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Autore: Noel11    01/08/2016    0 recensioni
Una ragazza. Nulla da perdere e tutto da guadagnare.
[Dal Capitolo 1:
Si alza in piedi e si mette ai margini del cornicione. Guarda la città svegliarsi, quella città completamente diversa da quella in cui viveva prima. Scuote la testa energicamente "No" disse "è inutile pensare a un passato che non esiste" e vorrebbe convincersi che non esiste, perché sa che sarebbe tutto più semplice se non fosse esistito. Sospira guardando le prime luci dell'alba facendosi investire dalla fresca brezza mattutina di un giorno di ottobre "è ora di andare, si va in scena" .]
Quanto siete disposti a pagare per la libertà?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Attenzione
In questo capitolo sono presenti scene rappresentanti uso di droghe e scene di violenza sessuale. Si sconsiglia vivamente la lettura a persone facimente influenzabili o impressionabili.
Detto questo, vi auguro buona lettura.




Capitolo 14
The Ghost of you



 
Bussò alla porta con forza. Tre colpi ben assestati, ripetuti abbastanza volte per far capire a chi abitava lì dentro che doveva sbrigarsi ad aprire. Che al di fuori di quella porta c’era un ragazzo impaziente e bisognoso di aiuto.
Il rumore di catenacci lo fece sobbalzare per la sorpresa. Dopo innumerevoli mandate di chiave la porta si aprì rivelando una figura illuminata a mala pena dal lampadario di quel posto.
<< Oh, ciao Matteo>> salutò la donna in vestaglia, evidentemente molto sorpresa dalla sua presenza in quel momento.
Si schiarì la voce, in evidente imbarazzo per essere piombato così a casa di qualcuno, ma in fondo credeva che lei se lo aspettasse. Non era la prima volta che succedeva.
<< Ehm, ciao Clara. Scusa se ti disturbo ma cercavo Johnny>> disse continuando a guardare per terra e alzando di rado lo sguardo su di lei.
Clara sorrise materna << Certo, te lo chiamo subito>> lo avvertì prima di spostarsi di poco e chiamare il suo ragazzo ad alta voce. Non avevano una casa grandissima e le mura erano molto sottili.
<< Grazie.>> disse << E congratulazioni per il bambino, sono molto felice per tutti e due. A che mese sei?>> chiese per non sembrare scortese e per occupare il silenzio prima che Johnny arrivasse.
Clara si accarezzò la pancia lentamente da sopra la vestaglia, guardandola con occhi luminosi << Grazie. Sono al terzo mese. Questo piccolo pesciolino dovrà nascere a Maggio>> gli comunicò, spensierata e felice.
Mentre lui in testa aveva solo il tempo rimanente per trovare una soluzione e ora aveva anche una linea di confine… Maggio.
Si riprese, mostrando il suo miglior sorriso. Un bambino non era una disgrazia e non lo sarebbe mai stato, neanche se questo complicava la sua situazione.
<< Spero che prenda tutto da te, perché se prende dal padre… avrai davvero molto di cui occuparti>> disse ridendo, contagiando anche lei.
<< Ehi non screditarmi davanti alla mia donna e al mio figlio non ancora nato. Ci tengo a mantenere la mia reputazione di uomo perfetto>> comparì, dando un bacio alla sua donna e poi passando una carezza sulla pancia, più accentuata rispetto ai mesi precedenti. Clara li lasciò soli, capendo di essere di troppo in quel momento, e se ne ritornò a dormire.
<< Allora piccolo Teo, che ci fai qui? Domani non c’è scuola?>> chiese poggiandosi sullo stipite della porta in attesa di una sua qualsiasi richiesta.
Matteo abbassò il capo, ricordandosi subito del perché si ritrovava lì in quel momento.
<< Ho bisogno di qualcosa Johnny. Deve essere roba forte perché ho un macigno sul petto.>>
Johnny lo guardò da capo a piedi. Gli dispiaceva per quel ragazzo così giovane, con ancora un futuro davanti, gli stavano simpatici lui e il suo amico. Non erano come i soliti clienti che avevano perso ogni traccia di umanità e decenza, loro ne avevano ancora. Per questo gli spezzava il cuore vedere quel piccoletto così sofferente, già stanco del mondo schifoso che lo circondava. Però a conti fatti era un’adolescente. Tutti facciamo sciocchezze a questa età, anche perché altrimenti non riusciamo a sopravvivere.
Si affacciò al corridoio del condominio, controllando che non ci fosse nessuno ad ascoltare e poi si rivolse di nuovo a lui.
<< Aspettami qui>> lo informò, per poi sparire di nuovo all’interno della casa.
Matteo rimase immobile per modo di dire. Passava il peso da una gamba all’altra, le sue mani erano sudate e prudevano per l’agitazione, e il suo sguardo slittava dal corridoio alla casa in cerca di movimenti sospetti.
Johnny ritornò in poco tempo con due bustine di plastica piccole contenenti delle piccole pasticche.
<< Sono abbastanza sicuro che tu non voglia dell’erba, quindi ecco qui>> gli porse i pacchetti, mostrandoli meglio a Matteo.
Lui deglutì il groppo di saliva che gli era rimasto bloccato in gola alla vista di quelle pasticche.
<< Cosa sono?>> chiese quasi sussurrando, timoroso e allo stesso tempo affascinato da quelle piccole capsule di felicità.
<< Queste>> disse alzando un pacchetto << Sono pasticche di Xanax, dovrebbero bastarti per una settimana, forse di più.>> finì, consegnando il primo pacchetto nelle sue mani << Mentre queste>> iniziò mettendo in mostra il sacchetto con all’interno meno pasticche << Si chiamano Diazepam, o più comunemente Valium, le devi prendere in caso lo Xanax non ti facesse effetto e una volta che le avrai finite>> concluse, consegnandoli anche l’altro pacchetto.
