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Autore: Belarus    06/08/2016    1 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates.
Note: Capitolo dall’atmosfera greve preannuncio e con una Aya che, nel momento del bisogno aggiungerei, non si può dire che faccia le veci di Killer, ma diciamo pure che da libero sfogo al suo lato più strong. In merito a ciò vi prego di leggere con attenzione il suo POV e quello di Kikazaru in cui compare di sfuggita perché non vorrei che sembrasse un tantino troppo dura o “insensibile” ecco. Ho voluto mettere in luce una parte del suo carattere, solitamente nascosta dietro tonnellate di pazienza ed educazione, che ha e che con il trascorrere del tempo per ovvie ragioni legate all’impegno sotto ogni punto di vista del viaggio le si è accentuato ancor più in determinate circostanze. Per il resto non posso che dire d’essere giunta alle ultime battute, tra pochi capitoli – forse due – arriverà l’ultima saga della storia e la sua conclusione, quindi… niente, ho già detto troppo. Un ringraziamento di dovere a chi continua a seguire arrancando sulla scia del traguardo, chi mi osserva dall’oscurità sperando che mi tolga dai piedi e chi passa soltanto chiedendosi cosa diamine succeda qui.






CAPITOLO LXVIV






Li aveva visti arrivare al largo nonostante il cielo cupo, mentre vegliava dalla sua piroga a motore il tratto di mare burrascoso attorno a Serranilla nel dubbio che i nemici di Eustass Kidd potessero ritornare. All’orizzonte però erano comparse solo tre navi da guerra con le vele bianche e il simbolo della Marina dipinto su dalla medesima rotta che lui stesso aveva intrapreso, annullando così il vantaggio che i pirati erano riusciti a guadagnare. Titubante aveva atteso di scorgerla tra l’equipaggio sul ponte per avvertirla, ma era stata un’attesa del tutto vana, la sua figura non era riemersa dal ventre della nave silenziosa nemmeno quel giorno e i marines nel frattempo erano sbarcati, spingendolo per la prima volta dal suo approdo ad allontanarsi.
Con il cappuccio del giaccone verde calato sulla zazzerra castana, allungò lo sguardo oltre i pali dell’edificio sotto cui si era riparato spiando la figura di suo fratello, mentre avanzava su uno dei ponteggi di fronte con un ristretto gruppo al seguito e il giaccone da ufficiale sulle spalle spioventi.
«Catturate chiunque possa avvisarli, qualsiasi membro dell’equipaggio vi troviate davanti lo voglio in catene. Non devono sapere che siamo qui finché non saremo pronti a prenderla.» stabilì, rimandando indietro senza neanche un’occhiata uno dei propri uomini affinché si occupasse di quell’apparente spinoso compito.
Dall’incidente di giorni prima erano pochi i membri della ciurma di Eustass Kidd che scendevano dalla nave, tre soltanto a voler essere precisi e percorrevano sempre la medesima via piena di pozzanghere che collegava il porto soprelevato su cui si trovava la nave alla drogheria in cui recuperavano i medicinali. Pur guardandosi attorno con apprensione non battevano nessun’altra strada, non si spingevano nei locali, si muovevano a stento lungo quel breve percorso come se anche soltanto un passo in più gli potesse costare una fatica insopportabile. Piuttosto che aizzarli in una rabbia cieca vedere il loro capitano in quelle condizioni aveva fatto perdere loro l’unico punto di riferimento che contasse, erano intirizziti in uno sgomento che non li avrebbe fatti imbattere nei marines lungo le vie, ma li avrebbe cacciati presto in una situazione ben peggiore di quella in cui si trovavano e quell’eventualità per lui era da impedire ad ogni costo.
«Occupatevi del canale d’uscita, non deve passare nulla per le prossime ore.» sentì ordinare in direzione dei due gemelli rimasti indietro e gli fu chiaro di non poter attendere oltre.
«È impossibile chiuderlo completamente, finiremmo per annegare l’intera città con la corrent-» tentò di ribattere Mi, non ricevendo la benché minima attenzione dal maggiore dei gemelli.
«Troveremo un modo andiamo.» assicurò laconico Iwa, scoccando a Kikazaru una lunga occhiata muta prima di tornare sui propri passi e discendere per la scaletta sotto la pioggia battente.
«Ti sei bevuto il cervello anche tu?» insistette a lamentare Mi dietro di lui, fermandosi di colpo con espressione dubbia nello scorgere per un secondo la sua figura dalla parte opposta della via.
«Se impiegassi la metà delle energie che sprechi a parlare per lavorare ti avrebbero fatto ammiraglio.» lo zittì allusivo l’altro, tirandolo con sé lungo la strada piena di pozzanghere scintillanti.
Resistendo alla tentazione familiare rimase nascosto tra i pali di sostegno finché le loro figure non furono lontane e solo allora tornò a voltarsi, sbirciando un’ultima volta Kikazaru fermo con le mani poggiate alla balconata del camminamento.
Quella storia aveva ormai gravato in maniera indelebile nelle loro vite, li aveva tormentati, cambiati e non c’era più alcun modo affinché le cose potessero sistemarsi per tutti. In ogni istante Shi pensava alle scelte che aveva fatto, a ciò che si era lasciato alle spalle e in ogni istante, suo malgrado, si rendeva conto che Kikazaru era il suo unico rimpianto. Avrebbe voluto che per una volta l’altro ascoltasse ragioni non sue, che capisse quanto quella caccia fosse sbagliata, ma sapeva che non sarebbe mai stato in grado di trovare parole che potessero raggiungerlo ora che era diventata una questione di principio, che i rimpianti della loro infanzia erano venuti a galla come ceppi ormai marci. Non gli restava altro da fare che salvare quella ragazza, vittima di una colpa inesistente nel loro passato e nel suo presente ed opporsi nell’ombra alla sua stessa famiglia.
«Voglio proprio vedere come riuscirai a scapparmi questa volta mostro.» lo udì bisbigliare tra sé nonostante lo scroscio della pioggia e aggrottò la fronte in un misto di rammarico e preoccupazione.
Rimase per qualche secondo a guardare uno strano ghigno delinearsi sul suo volto sempre serio e solo quando la morsa che gli gravava nel petto fu troppa da sopportare, tirò in un gesto distratto il cappuccio sulla testa allontanandosi tra gli edifici veloce per fare ritorno al porticciolo in cui la ciurma di Eustass Kidd aveva messo alla fonda la nave.
Pareva proprio ormai che il meglio che potesse sperare fosse di evitare il peggio.



«Teru-Teru Bouzu, Teru Bouzu, sore de mo kumotte naitanara sonata no kubi wo chon to kiruzo.»
