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Autore: Marpesia    30/07/2016    1 recensioni
Hogwarts, 2009, primo anno di Teddy Lupin. Ted assomiglia molto al padre, ma a qualcuno questa somiglianza fa male.
Dal testo:
“Devo chiederti una cosa.”
“Faccia pure.”
“Cambia il colore dei capelli.”
“Prego?”
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Minerva McGranitt, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nuova generazione
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~Ciao a tutti! Questa storiella è nata alle tre di notte, antisgamo XD
Io mi sono sempre immaginata Teddy molto simile al padre, e il colore naturale degli occhi e dei capelli è uguale a quello di Rem. Non contradditemi. E allora, visto che sa poco e niente del suo papy, in questa versione ha sempre voluto rimanere simile a lui -almeno nell'aspetto fisico- cambiando poco il colore dei capelli, al contrario di mamma Tonks. Quindi, in poche parole, questa sarebbe l'origine dei capelli blu di Teddy.
Umh, sì, non  è wolfstar...datemela buona, ogni tanto ne scrivo qualcuna così alla caspio XD  
Non so perchè la sto pubblicando, cioè sì, tra poco arriver qualcosa di moooooolto lungo, e ogni tanto intervallerò con delle One Shot.
Adoro il mio piccolo Teddy.~

Era una normale giornata ad Hogwarts: gli studenti non seguivano le lezioni, gli uccellini cinguettavano e il Platano Picchiatore li stordiva. Teddy Lupin, Tassorosso del primo anno, stava tornando alla sua Sala Comune insieme ai suoi compagni di corso, con cui stava iniziando finalmente a legare. Dico finalmente perché erano passati ormai tre mesi dall’inizio della scuola, e lui solo qualche giorno prima aveva smesso di tenere il broncio per essere capitato nella casa di Tassorosso; non era per quello che tutti pensavano, ovvero che si vergognasse di essere nella casa dei bonaccioni tontoloni ingenui fifoni -cosa non vera, aveva constatato, anche perché dopo la Battaglia di Hogwarts tutte le battute di cattivo gusto sulle case erano finite, tutti avevano combattuto contro Voldemort con onore e coraggio. Teddy non aveva nulla contro i Tassorosso, davvero, anche perché sia suo nonno che sua madre, da quello che gli avevano raccontato Nonna Andromeda e Harry, erano due persone davvero magnifiche, aveva una grande stima nei loro confronti e diceva con orgoglio di essere imbranato e pasticcione come sua madre. “Geni Tonks non mentono” diceva sempre Molly Weasley quando il ragazzo inciampava o pestava la coda al vecchio Grattastinchi. Ma se Teddy aveva una grande stima nei confronti del nonno e della madre, ancora più grande era quella nei confronti di suo padre. Il suo papà, di cui non aveva altro che foto, vecchie cose di sua appartenenza e i ricordi che aveva lasciato per lui in tante fialette -il suo tesoro più prezioso- di cui non ricordava niente, perché era andato a combattere quando lui aveva due settimane, era il suo idolo, il suo modello. Una volta era andato a Grimmauld Place insieme al padrino per vedere cosa c’era negli armadi, nelle camere e in soffitta e, nella camera di Sirius, altro suo idolo (i Malandrini erano i suoi mentori), avevano trovato dei vecchi annuari datati 1971-72 e 1977-78, il primo e l’ultimo anno dei loro genitori, e degli album fotografici del 1980 e 1981. Insieme alla scatola dei ricordi del padre, quelle fotografie erano la cosa a cui più teneva in assoluto, anche se aveva dovuto condividere il bottino con Harry. Guardando le foto di Remus, senza neanche farlo apposta, era diventato ancora più simile a lui; non che prima non lo fosse, gli occhi ambrati e i capelli color miele che aveva ereditato non li cambiava mai, se non quando aveva sbalzi d’umore, ed aveva la stessa corporatura del suo papà, che, come aveva visto nelle foto, era magrissimo e un po’ basso nei primi anni ad Hogwarts, per poi superare James in altezza all’ultimo anno. Ora, lui non era magrissimo, ciononostante Nonna Andromeda e Molly cercavano di farlo mangiare il più possibile nonostante sapessero che per costituzione era fatto così, ma era anche vero che suo padre era quello che era, e una condizione della Licantropia, soprattutto in età tra i sei e i sedici anni, era la corporatura fragile e l’aria da salute cagionevole. Teddy per la sua età era abbastanza alto, anche se alcuni suoi compagni lo superavano, forse un po’ magro, ma per il resto era nella norma. Portava i capelli arruffati e mielati, identici a quelli del padre, il viso a forma di cuore e gli occhi, che incantavano tutti da quando era piccolo, color ambra. Aveva conosciuto il suo nonno paterno, Lyall, e quello era scoppiato a piangere nel vederlo così simile a suo figlio. E lo chiamava solo con il suo secondo nome, Remus.

