Un grido squarciò il silenzio notturno che aleggiava pigramente nell'appartamento al 221b di Baker Street.

Sherlock si svegliò di soprassalto, in preda alla confusione, e gli ci volle circa un secondo per mettere in moto il cervello e rendersi conto che la voce che aveva prodotto quell'urlo proveniva dalla stanza lì vicino e apparteneva a John. Si alzò di scatto senza nemmeno preoccuparsi di capire che ore fossero o che fine avessero fatto le sue ciabatte: si prese giusto il tempo di recuperare dal comodino la sua pistola – un gentile regalo di Lestrade, concessagli a patto che smettesse di rubare di nascosto le armi agli agenti – e si diresse a passi veloci ma leggeri nella stanza del suo coinquilino.

John era seduto sul letto con la testa tra le mani. Le coperte erano arrotolate intorno alle sue gambe, il cuscino giaceva in terra e nella penombra creata dalla fioca abat jour sul suo comodino vedevo il suo corpo tremare, scosso da respiri veloci e sconnessi.

- «Avrei dovuto capirlo prima … »

Abbassò la pistola, poggiandola in cima ad una vecchia cassettiera posta alla destra della porta d'entrata. Watson sollevò la testa, sorpreso e impaurito e incapace di proferire una parola.

- «Doveva esserci una ragione valida se nonostante il mio spassionato consiglio di licenziare la tua psicologa avevi continuato a vederla. »

- «I-io … »

- «Incubi, non è vero? Per via della guerra … »

John chinò la testa in preda ad un incontrollato moto di vergogna: come aveva potuto mostrarsi così davanti a Sherlock? Lo avrebbe sicuramente riempito di commenti sprezzanti, avrebbe …

Il materasso si curvò dolcemente, accogliendo il nuovo arrivato che ora sedeva vicino a John e lo osservava in silenzio.

- «Co-come mai non mi stai prendendo in giro?»

- «Oh, andiamo – rise Sherlock – non sono un mostro senza un minimo di umanità. »

- «Ah, no? Beh, mi pareva … »

Un tocco fresco e delicato sulla nuca gli impedì di continuare la frase e lo costrinse a sollevare la testa per incontrare gli occhi di ghiaccio dell'amico.

- «È passato, John. Nessuno può farti del male ora. »
​- «Lo so Sherlock, grazie di essere venuto di corsa a controllare. Puoi tornare a letto adesso. »

Watson si distese nel suo letto, aspettando ad occhi chiusi di sentire il materasso sollevarsi quando il suo coinquilino si fosse alzato per allontanarsi.

- «Sai una cosa? - bisbigliò invece il detective, recuperando il cuscino dal pavimento, sprimacciandolo e sdraiandosi accanto a lui – credo che resterò qui stanotte. Sai, in caso ti venisse un altro incubo: non ho la minima voglia di correre di nuovo per tutto l'appartamento, rischiando tra l'altro di svegliare la signora Hudson. »

Si sistemò sotto alle coperte insieme al suo amico, spegnendo la luce e facendo scivolare le braccia intorno a quel corpo ancora accaldato e tremante.

Sherlock non poteva vederlo, ma John, protetto dal buio della notte, tra le sue braccia ossute e dalla pelle candida, stava sorridendo.

“Ovviamente – pensò il biondo prima di chiudere gli occhi, beandosi del calore emanato dal corpo del coinquilino– sarebbe davvero un guaio svegliare la signora Hudson”.