Tra una preghiera di Ko e l’altra, il panno continuava ad asciugarsi a contatto con la pelle bollente e la febbre a non scendere. Glielo tolse dalla fronte e lo immerse meccanicamente nel catino, raccogliendo la soluzione d’acqua e alcool per poi poggiarlo di nuovo nel medesimo punto. Una goccia scivolò lungo la tempia correndo giù per la giugulare sino al petto, ma finì la sua fuga precipitosa lì quando un altro panno la raccolse inumidendo il torace quasi immobile. Lo passò sul braccio, sull’addome contratto come in preda ad uno sforzo, sul collo e sul viso, riponendolo ad operazione conclusa per sollevarsi dalla poltrona che aveva trascinato accanto al letto e dirigersi alla scrivania. Riempì attenta ogni bacinella con dell’altra acqua fresca e nel terminare quella spiacevole routine ispirò più a fondo, arrestandosi non appena l’aria raggiunse il fondo dei suoi polmoni.
Puzzava ancora appurò e si mosse di scatto, divorando i metri che la separavano dall’unica finestra della cabina per lottare con le cerniere e spalancarla.
Il pavimento doveva essersi inzuppato di sangue nonostante le sue veloci pulizie e quando l’ossigeno cominciava a mescolarsi agli effluvi della febbre, delle bende medicinali e dei loro stessi respiri, un miasma acre e ferrigno quasi di cadavere prendeva a spandersi intorno dandole i nervi. Non c’era o ci sarebbe stato nessun morto né moribondo in quella stanza, non doveva esserci quel lezzo.
Con le mani ancora poggiate ai vetri corrosi dalla salsedine si beò per qualche secondo del profumo della pioggia che rinfrescava la stanza, finché il cigolio della porta non la fece voltare svelandole la figura muta di Killer che tentennava sull’uscio in attesa. Ne intercettò la direzione dello sguardo malgrado la maschera e senza parlare ritornò alla scrivania, afferrando un rotolo di bende per cambiare la medicazione a collo e viso. Ceduto il proprio posto sulla poltrona al vicecapitano si sistemò accanto a Kidd, incurante d’aver occupato il vuoto lasciato dall’arto perso poco sotto la spalla e s’impegnò nel bendaggio. Più di una volta sentì gli occhi del biondo puntarla, mentre i suoi polpastrelli scivolavano sul capo dell’altro annodando le strisce di stoffa, ma si convinse a parlare solo molto tempo dopo, quando ormai era tutto terminato e Killer aveva ripreso a fissare il viso del rosso nella speranza che qualcosa variasse nella sua espressione immobile da giorni.
Non trascorreva mai nella cabina più di trenta minuti, in compenso però faceva su e giù dal ponte della nave per controllare quel poco che c’era da controllare in quei giorni.
«Si sveglierà non appena ne avrà le forze. Ha solo bisogno di riposare e tu di farti controllare.» proruppe sicura, accennando poi perentoria con il capo all’ustione che celava sotto le bende.
Quasi tramortito da quel tono o forse dall’interruzione di quel silenzio greve, Killer la fissò muto per un lungo momento per annuire alla fine in un sibilo metallico che lei riconobbe tipicamente suo.
«Dovresti riposare anche tu.» consigliò impensierito, persistendo nell’osservarla e la sua bocca si aprì prima ancora che il suo cervello potesse appurare che la risposta che stava per dare avrebbe stroncato quella misera conversazione.
«Non sono stanca.» negò con una scrollata di spalle, rimettendosi in piedi per fare pulizia delle bende sporche.
E non era una bugia quella che aveva appena detto. C’erano troppe cose a cui badare perché si sentisse stanca, il suo corpo era in continuo movimento e quando le capitava di stare seduta senza far nulla, la sua mente insisteva comunque a non fermarsi. Un flusso di pensieri indistinti e proiettati al futuro più prossimo l’aveva investita in pieno, riempiendole la testa di talmente tante osservazioni concrete da fargli dimenticare il resto allucinante in cui era solita intrattenersi. Scissa nella propria interezza andava avanti per inerzia incurante dei bisogni più elementari, con la certezza assoluta che vi fosse qualcosa di più importante da fare e che se non l’avesse fatto lei nessun’altro se ne sarebbe sobbarcato il peso. L’equipaggio, persino Killer che all’apparenza controllava ancora tutto, era piombato in uno stato di torpore terrorizzato da cui Aya si era scoperta immune per una freddezza che non le pareva propria e nemmeno naturale dati i precedenti della morte di Ko.
«Allora va sul ponte, in cambusa, ovunque ma esci da questa cabina. Sei chiusa qui da quattro giorni ormai.» s’impuntò Killer sorprendentemente e nel suo tono lei intercettò il sospetto che tutto quell’autocontrollo fosse in realtà il preannuncio di un crollo emotivo.
Aya stessa ne aveva sospettato in un primo momento, ma la verità cui era giunta e che in un certo senso l’aveva persino spaventata di se stessa, insinuandole il dubbio di essere una pessima persona, era che non sentiva la necessità di disperarsi per il dolore di Kidd. Tutto ciò che le sembrava necessario era fargli riprendere coscienza affinché non si trovasse a dover vedere il fiume Sanzu, il resto era un caos indistinto e superfluo per cui avrebbe volentieri strigliato l’intera ciurma.
«Non importa… e poi sono più utile qui. Al medico viene una crisi di nervi ogni volta che entra.» borbottò con un velo di rimprovero, richiudendo le imposte della finestra adesso che l’aria era finalmente ripulita.
Quattro giorni erano un tempo lunghissimo a suo giudizio e non avrebbe mai voluto starsene reclusa di sua volontà, ma aveva delle priorità da rispettare. Avrebbe rinfacciato quella faccenda a Kidd in futuro, insieme alla scelta di prendere a bordo quel fattucchiere.
«E a te nulla.» notò Killer senza alcun biasimo e Aya si fermò davanti alla scrivania.
«Sarebbe inutile.» concluse dopo un secondo di silenzio, vedendo di sfuggita l’altro annuire con pesantezza.
Le fu di colpo chiaro osservandolo lì seduto in silenzio che a quel pensiero dovesse essere arrivato anche lui, ma le parve altrettanto evidente che stesse cercando con molte difficoltà di riacquistare il giudizio maturo di cui era sempre stato l’unico dotato lì e che era stato inevitabilmente incrinato dalla colpa per non aver potuto far altro che condividere in parte il dolore del proprio capitano.
Killer era stato disponibile con lei dal primo momento nonostante i non celati dubbi in merito alla sua permanenza per molto tempo, poteva dire di aver istaurato con lui e con Wire un abbozzo d’amicizia. Le sarebbe piaciuto poter fare qualcosa per ficcargli in testa che la colpa di quell’incidente era stata dell’imprudenza generale all’arrivo nello Shinsekai e non soltanto sua, ma un discorso del genere avrebbe sortito forse l’effetto contrario in quell’istante.