“Lupin, vuole seguirmi nel mio ufficio?” A Ted quasi venne un colpo quando la professoressa Mc Granitt gli si parò davanti, la solita aria severa e lo stretto chignon che raccoglieva i capelli ormai grigi in una forma precisa. Da dove era saltata fuori?
“Professoressa, se è per il molliccio sotto il suo letto la prego, non spedisca una lettera a mia nonna, farò tutto quello che vuole!”
“Lei cosa ha fatto?!”

“Oh, ehm, nulla, nulla…stavo scherzando. Se non sono nei  guai, perché mi vuole nel suo ufficio?”
La donna si guardò intorno con aria circospetta e sospettosa, per poi dire “Non qui. Mi segua.”

Teddy seguì la professoressa per tutto il castello, fino a quando lei non aprì una porta e lo fece entrare per primo. Senza neanche girarsi, il ragazzino chiese, sulle spine: “Allora? Ho combinato qualcosa di sbagliato? Lo dica al mio padrino, è lui che mi ha sotto custodia! A tutti, lo dica pure a tutti ma la prego, non lo dica a mia nonna! Lei non sa di cosa è capace…”

“Signor Lupin calmati, non sei in punizione, voglio solo parlarti.” Ted notò il cambio di persona con cui la strega gli rivolgeva la parola; sembrava che la donna stesse cercando di fare, o dire, qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentita.

La Mc Granitt si avvicinò alla sua scrivania e rovistò in uno dei numerosi cassetti, per poi far riemergere la mano, vittoriosa, che stringeva un foglietto. No, era una foto. Quando la avvicinò al giovane Tassorosso lui soffocò un urlo di gioia: la fotografia rappresentava un ragazzo che doveva avere 13 anni, i capelli color miele e gli occhi, stanchi e cerchiati da leggere occhiaie violacee, ambrati; la pelle era pallida, sullo zigomo destro c’era in bella vista un grande graffio ancora rosso, insieme ad uno sul mento. Il ragazzo portava una divisa di Hogwarts, ma i colori della cravatta e dei risvolti del mantello erano rosso e giallo. E sorrideva, quel Grifondoro sorrideva.

“Lo riconosci?” chiese dopo un po’ la professoressa sorridendo malinconica al ragazzo nella foto che li salutava con una mano fasciata.
“Papà! Come…come mai ha una foto di lui nella sua scrivania?”
Minerva lo guardò a metà tra la malinconica e l’orgogliosa, per poi sospirare e iniziare a spiegare. “Oh, Ted, i Malandrini erano gli studenti più diabolici, brillanti, scansafatiche e vendicativi che Hogwarts abbia mai visto…ma erano anche i miei studenti preferiti. Vedi? Ho anche una foto di…”
“James Potter e Sirius Black.”
“Esatto. Ora” trasfigurò un vecchio baule in un grande specchio e, preso il ragazzo per le spalle, ce lo posizionò davanti senza tante cerimonie “guardati allo specchio. Togliti la cravatta e il mantello. Noti differenze, a parte le cicatrici, la pelle più pallida e le occhiaie?” domandò, senza togliere le mani dalle spalle di Teddy.
“No.”
“Ecco.” La Mc Granitt distolse lo sguardo da quello del riflesso del ragazzo, stringendo di più le mani sulle sue spalle. Quasi gli faceva male. “Tuo padre è stato uno dei migliori studenti e uomini che io abbia mai conosciuto. Era gentile, responsabile, intelligente, disponibile e leale, ma era anche timido, e aveva un’autostima pari al suo e tuo voto in pozioni. E sorrideva, sempre; quando posavo lo sguardo su di lui lo trovavo sempre sorridente, che fosse durante il compito di Trasfigurazione o il giorno della luna piena, che fosse in biblioteca o in infermeria, da solo o con i suoi amici. Io sono fiera di quello che è diventato, di quello che ha fatto e di come ha lottato per le persone che amava. Rivedo lui in ogni tuo gesto” mormorò infine, con voce roca. La donna aveva un tono dolce, nostalgico, malinconico. Ted sapeva che non capitava spesso che la professoressa avesse questi momenti di debolezza, era umana prima di tutto, e sapeva anche che questa confessione e questo discorso costavano a lei molta fatica, visto che non era solita parlare apertamente dei propri sentimenti.
“Io…io studio tanto perché so che lui lo faceva” le confidò il ragazzo.
Minerva lo guardò intenerita e comprensiva, chiedendogli “Lo so, lo capisco, tu vuoi assomigliare a lui quanto più possibile, vero?”. La donna lo guardò di nuovo negli occhi.
“Beh sì, cosa c’è di sbagliato?” Le punte dei capelli del ragazzo assunsero un leggero tono di rosso, e la sua voce suonava lievemente irritata.
“Niente, Ted, niente. Solo che…come è stato difficile per me vedere Harry ogni giorno, così simile a suo padre, è difficile vedere te, che gli assomigli anche per carattere, anche se sei un po’ troppo esuberante per i suoi standard. E poi gli occhi… Cerca di capirmi, loro erano i miei ragazzi, io li ho visti crescere, combattere, e se poi penso che voi somigliate così tanto a loro…” Minerva chiuse gli occhi per sopprimere le lacrime, la voce incrinata dal pianto e un doloroso nodo in gola. Teddy non si girò, non la consolò e non le disse niente; quella donna era una fiera Grifondoro, dopotutto, la leggendaria professoressa che aveva resistito a tutto. Sapeva che, consolandola e compatendola, avrebbe ferito il suo orgoglio, e rimase immobile, senza staccare gli occhi dalla propria immagine riflessa nello specchio. “Devo chiederti una cosa” riprese dopo un po’ la donna, con voce più calma e determinata.
“Faccia pure.”
“Cambia il colore dei capelli.”
“Prego?”
“Gli somigli troppo! Non riesco neanche a spiegare bene in classe o a mangiare, se ci sei tu! Non posso vederti!” esclamò disperata.
Ted sbuffò. Voleva assomigliare in tutto e per tutto a suo padre, ma doveva essere difficile per lei, che aveva sgridato mille volte i Malandrini, ai quali era affezionata, rivedere le loro copie dopo la loro morte. Cambiò i capelli nel primo colore che gli venne in mente, l’azzurro; aveva visto una foto dove sua madre aveva i capelli del medesimo colore, e indosso una larga camicia -che supponeva essere di suo padre- e dei pantaloncini, mentre gli baciava la testolina dorata. Doveva avere meno di una settimana.
“Così va bene?”
La professoressa si asciugò le lacrime e lo guardò, con un debole sorriso. “S-sì…grazie.”
“Gli occhi non li cambio.”

