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Autore: verichan    07/08/2016    0 recensioni
Crossover Tales from the Borderlands.
PA!Rhys, Badass!Rhys, Slow burn RhysxJack
"... alle 8:27 si sedette al suo cubicolo, pronto a condurre un'altra monotona giornata nella vita stabile e sicura che si era cucito addosso con tanta cura. [...]
Per un istante si immaginò di urlare a pieni polmoni, il silenzio esterrefatto che ne sarebbe conseguito. Non lo fece.
La noia era un sintomo di cui aveva tenuto conto fin dal principio, pericolosa e infida. Andava tenuta a bada come si teneva a bada uno skag a mani nude, dopo essersi lasciato accarezzare sotto le mentite spoglie di un cucciolo inoffensivo.
Non avrebbe ceduto alla pressione psicologica. Non avrebbe commesso uno stupido passo falso per scacciare la noia. Era più intelligente di così."
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell'autore:
Premetto che ho giocato solo a Tales from the Borderlands e letto tante fanfiction, degli altri giochi ho visto dei video su youtube.
Siamo a dopo Borderlands 2 e prima di Tales from the Borderlands. Jack è scampato alla morte, ovviamente, ed è OOC, poiché è in grado di provare sentimenti umani decenti, mentre Rhys è OOC poiché ho cambiato il luogo in cui è cresciuto e quindi ha sviluppato un carattere diverso.
Volevo scrivere anche il punto di vista di Jack, ma è venuta fuori una roba troppo lunga e ho abbandonato l'idea. In alternativa ho messo delle note numerate, che spiegano il perché di certi avvenimenti. Le ho messe alla fine della ficci, cioè nel futuro capitolo 2, poiché consiglio di leggerle solo DOPO la lettura dell'intera storia.
La prima nota è qui poiché è una curiosità innocua.

P.S.
Alcuni termini, come pumpkin e kiddo, li ho lasciati in inglese perché, essendo abituata ai dialoghi in lingua originale, mi suona orribile tradurli in italiano.

Buona lettura!

 

Parte 1 di 2

«Giù dal letto, ape operaia! È l'alba di un nuovo giorno, e Handsome Jack non sperpera denaro sui fannulloni.»

Aprendo l'occhio buono, confermò che erano le 6 sul display nero e giallo della sveglia. Avrebbe potuto alzarsi alle 6:30, ma era abituato così. La routine era importante.

«... nuova occasione di impressionare il tuo superiore e chissà, forse un giorno gli farai le scarpe. Ahahahah!»

Però, forse, oggi...

«... scordare il deodorante. Nessuno vuole...»

Considerò le sue scelte: alzarsi in quel momento e iniziare la giornata come sempre da circa quattro anni a questa parte, oppure oziare tra le coperte per trenta minuti. Non sarebbe stato un gran fardello, il letto era comodo. C'erano voluti diciotto tentativi di materassi troppo molli, troppo duri, troppo preformanti, troppo sprofondanti, troppo acquosi, troppo spessi, troppo sottili, troppo-semplicemente-non-va; con l'impegno che ci aveva messo a trovarlo, ne sarebbe valsa la pena di rimanere sdraiato tra le lenzuola. Anche quelle erano state un acquisto difficile. Per non parlare del cuscino.

«Sei sicuro di aver finito quello che hai iniziato, o hai ancora una bozza del progetto sul tuo ECHOpad? Stai in campana, ape operaia, oggi potrebbe essere il giorno in cui il fantastico Handsome Jack visita il tuo dipartimento!»

Inspirò a fondo con le palpebre abbassate, girandosi supino, il braccio sinistro sollevato e piegato così che la mano gli accarezzava la fronte in un lento massaggio. Il braccio robotico tinteggiato di giallo era collegato al suo caricabatterie accanto al comodino. Se l'avesse guardato avrebbe notato lo schermo della pila completo delle cinque tacche, come ogni mattina, pronto ad essere usato per le prossime 68 ore, in attività non spossanti.

«... perché no? Se...»

Il pollice spinse delicatamente al centro tra le due sopracciglia, il movimento accompagnato da un respiro lento e regolare.

Avrebbe potuto rimanere così, nella calma più assoluta, per milleottocento secondi. Non aveva lavori urgenti a costringerlo a presentarsi in anticipo in ufficio, né era in ritardo nelle sue ripetitive mansioni, nonostante un collega avesse sbagliato una sezione importante nella bozza di un contratto per una miniera di eridium giusto ieri. L'intero reparto era andato in panico; lui si era sforzato di condividere lo stato di agitazione. Pianificava di rimanere alla sua scrivania due ore oltre l'orario di lavoro per i prossimi tre giorni, per dimostrare partecipazione.

«... e...»

Aprì gli occhi sul soffitto color panna. Aveva valutato l'idea di appenderci un poster promozionale, per avvalorare la reputazione di fanboy del capo dell'azienda. La sua pace mentale glielo aveva impedito. Il manifesto accanto allo specchio in bagno e quello sopra la testiera del letto bastavano e avanzavano.

«Tu! Sì, proprio tu, ape operaia che ti accingi a lasciare l'abbraccio di Morfeo ed entrare di nuovo nel grande...»

Deglutì. Il bicchiere d'acqua tiepida era in attesa sul comodino, accanto alla sveglia, ma raggiungerlo avrebbe significato abbandonare la modalità di totale relax a cui, forse, oggi si sarebbe arreso.

«... un tuffo nello spazio profondo, il preferito del nostro presidente.»

Non c'era davvero bisogno di alzarsi alle 6 ogni mattina. Ora non aveva più neanche la scusa di fingere di portarsi avanti con i compiti per ricavare tempo prezioso da trascorrere con Stacey.

«Sei in piedi? Hai preso la tua prima tazza di...»

Era un martedì. Niente sarebbe stato diverso dai martedì precedenti. In ufficio alle 8:30 da bravo paralegale con stipendio essenziale, pausa pranzo con Yvette e Vaughn dalle 13 alle 13:30 tra asserzioni universali («Ah, meno male che è un martedì e non un lunedì.», «Chi mi offre il pranzo oggi?»), pettegolezzi più o meno interessanti («Protesi! Sembrano capelli veri ma in realtà non lo sono. Almeno così dicono.») e sconfortanti tentativi di consolazione («Allora... Stacey. Ha chiamato? Sono sicuro che chiamerà, bro. Non può non chiamare.», «Dopo una settimana di lei che lo snobba bellamente? Sempre detto che quella gallina non ti meritava. Che ci vedevi in lei?»), chino sulla scrivania fino alle 20:30 invece che 18:30, a casa per le 21. Il ciclo sarebbe ricominciato mercoledì e giovedì, e nonostante venerdì avrebbe ripreso le 18:30, i cambiamenti sarebbero stati minimi. Il che era una buona cosa.

«Se corri all'ascensore ogni mattina perderai quel chilo di troppo che...»

Si era impegnato tanto per realizzare la sua routine, sempre attento ad evitare variazioni troppo grandi, adagiando anche quelle modeste in tempi diluiti. Aveva creato la routine perfetta. C'erano volute pazienza, perseveranza e marginali dosi di martirio. Dopotutto, prima era abituato a ben altre rinunce. Una vita fa. Quattro anni fa.

«... -pe operaia.»

La routine non si sarebbe rovinata se avesse spostato le lancette dell'orologio dalle 6 alle 6:30. Erano soltanto trenta minuti. Milleottocento secondi.

Spostò lo sguardo sullo schermo, giusto in tempo per lo 00 tramutare in 01. Scostò la coperta, si sedette sul bordo del materasso, bevve l'acqua; espletò i suoi bisogni al gabinetto, compì una serie di esercizi ginnici, fece una doccia veloce con mano esperta, staccò l'arto artificiale dal caricatore e lo introdusse nella cavità corrispondente alla spalla destra, serrando e aprendo le dita metalliche per testare la ricettività. Avviò l'ECHOeye e il mondo prese un accento digitale. 6:42.

