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Autore: naisia    30/07/2016    4 recensioni
Dal primo capitolo:"La terraferma è un luogo insidioso e pieno di pericoli, e le creature che lo abitano, gli umani, sono perfino peggio, non devi mai avvicinarti a loro!"
Consapevole che farò rivoltare il povero Hans Christian Andersen nella tomba ecco a voi il più famoso consulente investigativo di Londra tramutato in un sirenetto.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Augustus Magnussen, Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 16 : Io ti salverò

 

Informazione di servizio prima di cominciare la storia vera e propria: Mi sono accorta che purtroppo al momento della pubblicazione aveva nominato il capitolo 2 e 3 allo stesso modo (ora ho corretto cambiando al 2 il titolo), probabilmente creando confusioni a coloro che stavano leggendo la storia. Visto che però sono un’imbecille ho fatto lo stesso casino con il capitolo 14 e il 15, anche se in questo caso ci ho messo molto meno ad accorgermene e a correggere, quindi non dovrebbero esserci problemi. Chiedo infinitamente perdono per questa svista, se vi risultano degli sbalzi temporali strani in prossimità di questi punti è perché forse non avete letto il capitolo 3 o il 15. Grazie per aver letto, e buona continuazione .



Non era stato facile convincere Mike a prestargli uno dei motoscafi della guardia costiera di riserva. Quelli chiusi nel magazzino che non erano mai stati utilizzati, vecchi di dieci anni ma ancora a tutti gli effetti proprietà dello stato. Per qualche sgradevole momento John aveva pensato che si sarebbe trovato costretto a minacciare l’amico con la pistola nascosa nella tasca interna del giaccone a vento, o peggio a stordirlo con il calcio di questa, in stile film d’azione americano. Tuttavia alla fine il marinaio aveva inteso l’urgenza dettata dal pericolo che si nascondeva dietro il tono del medico, e in nome della loro decennale amicizia gli aveva consegnato a malincuore le chiavi della barca. “Non un graffio” aveva sillabato prima di correre ad aprire la saracinesca del deposito portuale dove erano chiuse.

A John ci era voluto qualche lungo minuto per capire come funzionava il natante, non aveva mai navigato su nulla di così complicato in tutta la sua vita, ma alla fine il vecchio motore era partito con qualche scoppiettio sospetto e per nulla rassicurante (il biondo a quel suono pregò che non si spegnesse prima di averlo portato a destinazione). Quando stava per far partire la barca, un suono di acqua smossa lungo il fianco destro del motoscafo lo fece voltare di scatto.

Con la sua solita andatura un po’ dondolante Mike si issò su per la scaletta laterale “Ci ho pensato, immagino che sia meglio se vengo con te, non mi pare che tu abbia mai conseguito la patente nautica per mezzi a motore, no?” borbottò mettendosi al timone. Dopo un’iniziale sorpresa, il medico annuì, se il suo amico fosse venuto con lui sarebbe stato tutto molto più semplice.

Ma cosa doveva essere semplice? Fino a quel momento non aveva pensato ad un piano. Tutto quello che aveva occupato la sua mente per tutto il tempo da quando aveva visto il messaggio di Moriarty era stato un unico pensiero fisso: Doveva salvare Sherlock.

Il problema del come salvarlo però persisteva. Era il tritone quello che faceva i piani di solito, lui si limitava ad aiutarlo e ad ammirarlo per la sua mente brillante. Ma era veramente solo questo quello che in realtà faceva? Lui stesso si era accorto in almeno un paio di occasioni del modo in cui suoi complimenti facessero risplendere lo sguardo del moro come ghiaccio al sole.

E sarebbe stato da ipocriti non ammettere che quel luccichio appena accennato e subito nascosto in tutta fretta dal detective, non gli scaldava il cuore ogni volta che lo vedeva. Perché era questa la verità, ogni volta che vedeva la dura corazza di Sherlock cedere un poco lasciandogli intravedere cosa vi era nascosto dietro provava una tenerezza immensa. La verità era che aveva bisogno del suo amico tanto quanto l’altro aveva bisogno di lui in quel momento. John necessitava di Sherlock per vivere, e non sopravvivere e basta come aveva fatto sino a quel momento. Dal canto suo la mente meravigliosa, ma caotica e ,a tratti, buia e cupa, del tritone richiedeva la sua presenza per mantenere un precario ordine.