Preferì quindi tacere, affaccendandosi nelle proprie occupazioni di quei giorni senza gravare oltre con il proprio sguardo sul vice, ma riuscì in quell’operazione solo fino a quando qualcuno dell’equipaggio bussò veloce alla porta prima di aprirla, facendo cenno dalla soglia al biondo di seguirlo subito. Entrambi non impiegarono meno di qualche secondo per sparire in corridoio e Aya abbandonò muta il panno che reggeva per attraversare la stanza nell’udire voci concitate dal ponte sopra la propria testa. Immobile sulla soglia rivolse un’occhiata interrogativa al cuoco strisciato fuori dalla cambusa in fondo al corridoio con un coltellaccio in mano, quello aggrottò però soltanto la fronte rugosa ignaro quanto lei di cosa stesse accadendo. Almeno finché una parola tra le molte non le s’insinuò ben distinta nelle orecchie, spingendola dopo quattro giorni fuori dallo spazio limitato della cabina di Kidd sino al ponte bagnato della nave.
«Tu.» riconobbe con fredda esasperazione, squadrandolo tra il silenzio improvviso non appena fu di sopra.
Pensava d’essere stata abbastanza chiara l’ultima volta che avevano avuto modo d’incrociarsi, ma era chiaro che quei marines non sapessero rassegnarsi a lasciarla in pace.
Trattenuto per le braccia, con il petto che quasi strisciava sul pavimento e l’attenzione non benevola dell’intero equipaggio addosso, Shizaru sgranò gli occhi nel riconoscerla protendendosi in ginocchio verso di lei con uno slancio che le fece sollevare un sopracciglio tanto le parve inusuale ai suoi modi sempre pacati.
«Signorina! L’hanno trovata seguendo le tracce da Myramera, sanno che è qui a bordo!» proruppe allarmato, facendole indurire i tratti del volto chiaro.
«Lo conosci, di cosa sta parlando?» s’intromise Killer, dando voce alla confusione generale.
L’aveva avvertita che il Governo non avrebbe impiegato molto per chiarire il dubbio in merito alla parte di mondo in cui doverla cercare se fosse stata coinvolta in eventi di spicco e Aya stessa aveva causato – certo senza pentirsene – il più clamoroso che si potesse ideare. Benché Re Boro si fosse speso per attribuire tutta la colpa ai rivoltosi di Moundhill e ad Eustass Capitano Kidd pur di coprirla, la Marina non aveva avuto molte difficoltà nel giungere alla conclusione che anche lei fosse coinvolta in quell’attentato all’ordine del Regno dei Mononobe. Da lì a stabilire che sarebbe bastato intercettare il novellino con la taglia più alta dell’intera generazione terribile per trovarla era stato un passaggio piuttosto elementare considerati i precedenti.
«La Marina mi cerca da più di tre anni ormai, pare siano finalmente giunti alla conclusione che io stia con voi.» spiegò spiccia, ma ebbe appena il tempo di terminare la propria frase prima che il marines parlasse di nuovo.
«Non c’è tempo, tra meno di un’ora il canale d’uscita sarà sbarrato! Sono mortificato per l’ordine, ma deve venire con me, subito, l’isola è sotto il controllo della Marina, non è più sicura.» rivelò greve, tentando di rimettersi in piedi venendo però subito ricacciato in ginocchio dal tridente di Wire.
Serranilla non era mai stato un posto sicuro con la sua posizione elevata rispetto al Grande Blu, era già stata un’impresa per il navigatore portare la nave su quella corrente ascendente e altrettanto per farla passare lungo il condotto che era stato creato tra gli edifici. Rimanere bloccati lì sopra non era un’eventualità impossibile anzi e adesso che la Marina stava per chiudere l’unica via d’uscita minacciava di diventare una certezza alquanto pericolosa circondati com’erano.
«Io non verrò con te da nessuna parte.» precisò secca, mentre la sua mente – rinvigorita dall’aria aperta – correva già altrove rifiutando d’impelagarsi oltre in quel dibattito per lei superfluo.
Shizaru tuttavia non fu della sua stessa opinione e malgrado Aya avesse smesso di puntarlo, spostando la propria attenzione sui dintorni annacquati della città visibili dal ponte, si fece risoluto avanti strisciando sulle ginocchia fradice coperte dai pantaloni marroni.
«Ero in strada quella sera, ho visto cosa è successo a Eustass Kidd. Questi pirati non possono difenderla adesso e lo sa anche la Marina, approfitteranno di questa occasione, non ne avranno di migliori. Se non verrà con me ora Signorina li attaccheranno e i miei fratelli la consegneranno al Governo insieme a tutti loro. La prego!» sbottò senza mezzi termini pur di convincerla a smuoversi da quella decisione.
Quello che forse secondo la sua logica avrebbe dovuto metterla davanti ad una sola scelta, provocandole anche egoisticamente della paura per la propria sorte, ebbe come unico risultato in Aya un moto tale di astio nauseato da spingerla ad abbassare nuovamente le iridi ambrate sulla sua figura con così tanto freddo biasimo da raggelarlo lì dove si trovava ancor prima che potesse parlare.
«Secondo il tuo codice d’onore da uomo giusto dovrei dileguarmi lasciandoli in una situazione del genere? È questo che mi suggerisci e che faresti? Scappare per salvarmi di fronte ad un problema che ho causato io?» domandò retorica, vedendo il marines rendersi conto del proprio errore solo in quel momento.
Aveva intuito in quel poco tempo che era stata obbligata a trascorrerci assieme per la sua ossessione, che Shizaru avesse fatto tutto in quegli anni con il solo scopo di essere dalla sua parte, ma quelle frasi erano qualcosa che non tollerava di sentirsi rivolgere come soluzione ad un problema perché alla sue orecchie erano tutto fuorché soluzioni. Avrebbe preferito farsi trascinare per i capelli a Marijoa e venire costretta a trascorrerci il resto della propria vita piuttosto che voltare le spalle a quella che era diventata la sua famiglia, piuttosto che calpestare ciò che Ko aveva visto in lei, ciò che Aya stessa aveva sempre voluto essere.
«Ha ragione, mi perdoni… la mia unica intenzione è aiutarla…» lo sentì scusarsi a capo chino.
«Allora avresti dovuto farlo, non piombare qui con quella proposta ridicola.» gli fece notare, mettendo fine alla questione voltandosi verso Killer di qualche passo più indietro.
«Bene. Vogliamo andare?» gli chiese spiccia, con l’intenzione di non attendere un istante di più per approfittare di quel misero vantaggio che ancora avevano.
Rimanere era fuori discussione, forse avrebbero retto agli attacchi, ma non potevano garantire in uno spazio tanto limitato e senza alcuna protezione l’incolumità della nave e in quel momento quella implicava anche l’incolumità di Kidd. Starsene lì in attesa che la rovina li investisse sarebbe stato da stupidi, andare via e cercare un altro luogo, magari sicuro questa volta, era tutto ciò che potevano e dovevano permettersi.