Si vestì, rifece il letto, decise che il bucato avrebbe aspettato fino a domani; nel frattempo azionò a distanza la macchinetta del caffè. Lasciò la camera e occupò una delle quattro sedie al tavolo quadrato della cucina abitabile. Il dolce ping della caffettiera all'angolo del piano cucina lo informò che la bevanda nera e amara era pronta. La ignorò, non amandola bollente, riempiendo l'attesa appoggiato allo schienale, braccia incrociate e occhi chiusi, scorrendo le pagine dell'Handsomely News e del Daily Helios sull'ECHOeye: c'era sentore di ribellione su Athenas, l'ennesimo scandalo di corruzione rovinava la reputazione di Eden-5, su Grophic IV si annunciavano nuovi spazi residenziali, e la pubblicità turistica di Aquator puntava su fotografie mozzafiato; le notizie interne della stazione spaziale di Helios erano abbastanza noiose, caratterizzate da commenti sfioranti l'insulto che inneggiavano non molto velatamente alla competizione, o da complimenti di vario genere verso chi stava ai piani alti.

Si stiracchiò e raccolse la sua tazza calda dall'aroma robusto, sorseggiando il nettare prelibato nella tranquillità mescolata ai lontani rumori esterni, diventati ormai una gradevole compagnia. Studiò gli schemi che aveva abbozzato per un miglioramento del suo braccio destro e scambiò corti messaggi mattutini con Vaughn fino alle 8:10, poi prese il suo ECHOpad e uscì. Percorse un breve tratto a piedi, saltò sulla metropolitana, salutò e si intrattenne con dei conoscenti in ascensore e alle 8:27 si sedette al suo cubicolo, pronto a condurre un'altra monotona giornata nella vita stabile e sicura che si era cucito addosso con tanta cura.

Si rifiutava di impazzire.

Sorrise a Gretel, la collega di tre cubicoli più in là, e premette il tasto di accensione del suo terminale.

Non aveva bisogno di novità. Le desiderava, ma non ne aveva bisogno.

Si unì agli altri per una smorfia collettiva al retro di Jonathon Rein, il capo dipartimento. Una volta scomparso, il reparto tornò a riempirsi dei suoni di polpastrelli veloci su superfici lisce e bisbigli stressati.

Per un istante si immaginò di urlare a pieni polmoni, il silenzio esterrefatto che ne sarebbe conseguito. Non lo fece.

La noia era un sintomo di cui aveva tenuto conto fin dal principio, pericolosa e infida. Andava tenuta a bada come si teneva a bada uno skag a mani nude, dopo essersi lasciato accarezzare sotto le mentite spoglie di un cucciolo inoffensivo.

Non avrebbe ceduto alla pressione psicologica. Non avrebbe commesso uno stupido passo falso per scacciare la noia. Era più intelligente di così.

«Ehi, Rhys.»

Sobbalzò alla voce di Vaughn, in piedi davanti alla sua scrivania. Il contabile picchiettò l'indice sull'orologio d'antiquariato («Queste lancette faranno impazzire le donne, te lo dico io.»). Le 13:13. La sua mente si era inceppata per quattro ore e quarantatré minuti.

«Non mi ero accorto dell'ora.»

«Lo vedo. Il casino combinato da Richardson deve essere proprio brutto.»

Cancellò le speranze di Vaughn dicendo di voler saltare direttamente il pasto per tentare di recuperare sul famigerato danno. Il contabile insistette per portargli un panino sulla via del ritorno e Rhys rimase solo. Solo con il suo problematico rapporto con la noia.

Doveva distrarsi, era l'unica soluzione.

Scartabellò sull'ECHOeye per dei passatempi online, mentre i colleghi ritornavano alle postazioni e Vaughn gli consegnava il cibo. Voleva qualcuno con cui giocare, perciò barrò i solitari. Scacchi, dama, scarabeo, mahjong non gli piacevano. Insomma, no ai grandi classici. Videogiochi? Vaughn era un accanito sostenitore di Fight or Die, uno sparatutto moderno con molto, molto sangue, arti corporali volanti, grande varietà di armi (parti del corpo incluse) e zero pietà. Era un gioco duro per quelli della contabilità, le altre divisioni ne stavano saggiamente alla larga. A metà lista fu sorpreso di leggere Bunkers & Badasses. Su Pandora era un famoso gioco da tavolo per bambini schizzati e nerd sfegatati, era singolare il fatto che qualcuno di Hyperion ne avesse tratto un videogioco.

L'ambientazione era sufficientemente lontana dalla realtà da assicurargli quel tanto di distrazione bastante a seppellire i suoi noiosi grattacapi.

Scegliere lo pseudonimo fu più arduo del previsto. Era indeciso. Non voleva un nome fantasy o idiozie tipo “Handsomely Handsome”, “MerDaccia”, “Everhard”, “aspettacistopensando”, preferiva essere se stesso senza però farsi riconoscere. Ci mise tre ore e quarantasette minuti a scrivere il famigliare “R1:s”1, il nome che aveva coniato per la sua installazione cibernetica cerebrale. L'avatar lo modellò a immagine e somiglianza delle meravigliose top model di Aphrodite per... ovvi motivi.

Alla fine rimase in ufficio fino alle 21:12, catturato dal mondo di Bunkers & Badasses. Si disconnesse scioccato di essersi perso in maniera così totale. Aveva avuto talmente bisogno di una via di fuga?

-

B&B, come lo soprannominavano gli utenti, era un passatempo simpatico. Rhys aveva preso a collezionare bottini rari come uno collezionava le figurine di Handsome Jack. Lo chiamavano Il Collezionista, e non passò molto che anche il suo temperamento ebbe risalto, specialmente con chi lo colpiva alle spalle. “Ti sei alleato con R1 il Collezionista e dopo aver sconfitto il boss lo hai tradito scappando con il malloppo? Gran cazzata, amico, gran cazzata”. I traditori subivano una sorte peggiore dei suoi nemici: uccisi brutalmente quando meno se l'aspettavano, i cadaveri depredati fino al nudo pixellato del bottino di giorni o mesi di notti insonni. Le lamentele sui suoi metodi giunsero all'orecchio della master creatrice del videogioco, “4N631”, ma, sfortunatamente per i giocatori scornati, i due s'intesero subito. Aiutò il fatto che gli scornati fossero spesso bari che danneggiavano la sportività.

Iniziò dunque una proficua alleanza per sterminare gli imbroglioni e, man mano che il tempo correva via veloce, le due persone al di là dello schermo si avvicinarono.

“4N631”, Angel, era un'adolescente obbligata nella sua stanza-ospedale da una malattia incurabile che l'avrebbe portata a una morte prematura. Quando ci fu abbastanza fiducia, andarono dalle chat alle videochat: Rhys si commosse alla figura esile ed emaciata dalla testa calva. Non fosse stato per gli occhi di un vivo azzurro, l'avrebbe scambiata per un fantasma.

«Mio padre mi tiene qui per il mio bene. Non abbiamo mai avuto un gran rapporto. Per molto tempo mi ha considerato soltanto come un mezzo per raggiungere i suoi scopi. Io... io sono brava nell'informatica.»

«È cambiato con la tua malattia?»

Non le poneva mai troppe domande, aspettava che fosse lei ad aprirsi, e Angel contraccambiava la gentilezza.

«Sì. La paura di perdermi l'ha scosso più profondamente di quanto pensassi. Mi chiama non meno di cinque volte al giorno, stacca dal lavoro appena possibile per stare con me. Ha ancora un brutto carattere, quello non credo lo perderà mai, ma ora che non gli servo più si comporta come un padre. O la versione di padre che gli riesce meglio.»

Sorrideva mentre lo diceva. 2

-

«Sei cambiato, bro.»

Era una serata-cinema da Vaughn, Yvette era al secondo rifornimento di popcorn. La tv era in pausa sul primo piano della protagonista piangente per l'omicidio della moglie perpetrato dal donatore di sperma che aveva generato la loro figlia. Dato che era un film d'azione, sospettavano una gran vendetta e un brutale lieto fine.

«In cosa?»

«Non lo so. In qualcosa di positivo. Era da un bel po' che ti vedevamo... spento. Sai quando sei lì, ma non sei davvero lì?»

Rhys sorrise. Socializzare con Angel l'aveva svegliato dall'apatia in cui era intrappolato. Aveva ricominciato ad ascoltare realmente quello di cui la gente attorno a lui blaterava e a reintrodursi nel flusso di storie umane che rendeva l'agglomerato spaziale a forma di H uno stagno di pescecani.

E aveva finalmente dato una chance a Vaughn e Yvette.