Perché, come Sherlock stesso aveva detto tempo prima, lui era il suo conduttore di luce: ciò che a volte faceva scoccare la scintilla, accendendo un frenetico via vai di neuroni che lo portavano immancabilmente alla soluzione del problema.

John si riscosse da quei pensieri, non era il momento adatto per formularli; se proprio ci teneva ne avrebbe parlato con una psicologa non appena quella storia si fosse conclusa. Ora doveva trovare un modo per avvertire il suo migliore amico del pericolo che correva oppure, opzione che lo spaventava a morte, pensare a come avrebbe fatto a tirarlo fuori dalle grinfie di Moriarty.

“Perché pensi che Sherlock si trovi su quella nave?” chiese Mike quasi urlando per sovrastare il rumore del motore e lo sciabordio assordante delle onde intorno a loro.

John si volse a guardarlo, rendendosi conto solo in quel momento che aveva il busto leggermente proteso in avanti, oltre il corrimano della prua, i muscoli delle braccia e soprattutto delle dita doloranti per essere stati troppo a lungo contratti. Abbandonò quella che sembrava a tutti gli effetti la posa di un cane da caccia e cercò di rilassarsi, anche se con scarsi risultati.

“Ecco, bhe è difficile da spiegare. . .hai letto i giornali di questa mattina?” chiese John spostandosi accanto all’amico. Mike aggrottò le sopracciglia confuso “No perché?” domandò perplesso. Il dottore non rispose ed armeggiò per qualche secondo con il cellulare prima di passarlo al pescatore “Forse faresti meglio a dare un’occhiata alle ultime news” disse.

Un lampo di comprensione, subito seguito da rabbia e preoccupazione, comparve sul viso grassoccio del timoniere “Ma come diavolo ha fatto?” sbottò. “Non lo so, e sai una cosa? Non mi interessa. So solo che stamattina, subito dopo aver letto il giornale mi sono precipitato da Sherlock e lui non c’era, non rispondeva al cellulare, niente di niente. Ieri sera abbiamo alzato entrambi il gomito ma sono assolutamente certo di averlo riaccompagnato a casa. È praticamente impossibile che se ne sia andato in giro da solo, quindi ho temuto il peggio.” spiegò velocemente il dottore senza guardare l’amico in faccia.

Non gli piaceva essere costretto a mentire a Mike, che lo stava aiutando nonostante tutti i rischi che correva andandosene in giro con lui su un motoscafo che avevano tecnicamente rubato. Per non parlare del fatto che stavano inseguendo un criminale senza scrupoli con almeno due omicidi sulla coscienza (anche se John sospettava che in realtà fossero molti di più). Però non aveva scelta, cosa poteva dirgli?! “Stiamo andando a salvare il mio migliore amico che, per inciso, in realtà è una sirenetta, da un tizio che vuole catturarlo a tutti i costi perché a quanto pare la boccia con i pesci rossi da tenere sul comodino del salotto è troppo mainstream” ? Con tutta probabilità se lo avesse fatto Mike avrebbe tranquillamente invertito la rotta, attraccato e lo avrebbe accompagnato al manicomio più vicino.

Anche se forse effettivamente non era una cattiva idea. Stavano andando contro una baleniera superattrezzata, e non era neppure certo che Moriarty fosse su quella nave, anche se i tempi combaciavano in maniera troppo perfetta per non essere perlomeno sospetti. E anche se il criminale fosse stato a bordo del sofisticato peschereccio non aveva ancora idea di come fermarlo.

Come se Mike fosse riuscito a leggergli nel pensiero gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla “In ogni caso, ammesso che Sherlock si trovi su quella dannata nave, come facciamo a tirarlo fuori da lì? Se non l’hai notato siamo in minoranza, e quelli sono attrezzati per la caccia alla balena. Ci farebbero affondare in cinque minuti, se se la prendono comoda” disse. Anche se non lo vedeva in faccia il medico non ebbe alcuna difficoltà a decifrare l’apprensione nella voce dell’amico.