«Andare?! Non possiamo muoverci con il Capitano in quelle condizioni!» lamentò intromettendosi uno degli uomini, ma la voce metallica del vice lo zittì greve annuendo all’interno della maschera lucida per la pioggia.
«Dobbiamo invece, è l’unica cosa da fare.» troncò, dirigendosi a passi ampi dal navigatore affinché liberasse la nave dall’ancoraggio e Aya fu sul punto di seguirlo, ma dovette arrestarsi quando il tridente di Wire si conficcò nel pavimento fradicio.
Shizaru doveva in qualche modo essere riuscito a liberarsi per un secondo dalla morsa in cui lo avevano bloccato per tentare di afferrarle la caviglia pur di chiamarla indietro.
Lo guardò impassibile, mentre rompeva il riguardo che continuava a tenere in rispetto al suo sangue fronteggiandola pure da quella posizione di svantaggio e lo vide insistere nel farsi avanti, nonostante la minaccia di venire trafitto, arrancando di un passo pur di guadagnarsi la sua attenzione.
«Mi permetta d’aiutarla, la supplico, per farmi perdonare. Almeno questa volta, solo questa.» eruppe con una afflizione quasi perentoria e Aya rimase per un lungo momento a squadrarlo in silenzio, prima di accovacciarglisi di fronte.
Cacciarlo di nuovo non sarebbe servito quanto l’ultima volta, farlo chiudere in una cella le avrebbe messo un tarlo nella testa e spifferare che fosse un marines dando all’equipaggio motivo di sfogarsi su di lui sarebbe stato ingiusto. Le rimaneva soltanto un’opzione da intraprendere, nella speranza magari che bastasse a soddisfare quella sua volontà togliendoglielo dai piedi una volta per tutte, ma alle sue condizioni.
«Non accetterò che se la prendano con nessuno di loro al mio posto. Questo deve esserti chiaro, mi hai capita?» scandì in un sussurro allusivo che le venne fuori quasi rabbioso e lo vide annuire subito suo malgrado con serietà.
Non era disposta a coinvolgere nessuno in quella faccenda solo sua. Se il Governo voleva farlo allora avrebbe dovuto occuparsi prima di lei, perché finché avesse avuto la forza di respirare non avrebbe tollerato che un’altra soltanto delle persone che le stavano a cuore venisse toccata al suo posto.



Nel bel mezzo dell’edificio, camuffato per la strana architettura marina tra i migliaia della città, l’insegna senza nulla d’eclatante a suo dire era riuscita a focalizzare su di sé l’attezione di un folto gruppo degli Heart pirates. Bloccati, con le bocche chi più chi meno spalancate e gli occhi che scintillavano per l’esaltazione del momento, la contemplavano come se d’improvviso avesse dovuto rivelar loro un qualche mistero dell’umanità o magari piuttosto, ne potessero uscire fuori figure favolose, abbacinanti, in grado di spingere i loro spiriti ad una vera estasi mistica che Trafalgar continuava con sguardo indifferente a studiare senza condividerla minimamente.
Tralasciando il tedio di restare per parecchi minuti in silenzio davanti ad un edificio come un altro che data la fase di libera attesa che stavano attraversando non era poi un problema, Law non comprendeva emotivamente – perché scientificamente gli si profilavano interi tomi sulle macchinazioni sadiche dell’ipotalamo – come ci si potesse ridurre in quello stato alla sola idea di farsi servire da qualcuno. Si sarebbe persuaso di quella reazione ad atto compiuto, davanti all’emblema di tanto desiderio, ma a distanza con la sola prospettiva no. Almeno non subito, adesso cominciava seriamente a ponderare l’ipotesi che si trattasse di un riflesso condizionato.
«Non posso crederci. Questo… questo… questo è un sogno che si avvera!» balbettò quasi commosso Shachi, interrompendo il lungo silenzio in cui erano sprofondati alla vista di quelle due parole scritte in rosso.
«Prima Amazon Lily e adesso il famosissimo Mermaid Cafè.» gli fece eco Penguin, piegando con un sospiro estatico il capo dondolando il proprio pompon.
Si trattava certamente di un riflesso condizionato, appurò Law dopo quell’uscita evocativa.
Li aveva già visti più volte dare sfoggio di quella loro debolezza nei confronti dell’altro sesso e gli era chiaro che bastasse un nome, ora anche un luogo per innescare quella reazione. Il che faceva perdere alla situazione quel minimo d’interesse che per lui aveva avuto sino ad allora.
«Qui lavorano solo le più belle sirene dell’isola degli uomini-pesce.» constatò il nuovo membro dell’equipaggio, annuendo con fare solenne sotto la maschera sghignazzante.
«Possiamo entrarci Senchō?» gli sbottarono contro tutti dopo un secondo di silenzio, spingendolo per un secondo a tirare indietro il capo per la sorpresa.
Quella era una domanda che non andava sottovalutata. Se avesse dato il proprio permesso con molta probabilità la loro attenzione sarebbe calata, avrebbero avuto un passatempo che li avrebbe occupati al posto delle mansioni di rifornimento di bordo e c’era persino l’eventualità che spendessero tutto quello che avevano nelle tasche per roba che avrebbero comprato solo per vedere una sirena portarla al tavolo. Per contro se avesse detto di no avrebbero tirato fuori espressioni mortificate che si sarebbero prolungate anche dopo l’abbandono dell’isola degli uomini-pesce e i bisbigli di quella “grandiosa occasione mancata” gli sarebbero giunti alle orecchie dalle cabine e nei corridoi durante i turni serali.
«Se ci tenete tanto.» acconsentì piatto ed ebbe appena il tempo di vedere i loro volti brillare, prima che sparissero di corsa dentro abbandonandolo nel mezzo della strada.
In fondo quel soggiorno era privo di reali impegni, la sua proposta al Governo era stata portata a termine e non gli restava altro da fare che aspettare notizie, il piano procedeva e i berry non erano mai stati un problema. Lasciare che si divertissero non sarebbe stata la fine del mondo, si fidava di loro, non avrebbero combinato guai. Immobile osservò l’entrata in cui erano spariti certo che da lì a un secondo sarebbero tornati indietro e come da copione vide Penguin cacciar fuori la testa insieme a molti altri con espressione mortificata per la mancanza.
«Lei non viene vero?» si sentì chiedere e con un ghigno divertito scosse la testa, dando loro così il permesso di rientrare liberamente all’interno del Mermaid Cafè.
Nuovamente solo cacciò le mani dentro le tasche dei jeans, allontanandosi senza una vera meta.
La sua ciurma era sparsa in giro per l’isola, persino Bepo che consuetamente non si allontanava mai da lui gli aveva chiesto il permesso di poter visitare il Dojo del karate degli uomini-pesce e gli ultimi che lo avevano accompagnato sin lì erano appena spariti sorridenti come bambini. Pareva che la ripresa del viaggio verso lo Shinsekai avesse cancellato dalle loro menti il malumore dei giorni passati, quando ancora cercavano di convincerlo ad abbandonare l’idea di diventare uno Shicibukai.
