Essendo un amante della storia
pre-medievale ho voluto
catapultare i miei personaggi durante l’invasione della
Bretagna da parte
dell’Impero Romano. All’incirca il 400 DC, ma non
ho pretese di una esatta
attinenza storica.
Il
racconto doveva
essere una one- shot ma mi sono trovata a doverla spezzettare in tre
parti
perché troppo lunga !
PARTE UNO
Il
comandante
guerriero
Strattonai il
cavallo per rallentarne l’andatura. Dietro
di me sentivo i respiri affannati del mio esercito.
Ribelli, osavano chiamarci. Dopo che
avevano distrutto le
nostre case e invaso la nostra terra, osavano additarci se ci
insorgevamo. Che
ci chiamassero come volevano. Dal
mio
canto eravamo difensori. Sulla mia schiena il peso delle due asce era
sempre
più grande. Come se con l’avvicinarsi della
battaglia , si appesantissero di
importanza e significato. Ricordavo ancora quando il Saggio me le aveva
consegnate.
Entrai nella
sua
capanna, irruente come era mio solito. Non ero tipo molto dedito alle
riverenze
e agli inchini, tanto che restai in piedi ed incrociai le braccia mentre non mi guardava seduto da dietro il suo tavolo
delle mappe. Nonostante
questo lui sapeva che nutrivo un profondo rispetto.
- Mi ha
chiamato?
Tenendo il
capo
chinato e mi fece segno di sedermi.
- Preferisco stare in piedi
signore… ho molto da
fare.
Non
accennò a
guardarmi ma mi rivolse la parola con franchezza:
- E io
preferisco che
ti sieda figliolo perché ciò che ti devo riferire
è della massima importanza. E
come ti ripeto , da non so ormai quanto tempo ,non chiamarmi signore.
La sua voce
era un
vecchio ,caldo, severo e roco sussurro.
- Si....-
borbottai
sedendomi sul ceppo intagliato - perché mi ha chiamato?
Sospirò
e quando mi
sedetti mi guardò negli occhi. Potevo vedere la stanchezza
nelle sue iridi
celesti.
- Miok e
Caradek sono
tornati dalla ispezione. Quello che dicono le altre tribù
è vero. Degli
sconosciuti sono approdati sulla nostra terra.
Lo ascoltavo
in
silenzio, abbagliato dalla sua lucidità e dal suo contegno.
- Dobbiamo
difenderci
, figliolo. Oramai Paragas è troppo vecchio per guidare e
riunire l’esercito.-
sospirò come esausto e nella pesantezza di quel semplice
movimento si leggevano
tutti i suoi anni – Come ben sai, siamo un popolo di
comandanti guerrieri e
quindi non ho pensato a migliore persona a cui affidare
l’esercito…che te.
Deglutii
sileziosamente…la gola era diventata secca
all’improvviso.
-
Perciò, vorresti
accettare la doppia ascia e con questa il comando della nostra armata?
Indicò
le due asce
incrociate e appoggiato al fianco del tavolo.
- Pensavo
che quelle
fossero di Paragas… -risposi.
Il vecchio
rise.
- Nonostante
ti sia
sempre preoccupato di bagnare nel sangue la tua spada nera per noi, non
ti sei
mia preoccupato di capire le nostre tradizioni. Con il comando, vengono
tramandate, da secoli, queste
asce , con
cui i miei antenati hanno conquistato la nostra terra. Queste scuri
sono
antiche, più antiche di me e ricche di potere. Un singolo
uomo non può vantare
di possederle.
Senza dire
nulla mi
alzai e le afferrai. Le feci roteare e una mi passo a un centimetro
dall’orecchio, sibilandomi parole nella crudele lingua del
ferro.
Il vecchio
sorrise e
posò la schiena contro la pelliccia della sua sedia,
soddisfatto.
- Ho visto
molti
grandi guerrieri, figli di queste terre portarle ma mai a nessuno sono
state
bene quanto a te, straniero.
Sorrisi.
Capitava
raramente che mi chiamasse così.
Il
comico era che lo alternava “ figliolo”. Non amava
il mio vero nome forse
perché credeva mi legasse ancora a quel passato oscuro che
avevo dimenticato.