Chiuse gli occhi e provò a sgombrare la mente concentrandosi; se voleva aiutare Sherlock doveva farsi venire un’idea, e in fretta. Si volse e iniziò a passeggiare su e giù lungo il ponte “pensa pensa pensa!” ringhiò sottovoce. Frustrato per la vasta e completa vacuità del suo cervello tirò un calcio alla cerata che copriva l’attrezzatura del motoscafo. Stava per riprendere a camminare avanti e indietro quando lo sguardo gli cadde sul lembo di stoffa impermeabile che si era sollevato dopo il suo colpo rabbioso. Sotto l’incerata gialla era possibile intravedere la punta inconfondibile di un paio di pinne da sommozzatore.

John si inginocchiò rapidamente, sollevando il resto della stoffa protettiva con uno scatto del braccio. Oltre alla corda, il kit del pronto soccorso e le provviste, era ben visibile oltre alla plastica protettiva una tuta da sub nera, completa di bombole per l’ossigeno. 
Il dottore sorrise prendendo tra le mani uno dei pesanti cilindri di metallo e controllando lo stato dell’aria al suo interno “Ho un’idea, ma credo che non ti piacerà” urlò.


***


Sherlock mosse pigramente la coda in un movimento oscillatorio di propulsione che normalmente avrebbe trovato terribilmente noioso, ma di cui in quel momento non gli importava particolarmente. Effettivamente sembrava che nulla fosse in grado di suscitare la sua curiosità o, perlomeno il suo astio. 

Da quando se n’era andato l’oceano non doveva aver sentito particolarmente la sua mancanza. Non era cambiato assolutamente nulla, le correnti marine scorrevano immutate, i pesci più piccoli fuggivano al suo passaggio, e la sabbia sul fondale continuava a formare quelle piccole e infinite dunette tipiche del mare aperto.

Normalmente Sherlock si sarebbe messo ad inveire contro madre natura per quella che considerava un’assoluta mancanza di fantasia, ma il suo cervello normalmente iperattivo al momento stagnava in un putrido torpore.

L’unica idea consapevole che fluttuava avanti e indietro trasportata dai sui neuroni atrofizzati era che non avrebbe mai più rivisto John.

Mai più.

E non solo perché al suo ritorno probabilmente Mycroft lo avrebbe rinchiuso da qualche parte e buttato via la chiave. Incredibilmente le possibili reazioni dei suoi simili non solo non lo preoccupavano, quello non lo avrebbero fatto neppure normalmente, ma non gli causavano il fastidio che avrebbero dovuto.

Non si sentiva triste, era diverso da quando era morto Barbarossa. Allora si era sentito inondare da un dolore che annullava tutto il resto, adesso invece si sentiva vuoto. Come se qualcuno lo avesse strappato a metà. Provò un amaro divertimento nel notare come espressioni del genere, che lui aveva sempre considerato esagerate e ridicole, fossero invece perfettamente calzanti.

La cosa peggiore era che certamente Mycroft si sarebbe accorto che c'era qualcosa che non andava, ed era altrettanto sicuro che alla fine avrebbe scoperto cosa turbava l'animo del suo fratellino. A quel punto avrebbe recuperato la chiave della sua cella, buttata in precedenza, e l'avrebbe fatta lanciare in un vulcano sottomarino, tanto per essere certo che andasse completamente distrutta.

Gli venne quasi da sorridere a quel pensiero, con tutta probabilità il consiglio avrebbe voluto sapere che cosa aveva fatto di bello negli ultimi due mesi. Pensò alle loro reazioni se avesse detto loro la verità. A quel punto neppure tutta la considerevole influenza di Mycroft sarebbe valsa a salvargli il collo. Con tutta probabilità sarebbe stato condannato alla pena capitale (morte tramite decapitazione) o nel migliore dei casi sarebbe stato bandito per sempre dalla colonia, condannato comunque a morire di fame o sbranato da qualche predatore marino.

Entrambe le opzioni (soprattutto la seconda) gli parvero piuttosto allettanti.

