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Autore: HamishWatsonHolmes    31/07/2016    0 recensioni
Sherlock, finalmente ricongiuntosi con Watson, torna a passare le sue giornate in vestaglia nel suo appartamento al numero 221 di Baker Street. Fa di tutto per eludere le domande sul come abbia fatto ad ingannare la morte, ma John deve sapere: non gli basta più soltanto accettare il fatto che lui sia ancora vivo, ha il diritto di conoscere quello scenario numero tredici. Ciò che viene a sapere, però, lo sconvolge a tal punto da fargli mettere in dubbio alcuni particolari della sua vita. Riuscirà a convivere con la verità? Sarà disposto ad accettare quell'uomo al suo fianco, anche dopo aver scoperto ciò che si cela dietro al fatidico salto dal tetto del Bart's?
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Mycroft Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Ok, Sherlock. Sono pronto." disse John, seduto sulla sua poltrona. Aveva rotto quel silenzio quasi sacro per il detective, che lo guardò con uno sguardo di rimprovero misto a dubbio.

"Pronto per cosa?"

"Per la spiegazione. Come hai fatto a non morire?"

Sherlock si irrigidì. Sperava che quel momento non arrivasse mai. Accantonò la sorpresa e tirò fuori il suo sguardo più serio.

"John, sono famoso per la mia indistruttibilità."

"Smettila, voglio la verità."

"Te l'ho detto: è difficile liberarsi di me."

Ma a John non bastava: doveva saperlo, era il minimo che Sherlock potesse fare, dopo quei lunghi anni di assenza. Glielo doveva e una semplice frasetta per levarsi da ogni impiccio non gli sarebbe più bastata.

“Avanti, Sherlock! Mi hai descritto dodici, e ribadisco dodici, dei possibili scenari sul tetto del Bart's, mi devi il tredicesimo. Come diavolo hai fatto a sopravvivere alla caduta?”

“Non l'ho fatto!” sbottò Holmes. Si pentì immediatamente di ciò che era detto e, per un folle istante, pregò che Watson non l'avesse sentito.

“C-cosa?”

“Niente, niente di importante”.

Dopo alcuni istanti, un'intuizione si fece largo nella mente di John. Sul suo volto comparve il terrore.

"T-tu non sei Sherlock. Chi diavolo sei?!"

Si alzò di scatto dalla sua poltrona e si mise dietro ad essa. Afferrò con entrambe le mani lo schienale e lo strinse con tutte le sue forze.

In quel momento, l'altro rispose:

"No, hai ragione: non sono Sherlock, ma quasi."

"Cosa significa quasi?!" chiese John, sempre più arrabbiato per l'inganno.

"Che siamo gemelli, mi sembra ovvio. Sono il terzo Holmes."

L'uomo si alzò dalla poltrona di fronte a Watson e cominciò a girovagare per l'appartamento, in cerca di una possibile scusa per la sua presenza in quella casa. La furiosa curiosità, però, prese il sopravvento su Holmes, che aveva bisogno di spiegazioni. Più di quanto ne avesse bisogno John, a suo parere.

"Ho seguito tutte le istruzioni alla lettera! Capelli disordinati, ma con classe; cerotti alla nicotina e bavero del cappotto alzato, per sembrare più tenebroso. Come diavolo hai fatto?!?!"

"Non ti sei vantato. Sherlock avrebbe narrato tutte le sue eroiche imprese, mi avrebbe raccontato per giorni e giorni come ingannò la morte e Moriarty su quel tetto. Tu non sapevi come rispondere quando ti ho chiesto di illuminarmi sull'argomento."

Rimase per qualche secondo in silenzio; poi aggiunse:

"Cristo, sembro Sherlock."

 

John si guardava intorno. Era perplesso, deluso e, nuovamente, depresso. Tuttavia, non riusciva a piangere; aveva appena scoperto che non aveva ancora ritrovato il suo migliore amico, eppure neanche una lacrima bagnava il suo volto. Anzi, cominciò a ridacchiare nervosamente e dovette sedersi sulla sua poltrona, per non cadere.

"Per tutto questo tempo mi avete fatto credere che lui fosse di nuovo con me, che Sherlock fosse tornato in questo appartamento, al mio fianco. Invece scopro che tu sei suo fratello... Non so neanche come ti chiami! "

"Oh, mi chiamo Sherrinford Holmes, piacere." disse l'uomo con disinvoltura, come se si fosse dimenticato della situazione che era sorta tra i due.

John, improvvisamente, se ne andò, tirando la giacca giù dall'appendiabiti. Scese le scale con una furia tale che quasi cadde e sbatté la porta del 221 con tutta la sua forza. Si diresse verso quella che, col passare del tempo, aveva appreso essere la casa di Mycroft. Senza neanche prendersi la briga di cercare dentro di sé le buone maniere, cominciò a tirare pugni contro la bianca porta dell'abitazione.

"Mycroft, dannazione, apri la porta!"

Continuò ad imprecare contro Mycroft fino a quando uno dei suoi leccapiedi non si presentò all'uscio.

"Il signor Holmes la attende al piano di sopra, dottor Watson."

John venne scortato da quel gorilla nello studio di Mycroft, che era seduto alla sua scrivania, intento a divorare una fetta di torta.

"Oh, prego, John, siediti." disse, pulendosi gli angoli della bocca con un tovagliolo.