Matteo si mise a guardare le sue mani, ora piene di quella miniera d’oro, e sembrava che pesassero come macigni in quel momento. Tutta quella potenza racchiusa in delle piccole pasticche colorate, lo stupiva a tal punto da farglielo sentire direttamente sulla pelle fino ad arrivare alle ossa.
Serrò le mani in una presa possessiva e guardò Johnny << Grazie. Quanto ti devo?>> chiese sbrigativo, non vedendo l’ora di andarsene da lì per poter cadere in un limbo fatto di nebbia e oscurità.
<< Dammi 20 pezzi e siamo apposto>> rispose con sguardo leggermente divertito e allo stesso tempo preoccupato.
Matteo mise subito in tasca le pasticche e prese il suo portafogli velocemente, pagando quello che doveva, e sbrigandosi a rimetterlo apposto per poi andarsene.
Farfugliò dei saluti e delle congratulazioni per il bambino, pronto per andarsene il più lontano possibile da lì ma Johnny lo bloccò un’ultima volta.
<< Piccolo Teo, stai attento. Non prenderle tutte insieme e se senti di star per collassare, mettiti due dita in gola e vomita tutto. Ci tengo a rivedere la tua faccia>> disse sorridendogli preoccupato.
In quel momento gli sembrò molto di più che il suo spacciatore, cosa che qualche volta era pure stato, gli sembrò un vero amico, preoccupato per il suo benessere. Ma la natura del tossico non svaniva del tutto. Perché gli amici non ti aiutano a distruggerti. Lui i suoi soldi se li è presi, che Matteo viva o muoia non può interessargli più di tanto. Tutti e due hanno accettato il proprio destino nel momento dello scambio, quando il boia ha passato il coltello al condannato, quello che poi succederà sarà determinato dalle loro azioni.
Matteo gli sorrise, cercando di rassicurarlo e poi prese a scendere le scale di corsa.
Aveva bisogno di mettere ordine nel caos ora. Ne aveva un estremo bisogno.
 
 
<< Ti prego… Ti prego…>> continuava a singhiozzare con quella cantilena di parole dette a ripetizione.
<< Ti ho detto di stare zitta! Mi rovini il divertimento con questo tuo piagnisteo.>>
Non sapeva come ci fosse finita lì. O meglio. Non sapeva come fosse potuta cadere in uno dei trucchi più vecchi del mondo.
Eppure gli sembrava uno apposto quando lui si era avvicinato a lei con due cocktail in mano. Gli era sembrato un uomo tranquillo, educato, gentile. Eppure si era trasformato in quel mostro che la stava violando con le sue mani sudicie e appiccicose che scorrevano su tutto il suo corpo, tastando ogni centimetro di pelle, marchiandolo con strette violente e possessive.
Quando la droga che lui aveva messo nel bicchiere iniziò a fare effetto, capì di essere in pericolo. Le luci del locale erano diventate sfocate e la musica ovattata alle sue orecchie. Cercò di andarsene da lì il prima possibile, di allontanarsi da lui, ma le sue gambe erano diventate come gelatina e non riusciva a stare in piedi senza un appoggio. E quando lui la prese per un braccio per scortarla di fuori a “prendere aria perché così si sarebbe sentita meglio” avrebbe voluto urlare a tutte le persone che erano lì intorno di aiutarla, di salvarla, eppure le sue corde vocali non producevano nessun suono, la sua bocca formicava e riusciva a separare le sue labbra di poco, il necessario per far entrare un po’ di ossigeno. Ora si trovava attaccata al muro di un vicolo viscido, senza maglietta e con la testa che le scoppiava. Avrebbe voluto reagire, avrebbe voluto spingerlo via e scappare, ma i suoi muscoli non rispondevano ai suoi comandi. Però sentivano tutto. Sentiva la lingua di quell’uomo sul suo collo, sentiva le sue mani lavorare sul bottone dei pantaloni per slacciarli, sentiva la presa dolorosa sul suo seno. Avrebbe voluto essere incosciente invece di sentire tutto questo sporco, tutti questi tentacoli viscidi che si artigliavano sulla sua pelle, non facendola respirare.
I suoi occhi continuavano a buttare giù lacrime, ormai consapevoli che il peggio sarebbe arrivato di lì a pochi momenti.
<< Ti prego… Basta… Ti prego…>> sbiascicò, ormai priva di forze, di volontà di combattere. Diventando un guscio vuoto, privo di anima, sperando che avrebbe fatto tutto il più velocemente possibile.
<< Sei sordo? Ti ha detto basta.>>
Una voce, diversa da quella del mostro alle sue spalle. Qualcuno era venuto a salvarla, le sue preghiere non erano state vane. Per un momento, sentì una scintilla di speranza accendersi dentro di se.
Il mostro aveva ancora le mani ancorate su di lei, deciso a non far scappare la sua preda, e si girò impaurito verso la voce.
Scorse la figura di una ragazza poco distante da loro, niente di cui preoccuparsi pensava, poteva essere un’altra delle sue vittime. Ma in quel momento aveva già quello che gli serviva.
<< Sparisci, io e questo gioiellino ci stiamo solo divertendo. Niente che lei non voglia>> disse premendosi ancora di più sul suo corpo, sovrastandola del tutto.
La figura si avvicinò lentamente, con passi precisi e delicati, non spostando lo sguardo su di loro.
<< Viscido come i serpenti. E altrettanto velenoso>> continuò la sua marcia verso di lui, con gli occhi infuocati di rabbia, odio e risentimento.
Il mostro allentò la presa sulla sua vittima, vedendo la ragazza farsi sempre più vicina, ignorando il suo invito ad andarsene e a lasciarlo solo. Ma alla fine cosa si aspettava? Ciò che stava facendo non era “etico” secondo le persone normali. Si fece sfuggire una risatina di scherno.
<< Non sto scherzando dolcezza, potrei decidere di fare del male anche a te>> sorrise sinistro, leccandosi le labbra.
La ragazza fermò la sua avanzata e piantò bene i piedi a terra.
Il mostro la prese come una vittoria, perché ricominciò a stringere la sua vittima con più forza, volendo ricominciare da dove era stato interrotto. Ma il rumore che seguì dopo lo fece voltare di scatto e spalancare gli occhi all’inverosimile.
