quanto fantastica fosse ogni volta che la vedeva preparare una coreografia.
“Pensi che potresti… non so… lasciare tutto e venire a ballare nel mio spettacolo?”
“Sei impazzito?!” Ecco cos’era tutta quella gentilezza, un resoconto personale. Santana si diede della stupida, per un secondo aveva pensato che fosse sincero e che fosse preoccupato per lei. La personalità di Mercedes la stava influenzando fin troppo.
“Perché? Odi metà delle persone in quello studio, non stai facendo nulla di produttivo con la tua vita e i tuoi colleghi sono a un passo dal mandarti in una casa di cura, in ogni caso” elencò gesticolando ampiamente con le braccia verso il televisore, come se gli avesse fatto un torto.
“No è vero” mormorò Santana con quella voce infantile tipica di Brittany e Finn. Abbracciò la coperta più stretta intorno a sé.
“Sappiamo entrambi che lo è.” Jessie alzò un sopracciglio e la guardò con un mezzo sorriso.
Santana sbuffò e si mosse nervosamente sul divano, sentiva inaspettatamente caldo, stava scomoda e che cavolo avevano le sue mani? Continuavano a darle fastidio, stupide zanzare. Dovevano averla punta.
“Pensaci, ok?”
La ragazza fece un grugnito per confermare che aveva sentito e ci avrebbe pensato, ma al momento aveva bisogno solo di dormire.
Restarono lì, immobili per qualche secondo, finché Jessie non prese il telecomando e rimise Desperate Housewives. Finirono di guardare l’episodio in silenzio, fino a quando lui non scomparve e Santana si ritrovò da sola. In quel momento avrebbe voluto avere qualcuno con lei, fisicamente, perché le emozioni della sua cerchia la stavano uccidendo e poteva sentire tutta la rabbia di Kurt ribollirle nelle vene, doveva essere successo qualcosa di grosso: Finn si sentiva in colpa; il tutto era completamente in contrasto con l’eccitazione di Mercedes. Le veniva da vomitare.

Tutti i dubbi di Blaine furono chiariti quando si ritrovò ai piedi del letto di Kurt ad osservarlo: era in posizione fetale, stava abbracciando un cuscino e poteva vederlo muoversi su e giù, colpito da quelli che sicuramente erano singhiozzi.
Si sedette in modo da poterlo abbracciare se ne avesse avuto bisogno, sul bordo del materasso. Sapeva che Kurt poteva percepire la sua presenza, lo vedeva nel modo in cui stava cercando di trattenere le lacrime, si sava asciugando le guance umide con la manica della maglietta, cosa assolutamente fuori dal comune per lui: avrebbe preferito qualsiasi cosa al rovinare una maglietta, anche se si trattava di quella del lavoro. Fu solo quando si degnò di sistemare la manica e scoprirsi le mani che Blaine vide le nocche rovinate e il sangue incrostato.
“Alzati” gli ordinò, ma non era arrabbiato, solo triste e rassegnato.
Kurt obbedì, sapeva bene che sarebbe stato inutile cercare di negargli qualcosa se stava cercando di prendersi cura di lui.
Blaine lo trascinò per mano fino al bagno, stando attento a non stringere troppo o sfiorare la pelle rovinata con il pollice. Notò con aria sorpresa che Finn non sembrava essere in casa, oppure si era rilegato nei confini della sua camera.
Una volta arrivati a destinazione lasciò che l’acqua fredda lavasse via il sangue asciutto dalle mani di Kurt e prese le garze e il disinfettante. Nessuno dei due commentò sul fatto che sapeva esattamente dove fossero senza neanche un cenno da parte del padrone di casa. Solo dopo che Blaine gli ebbe asciugato le dita tamponando leggermente con un asciugamano uno di loro si permise di rompere il silenzio: “Vuoi dirmi cos’è successo?”
Kurt scosse la testa e si morse il labbro: “Non dovresti saperlo?” rispose con un’altra domanda. Sarebbe andato avanti così anche tutto il giorno se fosse servito a sviare la situazione.
“Non posso essere al corrente di tutto quello che succede, Kurt. E tu lo sai benissimo” rispose l’altro con voce annoiata, ma il suo tocco rimaneva sempre leggero mentre passava la garza umida sulle nocche danneggiate.
Kurt sobbalzò un po’ per il tono nervoso dell’altro ragazzo, un po’ perché il disinfettante bruciava davvero tanto.
“Blaine” lo implorò sospirando, chiedendogli silenziosamente di lasciar stare, almeno per il momento. Avrebbero potuto recuperare l’argomento quando Kurt non si sarebbe sentito come se un treno gli fosse appena passato addosso.
“Hai ragione. Scusa. Sono preoccupato, tutto qui.”
Il ragazzo più alto sbuffò e fece per portarsi una mano sotto il mento, prima di ricordarsi che Blaine stava diligentemente tendendo le sue ferite. Non erano per niente gravi, avrebbe benissimo potuto farlo da solo, ma entrambi sapevano che non ci avrebbe pensato quella sera, era troppo stanco sia fisicamente che mentalmente e più tempo sarebbe passato più difficile sarebbe stato far andare via il sangue incrostato dalle dita.
L’indomani avrebbe potuto ripensare agli eventi della giornata a mente lucida, trovando il modo giusto per scusarsi con Finn che sarebbe partito il giorno dopo e non voleva neanche pensare a quanto potesse essere doloroso avere suo fratello rischiare la sua vita e - pensando alla peggiore delle opzioni - morire pensando che Kurt non gli volesse bene. Non l’avrebbe permesso.
Si mise sotto le coperte, incurante della divisa sporca che aveva ancora addosso, e lanciò un sorriso al ragazzo che era ancora lì accanto a lui, avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che sarebbe andato tutto bene, ma non era sicuro di nulla in quel momento, così si limitò a stringergli la mano leggermente in segno di ringraziamento prima di girarsi di fianco e chiudere gli occhi.




 
Scrittrice in canna's corner 
Ovviamente dico che sarei stata più veloce e ci metto due settimane a caricare un capitolo di transito. G-giusto. 
Chiedo venia, ho avuto diecimila progetti a cui lavorare e probabilmente li vedrete tutti qui su EFP presto :) 
Non ho molto da dire su questo capitolo, come ho detto è uno di transito, il successivo sarà la fine della prima parte (wahh!!) quindi si chiuderanno i plot che ho aperto in questa aprte e se ne aprirano altri, come un vero e proprio finale di stagione insomma :3
Molto probabilmente questa storia sarà disponibile in Inglese su Archive Of Our Own il mese prossimo. Cheers for me!
Vostra,
Scrittrice In Canna.
   
 
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