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Autore: HikariMoon    01/08/2016    4 recensioni
VERSIONE RISCRITTA
Sono passati quattro anni dal ritorno dei Maestri della Luce dal futuro. Quattro anni in cui Mai, Yuuki, Hideto e Kenzo hanno cercato di riprendere le fila della propria vita.
Ma è arrivato il momento che i Guerrieri di Gran RoRo tornino a combattere per i sei mondi. Guidati da una verde farfalla i quattro si ritroveranno finalmente catapultati a Gran RoRo. E ad attenderli ci saranno vecchi amici e una misteriosa ragazza.
Ben presto, si renderanno conto di come il mondo che hanno lasciato non sia più lo stesso e che molte cose non potranno più essere come prima.
Una nuova battaglia sta per iniziare, ma prima scopriranno che un’altra missione li attende: salvare una vecchia amica.
Genere: Angst, Avventura, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideto Suzuri, Kenzo Hyoudo, Mai Viole/Shinomiya, Nuovo personaggio, Yuuki Momose
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Battle Spirits Resurgence - I Guerrieri della Luce'
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CAPITOLO 1

Aileen correva sui sentieri invisibili della foresta. Non aveva alcuna paura di inciampare.

Aveva sempre sentito una profonda connessione con gli alberi, gli insetti e tutto il suo mondo. Fin da piccolissima, erano stati il luogo sicuro per ritrovare la serenità e per dimenticare tutto ciò che succedeva nel resto del Regno.

Ora, per l’ennesima volta, si chiedeva quanto questa connessione fosse vera. Quanto essa fosse, invece, una delle tante ramificazioni di quelle visioni.

Si fermò accanto ad un albero, il respiro ansimante che le rimbombava nelle orecchie e rompeva quel silenzio pulsante di vita che tanto amava. Chiuse gli occhi e si posò al tronco. Con una mano si asciugò le guance, bagnate da quelle lacrime che tanto odiava. Lacrime che non sapeva neppure per cosa sprecava.

Visi che non aveva mai visto, luoghi in cui non era mai stata, emozioni che non aveva mai provato… eppure tutto così maledettamente familiare, quasi un ricordo sbiadito. Non voleva tutto quello, non lo aveva mai chiesto.

“Perché a me?”

Una domanda inutile, cui nessuno poteva rispondere: neppure i suoi genitori, neppure suo fratello o la sua migliore amica. Riaprì gli occhi e si voltò verso la strada da cui era venuta. Chissà se avevano già scoperto che si era di nuovo allontanata. L’ennesima fuga, l’ennesimo rimprovero a non vagare nei boschi da sola.

Alzò lo sguardo verso il cielo, che si stagliava limpido oltre le fronde vibranti. Fosse stato almeno possibile fuggire da tutto quello. Era tutto nella sua testa.

Si lasciò scivolare a terra e si sedette. Cercò di concentrarsi sul profumo fresco della foresta. La visione-sogno di quella notte era stata una delle più vivide dell’ultimo mese. Quando si era svegliata, aveva avuto veramente il terrore di ritrovarsi un buco nello stomaco.

Scattò in piedi e riprese a correre, lasciando che fosse l’istinto a guidarla. Forse andare alla sorgente l’avrebbe aiutata a dimenticare.

Arrivata a una radura, rallentò per riprendere fiato.

“Cosa diamine ci fai qui da sola?”

Aileen sgranò gli occhi e si voltò di scatto, il cuore che batteva all’impazzata. Soldati. Davanti a lei c’era un granroriano dalla pelle verdastra, folta barba e capelli. Lo sguardo cercava di essere mortalmente serio, ma si vedeva chiaramente il diletto per la reazione provocata.

“VEIHRAL! Per i sei regni! Che cosa ti è saltato in mente?”

“Che cosa è saltato in testa a te, Pixie. Girare da sola per la foresta? E se fossi stato un soldato del Governatore?”

La ragazza strinse le labbra e fissò l’erba sotto i suoi piedi. Poi, si fiondò tra le sue braccia, cogliendolo di sorpresa. Veirhal esitò un attimo prima di passarle un braccio attorno alle spalle.

“Pixie?”

“Cosa c’è che non va in me?”

Il granroriano sbattè le palpebre chiedendosi a che cosa si riferisse esattamente. La conosceva da anni, dal malaugurato giorno in cui, con uno sguardo da cucciola abbandonata, era riuscito a convincerlo ad accettare la prima sfida di un numero che da tempo aveva smesso di contare.

Attese per qualche istante, ma Aileen non si preoccupò di fornirgli altre spiegazioni. E la situazione stava cominciando a metterlo a disagio. Sorridendo, le scompigliò i capelli con una mano.

“Se c’è qualcosa di sbagliato in te, Pixie, è soltanto la tua testardaggine. E quando ti caccerai in qualche guaio, ti auguro di poter usare il tuo mazzo di carte.”

Aileen abbozzò un sorriso e si staccò da lui, ma si vedeva che qualsiasi cosa fosse, continuava a tormentarla.

“Quando la smetterai con quel nomignolo?” La voce non riuscì a mostrarsi allegra come la giovane avrebbe voluto. Sarebbe stato così semplice, se solo fosse stata in grado di far finta di niente.

“Ma ti calza a pennello, furbetta. Ho visto poche persone a loro agio nella foresta come te.” La colpa del nomignolo era anche un po’ colpa di Julian, lui e tutte le leggende umane che gli aveva raccontato. Mentre le rispondeva, Vey aveva continuato a fissarla per cercare di intuire quale fosse il suo problema.

La ragazza non rispose e saltò leggera su una radice. Non c’era stato un vero motivo per cui glielo aveva raccontato. Neppure lui poteva aiutarla. Ma era sempre stato pronto ad ascoltarla.

 “Mi accompagni alla fonte?”

Veirhal sollevò un sopracciglio e incrociò le braccia. “In realtà, pensavo di riportarti al villaggio.”

Aileen si voltò e deglutì. “Vey, ti prego. Ne ho bisogno.”

Fu allora che qualcosa cliccò nella mente del granroriano e capì che cosa tormentava la ragazzina. Erano di nuovo quelle visioni di cui gli aveva parlato.

“Va bene. Ma quando decido che si torna indietro, non voglio sentire ma.” Alla fonte doveva assolutamente indagare.

Il sorriso radioso della granroriana fu l’unica ricompensa che gli serviva. Senza aggiungere altro i due si avviarono e ben presto Aileen iniziò a metterlo al corrente di tutto quello che era successo dall’ultima volta che era stato lì.

Frush

Vey afferrò la ragazza per un braccio e le fece cenno di tacere. Aileen trattenne il respiro, iniziando a temere il peggio. Dopo un attimo se ne accorse anche lei. C’era qualcuno vicino alla fonte.