Due paia di ali gigantesche e nere uscivano dalle spalle della ragazza.
Lasciò la presa sulla sua vittima, facendola cadere a terra non avendo un oggetto dove reggersi, e si voltò completamente verso la ragazza, con la cintura slacciata, i pantaloni calati e un’erezione alquanto visibile. Cominciò a tremare, non credendo ai suoi occhi, e iniziò ad indietreggiare lentamente.
La ragazza ricominciò la sua camminata stavolta più velocemente. Il riflesso di una luce gli fece chiudere un attimo gli occhi per poi aprirli con fatica e puntarli sulla fonte.
La ragazza teneva fra le mani un pugnale bello grande, e sembrava sapesse come maneggiarlo.
Iniziò a respirare velocemente, guardandosi intorno in cerca di un’arma di fortuna, fregandosene completamente ora della presenza della sua vittima.
<< Cosa sei?>> iniziò urlando << Il diavolo? Uno scherzo della natura?>> continuò cercando di non far trasparire il terrore nella sua voce << STAI LONTANO DA ME DEMONIO!>>
Fuoco.
Fuoco era quello che stava sentendo in quel momento, e lo stava sentendo all’interno della sua gamba sinistra. Si buttò a terra urlano, tastando il pugnale che si era conficcato all’interno della coscia, facendo bruciare tutti i tessuti all’interno, sentendoli strapparsi uno per uno.
La ragazza prese un altro coltello e si avvicinò ancora di più a lui.
Lui prese a trascinarsi all’indietro, nel disperato tentativo di scappare, ma la sua fuga ridicola venne bloccata quando lei gli schiacciò la caviglia con il piede, facendolo urlare ancora di più.
La ragazza aveva una maschera addosso, che rendeva visibile solo le labbra e gli occhi. Occhi riempiti di fuoco, di rabbia, occhi che non avevano paura di lui.
Schiacciò ancora di più il piede sulla sua caviglia per attirare la sua attenzione.
<< Portafogli>> disse solamente.
Lui sembrò confuso in un primo momento, voleva dei soldi?
La pressione si fece un’altra volta più forte e allora lui si sbrigò a prendere il portafogli dalla tasca dei suoi pantaloni e a porgerglielo. Lei lo prese delicatamente e lo aprì. Prese la sua carta d’identità e butto il resto da un’altra parte.
Lui continuò a respirare, sempre più affaticato, vista l’ingente perdita di sangue dalla sua gamba che ora aveva iniziato a formare gocce di sangue sul terreno.
Lei studiò attentamente la carta d’identità << Mh… Non sei nella mia lista>> gli comunicò per poi spostare lo sguardo su di lui << Ma non credo che una persona come te mancherà a qualcuno.>>
Il respiro del mostro si bloccò e poi riprese più forte e veloce di prima. Cosa voleva dire? Quale lista? Cosa gli sarebbe successo?
La ragazza angelo impugnò il coltello conficcato nella sua coscia e cominciò a muoverlo in modo circolare. Il mostro si sentì morire, ogni tessuto, ogni legamento, si stava lacerando.
<< Vedi, tu non fai il parte del gioco. Quindi devi sparire senza lasciare tracce>> guardò in alto verso il cielo << E sono anche molto fortunata. Stasera c’è la luna piena>> spostò di nuovo lo sguardo su di lui << Ci penseranno i lupi a te>> finì sorridendo.
Cominciò a sudare freddo, brividi si diffusero per tutto il corpo, e l’adrenalina fece il resto. Si alzò di scatto cercando di andargli a dosso, prendendola di sorpresa, ma lei fu più veloce. Si spostò facendolo cadere con la faccia a terra, e poi gli ficcò il coltello dietro alla schiena, precisamente al centro.
Si aggrappò al terreno, continuando ad urlare << PUTTANA! IO TI AMMAZZO! AMMAZZO TE E TUTTE LE PUTTANE DI QUESTA TERRA!>>
La ragazza angelo estrasse il pugnale dalla gamba, facendo gemere di dolore il mostro, e si piegò fino al suo livello. Lo afferrò per i capelli e gli tirò su la testa per guardarlo negli occhi.
<< Non osare chiamarmi ancora in quel modo! Sono stanca di incontrare scarafaggi come te che non sanno usare bene la lingua>> digrignò dalla rabbia, mentre gli mostrava il coltello pieno di sangue e glielo passava davanti agli occhi. Gli prese la bocca gliela aprì e con un taglio netto gli stacco la lingua. Il sangue gli macchiò le mani e parte della faccia. Il mostro continuò a contorcersi come un verme per il dolore, fino a quando l’eccessiva perdita di sangue non gli fece avere le convulsioni, per poi lasciarlo lì immobile ed inerme a terra.
Noelle guardò quel corpo con disprezzo per poi togliere il coltello dalla schiena dell’uomo e rimetterlo nella fodera.
Sentì dei singhiozzi sommessi, ricordandogli che non era sola e che la ragazza non era ancora in grado di camminare. Si avvicinò lentamente a lei, cercando di non spaventarla, ma lei si chiuse ancora di più a riccio.
<< Ti prego… Non uccidermi…>> mormorò tra un singhiozzo e l’altro.
Noelle si avvicinò di più alla ragazza, posando delicatamente una mano sulla sua spalla. Al contatto sentì la ragazza ripiegarsi ancora di più su se stessa e lanciare un piccolo gridolino.
<< Non ti farò del male. Lo giuro.>>
La ragazza alzò piano il suo sguardo verso Noelle e vide che lei gli stava sorridendo comprensiva e la sua mano era posata delicatamente ancora sulla sua spalla, senza metterci peso sopra o forza, quasi come una presenza fantasma.
Le guance erano rigate e bagnate dalle lacrime e il naso colava leggermente. Noelle gli offrì un fazzoletto per asciugarsi e poi si allontanò di nuovo per prendere la maglietta della ragazza e ricoprirla con quella.