In realtà il mio nome era l’unica cosa che mi
legava al passato. Quello e una
collana che portavo al collo arrivato li, e che avevo regalato a mia
moglie il
giorno delle nozze. Non avevo più ricordi di ciò
che ero se non che ero un
guerriero. E che mi
chiamavo Vegeta.
Mi infilai
la fodera e
me le fissai alla schiena .Il vecchio mi contemplò ancora
per un attimo e poi
sentenziò:
- Vai
figliolo…secondo
Miok saranno nel nostro territorio prima
dell’alba. Hai una battaglia da organizzare.
Da
quel giorno erano
passati circa 6 mesi. Avevo imparato tutto di quel nemico. Della sua
vigliaccheria, dei suoi colpi bassi, del suo disprezzo per
l’onore. Avevo
imparato a odiare il loro comandante. E
tutto il suo esercito. Il rumore degli zoccoli mi
rimbombava nella testa
ogni volta che pensavo a lui. Ma non erano quelli del mio cavallo.
Sentivo il
calore del fuoco. Anche se fuori gelava. Mi
girai.
Mio figlio, camminava spedito, ed
eretto nonostante il peso
della sua spada. Aveva circa 15 anni. Era un leone. La sua chioma
violacea era
trascinata dal vento. I suoi occhi erano carichi di odio, il suo viso
teso come
la corda di un arco.
Il rumore degli zoccoli nella mia
testa mi rapì e gli occhi
avvelenati di mio figlio
accesero il
ricordo.
Faceva
freddo in quei
giorni. Ma non aveva ancora nevicato. La mia bambina non aspettava
altro. Da
parte mia detestavo la neve. Eravamo appena tornati vittoriosi da una
schermaglia con il nemico. Mio figlio era felice .Era un ottimo arciere
e la
sua arma intagliata nelle possenti corna di un alce torreggiava su di
lui senza
riuscire a scalfirne la fierezza. L’unica cosa che ancora lo
legava alla sua
infanzia era il meraviglioso sorriso che gli illuminava il volto. Poi
in
lontananza fumo. E lo stridio dei cavalli.
Dalla
collina potemmo
vedere meglio. Il villaggio era stato attaccato.
Il mio
gruppo di
uomini e io ci gettammo nella coltre di fumo. Non vi erano molti di noi
per le
strade e la maggior parte degli uomini restati a pattugliare erano
morti,
sventarti ed impalati come quando mettiamo a dissanguare le bestie. Poi
notai
che le capanne erano state sigillate. Pesanti assi di legno erano state
inchiodate alle porte, i carretti erano stati spinti danti agli usci.
Appena
svoltammo per
la strada principale spuntarono loro. Demoni , in sella a cavalli
bianchi come
la neve. Inneggiavano
al loro comandante
mentre con delle fiaccole scarlatte incendiavano le nostre case. Molte,
quelle
più lontane dal portone principale fumavano già
di un fuoco esausto. Nelle
orecchie solo il rumore degli zoccoli e il loro coro festoso.
Il mio
cavallo corse
verso di loro, verso la fine del villaggio, verso casa mia. Con la mia
ascia
tesa, uccidevo chiunque mi si parasse davanti, ma non rallentavo.
Alcuni miei
uomini si gettarono su di loro, altri accorsero alle loro case. I
demoni si
scontarono con i miei per poi correre verso il portone principale in
sella ai
loro cavalli freschi, che avevano corso solo dietro donne e bambini.
Davanti a
casa mia, chiusa
e incendiata, ebbi un tuffo al cuore. Smontai da cavallo e sfondai la
porta con
un solo colpo. Mia moglie era davanti a me. Inginocchiata , svenuta,
davanti a
una delle finestre , forse per sfondarla. Erano stati accorti a
chiuderle
dentro. La sua pelle era annerita dal fumo il caldo insopportabile.
La sollevai
e corsi
verso la camera da letto
dei miei figli.
La mia
bambina, di
soli sette anni giaceva anche lei di fronte alla porta . Con la mia
spada nelle
fragili manine. Le
raccolsi e dietro di
me sentii il richiamo, disperato, di mio figlio;
Mi raggiunse prese la sorella e corremmo
fuori.
