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Autore: Blacket    05/08/2016    2 recensioni
"Ah, famiglia! Quell'intruglio purulento di cosacce, che se non ci sono è meglio, che se le accetti ti fan schifo e che se te ne liberi oltre i sessanta ti mancano. Valla a prendere tu una famiglia come si deve, che a modesto parere mio c'entra col sangue si e no, e si è uguali solo per convenzione, perché ci fa meno paura, perché ci fa più piacere." [...]
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Antica Roma, Germania Magna, Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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modern family NOTE (Impotante!): Non è stato affatto facile per me usare un'impostazione simile, si distacca molto dal mio solito stile di scrittura. Si tratta di un esperimento, non so come sia venuto e se devo esserne pienamente contenta, spero però possa dare tutta la frivolezza che ha dato a me, nella sua relativa semplicità.
Per chi non conosce Modern Family deve sapere che si tratta di una sitcom che inquadra le vicende di una famiglia "moderna", allargata, come membri molto diversi fra loro. Sono soliti commentare di persona i fatti che accadono come fossero davanti ad una telecamera DOPO l'accaduto, e ho tentato di rendere questo dettaglio cambiando font, essendo il più diretta e scarna possibile, utilizzando tempo presente. Fatemi sapere di una vostra impressione, oltre che essermi utile mi farebbe moltissimo piacere!
Ariovisto: Magna Germania
Augusto: Impero Romano



Asinus asinum fricat.
Un asino gratta l'altro.



Si calcolarono ventidue gradi di pendenza per il terzo scatolone, e non v'era modo che questo cadesse, sebbene sulla pila danzasse, un ubriaco!, ed osservando bene aveva pur messo el gambe a penzoloni.
Non era fila funzionale, l'osservò come peso fiacco e molle sull'animo tormentato di un fisico nucleare che ancora poppa latte. Capelli ordinati, occhi che seguivano quelli di famiglia e brillavano voraci, occhiaie deliziose. Faceva bastare una lamentela silenziosa circa gli imballaggi scorretti che lui non aveva certamente pensato, e fendevano l'aria così da colpire l'orologio sulle undici e pendevano di ventidue- a Ludwig piacevano i numeri, era giovane ma li amava, il binomio lo gradiva pure suo padre che invece non amava parlare. Dicevano che era alto, "è alto!", poiché aggiungere che era anche un uomo libero e ferito faceva paura a parecchi. Aveva combattuto sicuramente in una tribù di zulù ferocissimi - questo Gilbert, ha ancora le ginocchia sporche di terra- prima di distruggersi il braccio destro facendo il manovale, al che sporgeva di qualche deformazione che tutti riuscivano a trovare eccezionalmente prepotente; "quindi un Re, piuttosto della corona, si faccia cadere sei quintali di Edamer addosso che funziona meglio", e nessuno ebbe motivo di contraddire.
Ludwig contava ed era bravo, eppur il suo genitore andava per spanne perché la precisione pareva esser fuori da lui; con moto bizzarro applicava i dettami del più o meno che valevano sia per la benzina che per le affissioni del lampadario -ricordo del metro e mezzo dell'ampolla scesa d'un botto, ventidue gradi di pendenza del terzo scatolone, non cadeva-, e avevano valuta prepotente se il concetto era misurabile solo da qualche buona testa, così che un giorno Ariovisto disse che l'estate sarebbe stata particolarmente bizzarra, più o meno, ed in una settimana il Danubio conobbe un'escursione termotropicale che portò a germinare meravigliosi fenicotteri rosa e due voli dirottati dalla polinesia francese. Li accolsero con birra non troppo buona, giacché erano di natura un poco diffidenti. 



Scatto frontale, primo piano, Gilbert mangia un tocco di pane, sbriciola. Ludwig scosta lo sporco, lo guarda, ha gli angoli della bocca tirati e inchioda la mollica di pane. 

"Siamo appena arrivati, han-..."
"Hanno una bella casa."

Gilbert inghiotte, Ludwig guarda in camera, "Se papà non fosse caduto saremmo da noi",
"Hanno una bella casa."

Gilbert inghiotte, Ludwig guarda in camera.



Feliciano dichiarò che si trattava più di questione di spazio personale, che per lui non v'era problema, ed accennava a sorridere- entrava tutta la luce che poteva quando lo faceva spontaneamente, ed era si radioso a colazione  che aveva incendiato il caffè degli altri, -Romano era gli altri, che un po' credeva al malocchio anche se secondo lui non era vero, e sapeva che il contatto lo vuoi quando hai qualcosa da spartire, ma lui di biondo e d'azzurro non aveva nulla, e quando Lucifero spalancava gli occhi, che eran rossi, lui faceva il segno della croce.


Apertura violenta, messa a fuoco scarsa. Appannato. Romano alza diverse volte le braccia, le rotea, le alza, le rotea.