La ragazza si tranquillizzò, rivestendosi con mani tremanti e la testa che ancora scoppiava.
<< Vuoi dimenticare?>> chiese Noelle.
La ragazza la guardò confusa. Come poteva dimenticare tutto l’orrore, la paura e il viscidume di quel mostro? Quelle scene avrebbero albergato nei suoi incubi per anni a venire.
<< Mi dispiace per quello che ti è successo. Ma se vuoi io posso farti dimenticare tutto, come se tutto questo fosse stato solo un brutto sogno>> disse, facendo confondere ancora di più la ragazza << So che sembra impossibile, ma devi fidarti di me. Anni fa avrei pagato oro per avere l’opportunità di dimenticare…>>
La ragazza spalancò di poco gli occhi. Posò il suo sguardo a terra pensierosa, ma il dolore alla testa e al petto non smettevano di cessare, e se c’era solo una possibilità per dimenticare questo dolore l’avrebbe colta al volo. Riportò lo sguardo su Noelle e annuì impercettibilmente.
Noelle le sorrise e poi portò lentamente una mano dietro il suo collo. Infilò gli artigli dentro la carne e i suoi occhi si illuminarono del colore dell’oro. Vide tutte le scene, sentì tutte le sue emozioni: paura, rabbia, sensi di colpa, disgusto, dolore. Si prese tutta la sua sofferenza racchiusa nei suoi ricordi. Si fece carico di tutto e una volta finita la pulizia, lasciò andare la presa.
Chiuse gli occhi un paio di volte, respirando pesantemente, cercando di ritrovare il controllo e far sparire quelle scene dal suo campo visivo.
<< Grazie…>> sussurrò la ragazza prima di perdere i sensi.
Noelle le sorrise materna. Un ululato non troppo lontano gli arrivò alle sue orecchie e lei rimise quella maschera di indifferenza e apatia. Si girò verso il corpo martoriato del mostro, vedendo in lontananza degli occhi rossi e degli occhi azzurri, color del ghiaccio puro.
<< Siete proprio degli ingordi>> iniziò alzandosi in piedi dalla sua posizione << Ma la colpa non è solo vostra d’altronde>> disse riferendosi alla luna.
Prese la ragazza in braccio facilmente e poi si riferì alle due figure << Non lasciate tracce. Deve scomparire nel nulla. Niente ossa per terra, intesi?>>
Le due figure si avvicinarono al corpo esanime del mostro e lo trascinarono via, per poi dare un muto consenso a Noelle.
Lei una volta averli visti andare via con il corpo entrò nell’edificio con la ragazza, l’appoggiò a terra e chiamò uno dei suoi primi numeri per farla venire a prendere.
Aprì l’app delle note e iniziò a scrivere. Una volta finito lasciò il telefono e uscì da quell’edificio.
In quel vicolo tutto sembrava tornato alla normalità, come se niente fosse successo. Prese il portafoglio del mostro, lo guardò e lo butto dentro al cassonetto lì vicino. Poi riprese la carta d’identità. La guardò con attenzione. Osservo quel nome e quel volto, ora diventati anonimi, mai conosciuti. Prese un accendino e diede al fuoco il compito di purificare tutto, di cancellare la traccia di quell’essere dal mondo. Restò lì a fissarlo, affascinata, finché anche l’ultimo pezzetto di carta non si fosse carbonizzato riducendo tutto in cenere. Un’intera esistenza ridotta in polvere dall’elemento più puro e pericoloso al mondo.
Poi volò via.
 
Note
Ti è stata data una seconda possibilità. Non capita a tutti, quindi non sprecarla. Non fidarti di nessuno. Neppure di chi credi amico.
 
 
Buio.
Per sei giorni interi è stato solo questo. Niente sogni, rarissime volte allucinazioni, ma per il resto è stato tutta nebbia e buio.
Non era uscito dalla sua stanza per 6 giorni. Non era andato a scuola, non era uscito e non aveva risposto a nessun messaggio. Si era portato alcune bottiglie d’acqua e due pacchetti di patatine. Il massimo per sopravvivere. Le pasticche erano sempre vicino al suo letto. Lo Xanax era quasi finito, mentre il Valium era quasi intatto. Lo aveva preso insieme allo Xanax una volta perché pensava che non gli facesse effetto, e poi è entrato in black out per alcune ore. Tutto quello che fa è dormire, idratarsi, mangiare due patatine, prendere altre pasticche e riaddormentarsi. E per il momento a lui va bene così.
Sua madre ha provato a farlo uscire, ma trovando la porta della sua camera chiusa a chiave ci ha rinunciato dopo un po’. Sapeva che sarebbe uscito solo quando avrebbe voluto lui.
Dei colpi forti alla porta lo risvegliarono dal suo torpore. Socchiuse di poco l’occhio che non era attaccato al cuscino e iniziò a vedere la forma della porta leggermente sfocata. I colpi continuarono, sempre più forti.
Matteo cercò di mettere a fuoco la stanza in quel buio pesto. Che ore erano? Quanti giorni erano passati dall’ultima volta che qualcuno era venuto a cercarlo?
<< Teo, apri! Sono io, Giorgio.>>
Matteo grugnì per il frastuono che stava facendo. Cosa ci faceva lui lì? Era il suo migliore amico, era da giorni che non lo vedeva, era normale che si fosse preoccupato. Questo fece scaldare un po’ il cuore di Matteo. Ma non era comunque pronto ad uscire, non in quelle condizioni, non se poteva permettersi di non sentire niente per altri due o quattro giorni.
<< Vattene>> sbiascicò, cercando di alzare la voce per farsi sentire.
<< Oh no, caro mio. Non mi muovo da qui>> iniziò continuando a battere << Ora ci sono due possibilità: o mi apri la porta e mi fai entrare>> prese una pausa ad effetto, Matteo era convinto che stesse ghignando lo stronzo in quel momento << O ti rompo la serratura ed inizierò ad usare le maniere forti. A te la scelta>> finì ridendo.
