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Autore: Sarah M Gloomy    02/08/2016    0 recensioni
Amabel è una normale sedicenne, ironica, non eccessivamente propensa allo studio e, a suo dire, una bugiarda patologica. Tutto nella norma, insomma, fino all'incontro con Ridley e un bambino misterioso, che le faranno comprendere quanto nella sua vita normalità e pazzia siano termini interscambiabili. E che lei, in fin dei conti, non è proprio una normale ragazza.
Genere: Commedia, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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     Andato oltre. Quando Lie mi ha chiesto se ricordavo il posto da dove venivo, ero stata sincera. Non so come sia l’aldilà. Eppure, associato a Ridley, ho chiara in mente l’immagine di quel posto. Un luogo lugubre, nero, solitario. È assente il rumore, la luce, la materia. Non sai di essere lì, non sai nulla finché qualcosa non compare, fugace. Penso che quelle presenze effimere fossero anime, più fortunate di me, che avevano la virtù di sostare in quel niente per poco tempo. Quel posto era doloroso. Lo ricordo. E non era un dolore fisico, quanto il sapere di non poter far nulla per opporsi. Un lungo tunnel in cui non potevi toccare la superficie, continuamente privato dei sensi.
   «Andato oltre.» No. Mi rifiuto di credere che Ridley se ne sia andato così. «No, non è andato oltre.»
   «A qualche spirito capita.» Mi spiega Lie. «Se il suo scopo è concluso, se tutte le questioni sono risolte …»
   «Non è concluso nulla! Lui … quel poliziotto è a piede libero. Mi rifiuto di credere che tempo in cui Ridley è sospeso tra la vita e la morte, nel momento in cui siamo tanto così …» Mostro a Lie pollice e indice che quasi si sfiorano. «… dal risolvere il suo caso, lui decida che è il momento di morire. Non glielo permetto. Mi sono fatta il culo per lui!»
Lie solleva un sopracciglio. «La questione non è, usando il linguaggio giovanile che ti piace tanto, farsi il culo. Il fatto è che lui non ha più nulla da fare qui. Quel poliziotto non vuole che tu indaga su Ridley. So che hai pensato che molto probabilmente è lui che ha ferito il ragazzo. Hai il mandante o forse l’artefice del suo attentato. Fatto. Risolto il caso. Non ha motivo di rimanere qui. Dalila? Stai bene?»
Mentre Lie stava parlando, qualcosa è scattato nel mio cervello. No, Ridley non era andato oltre. Non poteva. Si arrabbiava troppo di frequente, non era uno spirito in pace con se stesso. L’unico modo che aveva di andarsene era tramite me. E io non l’ho esorcizzato. «Non può essere andato oltre. Lui … lui non è andato oltre. E non essendo qui c’è solo un posto dove andare: Ridley è rientrato dentro il suo corpo. Cosa succede quando un’anima si ricongiunge?»
   «Niente. Tutto torna come dovrebbe essere.»
Significa che Ridley sarebbe tornato come al principio. «Per Dio! Ridley si sta risvegliando!»
   «Non credo che il poliziotto accetterà di buon grado il suo risveglio.»
Mi butto fuori in corridoio, incespicando sul tappeto. Sfreccio giù dalle scale del condomino, ripromettendomi che per il mio compleanno chiedo a mamma uno scooter. È umanamente impossibile che ogni giorno io debba correre a piedi per mezza città! Sento Lie seguirmi alle spalle. O almeno lo spero. Tra poco mi ritroverò a fronteggiare un uomo, tutt’altro che terrorizzato da me e dalle mie catene, e l’unico che conosce le mie vere capacità è un bambino sociopatico menzognero: non può permettersi di lasciarmi andare sola.
Attraverso la strada con il semaforo arancione, correndo come se mi stessero per uccidere. Perché non ci avevo pensato prima? Ridley è sempre stato in bilico per svegliarsi. Non era come Carlos, che aveva preferito abbandonarsi al dolore di vivere. Ridley e papà sono dei combattenti.