Le lasciai a
lui e
risalii a cavallo. Le mie asce roteavano vendicatrici e mietevano
vittime,
raccogliendo gli ultimi bastardi che si erano ritardati a saccheggiare
e godere
dei fuochi che bruciavano. Urla indicibili sfregiavano l’aria.
Poi lo vidi.
Era su un
cavallo e contemplava il lavoro fatto. Lanciai un urlo e gli cavalcai
incontro.
Lo avevo visto solo di lontano in battaglia poiché da loro i
comandanti non
sono guerrieri, e si tengono a debita distanza dalla mischia.
Mi vide
arrivare e
sbarrò gli occhi. Lessi più la sorpresa che la
paura. Gli volai incontro come
un’aquila e agitavo le asce come se fossero i miei artigli e
le mie ali.
Lui mosse il
cavallo e
si gettò alla fuga. I suoi lo seguirono in un attimo,
dividendomi da lui. Mi
davano le spalle e non li colpii. Sono un uomo d’onore e
d’orgoglio. Fino alla
fine.
-Sarò
l’ultima cosa
che vedrai su questa terra….-urlai mentre scappavano
Il coro dei
soldati mi
suggerì il suo nome
- Kakaroth , Kakaroth,
Kakaroth!!!
-….Kakaroth!
Poi mi
voltai e cavalcai
verso casa mia. Mio figlio piangeva stremato. Mia moglie era stesa
scomposta
sull’erba. La presi e portai il suo viso al mio. Il suo
profumo sovrastava
anche l’odore del fuoco, del fumo. La strinsi forte come se
potesse rispondere
al mio abbraccio. La mia casa bruciava mentre il mio cuore sanguinava.
Affondai
il muso nelle sue spalle magre , mentre la sua testa cadeva
all’indietro, e la
respirai per l’ultima volta. Non piangevo. Le baciai leggero
la bocca e le
accarezzai i capelli celesti. Sentivo il mio respiro come ostacolato da
un
enorme macigno. Non
poteva lasciarmi…non
doveva lasciarmi. Le accarezzai il collo tremando…la mia
mano si fermò sulla
sua collana. In quel momento i ricordi mi assalirono. Le toccai le
mani. Erano
ricoperte di ferite. Chissà con quale forza aveva
combattuto. Era coperta da
croste su tutto il corpo, sulla sua pelle
candida, come se fosse piovuto sangue su un cigno. Ma per me era
perfetta. Le
accarezzai il volto e , che gli astri mi siano testimoni, se in quel
momento
avessi potuto donarle la mia vita l’avrei fatto. Guardai
Trunks inginocchiato
sulla sorella. Le sue spalle tremavano per il pianto. La copriva come
per
proteggerla. I suoi piedini solo non erano coperti. Aveva tentato di
forzare
una finestra con la
spada. Quindi aveva
avuto il tempo di prenderla. Pensai al dolore che doveva aver provato
soffocando e per un infinito istante soffocai anche io.
Da dietro
una mano mi
prese la spalla. La riconobbi affusolata e
secca.
- Vada via
Vecchio….- sussurrai.
In quel
momento
nessuno meritava rispetto se non mia moglie e mia figlia.
- Una volta
un mio
amico rimase in una caverna sotterranea per tre giorni….-
disse, intuendo i
miei pensieri.
- STIA
ZITTO!! –
urlai. La sua presenza era un insulto in quel momento.
Trunks prese
a
piangere più forte.
- ...e
quando lo
tirarono fuor i - continuò - era
quasi
morto soffocato.
Non sarebbe
andato via
nemmeno se lo avessi minacciato. E allora stetti in silenzio aspettando.
- …e gli
chiedemmo cosa si provasse. Ci disse
che era come un agonia…dove senti ogni cellula del tuo
essere spegnersi in
delle convulsioni di dolore.
La collera
divenne
insopportabile. Ogni muscolo del mio corpo si tese nella rabbia e nel
dolore. Trunks
ormai era l’ombra di se stesso, scioltosi nelle lacrime.