"Che hai capito, poi, che fanno? Che loro la colazione ci vogliono la roba da pranzo, questi scemi, e il caffé non sanno manco come si beve! C'è quello indemoniato, quello là con gli occhi rossi che entra e ti fissa co' questi occhiacci da satanasso!  Cazzo però, Feliciano, piantala di sorridere, dai!"

Volto a destra, chinato all'indietro, batteria scarica.


Feliciano sorrideva e le cose parevano andar un poco meglio, perché tanto luminose e placide, tanto che si accartocciava tutto l'angolo della bocca e brillava come poteva, si che pur da lontano, Ludwig, vedeva la marmellata di fragole prendere la tintarella sulla fetta biscottata, e il giovane Vargas sorrideva e lo guardava, ed era un sole. In realtà portava l'apparecchio, rifletteva dalla finestruccola aperta.
Eppur il giovane pastore tedesco, avvertendo con l'età i pruriti consoni all'uomo di mondo, se lo riguardava con tutta la placidità del caso, conscio che se voleva poteva esser scemo ed altrettante volte lucidava il capo e aveva la parlantina tutta d'oro, preziosa e fluente. L'aveva sentito cantare e non aveva colto alcuna differenza, pur mentre chiedeva scusa a proposito del fatto che entrasse nella camera d'altri senza permesso, che amasse inciampare poi nel portatile di Ludwig, di cui in passato era riuscito a cavar fuori qualche vanto. Ogni pedata a retrogusto ragù mandava in viaggio l'high resolution passo a passo, e da una settimana si scriveva in ungherese piuttosto che tedesco, causa svista.
Si nota che v'era sempre quel tipo d'incongurnza appiccicosa e malaticcia ma superba, quella del tempo e delle abitudini che uomo e donna cercano di far uguali quando non possono: accadeva che si guardassero d'un tratto, mentre l'uno accennava alla pasta, come a dire che se ne voleva un po' poteva andare, e invece l'altro inforcava la birra come la vecchia fanteria di motococlisti con le cosce strette alle rolls-royce e occhiali da fondo-strada.

Ben prima della route 66, Ariovisto compiva una fatalità particolare che non fosse mettere al mondo Gilbert con una donna che lo avrebbe lasciato; ma lui, faticatore delle genti e terrore del circondario, capitò che per onor di compagnia si dovesse sacrificare a rivoltare tale magazzino, che aprendo bene le fauci gli disintegrò il polso, l'ulna, voltò il gomito come fosse una di quelle porte girevoli che mai gli erano piaciute. Non gli piacque la degenza, perdere il lavoro, non amò salutare per poco casa, grugnì all'entrata dell'aeroporto di Francoforte con aria consumata.



Camera storta, offuscata, ancora storta, prende un colpo, obiettivo oscurato; "Oh, cielo, eh"
Camera storta, riprende Feliciano sporco di tempera. Passa il polso sotto al naso.

"Nostro nonno è ancora giovane e buono, ovvio che si sia offerto di aiutare un vecchio amico. Lo avrei fatto anche io, penso.
La casa è grande poi... anche io si, penso."


Allorché al terzo giorno, ove sono solite accadere cose importanti, Ludwig osserva lo scatolone numero tre, che ha ventidue gradi di pendenza, eppur non cade. Sebbene Romano inista che quivi si rubino mutande perché di marca, e voi non le avete, e son sicuro che utilizzate delle foglie e bambù; parla in dialetto speranzoso di non esser capito, e Gilbert, il demone bianco, più lo guarda e più gli par che balli, che tutto quel suo agitarsi terrifico fosse un canone della chiesa cattolica, da sempre amante dello sport su panca. Quindi l'italiano rosso e fumante, l'Etna gorgogliante e vivo portava una mano a coppetta innanzi al muso arcigno più simile alle maschere del carnevale, l'agitava su e giù, poi apriva dita e braccia e mani e l'ignoranza platonica del tedesco, che ricordava solo l'azzurro impietoso della casa di campagna ed ora gli lanciavano in faccia quei segni tribali di comune uso. Lui stesso pareva volersi pulire ogni tanto, come fossero pericolosi, e s'appuntava gelsomino al petto senza farsi vedere, così che lo avrebbe protetto.
- Tu, voi, VOI, ..- per logica secondo la quale più si urla e più ci si rende comprensibili, - lasciate robba, cose, VOSTRE COSE, CO-SE, le...eh, si, le ROBE nei miei posti! E non guardarmi così, non guardarmi, tu e i tuoi occhiacci rossi!- e riprendeva a danzare, a maledire, e con un paio di nacchere magari sarebbe stato più contento. Gilbert accusa, rimbeccato, macina il suo povero dizionario italiano,
- O ziete foi? Foi? TU, is ist richtig*?!- aveva poi, di per sé, un'orribile postura storta, nata da un sistema di camouflage protrattosi troppo a lungo: quando l'espressione di Ariovisto esplodeva e dalla sua gola d'ottone ululava il nome del figlioletto albino, questo si chinava sotto le assi del poggiuolo, ove v'erano felci verdi ed ortiche e bruchi grassi a mangiucchiare le caviglie- nei giorni di rugiada il sospirare del vespro li rincretiniva, dormivano. Il bimbo prese l'abitudine di acquattarsi a quel modo sino ai diciassette anni e metri uno e settantasei, e l'ultimo saluto alla famiglia del sottosuolo fu coronato da un fisioterapista ed un falegname, che era comunque suo padre e al posto dell'ascia usava quelle sue grandi manone sperando pure di colpirlo non troppo accidentalmente.
Per non parlar poi della voce!, -Non cj date szpazio.-, il gracchiare consumato d'una lamiera, arrugginita e raschiata, il canto sgraziato d'un corvo!