“Vey?” Si strinse più forte al suo braccio, desiderando di non essere mai venuta lì.

Il granroriano le indicò una cavità tra le radici di un albero. “Vado a vedere.”

Aileen annuì e si rannicchiò tra le radici. Cercando di non farsi vedere, sbirciò i movimenti silenziosi del granroriano. Un orribile pensiero le attraversò la mente: se erano davvero i soldati del Governatore? Le nocche diventarono bianche contro la radice scura su cui le sue mani erano strette.

Vey si appiattì dietro il tronco e si sporse lentamente. Un attimo dopo, uscì completamente allo scoperto cogliendo di sorpresa la ragazza.

“Magisa?” E certamente non era l’unica sorpresa in quel momento.

Il nome le suonò subito familiare. I suoi genitori e il Druwis del villaggio le avevano raccontato un sacco di storie su Magisa: la Maga del Mondo Altrove, la Maestra del Nucleo Progenitore. Rincuorata, uscì dal nascondiglio e si avviò lentamente nella loro direzione.

Lui si era inginocchiato accanto a Magisa e perciò Aileen decise di fermarsi a qualche metro da loro.

“ – che cosa ti è successo? Non hai proprio un bell’aspetto.”

“Vey, ancora nessuno – ”, deglutì, “ –ti ha insegnato”, Magisa chiuse un attimo gli occhi per riprendere fiato, “ – come si parla ad una signora?”

Il granroriano roteò gli occhi. “Magisa, possiamo gentilmente tralasciare questi dettagli? Io starei cercando di preoccuparmi di te. Vuoi che vada a chiama- ”Vey s’interruppe sbuffando. “Certo chi vai a chiamare Vey? È la Maestra del Nucleo Progenitore!”

La maga allungò la mano e la posò sul braccio del granroriano, attirando così la sua attenzione.

“Non ho molto tempo. L’Imperatore sa della sua esistenza. Devo trovarlo.” Magisa chiuse gli occhi, quasi per trattenere le lacrime. “Prima di lui.”

“Di chi parli?” Veihral stava cominciando a temere di starsi cacciando di nuovo nei guai. Ricordava fin troppo bene cosa era successo dopo che l’aveva conosciuta.

“Nel Regno di Ametista. C’era un Maestro della Luce.”

Aileen trattenne il respiro. Un Maestro della Luce. I leggendari guerrieri che avevano liberato Gran RoRo!

Magisa posò la testa al tronco, come se potesse aiutarla a trovare la forza di parlare.

“Era un giovane Mazoku.” Vey sbuffò. “Ho provato a proteggerlo. Ma non ci sono riuscita.” L’amarezza delle sue parole si trasformò in un sorriso addolorato. “Non ho più tutti i miei poteri. Il Nucleo –” Scosse la testa. “È una lunga storia. È stato lui a pagare.”

Il silenziò calò sulla radura, rotto soltanto dal ronzio degli insetti e dallo sciabordare dell’acqua. Aileen deglutì e fissò Vey, fremente di rabbia. Il granroriano strinse le mani a pugno e con una di esse colpì il tronco accanto a lui. Aileen sussultò.

“Ti stanno cercando?”

Magisa scosse di nuovo la testa. “Sono venuta a riprendere le forze. E a cercarlo.” Si sforzò di rimettersi in piedi appoggiandosi al suo scettro e rifiutando l’aiuto. “Uno dei sei simboli si sta risvegliando in questo regno. Devo trovarlo prima di loro.”

“Sei troppo debole. E come faresti a trovarlo? Ci sono decine e decine di villaggi microscopici in questo regno!”

La donna sospirò. “Devo riuscirci. È il mio compito.”

“Senti.” Veihral si passò una mano sul viso. Sapeva già che se ne sarebbe pentito. “Accompagno a casa un’amica e torno a darti una mano.”

Magisa sorrise. “Grazie.”

Il granroriano annuì e si voltò verso Aileen, facendole intuire di aver notato il suo avvicinamento.

“Pixie, gita alla sorgente finita. L’hai vista e ora si torni indietro di filato.”

La ragazza uscì da dietro il tronco e incrociò le braccia. “Posso aiutarvi anch’io!”

“Scordatelo. Troppo piccola per cacciarti in guai più grandi di te. Lascia fare a chi ormai ci ha fatto l’abitudine.”

Magisa si voltò verso la giovane. Un’intensa luce smeraldo rischiarò gli alberi e i volti sorpresi dei tre granroriani. I loro sguardi si diressero verso la gemma sullo scettro. Insetti e farfalle iniziarono a volteggiare verso di loro, attirati dalla luce.

La maga fu la prima a riprendersi dalla sorpresa. Un sorriso rinfrancato le piegò le labbra. “Tu.”

Aileen sbattè le palpebre. “Cosa?”

Vey alzò gli occhi al cielo e s’infilò le mani tra i capelli. “Per amor di Hououga!”

Magisa, in risposta, ridacchiò. “A quanto pare, mi hai già aiutato Vey. Non se sorprendermi della fortuna che ho avuto o del fatto che un altro tuo amico è un Maestro della Luce.”

Aileen fissava lo scettro di Magisa, la luce che stava lentamente svanendo. “Non è possibile.”

La donna la affiancò e le posò una mano sulla spalla. “So che è difficile accettarlo. Ma non ci sono errori. Sei una Maestra della Luce e sei in pericolo.”

La giovane annuì, incapace di rendersi conto veramente di quello che le stava succedendo. Voleva aiutarli, certo, ma non aveva chiesto di essere una Maestra. E ora il Governatore stava cercando lei. Il suo villaggio? La sua famiglia? Li avrebbe messi tutti in pericolo. Un brivido gelido le percorse la schiena.

“Che cosa devo fare?” Dovette usare tutte le sue forze per non mettersi a piangere. Come se la sua vita non fosse già abbastanza complicata.

Vey le passò un braccio attorno alle spalle, occupando lo spazio che la mano di Magisa aveva lasciato libero poco prima.

“Non sarai sola. Ora torniamo al villaggio e cerchiamo di spiegare la situazione ai tuoi genitori. Meno persone sapranno la verità, più saremo tutti al sicuro. M’inventerò qualche scusa plausibile per la tua partenza.” Aileen e Magisa lo guardarono con lo stesso sguardo scettico. Lui roteò gli occhi e decise di ignorarle. “Poi andiamo alla Fenice Blu e ce ne andiamo lontano da qui.”

Un debole sorriso rischiarò il volto della ragazzina. “Ci accompagni?”

Vey ghignò. “Certo, Pixie. Credevi che avrei lasciato due fanciulle ad affrontare il pericolo da sole?”

“Allora, finché andrete al villaggio, io ne approfitterò per recuperare le energie. Ricordate, più veloci saremo, più coglieremo di sorpresa il Governatore.”