Faccio una scivolata sull’atrio dell’ospedale, colpendo in pieno una carrozzina vuota parcheggiata lì. Ignoro la signora delle casse che, indispettita, mi critica. Acchiappo al lazo un ascensore, premendo ripetutamente “Terzo piano”. Spero che sia ancora orario di visite. No, anzi, meglio che non lo sia proprio. Oddio, non so se voglio o meno testimoni! Il vecchio, come testimone, è stato pessimo. «Come ti comporterai se l’uomo è già lì?»
Dannazione. «Non lo so. Probabilmente userò il secondo esorcismo.»
   «Solo il primo può esser usato con gli esseri umani.»
E allora, Lie, se sai già la risposta cosa mi fai perdere tempo a incazzarmi pure con te?! Con un ultimo scatto mi precipito nella stanza di Ridley. Credo di aver lasciato la milza a casa, il polmone al semaforo e una rotula, almeno dal dolore, incollata alla carrozzina. Cerco di riprendere fiato. Appoggio le mani alle ginocchia, il corpo sconquassato dalla fatica.
Alzo lo sguardo alla stanza. Ridley è steso a letto, i monitor suonano la loro melodia confortante. Bene. Sono arrivata in tempo.
   «Dalila, dietro!»
Mi sono dimenticata che, in realtà, sono una ragazza piccola e magra mentre il poliziotto è tutt’altro che debole. Ho dimenticato che posso dibattermi quanto voglio, ma se non ho la forza di respirare i miei tentativi sono inutili. Le mani dell’uomo, sul mio collo, sono forti e mi sento sollevare da terra. Mi manca l’aria. La stanza è immersa in una seria di puntini rossi e neri. Vedo Lie cercare di colpire l’asta vicino alla porta. La mano gli passa attraverso. Dannazione. Se ne esco viva, insegno a Lie a colpire uno stupido oggetto anche sotto stress! Finalmente riesce a colpirla e lo so perché, anche solo per un attimo, la sua mano diventa solida.
Il pezzo di ferro ha solo l’obiettivo di distrarre l’uomo, che volta il capo per vedere se c’è qualche presenza nella stanza. Mollo un calcio nelle parti basse, così forte che se mi sono fatta io male con il piede non oso pensare lui. Lascia la presa con un’imprecazione.
Mi accartoccio per terra, grata dell’aria nei polmoni. «Hai un amico?»
Alzo lo sguardo, ansimante, mentre l’uomo mi si avvicina. Una mano protegge la parte che ho appena danneggiato. Arretro d’istinto ma la stanza finisce ben presto e mi sollevo, usando la porta della terrazza alle mie spalle come ancora di sicurezza. «Sì.»
Guarda di nuovo in giro. Scusa, ma da piccoli non ti insegnano che le Forze dell’Ordine sono buone? Lui, di risposta, mi sembrava cattivo. Tira fuori la pistola d’ordinanza. «Bene. Dì al tuo amico di uscire.»
Lie è alle sue spalle, invisibile e del tutto inutile anche per me. «Non posso.»
Minaccioso, fa schioccare la pistola. Se mi spara, il mio essere esorcista non mi aiuterà per nulla. Guardo la porta e l’uomo mi sorride. «Non ti preoccupare. Non verrà nessuno. Il detective Scott è un cliente speciale. Il tuo amico, ragazzina: dov’è?»
   «Dalila.» Distolgo un attimo lo sguardo dall’uomo, per vedere Lie che mi annuisce, calmo. Se sopravvivo a quell’esperienza, dobbiamo parlare delle priorità dei toni di voce. «Devi mantenere la calma. Tu hai un qualcosa che lui non ha. Lo sai che è così.»
L’uomo si avvicina. Bene. Usiamo il mio vizio. «Ho chiamato la sicurezza.»
La mia bugia ha l’effetto di farlo fermare, pur vedendo bene la canna della pistola ancora puntata sul mio petto. «Stai mentendo.»
   «Se lo crede perché non mi spara? Ho chiamato la sicurezza mentre venivo al piano. Stanno arrivando.»