Non era per il fatto di aver perso John, non solo per quello almeno. Aveva avuto qualcosa che la sua gente e lui stesso fino a poco tempo prima avrebbero potuto solamente sognare. Aveva avuto il mondo, aveva sentito la consistenza dell'erba sotto le dita palmate, assaggiato cibi di cui non immaginava neppure l'esistenza, scoperto sui libri di John una cultura ricca come e più della loro. Aveva investigato su casi contorti e macabri, provato l'adrenalina della caccia e risolto enigmi che persino una società così scientificamente progredita come quella degli umani avrebbe giudicato inspiegabili.

Ed ora era tutto finito.

Aveva dovuto rinunciare a tutto questo e ora quello che lo aspettava era una serie di giorni infiniti, tutti identici l'uno all'altro. Se già considerava la sua vita insopportabilmente noiosa prima  come avrebbe potuto andare avanti facendo finta di nulla sapendo cosa c'era là fuori? Sfogò la sua frustrazione nuotando più velocemente, ormai aveva messo tra lui e la costa già un discreto numero di miglia, era certo che non mancasse molto alla colonia.

Dopo circa mezz'ora infatti una sagoma familiare fu visibile attraverso l'acqua limpida dell'oceano. Una figura dotata di una lunga e flessuosa coda dai riflessi verdeazzurri. Riconobbe una delle guardie che controllavano il perimetro della colonia per ordine del compagno di suo fratello (Gavin? Gerald?). Al vedere uno della sua specie ogni cellula del suo corpo urlò per la noia, esortandolo a fare marcia indietro, tornare nella caverna e restarci fino alla morte, sarebbe stato molto più divertente.

Stava seriamente valutando l'ipotesi quando un irrigidimento da parte della sirena di guardia lo avvisò che ormai era troppo tardi e che era stato notato. Dopo essere rimasta per qualche secondo impietrita a fissarlo fece dietrofront e si mise a nuotare velocemente verso la colonia, certamente per andare ad avvisare il suo superiore.

Sherlock ringhiò di rabbia quando pensò al fatto che avrebbe dovuto sopportare le battutine di quell'invertebrato di Anderson, ma continuò a nuotare. Ormai era troppo tardi per tornare indietro; se lo avesse fatto probabilmente quel ciccione di suo fratello avrebbe rivoltato l'intero fondale marino per ritrovarlo.

Dopo una decina di minuti vide in lontananza un gruppo di sagome che si stava avvicinando rapidamente. In testa la sentinella che lo aveva visto poco prima, subito seguita da Lestrade e da suo fratello, poco dietro venivano Donovan e Anderson, che, a giudicare dalle loro espressioni, stavano vagliando varie ipotesi sul suo improvviso ritorno. La meno stupida probabilmente era che uno squalo avesse cercato di divorarlo e lo avesse risputato subito dopo aver sentito il suo sapore.

Proprio mentre iniziava a prepararsi mentalmente alla indesiderata riconciliazione un dolore lancinante gli attraversò la colonna vertebrale, paralizzandolo. Poco dopo senti la scarica interrompersi di colpo, ma ancora i suoi muscoli si rifiutavano di muoversi, rendendo l'azione stessa del respirare una vera impresa.

"Sherlock!" la voce di Mycroft arrivò ai suoi timpani doloranti leggermente ovattata, ma fu comunque possibile percepire il suo tono terrorizzato. 

Provò a muovere la coda senza grandi risultati, stava affondando lentamente ma con costanza. Cercò di flettere le dita con un certo successo e alzò faticosamente la testa. Fu così che riuscì a vedere nonostante la lontananza l'espressione di orrore di suo fratello "Sherlock spostati!"

Poi il mondo divenne nero.

Subito dopo il tritone venne strattonato verso l'alto da una forza inarrestabile. Sherlock si accorse con orrore che ovunque intorno a lui vi era una barriera di stoffa spessa e ruvida.

Era finito in una rete!

Sentendo la sua paralisi svanire, spazzata via dall'adrenalina che gli aveva invaso il sistema circolatorio, provò a dibattersi, ma era tutto inutile, le maglie della sua prigione erano in metallo. Urlò di dolore quando sentì quasi i timpani esplodere: stava risalendo troppo velocemente e lo sbalzo di pressione reclamava il suo prezzo.