Stacco, mezzo busto di Romano e Feliciano, il minore copre il volto e si accarezza i capelli, l'altro respira, si passa una mano sulla fronte.

"Ho solo voluto dimostrare quel che dicevo, Gesù Santo, e-..."
"Non c'era bisogno che chiamassi il nonno e che lo importunassi," si accavallano le voci, non si guardano in faccia, gesticolano, "E che ne sapevo io, Felicià,", "Ma la pianti?!", "No, sent-...", "DIO, li vedo ancora! Sono sotto le mie palpebre! SOTTO- LE- PALPEBRE."



"Chiedo al nonno, va, se non ho ragione", "ed io al mio vecchio", disse Gilbert, in un neodialetto dalle sfumature da bassa bergamasca, l'equivalente sonoro di una cannonata: al che si dichiara guerra, e nel momento in cui si mangiarono le scale due a due si pensa alle proprie, di ragioni; Feliciano segue e sorride, si sa per esperienza che canticchia l'inno di Mameli perché ha letto da qualche parte che è provvisorio e non vuol rischiare che si perda dove non può più trovarlo. Ludwig osserva gli scatoloni, ha in mano un I-Pod costruito ex novo con una quindicina di euro e badilate di passione, passa in rassegna la quinta sinfonia di Beethowen; fra poco taglierà sull'inno alla gioia, lo fa da quando ha scoperto che il quaranta di piede del giovane Vargas fa saltare ogni canzone dopo cinque minuti e tre.
- Oh, ora vedremo, vedremo!-
Romano scivola, non ha gambe così lunghe, l'apprensione del minore lo porta su per le scale, a ridosso d'una porta che vien presa come trincea di fronte: non v'è tempo di richiamare il genitore!, s'arriva al portone e gli si sbuffava contro, tanto che la mano di Veneziano avrebbe potuto afferrar i vapori di tutto quell'orgoglio consumato. Si, sbuffa, sbuffa.
Si sbuffa, si sbuffa pure d'altra parte.

Ludwig taglia sull'Inno alla Gioia, i violini ronzano pacati mentre rimane piantato sull'angolazione di pendenza.
Augusto era impegnato a far altro, si che i nipoti non potè certo sentirli, eppur pure lui s'intendeva di geometria- tiene inchiodato un omone biondo al letto, e se non si parla di angoli se le ginocchia non vengono piegate ad un certo modo e non ci si afanna tanto per trovare giusto spazio, quando lo si fa? Senza vestiti, per carità, che la geometria va fatta in libertà.
Buffano tutti, chi per un motivo o per altro.


Freude, schöner Götterfunken,
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken,
Himmlischer, Dein Heiligtum !

Tre petardi.
Saltano per aria, dinamite dalla cieca furia: esplode per primo Romano, che non sa di portarsi appresso l'isteria, e d'un botto diviene una fiamma e si tiene lo stomaco, sul volto l'impronta indelebile del peccato. Furibondo e vomitevole, arrabbiato poiché voleva nascondere la vergogna, "E Dio, Dio", pregava, inciampa sull'entrata del bagno. 
Il secondo fu Gilbert, che scende tredici scalini con due passi, e sbarra gli occhi e ficca la testa nel lavello e se avesse potuto pur nello scarico, dicendo che li vede pur se si lavava gli occhi, li vede ancora ed erano innanzi a lui, e son nudi e stavano facendo quello, proprio quello. Ultimo Feliciano, che scopre allora di soffrir di panico, e si prende abbastanza tempo per giurare di aver sentito Augusto ridere loro dietro, col tempo iniziò a pensare fosse mera allucinazione.
Eppur Ludwig, che era ignifugo e amava la musica prepotente nelle orecchie, osserva di nuovo rapito i ventidue gradi di pendenza del terzo scatolone, controlla che la melodia non passi i cinque e tre e ancora non capisce come possa non cadere.
Lo trovò eccezionale.

Ja, wer auch nur eine Seele
Sein nennt auf dem Erdenrund !
Und wer's nie gekonnt, der stehle
Weinend sich aus diesem Bund.


Camera accesa, Augusto in primo piano si mangia una mano con l'altra. Sporco di farina.
Sorride in profondità, verso altro; illumina tutto, ma non porta l'apparecchio.
Batteria scarica.


*è giusto?


  
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