Vaughn era nato sul suo stesso pianeta e frequentato la scuola presente sul suo curriculum («Nooo, che coincidenza! Eppure non ricordo di averti mai visto al campus.»). Era facilmente impressionabile e il genio trascurato del reparto contabilità con problemi di autostima. Sognava la cima senza avere le qualità da canaglia per farcela. Per Rhys era stato uno scherzo assumersi il ruolo di salvatore sociale, averlo al suo fianco aveva aperto a Vaughn delle porte prima precluse, assicurandogli la sua lealtà.

Yvette, l'aggancio vantaggioso nel magazzino della sicurezza, al contrario era una scroccona dalla faccia tosta in possesso delle carte giuste per volare in alto. Aveva un solo ostacolo sulla sua strada: chi le stava sopra era tosto almeno quanto lei. Sperava, senza cattiveria, nella loro dipartita. Era dei loro perché per lei non rappresentavano la concorrenza, ma soprattutto perché Vaughn era il perfetto recipiente della sua amichevole arroganza («Mi fa comodo avere qualcuno che mi paghi il pranzo, tutto qui. A proposito, oggi tocca a te, Vaughn.») e Rhys funzionava bene nel mezzo. Li definivano “lo strano trio”.

-

«Chi è Vaughn?»

Lui e Angel stavano distruggendo un campo di banditi a nord della Foresta Lussureggiante. Rhys le stava raccontando del suo amore per la corsa e che andava spesso in palestra, mentre Vaughn aveva optato per una cyclette a casa.

«Un mio amico.»

«Hai tanti amici?»

«Mmm. Conosco tante persone, ma non sono sicuro di poterle definire amici-amici.»

«Hai detto che Vaughn è tuo amico.»

«Sì. Sì, lo è. Più o meno... La mia definizione di amicizia-amicizia è un tantino estrema.»

«In che senso? Oh, penso stia scappando verso il Portale.»

«Ce l'ho. Una bella palla di fuoco eeee feccia delle Steppe Orientali cancellata per sempre dalla faccia del quadrante settentrionale.»

Stava evitando la domanda. Angel non era stupida.

«In che senso estrema, Rhys?»

«Ricordi quando ti ho detto di non essere cresciuto in un bell'ambiente? Ecco. Certe cose... certe cose ti rimangono dentro, sai? E... Beh, per me un amico è quella persona che non ti volta le spalle e che non pugnala le tue.»

«Credo sia la definizione normale di amicizia.»

«Sì. Finché non ti rendi conto che nemmeno la tua stessa famiglia riesce a rispettare questa semplice regola. Nel momento del bisogno, in cui sei costretto a contare sugli altri, si finisce per rimanere piuttosto delusi.»

«Suoni come mio padre.»

«Allora tuo padre ha capito come gira il mondo.»

Sentì della tensione nel lungo silenzio che seguì, mentre gli avatar vagavano in coppia in cerca di prede.

«Vaughn è un tipo divertente. È questo gnometto con gli occhiali, un genio dei numeri, più veloce del mio ECHOeye nel calcolo. Abbiamo il nostro bro-code, il bro-fist, il bro universale, insomma. Yvette ci prende sempre in giro, dice che siamo dei nerd. Yvette è un'altra mia amica. Siamo uno strano trio, in effetti. Tutte le v-»

«Nel momento del bisogno conteresti su di loro?»

Boccheggiò, interrotto dalla domanda a tradimento.

«B-Beh...»

«Conteresti su di loro?»

«Ecco... Nnnno. No. Non credo lo farei.»

«Io sono tua amica?»

«Sì. Certo che lo sei!»

«Perché?»

«“Perché”? A-Angel-»

«Perché io sono tua amica e loro no? Qual è la differenza? Cosa ti fa credere che io non ti colpirei alle spalle più di quanto loro non farebbero?»

Distolse lo sguardo dallo schermo, sfuggendo agli occhi inquisitori. La loro intensità lo metteva a disagio, come la risposta che non voleva confessare.

«Rispondimi, Rhys. Perché?»

Ma Angel era sua amica nel vero significato della parola. Lui non mentiva ai suoi amici. Non alzò comunque lo sguardo quando lo disse.

«Perché tu non puoi ferirmi.»

Boing. Sollevò il viso: “4N631 ha lasciato la conversazione”.

Si passò la mano di carne sulla faccia e si abbandonò con un sospiro allo schienale della sedia. Attraverso l'ECHOeye fece il log-out e arrestò il computer.

Gli dispiaceva che pensasse che la loro amicizia si basasse esclusivamente sul fatto che lei sarebbe per sempre stata fisicamente incapace di minacciare la sua incolumità. Ma era vero.

Raccolse la borsa da ginnastica e andò alla porta di casa. La sua casa. La sua casa perfetta. Aveva ottenuto il bilocale gratuitamente dopo soli tre mesi a Helios, cedendo il suo minuscolo monolocale a Sandra dell'amministrazione («Grazie, Rhys. Non voglio restare dove abitavamo assieme. Troppi ricordi.»). Il divano, la macchina del caffè e la televisione erano regali di Jim e Mei della discarica («Casa nuova, cose nuove. Quegli idioti dei manager gettano nel cesso roba di ottima qualità manco fosse carta igienica, tzè! Tu le apprezzerai sicuramente meglio, ragazzo.»). La tv, in brutte condizioni, era stata riparata da Wu della manutenzione («Figurati, per così poco. Ecco qua, Rhys. Come nuova.») e migliorata da Sidney del reparto informatica («Uno spreco di soldi, te lo dico io. Ma quando mai mi ascolta, quell'uomo? Deve avere l'ultimo modello, l'ultimo gadget, l'ultima idiozia sul mercato. Ah, ho finito. Tieni, Rhys, con questo chip riceverai tutti i canali. E ricorda: se ti beccano, noi non ci conosciamo.»). Il computer nella sua stanza era un acquisto azzardato di Lukas della sicurezza («Te lo do gratis se metti una buona parola per me con Fatima. Sai, la brunetta carina in robotica, quella col sorriso dolce.»), e poi aggiornato da Rhys stesso, rendendo il pezzo più unico che raro. Grazie ai motivi più banali, il valore delle sue proprietà superava di gran lunga quello che un impiegato della sua statura poteva permettersi. Tranne il letto e il cuscino, realizzati su misura da un'azienda leader del settore, tutto in quella casa era frutto delle sue benevoli macchinazioni.

Era benvoluto, lì.

Al suo arrivo quattro anni fa, si era prodigato per crearsi una rete di conoscenze sicura: contabilità, sicurezza, scientifica, robotica, amministrazione, eccetera, puntando alle persone giuste nel posto giusto, individui ordinari abituati a venire calpestati come dettava il loro prezioso e odiato motto, “arriva in vetta, non girarti a controllare chi calpesti per raggiungerla”. Con un impianto cerebrale non comune, il giovane bell'aspetto e la segreta brama per tutto ciò che lo avrebbe distinto dal suo passato, aveva scelto il nuovo se stesso, un misto di sana spavalderia e sensibilità: impacciate parole gentili, un saluto di passaggio, una lunga lista di piccoli favori contraccambiati. Circuire i dipendenti di Hyperion era stata una bazzecola, era bastato un minimo di decenza umana. Lui era il bravo ragazzo, quello che in fondo, in fondo non era tagliato per il gioco spietato nonostante si sforzasse di essere credibile. Con lui si poteva parlare di famiglia, hobby ridicoli o problemi di salute senza diventare oggetti di derisione, vittime di ricatti o defenestramenti nello spazio.

Rhys era uno di loro.

Gli piaceva qui, si era sistemato bene.

Gli piaceva la persona che aveva scelto di essere, gli usciva naturale.

Questo non gli aveva impedito di rimanere ancorato alla sua generale sfiducia verso il prossimo e alla sua cara riservatezza. Alla sua età e considerate le sue vicissitudini, era normale. Non sano, probabilmente, ma più che comprensibile. Era considerato un amico da tanti, ma nessuno era amico suo, per sua scelta. Aveva provato a lasciarsi andare. L'esempio più recente era Stacey: con lei aveva compiuto un coraggioso salto nel vuoto, contrastando ogni suo campanello d'allarme, eppure niente in lui era mutato, e la relazione aveva preso una brutta piega.