- E QUESTO
COME PENSA
MI POSSA AIUTARE!?!?- gridai voltandomi verso di lui incapace di
alzarmi. Aveva
il viso tumefatto e sangue sulle mani e sulla barba bianca.
Sospirò….e
mi strinse
ancora la mano sulla spalla.
-Non
può…figliolo.
Mi curvai
ancora di
più su la mia amata. Poi
lo vidi.
Candido , freddo e bagnato. Il primo fiocco di neve cadde a pochi
centimetri
dalla sua mano. Alzai lo sguardo. Il cielo ne era pieno… e
con loro caddero le
mie lacrime
Il rumore dei
tamburi mi riportò al presente.
Eravamo
vicini. Trunks si accostò al mio cavallo. Ero
l’unico in sella tutti gli altri
camminavano.
- Il piano rimane quello?
Lo guardai e rividi me stesso. Ma
soprattutto rividi
Bulma. Il mio
pensiero si indirizzo
al mio matrimonio.
Avevo deciso
di
sposare Bulma 7 anni dopo la nascita di Trunks. Lui me lo aveva chiesto.
Lo stesso saggio aveva celebrato. Aveva
anche accompagnato la mia sposa all’altare essendone lo zio.
Lei era orfana di
padre.
Mi sentivo
osservato.
Poi quando la vidi, capii che non avrei più avuto
l’attenzione di nessuno. Era
bellissima. Aveva un vestito corto,
celeste. Il suo sorriso avrebbe illuminato qualsiasi cuore quel giorno.
Il
cielo splendeva e il nostro villaggio e gli altri tre villaggi
appartenenti
alla tribù sedevano nella radura. Camminava
a un metro da terra, almeno così mi raccontò. Io
in realtà la percepii
determinata e seria, forse contenta perché aveva catturato
l’attenzione di
tutti. In fondo aveva sempre
cercato
le attenzioni. E soprattutto sorrideva vedendo che godeva della mia.
Trunks mi
stava a
fianco e mi teneva stretta la gamba. Era un ometto, e sui suoi capelli
corti le
sorelle di Bulma avevano posato una corona di foglie rosse.
Bulma si
fermò davanti
a me, e mi guardò come se mi vedesse per la prima volta.
-
Ciao…-mi sussurrò .
La sua voce era stridula, ed era una delle cose che meno mi
affascinavano di
lei.
Il ricordo della sua voce mi fece
sussultare. Vicino a me
Trunks attendeva una risposta.
- Si…dobbiamo mantenere
questa andatura altrimenti
arriveremo troppo presto e loro non saranno completamente nella valle.
Annuì silenzioso e serio.
Adesso lo era spesso. Aveva smesso
di piangere ormai. Sfogava la sua collera nella battaglia. Non sapevo
quanto
fosse giusto per un ragazzo della sua età… ma non
avevo altro da offrirgli.
-Devi cominciare a
richiamare la tua parte
dell’esercito e
portarvi in appostamento…voglio la metà delle
catapulte e prendi gli arcieri.
Annuì di nuovo e si
girò per obbedirmi.
Il funerale
era stato
diverso dal solito. Il vecchio aveva deciso di non bruciare i corpi,
così li
sotterrammo nel campo dei ciliegi. Erano alberi come altri
quell’inverno ma
sapevo che in primavera
sarebbe stato
speciale. Nessuno parlò…nessuno disse nulla oltre
che le sole preghiere. Le
decine di tombe erano cariche di angoscia. Su quella di Bulma avevo
posato il
lenzuolo delle nostre nozze. Si era salvato insieme a poche altre cose.
Su
quella di Bra vi era una delle sue bambole preferite e la mia spada
nera. Nella
mia mano stringevo la collana di Bulma. Che era ridiventata mia. Ma che
sarebbe
stata sempre sua. Come il mio cuore che aveva smesso di appartenermi da
quando
l’avevo conosciuta.
Di nuovo i miei occhi furono sul mio
popolo. Donne, uomini,
animali…il mio non era un esercito ma un organo di giustizia
e libertà. Lo
spirito della mia tribù. Guardai il cielo. Era limpido.
E’ un bel giorno per
essere liberi…