Matteo grugnì ancora. Non aveva le forze per andare fino alla porta e sbloccarla, non sentiva più le gambe da quanto erano addormentate. Sentì sua madre urlare “Non rompete la porta altrimenti la ripagherete con i vostri soldi” e allora in quel momento decise di provarci. Non voleva sentire sua madre lamentarsi ancora di più di quanto già facesse. Poggiò i palmi delle mani sul materasso e cercò di alzarsi, ma il suo peso sembrava fosse diventato il triplo di quanto in realtà fosse. Il primo tentativo andò perso, così come anche il secondo, e a quel punto non gli rimaneva altro da fare se non spostare tutto il peso all’estremità del letto e cadere per terra, sperando che la botta gli dia una sonora sveglia al sistema nervoso. Si girò per cadere di schiena e chiuse gli occhi all’impatto con il pavimento gelato. Il dolore durò relativamente poco, visto che le pasticche erano ancora in circolo nel suo corpo. Cercò di aggrapparsi al letto per alzarsi, con una lentezza che non lo caratterizzava e una volta che fu quasi in piedi guardò per la prima volta la sua stanza dopo giorni dalla sua reclusione. Era una vera discarica. Un rumore alla porta lo riportò al suo problema iniziale.
<< Arrivo!>> sbiascicò ancora con la voce.
Si attaccò ad ogni mobile che trovava lungo il cammino verso la porta, che improvvisamente sembrava essere diventato più lungo di tutti i giorni, con le gambe che minacciavano di cedergli da un momento all’altro. Quando finalmente fu abbastanza vicino alla porta, mollo la presa sulla sedia e si buttò a peso morto sulla porta, afferrando saldamente la maniglia. Respirò profondamente per qualche secondo, dato tutto lo sforzo che aveva fatto per arrivare lì, e poi girò la chiave in due mandate per sbloccarla. Appena finì Giorgio spinse la porta per entrare e poi se la richiuse alle spalle, aiutato da Matteo che non aveva ancora lasciato la sua posizione.
Giorgio fece una smorfia vista la mancanza di aria fresca e l’odore di chiuso che non lo faceva respirare bene.
<< Dio santo, Teo. Come hai fatto a sopravvivere per tutto questo tempo qua dentro?!>> chiese, mascherandosi poi la bocca con la mano.
Matteo sbuffò, infastidito dal commento ipocrita del suo amico, ricordandosi in che stato pietoso lo trovava a lui quando era fatto di coca e non si lavava per settimane.
Provò a staccarsi dalla porta per ritornare a letto ma le gambe gli cedettero, esauste per lo sforzo fatto tutto in pochi minuti. Giorgio gli fu subito accanto però, lo prese per un braccio e lo buttò di nuovo sul suo letto.
Matteo si sentì subito meglio una volta che fu ritornato nel suo posto sicuro e comodo. I muscoli iniziavano di nuovo a sciogliersi e la testa ricominciò a riprodurre quel ronzio che anticipa il torpore. Quando Giorgio si sedette per terra vicino al suo letto, come faceva sempre, e iniziò a parlare.
<< Cosa ti ha dato Johnny?>> chiese come prima cosa.
Matteo lo fulminò con lo sguardo << Non ci provare. Sei sotto Metadone ancora, non puoi prendere altre merdate. Sei ancora in riabilitazione>> disse sbuffando.
Giorgio scrollo le spalle << Non voglio la tua roba idiota! Voglio sapere che ti sei preso per ridurti in questo modo.>>
Matteo roteò gli occhi << Pasticche di Xanax. E qualche Valium…>> la testa gli diventava sempre più leggera.
Giorgio gli diede alcuni schiaffetti sulla guancia << Resta con me, idiota. Dobbiamo parlare.>>
E in quel momento Matteo giurò di voler uccidere il suo amico, tra tutti i momenti che poteva scegliere per parlare, proprio quello in cui non capiva neanche in che universo si trovava?!
<< Devi smetterla con le pasticche e tornare a scuola Teo. È il nostro ultimo anno, stiamo per finire la scuola e io non voglio essere bocciato un’altra volta>> sospirò << Non voglio finire quest’avventura da solo e non voglio lasciarti indietro. Sei mio fratello Matteo>> lo guardò, pregandolo di farsi aiutare.
Matteo infossò il viso nel cuscino. Ora si sentiva una vera merda per quello che aveva fatto. Neanche le pasticche lo avrebbero fatto sentire meglio. C’era ancora chi si preoccupava per lui, e continuava a dimenticarselo. I sensi di colpa iniziarono di nuovo a mangiarlo. Continuava a fare del male alle persone che tenevano a lui, come facevano a restargli accanto?
Giorgio gli posò una mano sulla schiena, muovendola in movimenti circolari, per poi sorridere << Non ti lascio solo Matteo, rimango fino alla fine della corsa.>>
Oh, lui lo sapeva che non lo avrebbe abbandonato. Fino alla fine della corsa si erano promessi, finché uno dei due non esalava l’ultimo respiro. Macabra come idea forse, ma pur sempre migliore delle favole zuccherose e false.
Matteo spostò la faccia dal cuscino guardando Giorgio. Gli sorrise << Come sei romantico! Scommetto che lo dici a tutti i ragazzi!>>
Giorgio rise di gusto, dando un sonoro pugnò sul braccio di Matteo che lui naturalmente non riuscì a sentirne la piena potenza visto l’intorpidimento del suo corpo.
<< No, lo dico solo a quelli con una folta chioma bionda. Inoltre ho un debole per i ricci>> finì facendogli l’occhiolino.
Rimasero a ridere e a scherzare per un po’. Giorgio aiutò Matteo ad idratarsi e a portarlo in bagno per darsi una lavata, gli diede dei vestiti puliti e restò con lui anche quando si addormentò a causa delle pasticche. Verso sera ordinò una pizza per tutti e due e rimasero in camera sua continuando a parlare.
Erano lì sul suo letto, con dei tranci di pizza in mano, quando Giorgio non poté più trattenersi dal fare quella domanda.