Subito dopo avvertì l'aria gelida sulla pelle e una sensazione di soffocamento gli strinse il petto in una morsa d'acciaio. Si dibatté istintivamente, espandendo e contraendo meccanicamente la cassa toracica, l'ossigeno allo stato gassoso che gli bruciava i polmoni, mentre le sue branchie fluttuavano freneticamente alla disperata ricerca di acqua.

Mentre avvertiva la sua coscienza scivolare via il suo corpo impattò contro la superficie dura dell'acqua. Afferrò la rete e stavolta riuscì a liberarsi da questa strattonandosela lontano. chiunque aveva cercato di catturarlo doveva aver miseramente fallito, pensò liberando la parte superiore del corpo, mentre i suoi polmoni doloranti riprendevano estasiati la loro funzione.

Si guardò attorno aspettandosi di vedere Mycroft correre in suo aiuto, ma tutto quello che vide fu il blu.

Non il blu infinito dell'oceano, un blu piatto, artificiale.

Si volse, ovunque intorno a lui vi era soltanto l'azzurro scuro della vernice con cui erano state dipinte le pareti della vasca rettangolare dove si trovava.

La rete dietro di lui risalì rapidamente, scomparendo oltre la superficie, mentre una nuova barriera, questa volta formata da sbarre di acciaio lucente, gli precludeva ogni possibilità di fuga.

Sentì un'ondata di panico impossessarsi di lui. Nuotò fino alla parete più vicina e cominciò a tempestarla di pugni, inutilmente. Si mosse verso l'alto e afferrò le grate della sua prigione strattonandole furiosamente. La parte più razionale di lui sapeva che era tutto completamente inutile, ma la parte più primitiva stava praticamente impazzendo dal terrore.

Urlò di rabbia rendendosi conto che era tutto inutile.

Poi si fermò. Rimase perfettamente immobile, le braccia pallide abbandonate lungo i fianchi magri, le branchie che fluttuavano affannosamente, in posizione verticale rispetto al pavimento della vasca.

Con un movimento lento e calcolato portò una delle mani palmate alla collana che ondeggiava intorno al collo niveo. Senza abbassare la testa per osservare quello che faceva tastò la corda costellata di ciondoli fino a trovare quello che cercava.

Un dente di squalo bianco, lungo circa 6 centimetri*, reso ancora più affilato dal fatto che fosse scheggiato lungo un lato, il motivo per cui lo aveva scelto per la sua collezione.

Senza indugio lo afferrò con forza e se lo premette contro la gola. Chiuse gli occhi. Detestava di cuore ogni singolo membro della sua specie, con forse una o due eccezioni, ma non avrebbe permesso che morissero o venissero catturati per colpa sua. E poi il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di darla vinta al bastardo che lo aveva catturato, quindi era meglio farla finita subito.

Deglutì, allontanò leggermente la mano armata dalla gola per avere più forza nel momento del taglio. Stava per lasciar partire il colpo quando qualcosa lo interruppe.

Una voce.

Sgradevolmente nota.

"Ma come siamo teatrali Sherly!"

Sherlock aprì gli occhi di scatto e si volse verso la fonte del rumore, nella foga di prima non aveva notato che in alto, nell'angolo formato dalla congiunzione di due pareti, vi era un piccolo altoparlante nero.

Alle sue spalle udì un ronzio elettrico. Una delle pareti stava scivolando di lato, lasciando posto a una enorme lastra di vetro simile a quelle usate negli acquari.

Dietro di essa, nel suo migliore completo, Moriarty si dondolava lentamente su una sedia da ufficio, le mani appoggiate a una consolle coperta di tasti e luci che brillavano ad intermittenza. Sullo sfondo, una serie di monitor elencavano dei parametri vitali ed erano monitorati da un gruppo di uomini che ora lo fissavano come se avessero davanti un animale estremamente raro.

Cosa che effettivamente non era lontana dal vero.

A Sherlock sfuggì un sorrisetto amaro mentre si portava una mano al collo, premendo nel punto dove pochi giorni prima il suo avversario la aveva pugnalato. Ora capiva come mai la scossa elettrica fosse stata così dolorosa in quel punto.