Percorse la via che si dipartiva dal piccolo slargo in cui sorgeva il Mermaid Café sino a raggiungere con la kikoku in spalla un tratto da cui era possibile scorgere fra gli edifici una porzione della fabbrica di dolciumi di proprietà di Charlotte Linlin. Esattamente di fronte, sospeso in aria, un canale d’acqua scorreva placidamente fungendo da via preferenziale ai fishbus e nell’osservarlo, non gli parve una cattiva idea dirigersi verso una fermata per salirci sopra e dare un’occhiata veloce all’intera isola. Riuscì tuttavia soltanto a voltarsi prima che due figure attirassero la sua attenzione.
«Vongole! Le tue vongole sono dwaero bwuoni-simue Kay-me!» si complimentò con voce masticata quello che a tutti gli effetti, malgrado l’eccentrico cappello ed gli occhiali da sole, era una stella marina.
Davanti a lui una sirena dai capelli verdi ridacchiò imbarazzata e Law si chiese per un secondo dove l’avesse già vista dato che il suo volto gli appariva in qualche modo noto, ma la sua mente fu abbastanza veloce da ricollocarla all’interno di uno delle circostanze più indimenticabili della sua esistenza: l’incidente alla casa d’aste di Sabaody, era per lei che Mugiwara-ya aveva sfondato il tetto e preso a pugni quel Drago Celeste.
«Monsieur Pappagu avrei terminato l’istallazione del primo interno del negozio… sono vongole quelle?» s’intromise uscendo da un negozio in costruzione un uomo-pesce, puntando uno dei propri tentacoli in direzione del sacchetto da cui la stella marina continuava a pescare cibo.
«Iu n-n muangiu wuon-kole! Io non mangio vongole, sono bocconcini di mostro marino questi. Kayme vieni, mi darai un parere.» troncò, trascinandosela dietro saltellante.
«Devo proprio? Non ne capisco nulla di design d’interni io.» provò quella ad opporsi, ma l’altro era ormai entrato e il suo tentennare sulla soglia non sortì alcun effetto.
«Non dica così. Una splendida signorina come lei avrà di certo una splendida casa.» la lusingò l’uomo-pesce, convincendola con un veloce inchino a sparire all’interno della struttura.
Per qualche istante, anche dopo che le loro voci non si udirono più dalla strada, Trafalgar rimase a fissare il varco vuoto che li aveva inghiottiti sentendo uno strano sapore amaro risalirgli sino alla bocca.
Ricordava di averla vista incatenata e in lacrime battere le mani contro la boccia piena d’acqua in cui l’avevano chiusa per la vendita nel disperato tentativo di far sentire le proprie suppliche a qualcuno, eppure adesso sembrava un’altra. Sorridente e libera era proprio come se si fosse lasciata definitivamente quell’orribile evento alle spalle andando avanti, mentre Law se ne stava lì, a guardarla da lontano e riesumare giorni che appartenevano ad un’altra vita, quella che lui viveva a tratti tra un preparativo e l’altro della sua vendetta, e che gli appariva incredibilmente lontana in quel momento. Sarebbe stato tra gli ultimi della sua generazione ad attraversare la Linea Rossa, a vedere lo Shinsekai, non sarebbe stato sempre così lo sapeva, era ormai questione di poco prima che la resa dei conti arrivasse e la vista di quella sirena glielo aveva in qualche strano modo ricordato. I suoi sacrifici sarebbero stati ripagati, le sue fatiche, il rancore, il dolore, tutto avrebbe avuto un senso, doveva solo aspettare e poi non avrebbe più avuto due vite incomplete da vivere contemporaneamente spacciandole per una soltanto.
«Purtroppo la Criminal è ancora chiusa, apriranno una volta terminati i lavori, ma noi saremo già ripartiti. Se le servivano dei vestiti Senchō ci sono un sacco di negozi. Posso indicargliene qualcuno se vuole, le faccio compagnia volentieri.» lo fece trasalire la nuova macchinista, piombandogli alle spalle con una serie di buste dondolanti tra le mani piene di graffi.
«Non ne ho bisogno.» la liquidò brusco, seccato da quella violazione del proprio spazio.
Aveva l’armadio pieno di roba, non erano dei cambi di vestiti che gli occorrevano. Gli serviva il titolo di Shicibukai, solamente quello, una risposta positiva dalla Marina e avrebbe avuto campo libero finalmente.



La campana d’allarme montata sulla nave di Iwa, ormeggiata al porticciolo d’uscita per controllare i lavori di sbarramento del canale, cominciò a suonare quando Kikazaru era ancora nel locale adibito a quartier generale provvisorio, impegnato nel dispiegamento dei propri uomini per il controllo totale delle strade di Serranilla.
Seduto al tavolo rotondo, con un bicchiere di saké e la pianta della città davanti, rimase immobile per un attimo interdetto da quel suono roboante che si spandeva nell’aria umida e pesante fissando i lumacofoni che avrebbero dovuto suonare in caso di movimento per evitare che l’operazione perdesse l’effetto sorpresa limitandosi all’attacco diretto. Nessuno avrebbe mai suonato quella campana per sbaglio né per un incidente dopo tre anni di ricerche incessanti, se lo faceva in quel momento era perché non c’era altro modo per avvisare tutti di ciò che accadeva. Gli animali continuarono però a sonnecchiare pacifici e il maggiore dei gemelli si sollevò di scatto trascinando giù la sedia, prima ancora che uno dei suoi uomini entrasse sbattendo la porta per comunicargli ciò che stava accadendo.
«Comandante! I pirati!» riuscì solamente a dire, quando Kikazaru lo superò uscendo nel patio da cui si vedeva perfettamente il canale serpeggiare scrosciante metri più in là.
Sulle banchine rialzate che ingabbiavano la corrente proviente dal Grande Blu gli uomini sollevarono i fucili aprendo il fuoco senza attendere alcun comando e mentre il resto degli equipaggi accorreva dalle vie della città come rinforzo, quelli faticavano già a tenere la posizione sotto l’attacco del Massacratore sbucato di corsa da uno dei vicoli. Un altro degli ufficiali di Eustass Capitano Kidd, un tipo dai capelli lunghi e azzurrognoli di nome Heat, dal lato opposto del canale stava facendo lo stesso con il gruppo di uomini che badavano ai cannoni, ma quello che più di tutto gli fece serrare i pugni fu il vedere sempre più vicino al di là dei tetti delle case il pennone con la bandiera della Supernova sventolare dalla nave già in movimento.
«Merda.» sbottò dalla strada Mi appena sopraggiunto, intercettando l’oggetto della sua attenzione.
