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Autore: Ormhaxan    03/08/2016    13 recensioni
Scandinavia, IX secolo. Hrafnhildr giunge con il mutare della marea nell'isola di Fyn, regno danese sotto il dominio di Guthrum, spietato comandante vichingo al quale offre i suoi servigi di donna guerriera e di veggente. Guthrum non si fida di lei, così come non si fida Einarr, temuto jarl al suo servizio, eppure ben presto le profezie di Hrafnhildr si dimostreranno vere: quando giungerà il momento di salpare verso le terre a ovest degli angli e dei sassoni, di conquistare i loro fragili regni, entrambi gli uomini si ritroveranno ad avere disperato bisogno del suo consiglio e dei suoi divini presagi, affascinati da quella giovane donna tanto bella quanto misteriosa.
I corvi sono pronti a spiccare il volo, ad affondare i loro artigli nella carne di sovrani deboli e corrotti, far conoscere al mondo la forza e la grandezza dei Figli del Nord.
[Secondo capitolo (indipendente) della serie dedicata ai condottieri norreni che, nel tardo IX secolo, conquistarono con la loro Grande Armata i regni dell'allora Inghilterra.]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Medioevo
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Disclaimer: La storia che state per leggere è di proprietà della rispettiva autrice, non vuole avere alcuno scopo di lucro, e si ispira a fatti storicamente accertati e parzialmente alle seguenti saghe nordiche: The Tale of Ragnar’s Sons, © Peter Tunstall, 2005; Ragnars Saga Loðbrokar, tradottuzione di © Chris Van Dyke.
 






Hrafnhildr1 giunse al mutare della marea. Erano stati i sogni e le rune a condurla fin là, sulle sponde del mare di Fyn, isola danese situata a Ovest della Sjælland, territorio, quest'ultimo, un tempo sotto il dominio del leggendario guerriero vichingo Ragnar Loðbrók2 e ora comandato dal minore dei suoi figli, Sigurd Occhio-di-Serpente.  
La stagione del nóttleysi3 era finalmente giunta; l’inverno inclemente, in cui le messi raccolte durante l’estate erano state insufficienti e molti animali erano morti di stenti, era alle spalle e sulla riva del mare il popolo di Odense, Santuario di Odino4, si era riunito per celebrare il blót in onore degli déi e dei Liósálfar, gli elfi della luce.5   

Scese dallo knarr, una delle tante piccole imbarcazioni mercantili norrene appena giunta nell’isola danese, aiutata da uno degli uomini a bordo e, quando i suoi piedi nudi toccarono il bagnasciuga increspato dalle placide onde dai colori del  tramonto, un brivido le corse lungo tutta la sua schiena e si espanse sulla pelle diafana.         
Hrafnhildr non era mai stata sull’isola di Fyn, mai prima aveva lasciato il regno dello Jutland in cui era nata e crescita, eppure una parte di lei sapeva di essere nel posto giusto, in un luogo che le sembrò immediatamente familiare: per tantissime notti aveva sognato quel momento, quella spiaggia e i fuochi delle alte pire che si rispecchiavano nel cielo dalle tinte calde; per tantissime notti aveva udito il vociare sommesso della popolazione e quello dei canti in onore di Thor e Odino e ora che anche i suoi occhi color dell’onice potevano ammirare suddette immagini ebbe la certezza che ben presto il suo destino si sarebbe intrecciato indissolubilmente con quelli del sovrano di quelle terre e dei suoi uomini.
Si mosse silenziosamente tra la gente, catturando, suo malgrado, gli sguardi circospetti di coloro che incrociavano il suo cammino e che venivano incuriositi dal suo inusuale aspetto: sui suoi lunghi capelli, intrecciati in piccole ciocche con sottili  strisce di cuoio, erano appuntati svariati oggetti colorati, piccole pietre preziose e non, ossi di animali che lei stessa aveva sacrificato e altri ornamenti che, cozzando tra loro, provocavano una inusuale musica; indosso portava solo una semplice tunica dai colori neutri lunga fino quasi alle caviglie e un ampio mantello di lana tinteggiato di una tonalità di azzurro scuro e chiuso con una spilla d’argento all’altezza del petto che, come la tunica, lasciava intravedere le clavicole pronunciate e parte delle rune che erano incise sul suo corpo. Attorno ai morbidi fianchi era legata una cintola di cuoio, dalla quale pendevano un’ascia da guerra e un sacchetto color porpora contenente ventiquattro rune che, insieme, costituivano ciò che la società norrena chiamava Elder Fuþark: il Fuþark Antico, la più antica forma di alfabeto runico.     
Lievi sussurri iniziarono a levarsi alle sue spalle, parole appena pronunciate che si interrogavano sull’identità di quella misteriosa ragazza, sulle sue intenzioni e sulle sue origini, ma Hrafnhildr non se ne curò, proseguendo con atteggiamento fiero verso l’uomo a cui era decisa a donare la sua spada, le sue profezie e i suoi servigi.      