<< Perché hai preso quelle pasticche stavolta?>>
Matteo trattenne il pezzo di pizza a metà aria, interrompendo la sua camminata verso la sua bocca, sorpreso e allo stesso tempo nervoso per quella domanda.
Cosa voleva dimenticare? Perché aveva ceduto? Perché le aveva prese? Per chi le aveva prese?
Matteo abbassò lo sguardo, torturandosi il labbro inferiore con i denti.   
<< Solita merda…>> rispose sul vago, sperando inutilmente che quello potesse bastare.
Giorgio annuì poco convinto << In mezzo c’è anche Alice?>>
Matteo voleva scomparire in quel momento. Il suo migliore amico lo capiva troppo bene, sarà forse per questo il motivo per cui non può resistere senza di lui?
Il problema era che non era solo Alice, ma anche qualcun altro. Ma quello doveva rimanere un segreto, lo aveva promesso.
Così iniziò a raccontargli tutto quello che era successo, dalla lite fuori dal locale, al bacio prima di scappare via e andare direttamente da Johnny. Anche se aveva omesso la parte del pontile, poteva già dire di sentirsi meglio. Giorgio ascoltò tutto, esaltandosi e sorridendo come un bastardo nel pezzo del bacio << E bravo Teo! Sei arrivato in prima base!>>
Matteo scrollò le spalle. Non puntava più ad arrivare a nessuna base, non c’era proprio nessun gioco da fare. Non con lei.
Quando incominciò a farsi tardi, Giorgio raccolse la sua roba e si preparò ad andarsene. Prima di uscire dalla stanza fissò le pasticche sopra il suo comodino e poi allungò la mano per prenderle.
Matteo scattò come una molla << Le butto io queste, non preoccuparti>> cercò di rassicurarlo come meglio poteva.
Giorgio lo guardò sospettoso, non sicuro di potersi fidare, dopotutto era un ex tossico, sapeva quando potersi fidare della parola delle persone. Però quella volta sembrò fare un’eccezione per lui, e provare a fidarsi del suo migliore amico. Questo fece sentire Matteo ancora di più uno schifo.
Si allontanò dalle pasticche e gli spettinò i capelli << Ti voglio vedere domani a scuola, altrimenti verrò qui a prendere a calci il tuo bel culetto.>>
Matteo lo rassicurò per l’ennesima volta, abbracciandolo prima di vederlo andare via da casa propria.
Tornò nella sua stanza e iniziò a raccogliere qualche panno da terra. Ora che aveva mangiato e che l’effetto delle pasticche era quasi svanito, si sentiva più energetico. Fece cambiare aria e preparò le cose per domani, volendo non fare tardi per una volta.
Una volta finito si stese sul letto, iniziò a guardare la crepa sul soffitto, immerso nei pensieri quando improvvisamente si ricordò cosa doveva fare.
La bustina con le pasticche riposava tranquillamente, fissandolo dal suo posticino sicuro.
Aveva detto a Giorgio che lo avrebbe fatto lui, che ce l’avrebbe fatta da solo, lui si era fidato delle sue parole. Non poteva deluderlo ancora, non poteva cadere così in basso!
Prese la bustina con un gesto violento e partì a passo spedito verso il bagno. Chiuse a chiave la porta ed aprì la tavoletta del water.
Guardò l’acqua sul fondo del gabinetto tremolare leggermente dalla foga e poi fissò la busta. Le pasticche che erano rimaste gli sarebbero bastate per alcuni giorni. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle pepite d’oro. Iniziò a respirare velocemente e pesantemente, saettando lo sguardo dalle pasticche al suo ‘inceneritore’. Strizzò gli occhi un paio di volte e con l’altra mano si tirò i ricci. Doveva farlo, lo aveva detto a Giorgio, non poteva tradire la sua fiducia, ci sarebbe riuscito da solo, non gli serviva nessuno, non gli serviva aiuto. Non gli serviva aiuto.
Prese dei respiri profondi, regolando il suo battito cardiaco, e tese il braccio in avanti tenendo le pasticche in una presa debole, così leggera che anche un soffio di vento le avrebbe potute far cadere.
<< Che spreco…>>
La tavoletta del water fece un fragore assordante una volta chiusa ma il rumore dello scarico riuscì a coprirlo bene.
Non aveva bisogno di aiuto, ce l’avrebbe fatta da solo, era tutto sotto controllo.
Si stese sul letto, nascondendo un sacchetto sotto il cuscino.
Nessuno l’avrebbe saputo.
 
 
Il banco tremò improvvisamente e lui alzò la testa così veloce da farsi venire le vertigini da seduto. Il professore e tutti i suoi compagni di classe le stavano fissando, soprattutto il prof che si trovava a due centimetri dalla sua faccia. Ed era una faccia molto brutta la sua e anche molto… arrabbiata? Con tutte quelle rughe sulla sua faccia non capiva se fosse arrabbiato, frustrato o se stesse avendo un attacco di cuore.
Il Prof. Rughe grugnì, facendo vibrare le sue corde vocali ormai lacerate e consumate dalle sigarette e dai sigari cubani.
<< Bianchi, se la lezione è così noiosa per te puoi anche andare fuori dalla classe!>> urlò troppo vicino al suo orecchio.
Matteo sbatté gli occhi un paio di volte e cercò di metabolizzare ciò che gli aveva appena detto. Poteva uscire? Ottimo.
Prese il suo zaino e si incamminò verso la porta per andare in giardino.
<< La prossima volta cerca di non allagare la classe con la tua bava>> e gli sbatté la porta alle spalle.
Si passò una mano sulla bocca, trovandola umida e appiccicosa. Che schifo.
Tasto la tasca del giubbotto per vedere se il sacchetto era ancora con lui. Un sorriso idiota gli comparse sul volto quando sentì che non se l’era perse e che si sarebbe divertito ancora un po’.
Se ne era presa qualcuna prima di entrare a scuola perché… beh sapeva che non sarebbe stata una buona giornata, e alla fine la sua teoria si dimostrò esatta. Alice lo aveva ignorato del tutto, non rivolgendogli neanche uno sguardo e andandosene via ogni volta che lui provava ad avvicinarsi.