Una palla di cannone squarciò un paio di abitazioni, terminando il proprio volo distruttivo nel negozio di strumenti musicali di fronte al locale in cui Kikazaru ancora si trovava e su in quel preciso istante, fissando l’edificio accartocciarsi sui miseri pali su cui era stato costruito che capì con rabbia cosa quella miserabile feccia stava tentando spudoratamente di fare: non solo stavano sfuggendo alla trappola, stavano persino cercando di trasformare loro in vittime incastrandoli. Furioso marciò giù per le ripide scale del locale con il giaccone che schioccava sulle spalle ed estrasse le proprie katane gemelle intenzionato a non perdere quell’occasione unica.
«Fermateli, chiudete il canale!» ordinò sovrastando con la voce il caos generale, guadagnandosi un assenso da parte di Iwa metri più in fondo, la cui nave era già stata tolta prontamente dalla fonda.
Fu in quell’istante però, mentre alcuni uomini correvano per agganciare le paratie e lui si dirigeva verso il secondo in comando del Capitano Kidd per affrontarlo che qualcosa si ruppe nel meccanismo di ostruzione del passaggio con un frastuono assordante che liberò la corrente nella cascata a strapiombo sul mare, tirando giù blocchi e catene per farli sprofondare tra le onde. Ad occhi sbarrati fissò il proprio piano sgretolarsi pezzo dopo pezzo tra il vociare concitato degli uomini e non riuscì a trattenere un ruggito di rabbia, agguantando il primo soldato di passaggio per il bavero quasi soffocandolo.
«Come hanno fatto?! Chi li ha avvertiti?! Vi avevo detto di controllare che nessuno sapesse!» urlò collerico, certo che quello non potesse essere stato un errore di costruzione, ma piuttosto un vero sabotaggio.
Uno dei cannoni sistemati a pochi metri da lui venne tranciato a metà dalle lame di Killer e solo allora Kikazaru mollò la presa sul proprio subordinato, avanzando incurante tra il fumo per raggiungere quel criminale intenzionato ad ogni costo a non arrendersi nemmeno ora che la situazione si stava capovolgendo. Una volta fuori dalla nube grigiastra di polvere da sparo però lo vide già molto più in là combattere con un altro gruppo dei suoi uomini e si ritrovò ad arrestare la propria ricerca rabbiosa all’ombra della nave che gli transitava davanti, continuando ad esplodere colpi dal proprio ponte creando voragini nell’immediato centro abitato. Sollevò il capo, sentendo la pioggia annacquargli lo sguardo, ma non per questo mancò di individuare quell’abominio che per anni si era nutrito nella sacra terra, starsene poggiata alla paratia a osservare ciò che accadeva di sotto. Per un flebile istante pensò che lo avrebbe individuato esibendo il ghigno che sapeva covava in quello squallido petto da serpe, ma i suoi occhi non lo incrociarono nemmeno per un effimero istante rimanendo posati sui pochi uomini dell’equipaggio del rosso che stavano combattendo a terra. La nave proseguì lungo il canale, scivolandogli intatta davanti con lo scafo che sapeva rinforzato dai giganti ribelli del Regno di Myramera e lui finì per inseguirla, serrando i denti tanto forte da minacciare di farli sanguinare.
«Iwa fa fuoco! Dovete fermarli!» sbraitò, mentre i colpi già esplodevano.
Ognuno di loro però terminava il proprio attacco contro le lame del Massacratore in un susseguirsi caotico che aveva come unico risultato quello di farli sprofondare a pezzi nella corrente. Ormai quasi giunta nello slargo del canale che fungeva per le manovre prima dell’uscita precipitosa giù per la cascata, vide la nave rallentare di fronte a quella di suo fratello per evitare l’impatto. Per un attimo ebbe l’impressione che fossero sul punto di urtarsi, ma anche le chiuse costruite dagli abitanti del posto si scardinarono dai propri enormi perni e la corrente, che adesso aveva la possibilità di allargarsi senza più alcun freno, allontanò le due navi. Vide gli ufficiali di Eustass Capitano Kidd aggrapparsi alle funi che venivano lanciate loro per risalire a bordo e divorò con i polmoni in fiamme i metri che lo separavano da Killer, facendo cozzare le proprie katane contro le sue falci.
Non poteva permettere che se ne andassero indisturbati senza che lui avesse potuto muovere un dito, non lo avrebbe mai accettato. Quella sua fatica doveva valere qualcosa, non tollerava di rimanere a mani vuote una volta ancora dopo tutto quel tempo.
Fece pressione con tutto il suo peso sul lato sinistro del proprio avversario, avvertendo chiaramente attraverso le else la forza dell’altro reggere malgrado il braccio fosse fasciato sino al collo e delle macchie di sangue cominciassero ad affiorare. Staccò la lama destra rivestita di haki, roteandola sopra la testa in un affondo fluido che terminò tuttavia al suolo quando il pirata retrocedette per un secondo e non ebbe il tempo di rialzarla che quello vi si era già poggiato per balzargli addosso, fendendo l’aria di fronte al suo viso. Con il braccio destro riuscì comunque a contrattaccare il suo fianco, ma ognuno dei colpi che tentò finì tristemente in un insuccesso che l’altro sfruttava a proprio vantaggio. Per una lungo minuto Kikazaru lo tenne occupato, troppo impegnato nel mantenere l’equilibrio sulla banchina fradicia e il ritmo incredibilmente veloce di attacco dell’altro perse però di vista ciò che accadeva intorno, ritornando alla realtà circostante solo quando una voce richiamò indietro il Massacratore. Lo vide voltarsi per un effimero secondo a guardare la nave che con la prora scalfita da un colpo di cannone era sul punto di precipitare di sotto e riconobbe solo dopo, quando quello volto le spalle di corsa non degnandolo di un’altra occhiata che quella sarebbe stata l’unica opportunità per fermarlo. Affondò una katana riuscendo a ferirlo al braccio bendato, ma l’altro proseguì imperterrito facendosi veloce strada tra gli uomini rimasti per aggrapparsi all’ultimo istante alla corda che gli era stata lanciata, mentre la nave già volava di sotto.
«No!» sbottò in uno sfogo, non sapendo controllarsi alla vista del vuoto che rimaneva nel canale distrutto dove l’acqua salata si mischiava alla pioggia continua, trascinando via contro un edificio persino la nave forata da guerra di suo fratello.
Era stata l’opportunità migliore che avessero avuto in quei tre anni. Nemmeno pianificandola dalle fondamenta avrebbe potuto immaginare condizioni migliori per catturare quell’abominio. Solo con pedine di secondo ordine a coprirla che avrebbero badato nel momento cruciale più ad Eustass Kidd moribondo in un letto che a lei, in un’isola che aveva un solo accesso e una sola uscita, colti alla sprovvista e infiacchiti nel morale, quella sovversiva a cui era bastata una botta in testa per crollare svenuta non avrebbe mai potuto sfuggirgli. Eppure era appena successo, davanti ai suoi occhi, con una velocità che non aveva dato nemmeno il tempo alla sua rabbia di esplodere nell’istante in cui avrebbe dovuto. Era successo e Kikazaru non sapeva come l’impossibile fosse diventato reale quando aveva avuto tutto sotto controllo sin dall’inizio.