I due annuirono.

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Veihral si diresse veloce verso la postazione di comando, indicando appena alle due ospiti il divanetto che dominava il piccolo soggiorno posteriore alla cabina.

“Mettetevi comode.” Con gesti esperti iniziò ad armeggiare sui comandi di accensione. “Il divano è quasi nuovo. Le cinture di sicurezza dovrebbero essere resistenti, ma vi consiglio di tenervi forte.”

Magisa e Aileen non se lo fecero ripetere due volte e si sedettero una accanto all’altra. Magisa, sollevata di potersi riposare dopo la sfacchinata nel bosco, si guardò attorno prima di voltarsi sorridente verso Vey.

“Quasi quasi non avrei detto che questo è lo stesso vecchio rottame di quando ci siamo conosciuti. L’hai migliorata ancora da quando viaggiavamo insieme.”

Aileen ispezionò a sua volta il luogo, curiosa di vedere la famosa Fenice Blu. Se doveva essere sincera, con tante storie che le aveva raccontato, si sarebbe aspettata qualcosa di colossale e capace di incutere timore. Invece, seppur avente una certa maestosità, era un’astronave relativamente piccola. Nonostante gli evidenti ammodernamenti, era comunque un modello datato. E non era completamente sicura che il centrino sul tavolo e il vasetto di fiori secchi fossero proprio nello stile di Vey. C’era, però, qualcosa che la rendeva speciale. Non capiva esattamente cosa.

“La mia Fenice Blu è sempre stata una SIGNORA astronave!” Il pavimento vibrò, indice che i motori si stavano accendendo. “La prima che osa offenderla di nuovo, continua il viaggio a piedi.”

Magisa sghignazzò e posò la testa sul divano, chiudendo gli occhi. L’astronave si sollevò da terra e Vey si voltò verso di loro.

“Allora ragazze, già qualche idea su dove volete andare?”

Aileen lo fissò con espressione assente. Il solo pensiero che, entro pochi minuti, sarebbe stata in un altro dei sei mondi… non sapeva se esserne terrorizzata o entusiasta.

Magisa, invece, sembrava invece avere un’idea ben chiara in mente.

“Regno di Ametista. Ho un amico che so ci aiuterà sicuramente. E poi non si aspetteranno che torni nell’ultimo Regno in cui sono stata.”

Il granroriano sembrò soppesare il piano, cercando di capire quanto Magisa fosse sicura della fiducia che stava riponendo nel fantomatico amico, soprattutto dopo la vicenda dell’altro Maestro. Alla fine annuì e accese i motori di propulsione.

“Regno di Ametista sia. Spero non siate di stomaco debole, il viaggio potrebbe essere un po’ movimentato.”

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Come predetto da Vey, il viaggio verso il Regno di Ametista non fu una passeggiata. Se viaggiare nel regno era permesso a tutti, nessuno poteva spostarsi tra i regni senza un’autorizzazione. Tutte le zone di passaggio erano pesantemente sorvegliate.

Questo Veirhal se lo era aspettato e, come aveva orgogliosamente ricordato, aveva avuto più di qualche esperienza in passato. Senza contare che, conoscere i momenti della giornata più sguarniti, aveva di certo aiutato. Soli pochi riuscivano ad avere i mezzi per evitare questo inconveniente, tanto rara era diventata la tecnologia largamente usata fino pochi anni prima.

Per Aileen la fuga dai soldati, prima nel regno di Smeraldo e poi nel regno di Ametista, era già quasi sembrato un buon motivo per tornare indietro. Dubitava fortemente di poter vivere una vita del genere.

Vey era riuscito a seminarli con abilità, ma non potevano ancora tirare sospiri di sollievo: l’allarme era stato sicuramente già dato.

Magisa gli aveva chiesto di fermarsi nella zona di uno dei banchi di carte ancora attivi nel regno. Vey aveva fatto atterrare la Fenice Blu in una zona riparata, un anfratto nella roccia violacea e ricoperto dalla scheletrica vegetazione. Né Veirhal né soprattutto Aileen si trovavano a proprio agio in un luogo così all’apparenza privo di vita, ma se il primo aveva fatto l’abitudine a luoghi molto diversi dal mondo natale, non si poteva dire lo stesso per la granroriana.

Una volta che Magisa si era allontanata, Aileen si era rannicchiata sul divano e non aveva detto una parola, limitandosi ogni tanto a lanciare uno sguardo verso l’opprimente cielo di Ametista.

“Non ti spaventare Pixie, non tutti gli altri regni sono così lugubri.” Il granroriano sorrise e si prese qualcosa da mangiare da una delle dispense.

“Mi manca già casa.”

Vey sospirò. Lui l’aveva detto che lei era troppo piccola per cacciarsi in quei guai. Julian, quando aveva messo piede a Gran RoRo, era considerato un adulto nel mondo umano. Aileen sarebbe stata considerata una bambina in entrambi.

Prese dalla dispensa un altro snack e lo lanciò sul divano accanto a lei.

“Mangia.”

Non sapendo che cosa altro dire, il granroriano preferì sistemarsi a una delle finestre, pronto a riattivare i motori e scappare da lì in caso di pericolo. Magisa glielo aveva fatto intuire chiaramente: non voleva avere la morte di un altro guerriero sulla coscienza. E, sinceramente, evitare la morte di Aileen era qualcosa su cui lui si era trovato notevolmente d’accordo. Per questo sperava ardentemente che dell’amico di Magisa ci si potesse veramente fidare, che non fosse anche lui un traditore sotto mentite spoglie.

Dopo qualche minuto di silenzio, Vey si chiese se forse dovesse provare a fare qualcosa per tirare su di morale la compagna di viaggio. Prima che qualcosa gli venisse in mente, l’ombra di un’astronave passò sopra di loro. Il granroriano scattò sull’attenti e corse verso la postazione di comando, ingurgitando il resto del proprio snack. Aileen si alzò in piedi e lo fissò con gli occhi sgranati e colmi di terrore.

“Stai seduta!” sbraitò Vey. Si pentì quasi subito dopo, ma adesso non aveva tempo per delle distrazioni. Si quasi lanciò sul sedile e portò le mani sulla cloche, pronto ad attivare motori e scudi al primo accenno di pericolo. Se solo anche Magisa fosse stata con loro, si sarebbe sentito meno in colpa a partire.

L’attesa sembrò durare all’infinito. L’astronave doveva essere atterrata poco distante, ma sfortunatamente fuori dalla sua linea di vista. Veirhal odiava quella situazione. Rischiavano di subire un’imboscata senza aver neppure la possibilità di difendersi.