Erano le 23:51, i desolati spogliatoi erano immersi nell'azzurra luce fredda. Per due ore e mezza quella notte la palestra fu soltanto sua. Corse a velocità sostenuta finché i polmoni glielo permisero, finché dalla mente il pensiero di Angel, la sua amica-amica, scivolò via in favore della sensazione viva dei muscoli spossati, del respiro affannato e del sudore copioso. Amava correre.

-

 

«Vuoti di memoria?»

«Così dicono i medici. Peggiorerò velocemente. Non c'è niente che si possa fare. Mio padre era su tutte le furie. Ha quasi strangolato la dottoressa.»

Angel soffriva troppo di solitudine per tagliare i ponti con l'unico amico-amico che avesse. Non aveva tirato in ballo l'argomento dell'ultima videochat. Se l'avesse fatto, le avrebbe chiesto perdono per averla ferita, non per la verità.

«Non so, Angel. È piuttosto difficile dimenticarsi di me.»

La ragazzina rise, delicata e breve. Fu costretta a fermarsi per riprendere fiato.

«Rhys.»

«Dimmi.»

«Posso registrare le nostre conversazioni?»

«R-Registrare?»

«Terrò i pezzi delle nostre chiacchierate più belle. Le guarderò prima di andare a letto, così... così mi ricorderò.»

Era una bella e buona violazione della sua privacy. Chi altri aveva accesso all'account di Angel? Chi altri avrebbe visto il vero Rhys?

«Hai una password a prova di hacker, giusto?»

«Non sono una pivella!»

«Mh, per poco non mi fregavi quando ti sei lasciata colpire da quel Volpino delle nevi.»

«Oh, malediz- Accidenti! È successo una sola volta, Rhys, una sola. Dovevo grattarmi il naso, il prurito mi stava uccidendo.»

«Certo, certo, come dici tu, Angy.»

«La smetti?»

L'entusiasmo per il ritorno di Angel fu un po' smorzato dalle sue frequenti assenze e dal suo evidente affaticamento.

«Mi sottopongono a maggiori analisi. Praticamente vivo in ospedale. Qui accanto a me puoi ammirare la stupida pianta che mio padre si ostina a nutrire per farmi compagnia. Queste invece sono le quattro mura in cui sono imprigionata. Vuoi sapere il colore? Tieniti pronto: bianco panna.»

Non scendeva mai nei particolari dei trattamenti.

«Sarà mica così terribile.»

«No, hai ragione. Ci sono i battiscopa colore bianco brillante a sostenermi. Se non morirò per la malattia, morirò di noia, giuro.»

«Che drammatica.»

Era penoso assistere a frasi ripetute inconsapevolmente, sintomo della perdita graduale di memoria.

«Rhys!»

«Ehi, Angel.»

«Non hai idea di quanto sia noioso qui dentro.»

«Non mi dire.»

«Tutto è così monotono... E monocromatico. Sai di che colore sono le pareti? Tieniti pronto: bianco panna. Un artistico contrasto con i battiscopa bianco brillante.»

All'inizio aveva creduto fosse umorismo, poi si era rassegnato all'evidenza. Non glielo faceva mai notare.

Bunkers & Badasses aiutava la sua concentrazione, tuttavia anche lì c'erano segnali di cedimento.

«Sto peggiorando.»

Non aveva sistemato dei bug nella nuova zona di gioco. Solitamente, se ne occupava lui prima che lei se ne accorgesse; stavolta non c'era stato il tempo materiale di aggiustarli.

«Sto peggiorando e il gioco ne risente. Ho appena letto un sacco di lamentele sulla mia gestione. Ci sono troppi bug nelle nuove aree. Rhys, io so come si crea un gioco. Prima non c'erano bug.»

«Non è colpa tua, Angel.»

«Lo so. È colpa di mio padre. Sto morendo a causa sua!»

Angel scoppiò in lacrime e lui fece del suo meglio per consolarla. Non conosceva i trascorsi, sapeva soltanto che la ragazzina provava per il genitore sentimenti di amore e odio. Suo padre era davvero la causa della malattia, o era la mente adolescenziale della figlia a imporgli il ruolo di carnefice per sfogare la rabbia e la paura per la morte imminente? Beh, non era uno psicologo, era solo il suo unico amico-amico.

-

 «Ti stai vedendo con qualcun'altra.»

Fu Stacey a rivolgergli l'accusa. Non aveva esattamente torto, però Angel era come una sorella minore.

«No, non vedo nessuna.»

A quanto pareva la sua rinnovata gioia di vivere aveva risvegliato il suo interesse.

«Strano. Con me non sei mai stato così felice.»

Oppure no.

«Cosa vuoi, Stacey?»

«Voglio sapere cosa ti ha dato tutto questo buon umore. Non è una domanda difficile. Sono io? È perché non sono più parte della tua vita che sei rinato? Dimmelo, ti prego, sono curiosa.»

«Stacey... Non è il caso, dai.»

Erano in un bar, ognuno col proprio gruppo di amici, finché Stacey l'aveva intercettato nell'andare al gabinetto. Era perfettamente coerente e non aveva i sintomi tipici di qualche bicchiere di troppo. Voleva solo vendicarsi.

«È un crimine fare domande al proprio ex?»

Non la biasimava, quei tre mesi assieme erano stati un cattivo investimento, per lei. Convinta di concludere un buon affare grazie alla rete sociale di cui lui era apparentemente ignaro, aveva dovuto sorbirsi un uomo a tratti disponibile e attento, a tratti sfuggevole e chiuso. Stacey aveva avuto tutte le ragioni di scaricare quello schizzato del suo fidanzato.

«N-No, certo che no. È che non so cosa dirti.»

«Che è colpa mia. Dì che è colpa mia, avanti.»

Gli si rizzarono i peli del corpo alla frase per lui ricca di significato.

«Stacey, basta.»

«Bravo, Rhys. Scappa, di nuovo.»

Non la stette ad ascoltare. Si dimenticò della vescica piena e lasciò il locale. Si rintanò a casa, replicò ai messaggi di un preoccupato Vaughn che minacciava di azzerare il conto in banca di lei, e dopo una capatina alla toilette si infilò a letto. Sognò Sasha.

«Allora è così che stanno le cose. Ci lasci qui, su questo maledetto pianeta, per vivere la bella vita con i bastardi che lo hanno massacrato. Perché, Rhys? Pensavo... Non è il posto migliore in cui abitare, ma ci siamo noi, qui. Che cosa abbiamo fatto? Cosa-cosa ti salta per la testa? Credevo che... È per Felix? Per Fiona? Lo fai apposta ad andartene dalla gente che più odiamo, vero? È una punizione per qualcosa che abbiamo fatto! O è per me, Rhys? Eh? È colpa mia? Dillo che è colpa mia, codardo!»

Si svegliò con l'occhio destro bagnato, tracce umide sul cuscino e il lenzuolo prigioniero di una stretta ferrea.

Esalò un respiro greve e si asciugò metà viso con il dorso della mano, inutilmente. Fissò il soffitto per chissà quanto, fino a che le lacrime non si fermarono seccandosi sulle ciglia. Tirò su col naso e andò al bagno per sciacquarsi e togliere i residui. Evitò accuratamente di guardarsi allo specchio.

Di solito un tale sballottamento emotivo l'avrebbe spinto a una corsa forsennata in palestra o per le strade di Helios, ma era tanto che non pensava a Sasha (“Sasha...”), che non ricostruiva il suo volto nei suoi pensieri (“sarà cambiata in questi quattro anni?”), e si ritrovò impreparato di fronte alla miriade di domande (“le piacerà ancora allenarsi a sparare alle lattine nel vicolo?”) che gli occuparono la mente. La sveglia segnava (“starà bene?”) le 4:38. Il sonno era ben lontano da lui (“sarà ancora dentro il giro di truffe di Felix?”), ormai. Si sedette stancamente (“mi avrà perdonato?”) sulla sedia alla scrivania accanto al letto.

Attivò l'ECHOeye e con un paio di comandi si preparò ad entrare in Bunkers & Badasses. Era praticamente domenica mattina, il sistema artificiale simulante le ventiquattro ore e le quattro stagioni della stazione la immergevano in un buio in via di schiarita, e anche le più zelanti delle api operaie consideravano quel giorno sacro. La maggior parte di loro era a casa a dormire, gli altri stavano concludendo gli ultimi momenti in discoteche e nightclub, e i nerd insonni come lui erano connessi a un videogioco online a caccia di gustosi bottini o alla conquista di Trofei virtualmente impossibili.

