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Autore: _MihaelRegnard_    06/08/2016    2 recensioni
"Si mise le mani tra i capelli, sconvolto come mai prima di quel momento: che razza di mostro era diventato?"
Riflessioni di un Nathaniel ormai adolescente, dopo il breve ma decisivo incontro con la sua vecchia insegnante, la signora Lutyens.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nathaniel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nathaniel entrò a grandi passi nell'appartamento. Respirava affannato, come dopo una lunga corsa, ma per scappare da cosa? Dalla signora Lutyens, dal suo passato, dal bambino che, inconsapevolmente o meno, era rimasto sotto la sua pelle da adolescente, con quegli occhioni grandi e il cuore palpitante colmo di buoni propositi? Entrò nel bagno, deciso a rinfrescarsi, e fu allora che si vide riflesso allo specchio. I capelli scuri erano arruffati e scarmigliati per l'agitazione, mentre gli occhi arrossati spiccavano sulla pelle pallida e tirata del volto. Si aggrappò al lavandino, le mani che gli tremavano incontrollabilmente, e come in un flash rivide Lovelace con quella sua irritantissima faccia sussurrargli "in un certo modo, mi ricordi me quand'ero piccolo, Mandrake". Fu quello, evidentemente, a fargli piombare addosso la consapevolezza schiacciante di ciò che era diventato. Si sentì mancare il terreno sotto i piedi e si accucciò tremando nell'angolo formato dai due muri portanti, tirandosi al petto le ginocchia, quasi volesse proteggersi dal mondo. Si mise le mani tra i capelli, sconvolto come mai prima di quel momento: che razza di mostro era diventato? Su quanti cadaveri aveva costruito la scala del suo successo? Quanti lo avevano disprezzato, odiato, desiderato la sua morte? Kitty, Bart, persino Martha Underwood, nei suoi ultimi istanti di vita? Anche lei si era pentita di aver cresciuto quel bambino dannato, di averlo amato come solo lei era in grado di fare? Nate si osservò le mani sottili, curate: in quel momento gli sembravano sporche di sangue, colme di schizzi rossi, le mani di un assassino. Recepire un messaggio è semplice, le orecchie lo captano e il cervello lo elabora rapidamente: è questione di attimi. Ma realizzare e ingoiare in un solo amarissimo boccone la consapevolezza dei propri crimini fa lo stesso effetto di ricevere un tram in pieno petto. Doloroso. Forte. Devastante. Il grande John Mandrake, solo in quel misero bagno, si guardava le mani tremanti quando una prima lacrima scese dagli occhi lucidi del mago. A quella seguirono altre, tante, tantissime altre, fino a che non si ritrovò a singhiozzare disperato a bassa voce, in un pudico tentativo di mantenere la propria dignità. Non piangeva così da anni, aveva dimenticato la sensazione opprimente di non riuscire a respirare tra i singhiozzi, il peso della tristezza che schiacciava il petto, la paura, forte e irrazionale, di ciò che era, di ciò che era diventato. "Sono un mostro" fu l'unico pensiero coerente che il ragazzo riusciva a formulare, pensiero che gli alimentava nuove lacrime e una profonda, bruciante, umiliante vergogna di se stesso. Comprese solo allora le parole della signora Lutyens, e pur non essendo mai stato religioso né avendo creduto in qualunque dio, si ritrovò a mormorare a fior di labbra (a chi? A Martha? Alle decine di comuni che lo vedevano come il diavolo? A Kitty? Al suo irritante jinn? Non poteva dirlo nemmeno lui) una sola, minuscola parola, piena di disperazione e disgusto di sè. "Perdonami."
   
 
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