Poi, una testa ricoperta da lunghi capelli rosa apparve da un gruppetto di alberi scuri e Vey poté tirare un sospiro di sollievo. Rilassò il corpo e si passò una mano sulla fronte. Troppo vicini per i suoi gusti.

Saltò su dalla poltroncina e tornò nel soggiorno sorridendo. Aileen sembrava sul punto di mettersi a piangere.

“Falso allarme, Pixie. È Magisa.” Un sorriso sollevato illuminò il volto della granroriana.

Un attimo dopo, la Maga apparve all’entrata dell’astronave accompagnata da un longilineo granroriano. Vey fissò il nuovo arrivato con sospetto, ma se era con Magisa sperava che non ci fosse motivo di preoccuparsi.

“Veirhal, Aileen, vi presento Serjou.”

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Ormai tutti i preparativi erano terminati. Il tempo era stretto e quello era il piano che aveva le maggiori possibilità di successo. Vey, a bordo della Fenice Blu, avrebbe attirato l’attenzione dei soldati della Governatrice, cercando di richiamarne su di sé il maggior numero possibile. Con tutta l’attenzione su di lui, gli altri a bordo della Limoviole sarebbero passati inosservati e avrebbero raggiunto con un po’ di fortuna il passaggio per il regno di Topazio senza essere bloccati. Magisa era certa che per allora avrebbe ripreso le forze e avrebbe potuto lei stessa aprire un varco.

Era arrivato il momento di separarsi. Aileen, Magisa e Serjou erano in piedi davanti alla rampa per salire sulla Limoviole. La giovane fissava afflitta l’amico.

“Non c’è altro modo?”

Vey ghignò. “Dovresti preoccuparti di loro, Pixie. Non è il mio primo rodeo.”

La ragazzina aggrottò la fronte, non capendo che cosa dovesse significare. “Rodeo?”

Magisa, accanto a lei, ridacchiò. Vey sbuffò e scosse la mano. “Colpa di Julian, roba terrestre.”

Il granroriano si avvicinò al gruppetto e s’inginocchiò davanti ad Aileen che, senza aspettare altro, gli buttò le braccia al collo. Vey, vedendo la Maga sorridere sorniona, le lanciò un’occhiataccia prima di tornare a prestare attenzione alla più piccola. Sperava di star facendo la cosa giusta. Se anche quel Serjou si fosse rivelato uno di quelli, non si sarebbe mai perdonato di averla lasciata indietro.

“Niente lacrime. Non è mica un addio.”

Aileen tirò su con il naso. “Ma se tu te ne vai, io come faccio?”

Vey la allontanò e la fissò sorpreso. “E che cosa diamine ti ho insegnato in tutti questi anni?”

“Non sono così forte.”

Le scompigliò i capelli, guadagnandosi uno sbuffò da parte della granroriana. “Lo diventerai, Pixie. E per assicurarmi che tu sia pronta a ogni evenienza –”, Vey infilò la mano in tasca e ne estrasse una carta, “ – ti voglio dare questa.”

Aileen prese la carta in mano, curiosa di vederla. Un secondo dopo, il volto le si illuminò e tornò ad abbracciarlo, faticando a trattenere la voglia di mettersi a saltare dalla gioia. Non aveva mai visto nel suo villaggio una carta così rara.

“Vey! Grazie!”

“Diventa una grande Maestra della Luce e una favolosa duellante, migliore anche di Julian e degli altri guerrieri terrestri se ti riesce.” Magisa non poté che sorridere e scuotere la testa. Anche Serjou sorrise.

Staccatisi dall’abbraccio, i saluti furono veloci e Veirhal tornò a bordo della sua astronave senza esitazione.

Pochi istanti dopo, la Fenice Blu si alzò in volo e, sotto gli sguardi di chi rimaneva, si allontanò a tutta velocità nella direzione opposta alla meta della Limoviole.

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Zungurii fu sbalzato via dalla potenza dell’ultimo attacco. L’impatto violento con il terreno gli tolse il respiro. Faceva quasi fatica a capire che cosa fosse successo. L’unica certezza era che aveva fallito. E a pagarne le conseguenze sarebbe stato il suo villaggio.

Preferì quindi non cercare lo sguardo né dei compaesani né del fratello, neppure quando quest’ultimo arrivò per aiutarlo a rialzarsi. Il suo sguardo, invece, si posò sul suo avversario trionfante.

E capì che cosa gli facesse più male della sconfitta. Era la sensazione che le battaglie, i soprusi sopportati, la libertà goduta brevemente fossero stati tutti vani. Perché davanti a lui c’era un granroriano. E non uno di quelli che aveva appoggiato il Re del Mondo Altrove per potere e prestigio. Zungurii lo conosceva da anni. Aveva sempre considerato un vanto quello di essere nato nel regno di Rubino, il più umile e povero. Poi, un giorno, era cambiato. Aveva iniziato ad appoggiare corpo e anima il nuovo dittatore. Sembrava aver dimenticato tutto e tutti. Era rimasto solo il disprezzo.

Un sorriso beffardo piegò le labbra del vincitore.

“Mi aspettava di meglio dal più forte duellante del villaggio.”

Zungurii afferrò la terra sotto le sue dita. Se solo avesse potuto reagire senza rischiare che la punizione fosse peggiore di quella che si aspettavano, che le case fossero bruciate, i campi distrutti o le persone portate via. Se solo avesse saputo che cosa lo aveva fatto cambiare. E pensare che era tutta colpa di una carta che non sarebbe dovuta nemmeno essere lì e di una perquisizione inattesa.

Il comandante passò lo sguardo sulle famiglie raccolte di fronte a lui, senza sforzarsi neppure di nascondere il proprio diletto. In un certo senso gli facevano pena. Non capivano a che cosa stavano rinunciando, non lo avevano mai capito. Il Re del Mondo Altrove, prima, e ora l’Imperatore stavano riuscendo a fare quello che in tutta la storia di Gran RoRo non era mai successo. Non contava il Regno in cui nascevi, avevi le stesse possibilità di ricchezza, potere e carte potenti. Perché uno avrebbe dovuto scegliere di continuare a vivere come un misero contadino? O tornare a subire i soprusi dei regni più forti?

“Siete un villaggio d’inetti.” Riprese la propria arma, passata a uno dei suoi uomini prima dei duelli. “Però oggi voglio essere generoso. Offro a chiunque la possibilità di sfidarmi. Fosse anche a un bambino che ha appena ricevuto il suo mazzo e non è ancora registrato.”

Qualche risata si alzò tra i soldati, alcuni di loro sembravano invece veramente dispiaciuti che nessuno tra gli abitanti del villaggio Gurii fosse riuscito a vincere.

“Neppure i ribelli rimarrebbero in questa fogna di villaggio!”

“Sono solo dei pezzenti.”

“Pensavano di essere furbi a nascondere quella X-Rare?”