Tutte quella giornata era iniziata da schifo e sarebbe finita da schifo.
Raggiunse il giardino e si appostò come al solito sotto l’albero. Si buttò a terra, con il viso rivolto al cielo, guardando le nuvole grigie minacciarlo con il loro passaggio e sentendo il vento forte scomporre le poche foglie rimaste sull’albero e muovere in maniera disordinata i suoi ricci ribelli. Fece una smorfia di fastidio quando iniziò a sentire dei crampi alle gambe. Sapeva come farli smettere. Prese il sacchetto, infilò una mano dentro e afferrò una pasticca. E la rigirò sulle punte delle dita, osservando, ammirando, la potenza racchiusa in quel piccolissimo oggetto. Lo sguardo passò accidentalmente verso la porta del giardino ed è lì che lo vide. Giorgio.
Stava venendo verso di lui, però si era fermato per salutare Anastasia che sarebbe andata in classe. Matteo entrò nel pallone. Aveva ancora le pasticche, non l’aveva buttare. Sgranò gli occhi e un senso di panico iniziò a prendere possesso del suo corpo. Lui l’avrebbe capito che non l’aveva buttate, che ce l’aveva addosso. L’avrebbe detto a sua madre, al preside, alla polizia. Sarebbe così infame da dirlo a qualcuno? E se poi se le prende lui e ricade nel giro della dipendenza, che stronzo non si frega la roba agli amici. Sarebbero stati ancora amici se Giorgio l’avesse scoperto? No, sicuramente lo abbandonerà perché è un casino lui, non importa la promessa che si sono fatti, lui lo abbandonerà come hanno fatto tutti. Rimarrà da solo. Morirà da solo.
Matteo fissò il pacchetto. 11 pasticche tra Valium e Xanax. In corpo ne aveva ancora 4 o 5 in circolo.
Non ci pensò due volte, prese tutte le pillole e se le ficcò in bocca. Afferrò lo zaino con violenza e lo aprì buttando via tutti i quaderni per prendere la sua bottiglietta d’acqua. Una volta trovata svitò il tappo e la tracannò tutta, come se fosse un nomade nel deserto e quella fosse l’unica fonte di salvezza. Sentì le pasticche scendere nella sua gola e una volta sicuro che non ce ne fosse più traccia si staccò dalla bottiglia con il fiatone, cercando di riprendere ossigeno da tutta quella ‘corsa’.
Giorgio si girò verso di lui e lo salutò con la mano, Matteo ricambiò sorridendogli come se nulla fosse.
Non c’era più niente. Era salvo. Per ora.
 
<< E allora poi la prof. mi prende il compito, perché crede che io abbia copiato e… Teo, ti senti bene?>>
Matteo continuava a guardare le foglie dell’albero, o meglio quelle che dovrebbero essere foglie, ma in quel momento lui riusciva solo a vedere vermi verdi che si mangiavano a vicenda. No, ora erano dita verdi con lunghe unghie affilate e i rami erano braccia muscolose e pelose. E il cielo non era più grigio ma era rosso fuoco e le nuvole ruotavano in cerchio come se si stesse formando un grande buco nero che avrebbe risucchiato tutto. Aprì la bocca secca in cerca di aria, mentre i suoi occhi schizzavano da una parte all’atra del cielo. Iniziava a sudare freddo e le mani non volevano sapere di smetterla di tremare.
<< Teo?>> lo richiamò di nuovo Giorgio. 
 Matteo puntò gli occhi su Giorgio, cercando di regolare il respiro. Si schiarì la gola e si alzò << Sto bene. Devo solo andare un attimo in bagno>> disse, cercando di apparire il più normale possibile e assicurando il suo amico.
Il corridoio era sfocato davanti ai suoi occhi. Nausea e vertigini iniziarono a presentarsi prepotenti facendolo sentire sempre peggio. Il battito del suo cuore era accelerato e l’aria continuava a mancargli nei polmoni, sembrava come se non ce ne fosse mai abbastanza in quel corridoio del cavolo.
Continuò a camminare verso il bagno, lentamente e stando attento a non cadere, e giurò di aver sentito le parole di Johnny in un loop continuo sussurrato nelle sue orecchie “Piccolo Teo, stai attento. Non prenderle tutte insieme e se senti di star per collassare, mettiti due dita in gola e vomita tutto. Ci tengo a rivedere la tua faccia”.
Doveva vomitare. Doveva togliersi tutta quella merda che si era ingerito mezz’ora fa e il più in fretta possibile.
Il battito del cuore da frenetico iniziò a rallentare pericolosamente, mentre i polmoni cominciavano a non collaborare più. Si buttò in un angolino a terra, non avendo più le forze per muoversi e arrivare al bagno, e si artigliò una mano alla gola, sentendola bruciare per la mancanza di aria.
Non poteva finire così! Non in questo modo! Ma infondo se l’era cercata, e allora che venisse rapida la fine. Sperò solo che nessuno lo trovasse, che nessuno vedesse come si era ridotto. Ma lassù avevano deciso che non era ancora arrivato il momento di chiudere il sipario.
Delle mani iniziarono a tastargli la faccia, mentre sentiva il suo nome ovattato alle orecchie. Cercò di mettere a fuoco la figura davanti a lui e la prima cosa che vide furono due meravigliosi occhi verdi.
<< Matteo, resta con me. Che succede? Che ti sei preso?>>
Alice iniziò a guardargli le braccia e il collo, ispezionandolo in cerca di buchi procurati da un ago. Non trovando niente si tranquillizzò leggermente, ma Matteo sembrava peggiorare di minuto in minuto.
<< Matteo ho bisogno che tu mi dica se ti sei preso qualcosa!>> il panico iniziò a pervaderla.
La gola di Matteo era secca, non riusciva ad articolare nessuna parola, eppure in qualche modo riuscì a sussurrare in un rantolo quasi inudibile una parola: ‘pasticche’.