"No, grazie. Preferisco stare in piedi. "

John si stupì per la calma ritrovata, quindi cercò subito di rimediare:

"Dov'è Sherlock?!" urlò.

"Sono abbastanza sicuro che mio fratello sia a Baker Street. " disse Mycroft con ovvietà.

"Non mentirmi! Non sono stupido, quello non è Sherlock. Ha confessato."

Il più vecchio degli Holmes batté lentamente le mani, come per prendersi gioco di lui.

"Complimenti, dottor Watson. Finalmente te ne sei accorto. Prima del previsto, a dire la verità."

"Dov'è lui?- disse supplicandolo- Ti prego, Mycroft, dimmelo."

Il più vecchio degli Holmes raggiunse Watson, che stava ancora in piedi davanti alla sua scrivania e fece una cosa inaspettata: lo abbracciò. Mentre lo faceva, gli sussurrò nell'orecchio:

"Non ce l'ha fatta."

E John crollò. Cominciò a piangere singhiozzando incontrollabilmente, mentre Mycroft lo stringeva di più a sé, tradendo il suo aspetto da uomo di ghiaccio.

"Mi dispiace, ma dovevo fare qualcosa. Stavi per suicidarti e mi sentivo in dovere di rimediare al danno provocato da mio fratello. Sherrinford mi sembrava la soluzione migliore, ma a quanto pare mi sbagliavo."

Watson si divincolò dalle sue braccia e si sedette per terra, per cercare di capire meglio tutto ciò che lo stava circondando. Si sentì come se quel salto si fosse ripetuto ancora e ancora. Sarebbe potuto andare avanti, dimenticare quel dolore che lo seguiva come un'ombra, ma la speranza lo aveva ingannato. Era riuscita a convincerlo che il suo migliore amico fosse tornato, per poi riportarlo sottoterra quando la verità si fece spazio tra le bugie.

"Sai- disse John, con qualche lacrima ancora negli occhi- non riesco ad arrabbiarmi con te. Lo vorrei tanto, ma proprio non ce la faccio. Sono venuto qui per prenderti a pugni, ma non riesco neanche ad alzare un dito contro di te."

"Tutto ciò mi lusinga, John."

Rimasero in silenzio per quello che sembrò un secolo, che venne spezzato solo quando Watson si alzò e se ne andò, dicendo:

"Ciao, Mycroft."

Tornò a Baker Street, ma non entrò nel suo appartamento: chiese asilo a Mrs. Hudson, che fu ben lieta di ospitarlo. Non ascoltò nulla di ciò che la padrona di casa aveva da dire, ma bevve la sua tazza di tè in silenzio, perso nei suoi pensieri. Ogni tanto, veniva riportato alla realtà dalla donna, che gli poneva domande a cui lui non rispondeva. Se ne andò dopo un'oretta, con l'intenzione di andare dritto a letto, senza indugiare troppo nel salotto del 221B. Si fiondò in camera sua senza neanche salutare Sherrinford, che sembrò non accorgersene.

La mattina arrivò in fretta per tutto il Regno Unito, tranne che per John, che non riuscì a chiudere occhio. Continuava a pensare a quante cose gli avrebbero potuto far capire che quello che viveva con lui non era più Sherlock: niente più teste nel frigo o occhi nel microonde; niente più esperimenti in cucina; dormiva e mangiava regolarmente.

Allora perché aveva creduto a tutto questo?

Sarebbe potuto andare a vivere con Mary e avere una nuova vita con lei, diventare magari padre e invecchiare, come facevano tutti. Diventare un uomo nuovo con un nuovo scopo nella vita e non dover mai più pensare al pericolo che ogni giorno correva o alla costante presenza di assassini nella sua esistenza. Desiderava ardentemente una vita normale, trascorsa in una casa normale e circondato da amici normali, eppure rimpiangeva i tempi d'oro della caccia ai malviventi con Sherlock, la sua folle intelligenza che risolveva anche i casi più complessi, addirittura impossibili per una persona comune, e tutte quelle piccole cose che faceva il detective, che normalmente gli davano sui nervi. Sarebbe stato disposto a fare qualsiasi cosa pur di riavere indietro il suo migliore amico. Il suo unico amico.
Rimase steso sul letto a guardare il soffitto fino a quando non giunsero le 11. Sarebbe dovuto andare a lavorare, ma decise che poteva anche prendersi un giorno di pausa. Non sarebbe stata di certo la fine del mondo. Scese al piano di sotto, ancora in pigiama, passando davanti ad Sherrinford, che dormiva sul divano. Era identico a Sherlock, nessuno avrebbe potuto notare la differenza tra i due, a parte, John ne era sicuro, Mycroft, a cui non sfuggiva mai niente.
Si perse per qualche istante nella contemplazione di quell'uomo, cercando anche la minima differenza che avrebbe potuto rendere i due gemelli un po' più diversi, senza contare il carattere. Dopo alcune ore, un paio di tazze di tè e innumerevoli pagine di giornale sfogliate senza essere lette, John prese una decisione che non avrebbe mai più cambiato:
Sarebbe rimasto in quella casa con quell'uomo, nonostante tutto. Avrebbe tentato di mettere da parte il passato e di creare un nuovo presente senza Sherlock, fianco a fianco con Sherrinford. Una nuova amicizia, nuovi casi da risolvere e un nuovo duo.
Sì, poteva funzionare.

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Questa fanfiction è stata scritta tra la seconda e la terza stagione, prendendo informazioni sia dai libri che dalla serie.

  
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