“Veramente chiunque?”

Il comandante tornò a guardare di scatto i paesani. C’era veramente qualcuno di così stupido da averlo preso sul serio? Evidentemente il divertimento non era ancora finito.

“Sono un uomo di parola.”

Alcuni abitanti del villaggio si fecero da parte e, sotto lo sguardo di Zungurii e di tutti i soldati, Aileen avanzò. Aveva le mani strette a pugno e teneva la testa alta. Dentro, lo stomaco sembrava sul punto di farle tornare su la colazione. La giovane si stava altamente pentendo della sua decisione.

Gli unici duelli che avesse mai fatto erano quelli con Vey o gli amici del suo villaggio. In quei mesi in fuga non era cambiato molto. Non aveva mai messo in gioco la libertà di altre persone.

Aileen si fermò e deglutì. Non c’era nessun altro, doveva ricordarselo. Magisa lo avrebbe sconfitto in quattro e quattr’otto, ma era debole ed era meglio non attirare l’attenzione su di lei più del necessario. Zungurii, a pochi passi da lei, la fissava ma presto il suo sguardo fu attratto da Magisa e Serjou.

“Ti affronto io.” Parlò senza balbettare e ne fu orgogliosa, sicura com’era di svenire da un momento all’altro.

Il comandante la squadrò e Aileen si sforzò di non abbassare lo sguardo. Non doveva mostrarsi debole.

“Che cosa abbiamo qui? Non perdo neppure tempo a chiedervi il permesso di viaggio, è evidente che siete qui senza autorizzazione. Sarà un piacere arrestarvi.”

Il granroriano fece un passo avanti e i muscoli della ragazzina si tesero. Scappare sembrava così invitante.

“Sei una piccola sciocca e insolente. Non sai che nei duelli si risponde veramente agli attacchi?”

Aileen strinse le labbra. Lo sapeva. Vey era stato bravo a mostrarglielo. Ora era arrivato il momento di mettere a frutto i suoi insegnamenti. Inspirò. Avrebbe fatto di tutto per renderlo orgoglioso.

“Sei hai paura di perdere contro di me, puoi andartene subito.” La ragazzina si morse la lingua, pentendosi della sua sfacciataggine. Quello, sarebbe sicuramente stata una cosa che avrebbe reso Vey orgoglioso. Quasi lo sentiva ridere.

Il comandante strinse i pugni e un lampo scuro attraversò le sue pupille.

“Te ne pentirai. Soffrirai e pregherai di aver già perso.”

Un attimo dopo, attraversò il varco bianco che lo avrebbe condotto sul campo di battaglia. Magisa si avvicinò ad Aileen e le posò una mano sulla spalla.

“Non farti intimorire dall’ammasso di stupidaggini che persone come lui riescono a espellere dalla bocca. Faremo tutti il tifo per te.”

Aileen annuì e inspirò a occhi chiusi. Avrebbe dimostrato di essere degna di essere una Maestra della Luce. Non si sarebbe arresa, fino all’ultima vita e all’ultima carta. Riaprì gli occhi.

“Varco apriti, energia!”

La ragazzina scomparve in un varco di luce bianca e verde. Zungurii si voltò verso Magisa che annuì e alzò lo scettro. Un attimo dopo, si ritrovarono sugli spalti del campo di battaglia.

E il duello ebbe inizio.

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Gli abitanti del villaggio erano in trepidante attesa. La speranza brillava debole nei loro occhi, privi della forza di illudersi. I soldati, invece, erano sicuri della vittoria del comandante anche se, alcuni, speravano di nascosto che si stessero sbagliando.

Magisa, Zungurii e Serjou uscirono dal campo di battaglia. Nessuno ebbe il tempo di studiare i loro volti per cercare di interpretare la fine del duello. Due varchi luminosi si aprirono e tutti si voltarono verso di essi.

Aileen lo attraversò e, la prima cosa di cui ebbe percezione, furono le braccia di Zungurii che la sollevavano in aria e la facevano ruotare. Vide l’ampio sorriso di Magisa e la gioia dei paesani che iniziarono a scambiarsi pacche sulle spalle e abbracci.

Fu allora che se ne rese veramente conto. Aveva vinto!

Una risata cristallina sfuggì dalle sue labbra. Zungurii la posò a terra e, con la testa che girava, si ritrovò tra le braccia di Magisa. Anche gli abitanti del villaggio si strinsero a loro, desiderosi di ringraziarla.

I soldati si ripresero solo allora dalla sorpresa e videro il loro comandante ancora accasciato a terra, intento a sollevarsi con scatti rabbiosi.

Il soldato più vicino, poco più che un ragazzo, accorse per aiutarlo ma fu respinto dallo sconfitto.

Il comandante si rimise in piedi, il volto contorto in una maschera di rabbia e vergogna. Era stato sconfitto da una mocciosa.

Brandì la propria arma e sparò nella folla. Il boato sollevò grida di paura da tutto il villaggio. Un uomo si accasciò a terra stringendosi la spalla.

“Razza di feccia! Quella mocciosa non è censita e questo duello non è valido!”

Rabbia, paura e indignazione serpeggiarono sui volti di tutti i granroriani del villaggio Gurii. Zungurii fu il primo a farsi avanti.

“Vale, razza di bugiardo! Un duello è legale se convalidato da un’autorità. Quello che guarda caso sei tu!”

Il comandante si voltò verso i suoi uomini. “Fate il vostro dovere. Sapete tutti la punizione per il loro reato.”

I soldati fecero come gli era ordinato, i più titubanti spinti avanti dai colleghi. Nuove grida si alzarono quando padre, fratelli e figli venivano strappati dalle famiglie.

Aileen si strinse a Magisa. “Non potete farlo!”

La sua voce si perse nella confusione. Un bambino fu strappato dalla stretta sul padre e fu gettato a terra. Non potevano separare chi si voleva bene. Qualcosa scattò dentro di lei. Aileen sgusciò dalla presa di Magisa e si spinse avanti.

Strinse i pugni e chiuse gli occhi. “LASCIATELI ANDARE!”

Uno sciame di farfalla la avvolse e si diresse velocissimo verso i soldati. Il gruppo di militare si ritrovò letteralmente attaccato dai piccoli insetti. Dopo qualche vano tentativo di contrasto, furono costretti a lasciare i paesani e ad arretrare.

“COSA DIAMINE?”

Aileen aprì di scatto gli occhi e arretrò di un passo, rendendosi conto di quello che aveva fatto. Lo sguardo furioso del comandante incrociò il suo.

“Maledetta! La pagherai!”

Magisa e Zungurii si pararono subito davanti ad Aileen. Serjou la affiancò. Altri granroriani del villaggio si unirono a loro.

La maga giocherellò con il proprio scettro, l’espressione che minacciava fuoco e fiamme.