Alice sembrò sentirlo e in meno di un secondo gli prese un braccio e l’avvolse attorno alle sue spalle per portarlo nel bagno.
Una volta davanti alle porte fu indecisa da che parte andare. Davanti ai suoi occhi c’era da una parte il bagno dei maschi e da una parte il bagno delle femmine. Restò lì per alcuni secondi, fino a che decise di mandare tutto al diavolo ed entrare nel bagno dei maschi.
Nella loro corsa verso il gabinetto Matteo vide il suo riflesso nello specchio di plastica. I capelli erano appiccicati per il sudore, eppure lui in quel momento stava tremando dal freddo, e la sua faccia era un lenzuolo pallido. Fortunatamente il bagno dei maschi era sempre meno affollato di quello delle ragazze e quindi nessuno lo vide.
Alice entrò in uno dei cubicoli, fece inginocchiare Matteo a terra, vicino al gabinetto, e chiuse la porta alle sue spalle. Lui abbracciò d’istinto la tazza, sentendo la ceramica fresca, rabbrividendo ancora di più a quel contatto. Lei si mise in ginocchio vicino a lui, gli mise una mano sulla schiena e poi prese con forza la sua faccia e la puntò verso il centro del water.
<< Devi vomitare Matteo! Devi liberarti, così dopo starai meglio.>>
Matteo iniziò ad avvicinare le due dita alla bocca e iniziò a portarle sempre più giù, fino a raschiare la giugulare con le unghie. Ci volle più di un tentativo ma alla fine ci riuscì. Vomitò davanti ad Alice che intanto gli massaggiava la schiena e gli teneva la fronte con una mano. Lui sentì le budella bruciare come lava incandescente e il fuoco nella sua gola, mentre lo stomaco diventava sempre più duro ad ogni conato e piccole lacrime iniziarono a scendergli dagli occhi. Si vergognava. Si vergognava per aver fatto assistere ad Alice tutto quello schifo, si vergognava per se stesso, per come era arrivato a ridursi.
Sputò un grumo di saliva e poi si accasciò sulla parete del cubicolo. Alice scaricò tutto lo schifo che aveva eliminato dal suo corpo e poi seguì il suo stesso esempio, stremata anche lei da tutta quella scena.
<< Mi dispiace. Non volevo che assistessi a questo>> disse con le guance che andavano a fuoco dall’imbarazzo.
Alice scosse la testa e rise per alleggerire l’atmosfera << Devi smettere con la droga Matteo. Se non fossi arrivata io… Sarebbe potuta andare peggio.>>
Matteo annuì, sentendosi in colpa per averla trascinata nel casino in cui lui si trovava. Per lei deve essere stato brutto ritrovarsi di nuovo a contatto con lo schifo della droga dopo averci passato tutta l’infanzia nella sua città natale.
<< Hai mai notato che io e te non ci incontriamo mai in situazioni normali?>>
Alice lo guardò strano, non capendo cosa volesse dire, così Matteo cercò di spiegarsi meglio.
<< Il tuo attacco di panico alla festa di Halloween, la mia rissa dietro al locale ed ora questo>> girò la testa di fianco per guardarla negli occhi << Non credi che sia strano che ci troviamo sempre quando uno dei due è distrutto? Quando è sull’orlo di mollare tutto?>> Alice trattenne il fiato, spaventata dalla portata di quelle parole. Matteo prese la mano di Alice e la strinse, nello stesso modo in cui aveva fatto alla festa << Forse siamo uno la salvezza dell’altro. Siamo quella cosa che ci impedisce di crollare a terra.>>
Alice spostò lo sguardo verso il pavimento, non riuscendo più a reggere lo sguardo di Matteo.
<< Devi allontanarti da me Matteo. Io sono un disastro, sono rotta, per il tuo stesso bene dovresti starmi alla larga.>>
Alice riportò gli occhi su Matteo e lo vide sorridere verso di lei, con occhi più luminosi, nonostante gli avesse appena detto di stargli alla larga.
<< Eppure>> iniziò Matteo << Mi stai stringendo la mano ancora più forte di prima.>>
Alice spalancò gli occhi, osservando la sua mano, non essendosi accorta di aver davvero rafforzato la presa sulla sua mano mentre diceva di doversi allontanare da lui.
<< Il tuo corpo la pensa diversamente dalla tua testa>> le fece notare.
Improvvisamente Matteo ricominciò a tossire forte, sentendo fitte incredibili alla gola. Alice si alzò subito, mettendogli una mano dietro la schiena per cercare di calmarlo. Vomitò ancora, questa volta solo acqua. E una volta finito si rimisero di nuovo alle posizioni di prima.
Matteo respirava affannosamente, cercando di riprendersi da tutto quello.
<< Vedi>> richiamò l’attenzione di Alice << Neanche io sono perfetto. Siamo due bei disastri io e te, non è vero?>>
Alice sorrise, prendendogli di nuovo la mano e appoggiando la sua testa sulla spalla di Matteo.
Si trovavano ancora in quel cubicolo stretto, mentre il mondo di fuori, caotico e violento, continuava ad andare avanti senza di loro, avendo però il timore che qualcuno potesse scoprirli e magari metterli nei guai. Eppure non si erano mai sentiti più al sicuro se non fino a quel momento.
Alice prese un profondo respiro e poi chiuse gli occhi.
<< Si, si lo siamo.>>







Angolo autrice
Salve a tutti. 
Ho affrontato argomenti molto delicati in questo capitolo ed è stato molto difficile per me descriverle, ma spero comunque di essere riuscita nel mio intento che è quello di trasmettervi un qualcosa. Emozioni, sentimenti, pensieri, qualsiasi cosa insomma.

Il titolo del capitolo, che mi ha anche fatto compagnia durante la stesura, è una canzone dei My Chemical Romance che vi consiglio vivamente di ascoltare.
Ringrazio tutte le persone che leggeranno o recensiranno la storia.
Al prossimo capitolo.
E. xx 
 

 
  
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