Lo schermo si animò con “4N631 ti sta chiamando”. Angel. L'aveva detto che quando non riusciva a dormire si connetteva a tempo perso.

Accettò la chiamata, nonostante non fosse in condizione di svolgere grandi conversazioni.

«Ehi, compagno insonne! Non hai una bella cera.»

Lo trovò buffo, detto da lei.

«Non ho dormito bene.»

«In teoria dovresti essere ancora a letto. O fuori a festeggiare. Non è fine settimana?»

«Sì.»

Dopo lunghi secondi di attesa Angel cambiò discorso.

«Stai giocando senza mani?»

«Uso l'ECHOeye.»

«Fico. Forse dovrei farmene uno anch'io. Il dolore dell'operazione vale il risultato? Ho letto sulla tua scheda personale che te lo sei impiantato per avere una marcia in più rispetto agli altri, eppure sei ancora nella medesima posizione di quando sei stato assunto.»

«Non dovresti credere a tutto quello che leggi. Specialmente su di me.»

Si ricordò troppo tardi che Angel stava probabilmente registrando la chiacchierata. Dato il suo umore corrente, non gli importò un granché.

La vide mordersi le labbra.

«Stai bene, Rhys?»

Lui osservò per la prima volta il riquadro della sua immagine: gli occhi arrossati, un principio di occhiaie, il colorito pallido e un'aria fragile accentuata dall'assenza del braccio destro; dietro di lui, nell'oscurità illuminata dallo schermo, era visibile la coperta ammassata sul pavimento, il cuscino stropicciato nel mezzo e le innumerevoli pieghe del lenzuolo.

Era un caos.

«No. Ma mi basta vederti per stare meglio. Sei la parte migliore della mia giornata, lo sai?»

Lei nascose un sorriso deliziato con l'ironia.

«Certo. Scommetto che lo dici a tutte.»

«Chi lo sa.»

«Idiota. Acciuffiamo qualche Botolo ringhioso?»

«Sono con te, partner.»

Neanche cinque minuti dopo, la scena si ripeté.

«Ehi, non sembri molto in forma. Che ti è successo?»

«Ho dormito male.»

«Brutto sogno?»

«Brutto sogno. Non preoccuparti, dopo questa sessione di gioco stacco e mi faccio una bella dormita.»

«Bravo. Non so se riuscirei a sopportare una simile vista per un periodo prolungato.»

«Ah! E io che stavo pensando una cosa carina su di te.»

«Ah sì? Cioè?»

«Adesso di sicuro non te la dico, mia cara.»

«Sei una persona orribile. Sii più rispettoso di un paziente in stato terminale.»
«E va bene, va bene. Pensavo che sei la parte migliore della mia giornata.»

Una risatina adolescenziale le scappò dalla bocca.

«Tutti i giorni o solo oggi?»

«Mmm, dipende. Alle volte sei proprio insopportabile.»

Lei sorrise, ma lentamente la sua espressione si fece confusa.

«Quando abbiamo iniziato la missione nel Campo verde? Rhys... Hai pianto? Dov'è il tuo braccio?»

Si allarmò alla velocità dell'amnesia e fu solo grazie alla pratica che il suo sorriso non si sgretolò per il dispiacere.

«Sto bene. Un brutto sogno. Ma non preoccuparti, ho la soluzione perfetta per queste notti insonni.»

«Fammi indovinare: distruggere campi di banditi su B&B

«Errato.»

«Ammirare la tua collezione di Trofei?»

«Nngghh, fuochino.»

«Uff. Dai, Rhys, o morirò prima che tu me lo dica.»

«Tu. Tu sei la mia soluzione perfetta.»

«Io? Perché?»

«Esisti. Te l'ho mai detto che sei la parte migliore della mia giornata?»

«No... Non lo sapevo.»

«Da oggi te lo dirò tutte le volte che ti vedo.»

Era rimasta molto colpita da quel “esisti” e con l'ECHOeye Rhys impresse il momento in una foto: una ragazzina dal corpo spezzato e gli occhi scintillanti di gratitudine. Un piccolo angelo.

Le parlò ancora un paio di volte, in quel mese, poi, dopo sessantacinque giorni di assenza e il cuore pesante, si obbligò ad esaminare i necrologi. Le sporadiche Angel, Angela e Angelina non combaciavano; forse Angel non era nemmeno il suo vero nome, come invece gli aveva detto una volta. O magari era in coma farmacologico. Non morta, soltanto in coma. E un giorno si sarebbe risvegliata e... e...

Pianse.

-

«Ho sentito che sta scendendo qui.»

«Chi?»

«Handsome Jack.»

«Cosa?!»

«Oh mio Dio, non mi sono truccata stamattina!»

«Ehi, quelli del marketing sono fuori di testa. Hanno detto che il capo in persona sta venendo qui. Non sanno più che inventarsi per spaventarci.»

«Ti preoccupi del make-up? Pensa al tuo lavoro, piuttosto. Hai sistemato il caso Gretchel?»

«Aspettate... sta davvero venendo qui?»

«Oddio. Oddio, verrò defenestrata!»

«Cazzo, ho ancora-»

«Ehi, kiddos! Papà è qui!»

Nemmeno Rhys, nonostante la sua totale mancanza di interesse per Handsome Jack, poteva ignorare il nervosismo per la presenza inaspettata del presidente nel reparto legale. Era in regola con ogni compito assegnatogli, ma l'imprevedibilità del personaggio era leggendaria, inoltre, per il colpo basso di Maliwan sul rilascio di una linea di pistole sospettosamente simile al nuovo modello in costruzione a Hyperion, il suo cattivo umore era stato la principale causa di mortali licenziamenti negli ultimi mesi.

Il CEO di Hyperion sciorinò varie battute, spesso e volentieri abbellite da doppi sensi, con quella sua voce seccante e presuntuosa e, dopo un giro d'ispezione e tre risoluzioni di contratto, annunciò che il posto di suo assistente personale era vacante.

«Nessuno si fa avanti? Un bell'aumento, l'onore di portarmi il caffè, la gioia di vedermi tutte le mattine. Io dovrei essere un incentivo sufficiente, in effetti.»

Mica tanto. Si sapeva che Meg era sotto costante assunzione di medicinali per superare la giornata. Ed era solo la sua segretaria.

«Mi aspettavo un po' più di entusiasmo. Abbassa quella mano, cupcake, non è te che voglio.»

Il braccio dell'audace Lilian affondò immediatamente.

«Oh, andiamo. Devo sempre fare tutto io? Tu, kiddo. Sì, tu, ragazzo cibernetico. Tu sarai il mio nuovo PA. Beh, primo PA, mai avuto uno. MA, ora ho ne ho bisogno. Perciò fai i bagagli, pumpkin, inizi traaaaa quindici minuti.»

Cosa? No... C-cosa? Che stava succedendo?

Handsome Jack se ne andò fischiettando lasciandosi alle spalle un Rhys stordito e oggetto di sguardi.

Lui? Lui assistente personale della persona più importante di Helios? Lui? Perché?!

Haamid del cubicolo accanto gli diede una scrollata e lo incitò a darsi una mossa. Ringraziò il cielo che Haamid fosse più interessato ai biglietti dell'opera che gli procurava sotto banco che all'invidia per la... promozione? Di sicuro Lilian non gli avrebbe rivolto il buongiorno per il resto della sua esistenza.

Spedì rapidamente il suo lavoro a chi di competenza, raccattò i suoi averi usando la giacca a mo' di sacco, e corse all'ascensore con le palpitazioni a mille. Le porte si aprirono su un ampio atrio pentagonale decorato con un paio di piante, enormi dipinti figuranti le imprese del presidente, un piedistallo occupato dal famoso pony Butt Stallion e una guardia che si scomodò dalla sedia brontolando per perquisirlo dopo il metal detector, che ululò. Uomo cibernetico, che sorpresa.

La sua postazione era una presa in giro. In confronto a quella elegante e professionale di Meg, situata accanto all'ascensore, il suo tavolino traballante e lo sgabello sgangherato sostavano nel corridoio successivo al metal detector, ai piedi della dozzina di scalini che precedevano l'ingresso, serrato, dell'ufficio del CEO. L'andito mancava di servizi igienici.