“Mi piacerebbe insegnarti le buone maniere, soprattutto su come si parla a una fanciulla.” Magisa bloccò lo scettro e la gemma iniziò a emanare una debole luce. “Mi limiterò a consigliarti di rispettare i patti!”

Il comandante strinse la mano sulla propria arma. Ma sapeva che non sarebbe servito. Aveva riconosciuto la donna con i capelli rosa.

“Non finisce qui.” La voce del granroriano sembrava quasi un ruggito. I suoi occhi erano neri. “Vi pentirete di non essere stati arrestati oggi!”

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Hideto si sistemò più comodamente sul sedile e sospiro sollevato. Era un miracolo l’essere riuscito a trovare un biglietto con così poco preavviso. Se solo avesse parlato con gli altri prima di partire: si sarebbe risparmiato un sacco di problemi.

Fortuna che Benjamin Glynnhorn viveva solo in Australia. E, ringraziava gli dei, era a lui che da mesi aveva promesso di fargli una visita. Non voleva neppure pensare quanti problemi in più avrebbe avuto, fosse andato per esempio a fare un viaggio in Africa. Tra ore in più di viaggio, cambi di linea…

Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi. Per una volta che si era immaginato un tranquillo rientro. Perlomeno, era riuscito a rendere il proprio check-in più veloce, svuotando mezzo zaino nello sgabuzzino di Ben. Non che i suoi sforzi avessero pagato, dato che si era ritrovato comunque ad aspettare e sbadigliare per quasi due ore in una fila che non sembrava finire mai.

Forse era la giusta punizione per la sua stupidità. Preparativi e viaggio non erano certo buone scuse per dimenticarsi della tradizionale rimpatriata organizzata da Mai ormai da tre anni. Come aveva fatto a non accorgersi dell’ormai imminente 30 agosto?

Se lo era ben ricordato appena arrivato a casa di Ben, poche ore prima. L’orrore, che aveva provato ad accorgersi della data, era niente in confronto a quello che aveva provato a trovare l’email di Mai datata una settimana prima.

I sensi di colpa gli avevano dato le ali ai piedi e la forza necessaria per rispondere all’email, risalutare un confuso Ben e fare dietrofront per l’aeroporto. Era stato fortunato a scoprire quell’email. Non se lo sarebbe perdonato.

La sua fortuna era finita lì. Il fatto che il primo volo disponibile per Tokyo partisse solo a notte fonda era sembrato solo un’enorme vendetta cosmica della sua dimenticanza.

Il rumore dei motori attirò la sua attenzione.

Hideto, seppur stanco, guardò sfilare via l’aeroporto australiano oltre il finestrino. Una volta in volo, la luna e le stelle nel cielo limpido sembravano quelle che vedeva dal deserto.

La vista lo rasserenò e tornò a richiudere gli occhi. In attesa di crollare nel sonno, iniziò a vagare tra i ricordi delle avventure condivise con gli amici. Non poté evitare di sorridere quando ripensò al giorno in cui Kenzo era sbucato dal nulla, in pieno deserto, e lo aveva trascinato nel futuro.

Durante le due precedenti settimane, aveva quasi temuto e sperato che succedesse di nuovo.

Quando aveva provato la strana e fastidiosa sensazione di non essere solo… Hideto, sul punto di assopirsi, aggrottò la fronte a quel ricordo. Era sicuro che fosse la prima volta, in tutti i viaggi compiuti dal 2009, che provava una sensazione così nitida.

Era andato nel deserto, perché aveva imparato ad apprezzare la solitudine. Ma, evidentemente, la certezza che non ci fosse nessuno per miglia non gli aveva impedito di sentirsi osservato.

Hideto sbadigliò e si rannicchiò più comodamente sul sedile, facendo attenzione a non disturbare il vicino.

Magari era lui a ingigantire un dettaglio ininfluente. Non sarebbe certo stata la prima volta che aveva un’allucinazione. Aver l’impressione di sentir chiamare il proprio nome, credere di vedere una sagoma nell’aria calda del deserto… probabilmente era solo frutto della sua immaginazione.

Stanco, scosse la testa per scacciare i dubbi, più che convinto ad avere il meritato riposo.

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Era strano, quel luogo era contemporaneamente sconosciuto e familiare. Un corridoio infinito, senza porte o finestre. Dove si trovava?

“Mai.”

Si voltò di scatto, ma non c’era nessuno. Il silenzio era inquietante. Forse si stava solo facendo suggestionare.

Riprese a camminare perché sentiva che doveva fare qualcosa o arrivare da qualche parte. Anche se aveva l’impressione di procedere da ore, attendibile che fosse la sua percezione del tempo, prima o poi sarebbe arrivata alla fine.

Infatti, poco più avanti di lei iniziò a intravedere qualcosa. O meglio, qualcuno. Sorrise soddisfatta della propria intuizione. Ma la gioia fu breve, quando riconobbe chi era davanti a lei.

“Dan!”

Il ragazzo sembrò non sentirla. Iniziò a correre, sperando di raggiungerlo, ma ogni passo sembrava allontanarla. Sentiva la paura crescere dentro di lei, ma avrebbe fatto di tutto per non ripetere quanto successo nel futuro. Non l’avrebbe perso di nuovo.

Il corridoio finì bruscamente. Di Dan neppure l’ombra. Si avvicinò lentamente a due porte che sembravano essere apparse dal nulla. Forse lui era dall’altra parte.

Quella a sinistra era chiusa. Indispettita, si avvicinò a quella di destra. Con la coda dell’occhio, credette di intravedere un varco luminoso, simile a quello di Gran RoRo. Tornò a voltarsi emozionata e riprovò ad aprire la porta di sinistra.

Iniziò a sentire un nodo allo stomaco e le mani sudate. Doveva aprire quella porta. Provò a colpirla, ma inutilmente.

“Guerriero Viola…”

La voce era debole, ma lei la sentiva. Afferrò con due mani la maniglia tentando di farla cedere. Poi, portò una mano ad asciugare le lacrime che stavano iniziando a riempirle gli occhi.

Dietro quella porta c’era Gran RoRo. Doveva aprirla, doveva tornarci, doveva…

Mai si scostò bruscamente e si portò le mani tra i capelli. Chiuse gli occhi e inspirò, nel tentativo di calmare i battiti del cuore. Che stava facendo? Se veramente dietro quella porta c’era Gran RoRo… come poteva andarci senza Dan?

Tornò a guardare la porta. Perché stava avendo quei dubbi? Lei voleva tornare a Gran RoRo.

Si obbligò a posare di nuovo la mano. Doveva affrontare la realtà. Dan non sarebbe tornato. Doveva smettere di usarlo solo come scusa per non soffrire ancora. Quello che aveva provato per lui non doveva diventare una catena.