"Ma certo, capisco. E poi sarei io quello teatrale" disse avvicinandosi leggermente alla superficie vitrea. Con un sorriso maniacale James premette il pulsante che accendeva l'interfono "Dì la verità Sherlock: Ti sono mancato?" chiese sornione.

Il tritone aprì la bocca per rispondere con uno dei suoi soliti commenti sprezzanti ma fu bruscamente interrotto.

"Splendido" esclamò una voce che non aveva mai sentito prima.

Dalle ombre uscì un uomo alto, leggermente stempiato e che indossava un abito elegante. Sherlock inarcò un sopracciglio "E lei è il cliente di Moriarty presumo" disse senza dare al suo tono di voce una particolare inflessione.

Per tutta risposta Magnussen si limitò ad osservare senza alcun pudore il suo corpo, provocando al moro un'ondata di ribrezzo. Quell'uomo era un collezionista, e lui ai suoi occhi non era nulla di più che un semplice articolo raro, che meritava di essere esposto nella teca più bella nella sua personale sala dei trofei.

"Sorprendente conoscenza del linguaggio umano, buone capacità intellettive e ottimo controllo motorio a giudicare dalla velocità con cui si è ripreso dalla scarica." poi
voltandosi verso Moriarty aggiunse "Mi congratulo con lei, è all'altezza della sua fama. Mi ha portato in perfette condizioni un ottimo esemplare" commentò come se si stesse accingendo a comprare un capo di bestiame.

"In perfette condizioni? Non per molto se posso fare qualcosa al riguardo" commentò con fare sprezzante Sherlock, afferrando nuovamente il dente. Ma proprio mentre stava per porre fine alla sua vita fu interrotto nuovamente da un suono metallico che invase i suoi timpani.

"Sono della guardia nazionale costiera, vi ordino di fermarvi immediatamente state. . . . ha-hem state infrangendo il protocollo 45-k bis del codice nautico!"

Sherlock sbattè velocemente le palpebre quando riconobbe quella voce, nonostante fosse stata storpiata dal megafono attraverso cui era amplificata, che aveva sentito già in diverse occasioni prima di allora.

Mike Stamford?!?

"Dannazione, la guardia costiera? Ma non ha senso! Che cosa ci fanno qui?" sbottò Magnussen all'indirizzo di Moriarty, che tuttavia non lo degnò neppure di uno sguardo mentre si dirigeva verso la scaletta che portava fino al ponte, seguito da un paio di guardie del corpo.

Sherlock non disse nulla anche se dentro di sè condivideva almeno in parte lo sbigottimento del suo carceriere.
Cosa diavolo stava succedendo?


***


John si issò sulla scaletta d'emergenza sul fianco della baleniera facendo forza sulle braccia. Tra i denti stringeva la pistola, provvisoriamente imbustata in un sacchetto di plastica perchè non si bagnasse divenendo completamente inutile. Dopo essere risalito per un altro paio di scalini scalciò via le pinne della muta da sub. se prima gli erano state immensamente utili per raggiungere la nave senza essere notato ora erano solamente d'intralcio.

Afferrò con forza il metallo ruvido degli scalini, non badando a come le leggere macchie di ruggine gli graffiassero i palmi e le piante dei piedi.

Risalì rapidamente. aveva l'impressione che se si fosse fermato avrebbe capito quanto il suo piano fosse idiota. 

No era più che idiota. Era completamente folle.

Stava salendo da solo su una nave certamente piena zeppa degli scagnozzi di Moriarty armati fino ai denti con addosso solo una muta da sub e con una pistola con solo un paio di caricatori come munizioni.

Doveva essere completamente impazzito.

Slacciò le bombole, lasciandole precipitare in mare con un tonfo, e strappò la plastica intorno alla sua arma con i denti. Doveva fare in fretta, Mike era sempre stato un pessimo attore e presto avrebbe finito gli argomenti con cui trattenere i bastardi che avevano catturato Sherlock.