Contando i minuti, accese il computer, richiedente una password che non gli era stata fornita; stessa storia per le essenziali istruzioni sulle sue nuove mansioni e il badge ufficiale per l'area. Era stato lasciato a se stesso.

L'istinto di autoconservazione lo tentava a farsi strada hackerando, tuttavia quel medesimo istinto lo frenava: il suo ECHOeye era registrato alla voce “standard” e le sue abilità informatiche “basilari”; avrebbe smascherato il suo personaggio.

«Cosafacciocosafacciocosafaccio.»

Non voleva essere il nuovo-primo assistente personale di Handsome Jack.

Che ne sarebbe stato della sua routine? Che ne sarebbe stato delle sue relazioni interpersonali? “Rhys, quello del reparto legale, hai presente?” sarebbe stato sostituito da “Rhys, il maledetto fortunato scelto personalmente dal capo per portargli il caffè”.

Stava per reimmergersi nella maleodorante pozza dell'angoscia quando le gambe di legno cedettero e il suo sedere finì di peso sul pavimento. Il dolore fisico lo riportò coi piedi per terra. Chiamò Antony del reparto informatico («Antony? Antony, sono Rhys. Mi serve una mano, amico. Ti prego, o per me è la fine. Letteralmente.») che violò la sicurezza del terminale e lo collegò ai file di Meg.

Era di nuovo in gioco.

Le ore volarono tra infiniti squilli telefonici, chiarimenti su chi diamine fosse, dove diamine era la solita segretaria, se era abbastanza sveglio da leggere e modificare la dannata agenda e «Ohmmioddio, allora è vero che ha preso te! Lui è lì? È-» che garbatamente stroncava sul nascere.

Riuscì a tornare a casa vivo.

«Come ci si sente lassù?»

Yvette non apprezzava che fosse stato ricollocato, senza meriti, a un numero di piano superiore al suo.

«Non è bruttissimo. Anche se preferirei tornare al mio vecchio posto.»

«Figuriamoci.»

«No, davvero. Non ho la minima idea di quel che dovrei fare. Per tutto il giorno ho risposto alle chiamate e aggiornato l'agenda. Dovrò gareggiare a chi prende prima le telefonate con la segretaria?»

«Ma lui com'è?»

«Mi spiace deluderti, bro, non l'ho incrociato.»

Effettivamente c'era stato zero contatto tra loro. Neanche gli aveva chiesto lo storico caffè.

Comunque, lui non era tipo da rimanere con le mani in mano. Nei giorni seguenti prese subdolamente il comando aggirando le impressionanti protezioni del sistema operativo, incluso il sofisticato virus-spia del paranoico capo. Ora sapeva che il CEO entrava in ufficio tra le 4 e le 7 del mattino, che come prima cosa spulciava le attività del suo PA, che passava la maggior parte della giornata a sbraitare all'auricolare e il resto con le pupille appiccate allo schermo, che in ventiquattro ore mangiava sì e no un panino e beveva una ventina di bicchieroni al caffellatte super zuccherati, e che staccava tra le 20 e l'1 del mattino. Non esattamente una routine salutare.

«Ralf! Come va, kiddo

Era il settimo giorno. Le telecamere l'avevano avvertito della rara apparizione del CEO alle sue spalle, tuttavia sobbalzò ugualmente all'accento tagliente ed energico che contraddistingueva l'uomo.

«E-ehm, sarebbe Rhys, signore...»

«Certo, certo, cupcake. Allora. Ti piace il tuo nuovo lavoro? Sei comodo? Ho faticato per trovare un'accoppiata scrivania-seduta che si addicesse al ruolo, devo ammetterlo. Ah, mi spiace di non averti lasciato un bigliettino con la lista della spesa, sono stato impegnato; sai, meeting a go-go, gente da defenestrare, galassia da salvare, soldi da incassare. Spero tu ti sia dato da fare nel frattempo, altrimenti perché ti pago, giusto? Ahahahah.»

Essendo a conoscenza della verità, era chiaro che le parole e le insinuazioni fossero una tattica psicologica per averlo in pugno. Sapeva essere servizievole, ma non ci stava a trascorrere il resto della sua carriera come centralinista: se possibile, era più tedioso del suo incarico legale, che l'aveva condotto a B&B. Di questo passo rischiava il suicidio mentale. Optò per l'approccio diplomatico.

«S-sì, sì, signore, però...»

«Però? Sputa il rospo, Rudolf, non tenermi sulle spine.»

«Non avrebbe qualcosa di più impegnativo da assegnarmi?»

«Ti stai lamentando del tuo lavoro, principessa? Il nuovo, fichissimo lavoro che papà ha scelto personalmente per te?»

«N-no, signore! Ci mancherebbe. Solo sarei felice di poter contribuire... di più. Giusto un pizzico.»

«“Giusto un pizzico”. Ah! Sentitelo. Nah, scherzo, kiddo. Effettivamente non ti sei comportato male in questo periodo di prova. A dire il vero mi ero dimenticato esistessi. Ero convinto di averti già defenestrato. È difficile tenere il passo con tutti i cadaveri che galleggiano nello spazio.»

«C-capisco, signore.»

«“C-c-c-capisco, s-s-s-signore”. Mi fai morire, ragazzo. Ecco qui la tua tessera ID. Appena mi stravaccherò sulla mia magnifica poltrona ti invierò un'email con qualche linea guida. Vado a terrorizzare il mio alveare. A dopo, principessa.»

Per solidarietà e tornaconto personale avvisò tutte le sue conoscenze nei vari dipartimenti.

-

Essere l'assistente personale del boss si rivelò coinvolgente: teneva la corrispondenza, verificava l'attendibilità di ogni informazione ricevuta, scriveva riassunti concisi su meeting e rapporti complicati, organizzava le riunioni con i capi reparto, notificava al presidente le azioni giornaliere degli stessi, sopportava educatamente la loro supponenza e fungeva da ultimo baluardo tra il capo e il resto della galassia. Meg si occupava dello spam, del fanclub e degli stalker.

Passati due mesi, il presidente aveva smesso di revisionare da cima a fondo ogni sua mossa. Con il suo ECHOeye “standard” era un asso nel data mining; combinato al suo buon senso e ai ragguagli extra dello staff di sua diretta conoscenza, si poteva tranquillamente affermare che quello era il lavoro che più gli si addiceva. Che bella coincidenza.

Il CEO, poi, era gestibile. Aveva un brutto modo di fare, tra il sempiterno sbaglio del nome proprio («Ehi, Reece.» «È Rhys, signore.» «Sì, sì, scusa Rodolfo.»), le battute deplorevoli («No, dico, le hai viste, cazzo? Mica aveva quel davanzale l'ultima volta. So che il mio fascino ha un certo effetto, ma addirittura sbalzi ormonali.» «Signore. La Smith è incinta.» «Sul serio? Porca troia: sono la versione moderna e migliorata dello spirito santo.»), la mania di invadere il suo spazio personale («Signore, potrebbe...» «Cazzo, Ralf, quanto sei puritano. Manco ti stessi sbattendo il mio uccello in faccia.»), l'intimidazione facile («Ottimo lavoro, Reese. Continua così e forse toglierò la botola sotto la tua postazione.») e lo smisurato ego («Eh.» «Sì, signore?» «No, niente. Volevo vedere se mi bastava respirare.» «Per... cosa, signore?» «Per monopolizzare l'attenzione. Grazie per l'ennesima conferma, Rudolf.»), tuttavia si augurava fossero manovre temporanee per testare la sua tempra. Aiutava parecchio a tollerarlo il fatto che possedesse effettivamente le qualità che il suo ruolo di leader richiedeva.

A Rhys non era mai importato delle malefatte di Handsome Jack. Per lui era sempre stato semplicemente la faccia rovinata su giganteschi cartelli nel deserto, il proprietario di una marca di ottime armi, la persona odiata da un intero pianeta, e il datore di lavoro il cui sistema l'avrebbe scioccamente accolto a braccia aperte. Era un uomo di carne e ossa come chiunque altro, ricco, spietato e carismatico come pochi.

Ed era in casa sua.