“Sono pronto. Sarò io a premere il pulsante.”

Mai sgranò gli occhi.

“Ci siamo. Il momento è arrivato.”

Si voltò di scatto verso la porta di destra. C’era una luce rossastra che si rifletteva sulla sua superficie lucida.

Sapeva che cosa c’era dall’altra parte. Voleva andarsene, ma non poteva mostrarsi debole. Con il cuore in gola, entrò. E fu di nuovo lì.

Il duello concluso, scintille rosse e fumo.

“Quella è la rampa di lancio.”

L’illusorio senso di gioia, l’apparente facilità… e le parole di Dan.

“Sì, certo. Ho capito. Non esiste un pulsante. Sono io un essere pulsante.”

Non di nuovo. Mai si accasciò a terra e coprì le orecchie con le mani.

Non era forte come credeva. Non riusciva a dimenticare lo sguardo sconvolto di Yus, le lacrime di Plym, la rabbia di Clarky e l’incredulità di Hideto.

“Basta…”

Perché quel giorno la sua preghiera non era stata ascoltata?

Chiuse gli occhi, ma rivide lo stesso davanti a sé il volto di Dan. Lo aveva odiato in quel momento. Come poteva essersi rassegnato così facilmente?

Le lacrime cominciarono a rigarle le guance. “Basta…”

“Non si parlava di un oggetto. Ma del cuore che pulsa.”

Aveva odiato Dan. Aveva odiato se stessa. Si odiava anche ora, per non essere in grado di muoversi.

Un’altra volta immobile, ad aspettare la fine.

“Barone. Ti sono molto grato. È stato un duello avvincente.”

Rivide il vortice iridescente, risentì il grido di Barone. Risentì le proprie urla di dolore e tornò ad alzare gli occhi colmi di lacrime. Perché non si riusciva a perdonare? Sapeva che non ci sarebbe stato nulla che lei potesse fare. Era stata semplicemente la fine.

Cercò ancora una volta il sorriso rassegnato di Dan, che si stava sacrificando anche per lei. Ma ritrovò davanti a sé uno sguardo tradito.

“Mai, perché non hai fatto niente per salvarmi?”

La ragazza sbattè gli occhi e cercò di trovare le parole, ma sentiva la mente annebbiata.

“Potevi salvarmi.”

Si alzò di scatto nel tentativo di allontanarsi, ma non riusciva a muovere un passo. Lei aveva fatto il possibile… perché non capiva?

Lo sguardo carico d’affetto era diventato colmo d’odio.

“Perché hai mentito? Tu non mi ami!”

Era quello che aveva pensato veramente? Dan la odiava.

Lei non l’aveva salvato. Doveva chiedergli scusa, fargli capire che aveva fatto di tutto.

“Non ti perdonerò mai.”

Il suo voltò si dissolse in un lampo bianco.

Si prese la testa tra le mani e gridò.

“NO!!!”

Mai si sollevò di scatto e si ritrovò nel buio della propria camera. Si guardò attorno spaesata, con il sudore che le colava lungo la schiena. Portò le mani al viso e si accorse di avere le guance rigate di lacrime.

Si posò allo schienale del letto, rabbrividendo al contatto con il metallo. Sospirò e posò la testa al muro. Grazie al cielo era stato solo un incubo. Rimase ferma per lunghi minuti, in attesa che il respiro rallentasse e il terrore che attanagliava lo stomaco scomparisse. Bastavano sempre solo pochi minuti per smettere di singhiozzare.

Erano mesi che non faceva quell’incubo, che a lungo l’aveva tormentata appena tornata dal futuro. Era da quel torneo che non lo riviveva in modo così reale.

Rilassatasi, Mai tornò a distendersi e affondò il viso nel cuscino, per non vedere il tenue fascio di luce che filtrava dalla finestra socchiusa. Tentò di rimettersi a dormire, ma un pensiero indefinito le rodeva la mente. Riaprì gli occhi e guardò l’orologio digitale sul suo comodino. E capì subito perché il sogno avesse deciso di tornare a fare capolino.

30 agosto 2014: quarto anniversario dalla scomparsa di Dan e dal ritorno dal futuro.

Più lucida, ricordò cosa succedeva ogni anno in quel periodo. Quello stupido sogno tornava a ricordarle che, in fondo, non aveva veramente accettato quello che era successo. Non poteva evitare di pensare che, effettivamente, fosse vero. Il torneo di tre anni prima e il risveglio di Yuuki erano stati gli ultimi stimoli per riprendere in mano la propria vita, permettendole di metabolizzare quanto successo. Ma non era bastato per concedersi il perdono. Lasciar ricrescere i capelli non era certo sufficiente per riempire il vuoto che lui aveva lasciato.

Forse era presto, pensò tristemente Mai. Dopotutto, il baratro di dolore in cui era sprofondata dopo quell’avventura l’aveva segnata profondamente, allontanandola per mesi dall’amato Battle Spirits.

Stava quasi per rimettersi a dormire, quando ricordò la prima parte del sogno. Era una novità.

Novità che, casualmente, arrivava in concomitanza con le strane sensazioni provate nelle settimane precedenti.

Nei momenti più assurdi, aveva avuto l’impressione di essere osservata e di sentire chiamare il proprio nome. Ormai da giorni aveva cominciato a illudersi che fossero un segno. Ci mancava solo quel sogno ad attizzare le sciocche speranze che erano rinate dopo sei anni.

Sperava ardentemente che fosse davvero Magisa, altrimenti significava che iniziava a delirare.

La ragazza aprì gli occhi e si mise a sedere. Abituatasi alla penombra, guardò le foto che da mesi si trovavano sul suo comodino: quella con Dan e Clarky fatta nel futuro e quella con Yuuki, Hideto e Kenzo fatta solo pochi mesi prima. Le aveva messe vicine per rivedere i Maestri della Luce riuniti.

Sorrise quando ricordò che solo poche ore dopo li avrebbe rivisti, perlomeno quelli che ancora vivevano in quell’epoca. Forse avrebbe dovuto parlare con loro dei suoi dubbi. Era certa che l’avrebbero capita. Avrebbero sofferto tutti ad andare a Gran RoRo senza Dan e Clarky, con la possibilità di trovare due nuovi Guerrieri al loro posto. Accettare, perché era sicura che alla fine avrebbero preso tutti quella decisione, non sarebbe stato facile per nessuno.

Scosse la testa per scacciare quei pensieri e guardò l’ora.

Erano le quattro e mezzo e lei, ormai, era completamente sveglia. Non aveva senso cercare di riaddormentarsi. Si alzò e andò a spalancare la finestra. Rabbrividì per l’aria fresca che riempì la stanza. Verso est si intravedeva il chiarore che preannunciava l’alba. Il resto del cielo era azzurro cupo, orfano della luce delle stelle che sbiadivano e in attesa della luce solare.