Ricordava ancora il suo terrore quando aveva visto un paio di marinai puntare una sottospecie di cannone verso l'acqua. Aveva letteralmente smesso di respirare quando aveva visto l'argano iniziare a girare per riportare su la rete agganciata alla corda. Pregare tutte le divinità esistenti non era servito a molto, poco dopo infatti aveva visto la rete chiusa sulla sua preda, che si dibatteva disperatamente al suo interno per la mancanza di ossigeno, venire issata velocemente verso l'alto. In quel momento un'ondata di furia lo aveva pervaso; come osavano fare questo a lui? Al suo Sherlock. Probabilmente avrebbe dovuto trovare preoccupante il fatto che avesse mentalmente calcato l'aggettivo possessivo, ma al momento non gliene fregava niente: voleva soltanto ficcare Jim Moriarty dentro quella fottuta rete, buttarla in mare ancora attaccata alla sua nave del cazzo e fargli circumnavigare l'intero Regno Unito.

Quando aveva visto la rete e il suo prezioso contenuto sparire sul ponte aveva intuito che la baleniera doveva avere una vasca per il contenimento del pescato. O almeno lo sperava.

Senza attendere oltre aveva fatto le ultime raccomandazioni a Mike e si era immerso, benedicendo le due lezioni da sommozzatore che aveva fatto da giovane.

E adesso, dopo aver nuotato verso la nave cercando di finire tritato dalle eliche, avanzava a schiena china verso la grata che si trovava al centro del ponte, come in un film di quart'ordine su James Bond, pregando che l'equipaggio tenuto impegnato da Mike non smettesse di dargli la schiena proprio ora.

Si affacciò con apprensione sulle sbarre larghe due centimetri, temendo cosa avrebbe trovato sotto di esse. Sospirò di sollievo quando vide oltre la tremolante superficie dell'acqua Sherlock che nuotava freneticamente avanti e indietro. In un istante di tenera compassione pensò a come dovesse sentirsi spaventato e in trappola in quella vasca per pesci.

Poco più in basso di Sherlock Holmes poteva dirsi di tutto, tranne che fosse spaventato, si era messo ad insultare tutti i marinai, che peraltro non gli prestavano più alcuna attenzione, nella speranza di capire cosa stava succedendo là fuori.

Probabilmente avrebbe continuato a lungo a insultare uno dei tirapiedi di Moriarty, già molto vicino al prendere la pistola e a sparargli, se non avesse sentito dei colpi vibrare nell'acqua circostante, come se qualcuno stesse colpendo la sua prigione. Alzò lo sguardo e il cuore abbandonò la sua abituale posizione per balzargli in gola.

John, il suo bellissimo, meraviglioso John, perfettamente riconoscibile nonostante le grate e lo specchio increspato dell'acqua, che era venuto a salvarlo, proprio come avrebbe fatto l'eroe di uno dei romanzetti rosa che leggeva la signora Hudson, la vicina di John.

Scattò verso l'alto e afferrò le sbarre con le mani, riuscendo a far emergere almeno il viso "John! Che cosa diavolo ci fai qui?" scontato, banale, lo sapeva benissimo cosa stava facendo, ma aveva il bisogno fisico di udire la sua voce calda e rassicurante.

"Ti salvo la vita, che ne dici se rimandiamo le discussioni a più tardi?" disse mentre armeggiava con il pesante chiavistello della grata. 

"John. . ." "Sherlock dammi solo cinque minuti ok? E' più difficile di quanto pensassi" "John. . ." "Non è il momento Sherlock asp. . ." John non concluse la frase.

Il moro infatti aveva fatto passare un braccio oltre il quadrato formato delle sbarre e aveva afferrato la nuca del dottore, attirandolo a sè. Dopo un istante di esitazione aveva sussurrato ancora "John . . ." e aveva posato le labbra umide su quelle calde e asciutte del suo John Watson.

A quel gesto il medico aveva sgranato gli occhi, rimanendo perfettamente immobile. Non ricevendo alcuna risposta Sherlock si ritirò mortificato. O almeno ci provò perchè John lasciò perdere il chiavistello, il fatto che fosse fidanzato e la sua presunta eterosessualità, per prendergli il viso tra le mani e restituire con impeto il bacio. 