“No, puoi tenerli.”
Ci fu qualche minuto di silenzio, durante i quali la professoressa si calmò del tutto, e il piccolo Lupin sorrise come un ebete, lo sguardo fisso sulla fotografia di suo padre che gli faceva un timido ciao con la mano e gli sorrideva…la donna aveva ragione, erano uguali proprio in tutto, anche nel sorriso.
“Ci somigliamo tanto?” chiese retoricamente, per il solo gusto di sentire qualcuno che gli diceva che era molto simile al padre.
“Non immagini neanche quanto, Teddy” rispose sorridendo Minerva, con la punta d’orgoglio che caratterizzava il suo tono di voce quando parlava dei suoi studenti che era ritornata.
Il ragazzo le rivolse un sorriso e la ringraziò, per poi girarsi e indugiare un attimo. Guardò la foto, ancora tra le sue mani; la voleva tenere, ma doveva restituirla alla prof. Tirò fuori la bacchetta e cercò un cenno d’assenso da parte della donna, che gli fece un sorriso ancora più ampio e annuì. Con un rapido movimento del polso la fotografia si duplicò, e il Tassorosso restituì l’originale alla professoressa, che si complimentò per la perfetta esecuzione dell’incantesimo. Lui le sorrise malandrino, ricordandole che lui studiava molto per un motivo preciso, e si congedò. Non avrebbe mai parlato a nessuno di quello che era successo in quell’ufficio; tra lui e Minerva Mc Granitt si era stresso un tacito accordo, la promessa di non parlare a nessuno di quei momenti di debolezza, lacrime e favori. Avevano anche loro il loro piccolo segreto, come suo padre e i professori quando anche lui camminava in quei corridoi.

“Ramoso, hai visto?”
“Sì, Lunastorta, ho visto. Vi somigliate proprio tanto.”
“Sì, insomma, guardalo, anche lui ha lasciato cadere una lacrima…sta venendo su bene, Remus. Tutta opera del mio caro figlioccio e di mia cugina…ehehe…”
“Ehi, ma…Rem, Sir, guardate…”
“Ha lasciato una ciocca di capelli come quelli di Remus?”

“E bravo il nostro malandrino! Disubbidisce alle regole…sigh…mi commuovo…”
Remus guardò divertito i suoi due migliori amici che, insieme a lui, dal cielo, avevano seguito la scena, e mormorò “Papà ti vuole bene, Teddy”.

“Ti voglio bene anche io, papà.”

   
 
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