Mai chiuse gli occhi e immaginò il mare, così silenzioso senza i bagnanti e gli ombrelloni. Sorrise e inspirò profondamente, riempiendosi i polmoni dell’aria fresca che spazzava via gli ultimi stralci dell’incubo.

Rabbrividì di nuovo a causa del sudore che rendeva appiccicosa la maglietta. Tornò quindi a voltarsi verso la stanza. Gli occhi fecero fatica ad abituarsi all’oscurità della stanza, ma la luce tenue era più che sufficiente per muoversi in una stanza che conosceva a menadito.

Vedendo il computer, un’ondata di nostalgia la spinse ad accenderlo. Dopo pochi istanti la luce azzurrina illuminò il suo volto e la foto sul desktop la accolse con i volti sorridenti suo e di Kaoru. Ridacchiò ripensando alle vacanze natalizie trascorse in America con la sorella e Andrew, a tutti gli effetti prolungamento della festa organizzata a casa di Elizabeth con gli altri.

Non vedeva l’ora di riabbracciarla. Anche se Kaoru tornava in Giappone ogni volta che poteva, non era mai abbastanza. Ma lei era felice lo stesso, perché vedeva come la sorella fosse entusiasta del futuro che stava creando lì con Andrew, fratello maggiore di Clarky. Sempre sul punto di fare il fatidico passo, lei stava cercando lavoro e lui lavorava in una base americana.

Meritavano entrambi di essere felici. Ricordava com’era stato penoso e ingrato dovergli comunicare la decisione di Clarky. Il fatto che fossero così uniti aveva aiutato.

Parlare con lui e raccontare la verità alla famiglia di Dan, erano stati il colpo di grazia per spezzare la poca forza che aveva racimolato nelle prime settimane. Aveva pianto a lungo, prima di incominciare a rialzarsi.

Tornando a concentrarsi sul computer, Mai aprì con pochi clic le cartelle che contenevano gli immensi archivi del suo vecchio blog, Parole Violette. Lì erano custoditi tutti i più bei ricordi di Gran RoRo.

Guardando quelle foto, tornò a rivivere l’estate del 2008, illudendosi per qualche istante di essere di nuovo lì. Da allora, la bellissima e strana famiglia che si era formata durante quell’avventura aveva perso tre componenti: Kajitsu, Dan e Clarky. Era stato come perdere una parte di loro. Una parte che, qualsiasi cosa avrebbero fatto, non avrebbero mai riavuto indietro.

Loro quattro erano diventati molto uniti. Seppur separati, impegnati a riprendere il filo della propria vita, non avevano mai smesso di restare in contatto e la loro amicizia era cresciuta. E, nonostante gli impegni di ciascuno, avevano cercato di incontrarsi il più possibile.

Era stato spesso difficile, lei con gli studi d’ingegneria informatica, Kenzo che studiava per quattro persone, Hideto che, quando lo immaginavi all’università, era invece in qualche angolo sperduto del mondo. Ma ne era sempre valsa la pena.

Mai stiracchiò le braccia e distolse lo sguardo dal computer, ritornando alla realtà. Si rese conto della luce che inondava la stanza.

Decise di andarsi a fare una doccia, per spazzare via le tracce delle ore passate in bianco. Non voleva certo che i suoi genitori si preoccupassero, non ora che il loro rapporto era stato recuperato. Era loro grata: avevano cercato di capirla e supportarla, come prima non avevano fatto.

Sbadigliò e, prima di alzarsi, controllò la casella email. Prima di aprirla, incrociò le dita e sperò che ci fosse la risposta di Hideto. Quel ragazzo era più in giro per il mondo che in un’aula universitaria.

S’illuminò nel vedere il messaggio tanto atteso.

“Scusa se non ti ho risposto prima. Non ti preoccupare, domani (o oggi, dipende quando leggi l’email) sarò a Tokyo.
A presto, Hideto.”

Tipico Hideto. Chissà quanti fusi orari avrebbe dovuto attraversare per mantenere la promessa. Quando l’aveva conosciuto, non avrebbe mai immaginato per lui una vita così vagabonda.

Chiuso il computer, Mai recuperò accappatoio e vestiti per la tanto agognata doccia. Mentre raggiungeva il bagno, iniziò a organizzare la giornata fino al primo pomeriggio, quando si sarebbe incontrata con gli altri.

Primo, avrebbe controllato il suo nuovo blog che le permetteva di restare in contatto con chi non aveva creduto ai giornali.

Poi, avrebbe passato il resto del tempo in spiaggia, accettando finalmente l’invito delle sue amiche di corso. Sperava solo che non cercassero di convincerla a qualche appuntamento al buio. Il giorno che sarebbe stata pronta, sarebbe stata lei a trovarsi un ragazzo con cui uscire oltre il secondo appuntamento. Di una cosa era certa, non avrebbe più usato l’amore che aveva provato per Dan come una scusa. Perché il passato era passato e lei doveva andare avanti. E per farlo non aveva certo bisogno di un fidanzato. Anche Dan, in quello non c’entrava. Quella era la sua vita e dipendeva solo da lei.


SPAZIO AUTRICE:

Salve a tutti. Vi presento il nuovo capitolo della versione 2.0. Spero vi piaccia, anche più di quello originale. Se vi va, fatemi sapere che ne pensate.
Per chiarezza, vi indico di nuovo quali sono le età dei Maestri della Luce a questo punto della storia: Mai 20 anni, Hideto 19 anni, Kenzo 15 anni e Yuuki 23 anni. È il 2014, ovvero sono passati 6 anni da Dan il Guerriero Rosso, 4 da il finale di Brave e 3 dall’episodio 0.

A chi si chiede chi sia Veihral o è curioso di sapere quali siano state le sue avventure, consiglio vivamente di leggere la fanfiction “Battle Spirits Rising - Julian, il guerriero rosso” di ShawnSpenstar dove Vey si ritrova a viaggiare con Julian Fines, il guerriero precedente a Dan Bashin, nel tentativo di liberare Gran RoRo dal Re del Mondo Altrove. I nostri eroi preferiti non ci sono, ma vi assicuro che merita. Anche perché, in accordo con Shawn, abbiamo deciso di considerare le nostre fanfiction ambientate nello stesso universe. Ovvero, potrebbe capitare che nella mia fanfiction ci sia qualche riferimento ad avvenimenti o personaggi precedenti alle due serie e che saranno presenti nella sua fanfiction (come Vey). In ogni caso, anche se deciderete di non leggerla, vi assicuro che non vi impedirà in nessun modo di capire che cosa stia succedendo.

Detto questo, vi do appuntamento al prossimo aggiornamento.

A presto, HikariMoon

  
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