«Shi…» udì mormorare con un velo di felicità alla voce di Mizaru dietro di lui e i suoi occhi scattarono alla ricerca della figura di suo fratello.
In piedi sull’ultimo tratto di sponda rimasta nella parte terminale del canale, lo vide poggiare uno degli uomini di Iwa privo di sensi al suolo dopo averlo tirato via dall’acqua prima che venisse portato giù dalla corrente. Persino con il cappuccio verdastro del giaccone calato sulla zazzera lo riconobbe e altrettanto facile gli fu distinguere i dettagli di quell’espressione che tirava fuori ogni volta che qualcosa per lui, malgrado i pareri avversi, andasse fatta. Lo guardò in silenzio, mentre se ne stava immobile a fissarli da lontano e capì che gli intoppi al sistema di sbarramento dovevano essere stata opera sua per liberare il passaggio a quel mostro che si ostinava a voler proteggere dalla giustizia. Capì che tutto era andato storto solo perché lui si era messo in mezzo, si era messo contro la sua stessa famiglia e contro la giustizia del Governo mondiale, era passato dalla parte sbagliata.
«Lo sapevo, sei come nostro padre, l’ho sempre saputo.» lo ammonì a distanza quasi con pena e Shizaru chinò il capo a quel commento, evitando di ribattere subito.
Sin da quando ne aveva memoria suo fratello maggiore era stato l’ombra di loro padre: la stessa bontà d’animo, dedizione, tolleranza e fiducia nel prossimo. Dopo l’onta che le amicizie di quel pazzo avevano causato alla loro famiglia aveva preso Shi a modello per la scelta di arruolarsi in Marina nonostante i pareri avversi del villaggio e risanare il loro nome. Lo aveva ammirato a tal punto insieme a Iwa e Mi da arruolarsi anche lui e trovare la propria strada, lo aveva seguito ciecamente in ogni compito assegnato e non ne aveva mai dubitato sino a tre anni addietro. Avrebbe dovuto allarmarsi allora, quando lo aveva visto uscire per la prima volta dalla cabina in cui avevano chiuso quella Nobile rivoltosa con il medesimo sguardo che loro padre aveva esibito il giorno dell’incontro con quei pirati naufragati, ma non lo aveva fatto. Aveva confidato in un senso della giustizia che Shi come loro padre non aveva mai avuto, in una forza d’animo che mancava a persone propense all’empatia come loro.
«Ognuno di noi ha qualcosa da riscattare e per cui combattere, ma non posso lasciare che venga punita per un giudizio affrettato e di cui non si hanno le prove.» lo sentì replicare convinto e quelle parole gli suonarono alle orecchie come un’allusione troppo simile a un insulto.
Non poteva osare insinuare che il suo cercare di adempiere ad ogni costo al proprio compito fosse una forma di vendetta scaturita dal loro passato, non poteva osare mettere in dubbio il giudizio dei Gorosei. Quella donna era una minaccia per l’intera società, per l’Ordine che era stato costruito con fatica, quella era questione più grande di loro.
«Ha tentato di rivoltare Myramera, uno dei regni fondatori, è scoppiata una guerra per opera sua in un paese che non ne aveva mai conosciute e che apparteneva alla sua famiglia.» gli fece notare con la fronte aggrottata intuendo di che prove parlasse e avanzò sino al margine del canale battuto dalla pioggia.
Erano arrivati lì per tempo, ma non erano stati in grado nemmeno di vedere la nave di quei pirati da lontano a causa delle opposizioni spudorate dei giganti di Moundhill. Avevano chiesto in giro di quella donna, eppure nessuno nel paese pareva averla vista nemmeno di sfuggita, tutti però avevano accusato della rivolta i giganti catturati dalle guardie del Regno e di parte della distruzione Eustass Kidd. Era andato in giro per l’intera isola, aveva controllato ogni paese, ogni casa e la sua era stata l’ennesima ricerca vana. Non c’erano indizi della sua presenza, nessun avvistamento, neanche qualche voce di troppo e la Marina non aveva potuto aumentare al Drago inesistente neppure la taglia da ricercata, ma a Kikazaru non servivano prove. Aveva la certezza che quella donna fosse stata l’arteficie di quella guerriglia – sarebbe stata una coincidenza di troppo la presenza del Capitano Kidd proprio lì – e il dubbio persino che gli abitanti di Myramera, Re Boro stesso, l’avessero coperta perché raggirati come suo fratello.
Al rimarcare quella notizia, che aveva fatto il giro del mondo su tutti i quotidiani, vide Shizaru nascondere il volto serio sotto il cappuccio con un sussulto e assottigliò lo sguardo.
«Tu eri lì?» lo interrogò insospettito da quell’incrinazione momentanea nella sua figura.
«No, purtroppo.» rispose subito dandogli le spalle per allontanarsi, ma Kikazaru non gli permise di compiere che un passo prima di richiamarlo.
«Cosa credi di fare? Non andrai via di qui libero. Ritornerai al G-5 e sconterai la pena che ti spetta per aver tradito la Marina e aver aiutato quella rivoluzionaria nella sua opera da sovversiva.» annunciò convinto, sentendo Mi poco distante puntargli addosso gli occhi allarmato per quella prospettiva.
Non aveva dimenticato che si trattava di suo fratello e non per quello dava meno importanza al loro rapporto di sangue o a ciò che l’altro aveva fatto per crescerli quando loro padre era stato incarcerato ad Impel Down, ma la giustizia era un’ideale da rispettare che andava oltre i rapporti di parentela o gratitudine. Shi avrebbe scontato la pena per le proprie scelte, non avrebbe accettato di piegarsi a parentelesmi spicci ignorando ciò che il suo gesto avrebbe potuto comportare: lasciandolo libero di favorire quella donna chissà sino a che punto lei avrebbe potuto spingersi entrando a conoscenza degli affari della Marina. Andava fermato, era già stata abbastanza la sua sparizione al G-5 quando il viceammiraglio Vergo era andato nei loro alloggi per cercarlo.
«Lo farò se ciò che i Gorosei temono accadrà, ma non adesso. Mi dispiace.» mormorò sotto la pioggia che cominciava a cadere sempre più forte e il suo tono quasi rammaricato spinse l’altro a serrare i pugni.