Guthrum il Danese, questo il suo nome, era il signore dell’isola di quelle terre6, un condottiero spietato dall’aria tetra e minacciosa; si diceva che non sorridesse mai, che fosse incapace di mostrare affetto persino al suo stesso sangue, e che in battaglia avesse pochi rivali.     
Bardi cantavano le sue gesta e quelle dei suoi uomini, dei vichinghi dagli scudi neri che razziavano ogni villaggio nemico, rubandone il tesoro e trucidandone gli abitanti indifesi; canzoni erano state scritte su di lui, sul norreno dalla chioma corvina in cerca di onore e gloria, la stessa gloria legata ai figli del Nord che i presagi avevano annunciano a Hrafnhildr.          
Quando si incontrarono per la prima volta, Guthrum stava sacrificando un meraviglioso stallone purosangue, suo dono a Odino e agli spiriti che, si diceva, abitassero le foreste dell’isola: non si accorse subito della presenza di Hrafnhildr, dei suoi occhi neri contornati da un trucco altrettanto scuro che le conferiva un aspetto sacrale e minaccioso; solo quando il rito fu portato a termine e ad ognuno dei presenti fu concesso un Sumbel,  bevuta sacra a base di idromele consacrato agli dei, la giovane norrena si avvicinò al condottiero e catturò la sua attenzione.  

“E tu chi saresti, ragazzina? – esordì con un ghigno provocatore il vichingo quando se la ritrovò poco distante da lui – Non sarai mica l’ennesima gyðja7 giunta per celebrare l’arrivo della nuova stagione?”     
Guthrum l’osservò attentamente: aveva fianchi larghi, seni morbidi e un atteggiamento tipico di una moglie di lancia; era una ragazza singolare, una di quelle che difficilmente avevano incrociato il suo cammino e stranamente questo lo incuriosiva.   
Notò le sue braccia adornate con una manciata di bracciali torque in argento, sulle quali estremità erano state forgiate, sempre in argento, delle teste di animali cari agli dèi: Guthrum sapeva ciò che quei bracciali simboleggiavano, lui stesso ne sfoggiava molti come monito per i suoi nemici, emblema del suo coraggio in battaglia e delle vite che aveva stroncato. La giovane che aveva davanti non era soltanto una sacerdotessa, una Veggente, ma anche una moglie di lancia, una skjaldmær e furono proprio le parole che pronunciò subito dopo a confermarlo:           
“Sono una sacerdotessa di Freyja, dea della fertilità e della profezia. – rispose algida – Sono anche una skjaldmær, una donna guerriera, e sono qui per offrirvi i miei servigi.”          
“E perché mai dovrei accettare i tuoi servigi, Sacerdotessa?”   
Qualcosa gli diceva di stare in guardia, che quella straniera era pericolosa, portatrice di sciagure e di notizie nefaste: ancora una volta si chiese da dove venisse, da quale strano antro nelle profondità della terra fosse stata partorita e cosa l’avesse spinta a cercarlo.                   
“Perché è stato Odino a spingermi a lasciare la mia terra natia, lo Jutland, e mettermi sul vostro cammino; è stato lui a concedermi il dono della vista e profetizzarmi la grandezza e il prosperare dei figli del Nord. – rivelò a voce alta, rispondendo in parte alle sue domande silenziose  – So che il vostro Veggente è morto cinque settimane orsono, dopo una lunga malattia; so che presto le vostre navi salperanno verso ovest, verso la terra degli angli e so che, in questo momento, un messaggero è in arrivo per informarvi della vittoria riportata in Northumbria dai figli di Ragnar, della vendetta che si è finalmente compiuta.”        
“Come sai queste cose, Veggente?” chiese ancora, apostrofandola con quell’importante nome.
Hrafnhildr sfilò il sacchetto contenente le rune dalla cintura e, aperto, ne estrasse una: “Fehu, la runa della prosperità. – annunciò – Continua ad apparirmi ogni volta che cerco delle risposte, è un segno divino: il momento è propizio, un glorioso futuro attende il popolo norreno, chiunque vorrà viaggiare verso ovest e piegare i regni degli angli e dei sassoni.”  
“Sei una ragazza caparbia, insolente e testarda. – Guthrum ghignò – Vieni qui, in questo giorno di festa, nella mia terra, a dirmi ciò che dovrei o non dovrei fare: dimmi, straniera, perché mai dovrei fidarmi di te? Perché mai non dovrei tagliarti quella tua lingua biforcuta e darla in pasto ai miei cani?”
“Tagliarmi la lingua è un vostro diritto, mio signore, e non mi opporrò ad una tale punizione se questo è il volere vostro e degli déi che servo, ma prima vi supplico di concedermi tre giorni.”          
“Sfrontata! – esclamò sempre più divertito Guthrum – Perché mai dovrei concedervi questo tempo?”
“Perché, mio signore, all’alba del terzo giorno a partire da oggi giungerà un messaggero al servizio dei figli di Ragnar per annunciarvi la vittoria sui northumbri che vi ho profetizzato: l’aquila di sangue sta per essere intagliata, i corvi e i serpenti ora banchettano nella grande sala di Jorvìk; i loro occhi saranno presto puntati a sud, sul regno della Mercia, un regno fragile che ben presto si inginocchierà davanti alla potenza dei Figli del Nord.”            
“Parli con impudenza, Veggente, come se ciò che deve ancora accadere sia già accaduto. – Guthrum inclinò la testa e assottigliò lo sguardo adombrato dalle folte sopracciglia – Parli di grandezza, dei Figli del Nord, di terre lontane e io voglio credere che le tue parole siano veritiere.”        
Fece un cenno alle sue spalle, ordinando a due suoi uomini di farsi avanti e uscire dall’ombra dei fuochi che lentamente si stavano consumando: “Tre giorni, hai detto? Ebbene sia: avrai i tuoi tre giorni, ma se nessun messaggero giungerà da ovest con le notizie da te predette, sarò io ad aver la tua lingua tagliata e la tua testa su di un ceppo.”                    
             