Si separarono qualche secondo più tardi, ora toccava al tritone fissarlo con gli occhi sgranati mentre il biondo sorrise dolcemente. "Te ne devo ancora uno, quindi sbrighiamoci" disse, sbloccando finalmente la grata e facendola scorrere il più silenziosamente possibile sui cardini.

Appena ebbe ricavato uno spiraglio sufficiente si allungò verso Sherlock, che cinse le sue spalle con un braccio, aggrappandosi al bordo della vasca con l'altro.

"Coraggio è quasi fatta" ringhiò John per lo sforzo di sollevare il compagno. Tuttavia un click alle sue spalle lo fece impietrire.

"Hai detto bene Johnny boy. E' quasi fatta" alle sue spalle un gongolante Jim Moriarty gli poggiò pigramente la canna della pistola contro la testa.

"Forza su, mollalo" nella sua voce vi era quasi rassegnazione. 

"Fa come dice John" sussurrò Sherlock, lasciando la presa sulle sue spalle. Il dottore alzò le mani e si volse lentamente, dietro di lui oltre a Jim vi erano schierati tutto l'equipaggio, armi in pugno e le peggiori intenzioni stampate in faccia.

"Sono molto molto moooooolto deluso Johnny. Insomma, mi aspettavo qualche rappresaglia, in fondo è per questo che ti ho inviato quel piccolo video" dietro di lui a quelle parole Magnussen si irrigidì per la rabbia, anche se non proferì parola"Ma davvero, tutto questo. . . E' così noioso" disse facendolo indietreggiare avanzando.

Volse lentamente il capo verso Sherlock "Te lo potevi scegliere un po' meglio il tuo cucciolo Sherly, questo qui, mh. . . mi sa che è difettoso" riprese a camminare e non si fermò finchè John non ebbe alle sue spalle il parapetto della nave.

"Sai Sherlock" riprese quasi sovrappensiero "ho sempre odiato quando i miei giocattoli si rompono, non tanto per il fatto che non li posso più usare, ma perchè sbarazzarsene è una tale fatica!" mugugnò facendo dondolare avanti e indietro l'arma. "Però si da il caso che io ti voglio un gran bene Sherlock, quindi credo che mi occuperò di questa fastidiosa incombenza per te" aggiunse puntando la pistola contro la fronte di John.

"NO!" urlò il moro stringendo convulsamente il bordo della sua prigione.

Moriarty si volse a fissarlo, sembrava indeciso "no?" chiese. Per qualche istante rimase perfettamente immobile, poi abbassò lentamente l'arma.

"Va bene Sherlock, va bene" disse voltandosi completamente "Facciamo come vuoi tu" mosse con calma qualche passo verso la vasca.

Poi senza alcun preavviso portò la pistola oltre la sua spalla e fece fuoco.

"Ops, scusami, sono così maldestro" dietro di lui John urlò e barcollò per qualche istante stringendosi la spalla da cui il sangue usciva copiosamente. Moriarty lo guardò e poggiò il piede contro il petto del medico "Sogni d'oro Johhy boy" e con una spinta lo fece precipitare fuori bordo.

L'ultima cosa che John Watson udì prima dell'impatto contro l'acqua fu Sherlock che gridava il suo nome*



*sembra tanto, ma ho letto che possono arrivare fino a 7.5 centimetri.

*Hehe, e già nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo questo pezzo è liberamente ispirato alla scena della caduta di Sherlock, solo con i personaggi scambiati.


Note autrice: heilà, come va? scusate vorrei tanto dilungarmi come faccio di solito ma tra il capitolo oscenamente lungo, l'emicrania da maratona su Netflix, le zanzare peggio stronze degli esattori dell'equitalia e il fatto che sono le undici e mezza di sera sono leggermente provata (ma proprio poco poco).
E si, riguardo al finale se ve lo state chiedendo sono una affiliata del Moffatteismo, seguace del Signore del Dolore in persona e adoratrice dell'angst assolto.
Perciò scrivetemi tutti i peggio insulti nei commenti e auguratemi buonanotzzzzzzz ronf..... zzzzzzz......ronf........
   
 
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