Non aveva un sistema di sorveglianza all'interno, sapeva dell'irruzione per l'uso del badge presidenziale sul pannello d'entrata. In teoria il passepartout non era rintracciabile, Handsome Jack andava e veniva dove gli pareva in completa segretezza, ma Rhys era Rhys: se qualcuno invadeva il suo territorio, lo avrebbe saputo, e agito di conseguenza con un piano d'attacco ben pensato. Rimase però sbigottito dalla serietà dell'uomo, quando tornò dopo la ventina di minuti trascorsi nel suo appartamento e gli ordinò il suo primo caffè in assoluto.

«Due terzi latte di mandorla, un terzo espresso, e uno spruzzo di panna montata e zucchero di vaniglia. Sulla mia scrivania dieci minuti fa.»

Per la prima volta usò la tessera di riconoscimento per accedere alla porta dietro le sue spalle, sorprendendosi che funzionasse, visto il livello di paranoia del CEO. Era seduto sul suo trono dorato, cinquanta metri e due rampe di scale più in là, concentrato sullo schermo del suo terminale. Con le sue gambe lunghe presto gli si parò davanti. Il presidente aderì alla poltrona con fare regale e lo inchiodò con i suoi occhi eterocromatici.

«Dì un po', cupcake: c'è qualcosa di vero nel tuo curriculum o è tutta una favola?»

Gli mancò il fiato. Il presidente attese un paio di secondi, poi assottigliò le palpebre e girò la visuale dello schermo verso Rhys con un gesto delle dita. Mostrava la sua scheda personale, con parecchie frasi evidenziate e annotazioni scritte a mano: “balla”, “altra balla”, “pure questa”, “un mucchio di palle!!!”, “nome V o F?”, “furto identità?!”, “BUGIARDO”.

«P-posso spiegare, signore.»

Era difficile parlare con un grosso nodo alla gola.

«Normalmente ti avrei già ucciso. Giù per la Jack-botola premendo un bel bottoncino colorato. Oggi però sono di umore compassionevole. Spiegati, e sii convincente, pumpkin

Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, la gola secca, i pensieri in subbuglio (“come l'ha scoperto?”, “dio”, “perché ha scavato così a fondo?”, “che idiota, sono il suo dannato PA! Ovvio che abbia verificato scrupolosamente i miei precedenti”, “fin dove sarà arrivato?”). Strinse tra le mani il caffellatte caldo (“no. Posso farcela. Non ho niente da temere”). Si calmò. Handsome Jack non era una minaccia. Se avesse tentato di ucciderlo l'avrebbe trivellato di colpi con le torrette del suo stesso sistema di sicurezza nascoste dentro le pareti e lasciato Helios prima che qualcuno se ne accorgesse. Aveva il controllo della situazione.

«Volevo...»

Cosa voleva? Cosa doveva dire? Non voleva gettare alle ortiche anni di sacrifici e tutto ciò che aveva costruito. Non voleva tornare indietro.

«Volevo andarmene.»

Il più lontano possibile.

«Non ho un valido diploma di laurea o un prestigioso dottorato. Non ho nemmeno frequentato le scuole superiori.»

Avrebbero dovuto rincasare per l'inizio del suo primo anno, lui e i suoi genitori.

«Non avevo niente.»

Incolpava l'ingordigia di suo padre e il caldo che aveva indebolito sua madre.

«Ho imparato da autodidatta. Ho sempre avuto una buona memoria e le biblioteche sono gratis; online si trova di tutto. Ho scoperto di essere bravo in qualcosa e... Abbastanza bravo per rifarmi una vita. Ho falsificato i documenti e ho superato l'ammissione a Hyperion. Poi ho superato il periodo di prova. E sono rimasto.»

Punto.

«Tutto qui? Questa è la tua storia?»

Il presidente era stato paziente. Aveva ascoltato senza muovere un muscolo e senza fiatare, molto distante dalla sua solita esuberanza. Turbava di più questa versione calma che quella urlante.

«Sì, signore.»

«Alquanto deludente. Mi aspettavo un pianto patetico, genitori morti, o perlomeno abusivi, dieci fratelli da sfamare, un giro di prostituzione o droga, o tutt'e due.»

«Temo di non essere così interessante, signore.»

Handsome Jack sbuffò. Sembrava divertito. In senso buono?

«Perché Hyperion? Avresti potuto entrare in qualsiasi azienda. Cos'ha di speciale rispetto alle altre? A parte me, ovviamente.»

«Era la scelta migliore. È lontana a sufficienza.»

Il presidente si mise a ridere, asciugandosi una lacrimuccia immaginaria.

«Oh, kiddo. Dovresti stare nel settore vendite. Sei esilarante! Io ti do la possibilità di salvarti la pelle e tu mi propini un discorso stringato di cinque righe. Dio, mi sembra di leggere uno dei tuoi riassunti sui rapporti trimestrali della contabilità: breve e ricco di contenuto. Il miglior PA di sempre. Dico davvero, ragazzo, hai talento.»

«Sono bravo nel mio lavoro, signore.»

«Sì. Sì, lo sei.»

Lo disse lentamente, riflettendoci su picchiettando le dita sulla scrivania e non staccandogli gli occhi di dosso. Aveva ancora quell'espressione di divertita derisione in faccia, ma non avrebbe saputo dire se avesse già preso la sua decisione e lo stesse cuocendo a fuoco lento, oppure se realmente stesse tirando le somme finali. Dal canto suo era soddisfatto. Era stato onesto e si augurava che il suo racconto venisse accettato, altrimenti ci sarebbero state cervella di CEO sparse sul pavimento.

«Okay, cupcake, hai mostrato di avere le palle; me la bevo. Per ora. Al primo passo falso sei fuori. Non in senso metaforico. Intendo nello spazio profondo. Dai, molla qua il mio caffè e sparisci, ho molta roba da fare.»

Stava per andarsene con un grosso peso in meno, quando la sua bocca traditrice si fece sfacciata.

«Il nome e il certificato di nascita sono veri, signore.»

«Ah sì? Buon per te, pumpkin

«Il mio nome è Rhys, signore.»

«Ahahahahah! Non tirare troppo la corda, ragazzo. Sei appena scampato alla morte per miracolo.»

E tuttavia, da quel giorno in avanti, non ci furono più Ralf, Rodolfo, Reece e simili; soltanto Rhysie. 3

-

In seguito a quello scambio a cuore aperto le cose proseguirono sulla retta via. Entrava a lavoro per le 8:30, pausa pranzo dalle 13 alle 13:30, staccava alle 18:30, come una brava ape operaia. C'era rimasto un tantino male per Yvette che, irritata dalla sua promozione regalata, aveva preso a frequentarlo di meno, nonostante si presentasse immancabilmente con allegria e richieste di favori sulla punta della lingua. Non era l'unica amica ad essersi distaccata emotivamente da lui, preferendo vederlo come un mezzo per un miglioramento di carriera. Non che la cosa lo turbasse particolarmente: aveva Vaughn e una cerchia affidabile a cui dedicare parte del tempo libero, e il suo compleanno lo trascorse in serenità tra le mura domestiche di Jo della sicurezza e una ventina di invitati.

«Spero tu abbia passato un buon compleanno, Rhys. Mi aspettavo che affittassi un intero locale per l'occasione, con il tuo stipendio.»

«Ho optato per la semplicità.»

Stacey non aveva rinunciato alle frecciatine ogni qualvolta lo incrociava.

«Sarebbe stato bello ricevere un invito.»

«Sarebbe stato bello esserci lasciati in buoni rapporti.»

«Te la sei legata al dito.»

«Ci penso solo quando ho il dispiacere di incontrarti, credimi.»

Si infastidì quando svoltò con lui per la via di casa.

«Perché dici così? Abbiamo avuto i nostri bei momenti.»

«Nh.»

«In tutto il tempo che ci siamo frequentati sarò stata a casa tua due, tre volte. Non è strano?»

«Senti, Stacey.»

Arrestò i suoi passi e la fronteggiò. Non sapeva dove volesse andare a parare ma non la voleva intorno.

«Sono un tipo strambo e hai fatto bene a scaricarmi. Non ti basta?»

«Avevo torto.»

«Cosa?»

«Ho sbagliato a lasciarti, Rhys. Me ne sono resa conto solo di recente.»

Certo. Dopo la promozione e dopo aver visto che non era stato silurato passato un periodo di tempo ragionevole. C'erano in ballo scommesse su come e quando Handsome Jack l'avrebbe ammazzato. Non era stupido.