 
*




1. Nome norreno che significa Corvo. Hrafnhildr è il corrispettivo femminile del nome Hrafn, che appunto vuol dire corvo.
2. Guerriero semi-leggendario. Il suo nome, Loðbrók, significa letteralmente calzoni villosi. Delle vicende legate a lui e ai suoi figli si narra nella mia storia in parte collegata a questa dal titolo Figli del Nord.
3. I norreni suddividevano, come noi oggi, l’anno in 12 mesi; tuttavia non avevano quattro stagioni, bensì solo due, inverno ed estate, corrispettivamente skammdegi (giorni brevi) e nóttleysi (senza notte).
4. Significato letterale di Odense, città situata sull'isola di Fyn e terza per grandezza in tutta la Danimarca.
5. Sono contrapposti ai Dökkálfar, gli elfi delle tenebre. Entrambi sono adorati e ricevono sacrifici durante i blòt del nottleysi e dello skammdegi.
6. Non si hanno fonti accertate o conosciute della terra natia di Guthrum, di lui si sa solo che era danese, così mi sono presa la libertà di renderlo il signore dell'isola di Fyn.
7. E' la parola norrena per indicare una sacerdotessa. Il suo corrispettivo maschile è goði. Entrambi erano persone normali, spesso anche guerrieri.





Angolo Autrice: Benvenuti - o bentrovati - in questa mia nuova storia! Non so se state seguendo Figli del Nord o se questa è la prima volta che leggete una mia storia, in entrambi i casi posso dirvi che sono contenta che siate arrivati fin qui.
Questa storia, a differenza della prima della serie, avrà per protagonisti personaggi creati interamente da me, ovvero Hrafnhildr e Einarr, ma non mancheranno anche personaggi storici come Guthrum, Ivar Ragnarsson e tanti altri. Inoltre, si può benissimo leggere indipendentemente dall'altra, poichè man mano andrò a (ri)spiegare moltissime cose, usi e costumi della società norrena e non. 
Spero, infine, che questo primo capitolo vi sia piaciuto e di ricevere pareri. Se qualcosa non dovesse essere chiaro, non abbiate timori nel dirmelo, così che io possa fare chiarezza ed essere io stessa più chiara con il procedere della storia.

Alla prossima,
V.
  
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