Aveva subito abbastanza affronti quel giorno da non poter tollerare altro, quel rifiuto di arrendersi di fronte a ciò che era giusto, a ciò che Shizaru stesso aveva falsamente insegnato loro, gli rivoltò lo stomaco dando sfogo alla frustrazione rabbiosa in cui la fuga dei pirati lo aveva gettato. Immobile e sordo a qualsiasi spiegazione dell’atteggiamento dell’altro, mentre si allontanava, che non fosse quella di vederlo definitivamente ammettere con le azioni il proprio rifiuto alla Marina, fece scattare d’istinto le mani sulle else delle katane malgrado la distanza tra loro fosse incolmabile con quelle.
«Fermati! Fermo ho detto! Non fare un altro passo o darò ordine di sparare. Hai una taglia anche tu adesso, vivo o morto.» tonò nefasto, avvertendo subito Mi andargli addosso nel tentativo di farlo desistere.
«Kikazaru che dici? Sei impazzito?! È Shi!» gli strepitò contro sconvolto, prima che Iwa li raggiungesse zoppicante sulla banchina del canale ormai sofferente per la portata fuori controllo della corrente.
Ai piedi dell’edificio tra cui aveva cercato di sparire Shi si voltò un’ultima volta a guardarlo in quello che Kikazaru intuì come il tentativo di capire se stesse parlando sul serio o no. Lo vide rimanere lì per un lungo minuto, sotto l’acqua scrosciante con il giaccone fradicio e ancora gli stivali da marines, finché probabilmente non comprese e aggrottò la fronte, retrocedendo ugualmente con volto scuro. A quel gesto Kikazaru reagì immediatamente, ignorando il piede – ormai diventato da tempo equivalente della mano – di Mi che gli si schiantava contro un fianco per farlo desistere.
«Fuoco, fate fuoco!» ordinò agli uomini rimasti.
Quelli tuttavia, immobili nelle loro posizioni e ancora sfiancati dalla fuga dei pirati, si scambiarono occhiate dubbiose sul reale da farsi.
«Fuoco! Ora!» ringhiò di nuovo, questa volta minaccioso persino nei loro confronti e i soldati imbracciarono nonostante le rimostranze i fucili obbedendo all’ordine dato contro il maggiore dei fratelli Saru.
Una pioggia di proiettili si mescolò a quella che cadeva incessantemente dal cielo gonfio di nubi infrangendosi sugli edifici della parte opposta, sulla sponda del canale e persino nell’acqua, ma non arrivò alcun tonfo sperato di corpo che cade alle orecchie di Kikazaru. Non udì nulla di ciò che avrebbe voluto, inaspettatamente soltanto una parola gli fischiò in mente nel mezzo di quell’attacco impari e gli giunse con l’intonazione della voce dolorante di suo fratello appena prima che la corrente allagasse lo spiazzo trascinando via da Serranilla una porzione della sponda.
«Kichi.»



Buona parte degli oggetti all’interno della cabina avevano cambiato le loro consuete posizioni rotolando sul pavimento, la poltrona si era rivoltata e i catini pieni d’acqua svuotati. Avrebbe avuto un bel po’ da sistemare nelle prossime ore, ma poteva dire onestamente di preferire quell’occupazione al ritrovarsi nelle mani della Marina o peggio, a dovervi patteggiare per l’incolumità della ciurma.
«Come sta?» le domandò in un mormorio greve Killer, fissando il proprio capitano ancora immobile.
Wire era riuscito ad evitare che il salto nel vuoto della nave lo facesse cadere provocandogli più dolore di quanto probabilmente non ne provasse già, eppure rientrando nella sua cabina ad Aya non era sfuggita l’impercettibile contrazione della sua mascella e non aveva potuto fare a meno di andare a sederglisi di fianco, bisbigliandogli delle scuse quasi infantili che di certo non avrebbe sentito.
«Ha il sonno pesante.» lo rassicurò, raccimolando le bende che erano cadute per gettarle vie.
Per quanto strano potesse apparire giudicandolo ad una prima occhiata Kidd non aveva affatto il sonno pesante consuetamente e Killer, paziente vittima dei suoi urli ogni qualvolta veniva svegliato, lo sapeva bene, ma lei lo vide comunque annuire a quella frase prima che un breve silenzio calasse tra loro.
«Abbiamo stabilito con il navigatore una rotta. Sfrutteremo la corrente che attraversava Serranilla per allontanarci il più possibile nel minor tempo, dopo cercheremo un’altra isola su cui fermarci. Il Logpose ne segnala già alcune, ma eviteremo quelle più abitate. È meglio stare nascosti per un po’.» la mise al corrente dopo qualche minuto e Aya si volse a guardarlo nel dubbio che stesse parlando a Kidd.
«Sei tu il vicecapitano, non devi chiedere a me.» gli rammentò alla fine sentendosi osservata.
«Lo dico per quel tipo. Non possiamo cercarlo né aspettarlo Aya.» chiarì secco, lasciandola ammutolita.
Pensierosa abbassò lo sguardo sulla pelliccia che ricopriva un lato del letto senza vederla davvero e per un secondo si mordicchiò il labbro inferiore.
«Non dovete. Se la caverà da solo.»















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Note dell’autrice:
Pochine questa volta, briciole di quelle consuete anche perché ho velocizzato i tempi e non potevano dilungarmi troppo.


- Sanzu: ho già spiegato di cosa si tratta nelle note del prologo di questa storia, ma lo ricorderò come la preghiera recitata da Aya perché è passato davvero troppo tempo. Si tratta del fiume che divide lo Yomi, ossia la terra dei morti della mitologia giapponese, dalla terra dei vivi e su cui le anime vengono traghettate dopo essere state spogliate dei loro beni terreni.
- «Teru-Teru Bouzu, Teru Bouzu, sore de mo kumotte naitanara sonata no kubi wo chon to kiruzo.»: ossia “Teru-Teru Bouzu, Teru Bouzu se il cielo sarà coperto ti staccherò la testa.”
- Ipotalamo: Law lo cita come arteficie di alcuni inganni mentali e in effetti è così. Si tratta di una porzione del nostro cervello che fa capo al sistema endocrino preposta alla produzione di ormoni e altre reazioni, volontarie o no del nostro corpo. Nel caso specifico del POV il nostro Dottore fa riferimento alla creazione di dopamina, nota anche come ormone della lussuria, che suscita negli esseri umani l’amore o l’attrazione alla sola vista di un altro essere. Science-time oui…
- Riflesso condizionato: altra reazione involontaria del nostro corpo attivata dal cervello e controllabile anche dall’esterno. Decenni fa i medici scoprirono che sottoposti a certi stimoli precisi uomini ed animali reagiscono sempre al medesimo modo, poiché associano un dato stimolo ad una data situazione.
- Kichi: In giapponese vuol dire “Benedizione” e si tratta, svelo se non si fosse compreso dal POV, di un attacco di Shizaru che in quanto quarta scimmia della tradizione e incapace di nuocere in alcun modo, non può che avere un appellativo che non ha nulla di spaventoso.






  
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