Appoggio la mano alla maniglia, socchiudendo la porta. La brezza della terrazza mi sfiora la schiena. «Ho detto che qualcuno stava attentando alla vita del detective Scott. Per quanto possono non fidarsi di una minorenne, di fatto è sospetto la comparsa di un poliziotto con un’arma in mano. E ancora di più se un poliziotto spara a una ragazzina. Che danno mai posso arrecare?»
Mi sembra che la pistola in mano dell’uomo inizia ad abbassarsi. Deve credermi subito, perché sarà chiaro presto che nessuno sa dove sono. Meglio ancora: lui ha tutti i motivi di questo mondo per spararmi. Io lì non dovrei neppure esserci.
Con uno sbuffo infila la pistola nella fondina. «Bene. L’hai convinto. Senza pistola è solo un umano.»
Il mio collo è del tutto insensibile alle parole di incoraggiamento di Lie. Solo un umano. Stringo a pugno la mano sinistra. Specularmente, ogni passo che avanza arretro quindi, con la porta aperta, non posso far altro che infilarmi in quella piccola terrazza. Mi sembra sospetto pure che sia aperta. Dovrò mandare una lettera di ringraziamento agli operatori che non l’hanno chiusa. Sia ringraziato quell’anima negligente!
Mi appoggio alla muretta. L’uomo sorride. Mi sorprende a pensare che il suo nome lo conosco, ma mi sono sempre riferita a lui come a un oggetto impersonale. Forse perché dire che il poliziotto ha cercato di uccidere Ridley sembra avere meno peso di Tobia che tenta nuovamente l’omicidio di un suo collega. Alzo la mano sinistra. «Primo esorcismo: catene della purificazione.»
Qualcosa, nello sguardo del poliziotto, si accende. Con un gemito mi si fionda addosso. D’istinto muovo il dito medio, senza davvero pensarci, e la catena che aveva solo il compito di proteggermi si muove, in attacco. Che sia la spinta, che sia stata io, o le mie catene, o lo slancio o una serie di sfortunati eventi, vedo appena le gambe dell’uomo scomparire oltre la muretta. Ho gli occhi sbarrati e un urlo ai piani inferiori mi lascia impietrita. Lie guarda oltre la muretta. «Tranquilla. Non può tornare.»
Non è quello a cui ho pensato. Ho sentito, mentre mi passava vicino, la sua anima che si librava e si allontanava. Ansimo appena, mentre le catene ritornano all’interno del mio corpo. Il mio respiro è pesante, spalle e petto si alzano come dopo una corsa lunga una vita. «Che diavolo sto diventando, Lie? Prima Carlos poi …»
   «Non pensarci neppure, Dalila.» Mi riprende. «Non pensarlo. Il ragazzo te l’ha chiesto e lui … tu non sei un’assassina.»
Però dannazione se mi stavo avvicinando ad esserlo. Lie continua: in fondo lui sa esattamente a quello che penso. Ed è anche vero che lui è il mio vizio: mentire gli viene facile almeno quanto a me. «Non occorre che guardi. Non è uno spettacolo per te. Dobbiamo andarcene. Dalila, dobbiamo uscire da qui prima che arrivi qualcuno.»
In che condizioni è, quel corpo, se proprio quel fantasma mi aveva fatto trovare un cadavere nel frigorifero? Il pensiero non mi aiuta. In quel frangente, se non fosse stato per le continue urla e richieste di aiuto, sarei rimasta immobile annichilita all’interno del mio corpo. «Ridley.»
So che c’è tutta l’urgenza che io me ne vada. Lo so. Eppure devo controllare. Con passo malfermo mi avvicino al letto. Ridley continua il suo riposo, la sua lotta, qualunque nome si possa dare a ciò che faceva. Ha gli occhi chiusi e qualcosa è cambiato. Il monitor, adesso, emette un piccolo suono d’allarme. Presto o tardi qualche medico entrerà nella stanza e io non posso essere lì. Il ragazzo emette un gemito, il respiro si fa sempre più incerto.
   «Ridley.»
Gli sfioro la mano.
Qualcosa vibra. La sua mano è scossa da un leggero tic a cui segue un profondo respiro. Mi avvicino a lui per vedere gli occhi aprirsi e qualcosa di vivo bruciare nel verde dell’iride.
   
 
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