Incrociò le braccia, sdegnato e al contempo curioso di ascoltare l'argomentazione che avrebbe dovuto convincerlo a gettarsi ai suoi piedi.

«Mi dispiace per il mio comportamento, non te lo meritavi. Ero arrabbiata. Soprattutto quando sembrava ti fossi trovato una nuova ragazza. All'improvviso era come se io non avessi contato nulla per te, capisci? Ero convinta che se io non avevo potuto fare breccia nelle tue difese, nessun altro-»

«Le mie difese?»

«Rhys.»

Gli si allacciò al braccio robotico e gli donò un'espressione comprensiva con una leggera inclinazione della testa e i capelli lunghi e mossi che seguirono lo spostamento. Era bella, era innegabile.

«Sappiamo entrambi che hai dei problemi.»

Cosa?

«Non so di cosa tu stia parlando.»

«Oh, Rhys, lo so. Lo so.»

«Mi stai trattando come se avessi le rotelle fuori posto. Lasciami. Adesso.»

«Rhys, trovavi sempre scuse per tenermi lontana. Da tutto. Casa tua, i tuoi sentimenti. Se cercavo di farne parte la prendevi come un'invasione della tua privacy.»

Se la scrollò di dosso e riprese a camminare. Lei lo pedinò.

«Non mi hai mai raccontato niente del tuo passato. Non ci sono foto di famiglia nel tuo appartamento, né hai mai menzionato i tuoi genitori, fratelli o sorelle, o amici di vecchia data. Ho scoperto che frequenti la palestra quando ti ho visto nudo. Ho scoperto che ti piace il caffè nero per puro caso e ho sempre trovato irritante il fatto che non ti piacesse la mia torta alle noci finché finalmente ti ho messo al muro e mi hai confessato che eri allergico.»

Riuscì ad afferrargli il polso di carne e a girarlo verso di sé. Fece uno sforzo sovrumano per non darle un cazzotto in faccia.

«Hai dei problemi, Rhys. Ho sempre creduto che fossi l'uomo perfetto per me e mi sono spaventata davanti a qualcosa che non riuscivo a spiegare.»

«Stai delirando.»

«Sono stata la prima persona a cui hai permesso di avvicinarsi. Ci sono arrivata soltanto adesso.»

«Lasciami, Stacey.»

«Permettimi di riprovarci, Rhys.»

«Stacey: lasciami o ti faccio male.»

Lo lasciò. Sul suo viso doveva aver visto il Rhys di una vita precedente.

Al sicuro nella sua tana, lanciò con rabbia l'ECHOpad a terra e si maledisse per la scelta di mettersi con lei. Con chiunque.

-

«Rhys. Rhys, aspettami!»

Pigiò il pulsante del piano presidenziale, ostacolando il braccio di un generoso che stava per bloccare le porte scorrevoli per Stacey. Ignorò la sua occhiata confusa e fissò avanti a sé fino alla scrivania del presidente per la consegna del caffellatte numero uno («Ehi, pumpkin. Ti ha morso un ragno radioattivo stamattina?» «Qualcosa del genere.»). Alla sua postazione, per metà si perse nel lavoro e per metà valutò un piano d'azione. Doveva cercarsi una nuova fidanzata?

Era passato quasi un anno e mezzo dalla frequentazione con Stacey, cinque anni e mezzo dall'arrivo a Helios. Aveva ventisette anni e non gli mancava nulla; non desiderava figli, né condividere se stesso con un'altra persona. Valeva la pena sacrificare parte della sua riservatezza, sebbene temporaneamente, per togliersi Stacey di torno?

«Ti ripagherò.»

«Stai scherzando?»

«Stacey è diventata la mia stalker: mi aspetta sotto casa, all'ascensore, mi segue quando esco.»

«Perché io?»

«Perché posso contraccambiare il favore.»

«Mh.»

«E baciare te in pubblico sarà meno imbarazzante che pomiciare con un'estranea. E la gente non si aspetterà chissà quali dimostrazioni di affetto, conoscendoci. E Stacey ha paura di te.»

«Sono sicura che da qualche parte ci sia un insulto, in quello che hai detto.»

«Ehm... no, non c'è. Allora, ci stai?»

«Tu fammi salire di un gradino o due, e io mi assicurerò che la stronzetta tenga le mani a posto.»

«Grazie, Yvette.»

«Figurati. A che servono gli amici, se no?»

Con un paio di interventi calcolati, Yvette ottenne la promozione e lo strano trio si ricompose. Vedendo Vaughn e Yvette nel suo appartamento («Oh mio Dio! Rhys, ti conosco da secoli e non ho mai saputo di questo fantastico televisore? Oh, le giocate che potremmo farci assieme!», «Come tua fidanzata con precedenti di lunga amicizia, pretendo delle scuse per non essere stata introdotta fin dal principio alla tua macchina del caffè.») e l'assenza di Stacey alla finestra, si disse che c'aveva azzeccato.

Tutto andava bene.

Finché le cose precipitarono vertiginosamente.

«Questo cazzo di progetto doveva concludersi due mesi fa. Hai presente? Due mesi fa! Sai quanto sono due mesi, Tom? Rhysie, tesoro, dimmelo tu: quanto sono due mesi?»

«Circa sessanta giorni, signore.»

«Sessanta giorni. Sessanta fottuti giorni, Mikey. Che cazzo hai fatto in sessanta fottuti giorni? Ti sei grattato le palle a spese mie, eh?!»

«S-signore, le previsioni-»

«NON ME NE FOTTE UNA MINCHIA DELLE TUE FOTTUTE PREVISIONI DEL CAZZO!»

Alzandosi di scatto, la poltrona del CEO venne sbalzata all'indietro. Il rumore del metallo contro il grigio pavimento era niente in confronto all'ira che Handsome Jack stava rilasciando nella sala riunioni, i palmi delle mani sul tavolo, mai troppo lontani dalla pistola alla cintola. Tutti sudavano freddo.

«Io pago voi idioti fior fior di quattrini per far funzionare le cose; mi aspetto che almeno una minima parte del vostro dannato curriculum corrisponda a verità; vi do corda su progetti sperimentali che su carta dovrebbero rendermi più schifosamente ricco di quanto già io non sia. E questo è quello che ottengo? UN RITARDO DI DUE FOTTUTI MESI E “SIGNORE, OCCORRONO PIÙ SOLDI”?! CHI CAZZO CREDETE CHE IO SIA, IL FOTTUTO BABBO NATALE?!»

Alla fine della tirata, il responsabile del progetto, Mitchel, giaceva a terra in una pozza del suo stesso sangue e un foro nel cranio.

«Sono circondato da imbecilli, Rhysie, dal primo all'ultimo. Mi stanno facendo diventare matto!»

Dopo l'eccesso emotivo, il presidente era in vena di chiacchiere, e venne convocato a tempo perso nel suo ufficio. Non era una novità, con lui aveva sviluppato la familiarità tipica di chi lavora a stretto contatto, nonostante lui rimanesse invariabilmente sulle sue. La stranezza stava nell'estrazione di un liquore dal cassetto della scrivania e la sua aggiunta al caffellatte. Dallo stesso cassetto prese una cornice fotografica.

«Dimmi, pumpkin: hai mai perso qualcuno che amavi? Qualcuno che amavi davvero, non... Hai capito.»

Era ubriaco?

«Sì.»

Tutti perdevano qualcuno. Pensò ai suoi genitori, a Angel. Pensò anche a Sasha.

«Tsk. Sempre al risparmio sulle parole quando si va sul personale, eh, Rhysie-cake? Mai che ti cavi di bocca qualcosa di succoso.»
L'uomo sorseggiò il caffellatte corretto, poi si scolò direttamente metà bottiglia di liquore con una smorfia. Lui si fece cauto.

«Tu come tiri avanti, Rhysie?»

Una domanda un tantino troppo vicina, ma decise di rispondere per tenerselo buono.

«Corro.»

Gli occhi eterocromatici smisero di fissare la foto misteriosa e puntarono lui, perplessi.

«Corri?»

«Sì, signore.»

«La gente che ami muore, e tu corri?»

«Ognuno ha il suo metodo, signore.»

«Che cazzo di senso ha?»

«Non penso quando corro.»

Il presidente rise con note stridule.

«Sei- ahahahahah- sei esilarante, pumpkin, davvero, davvero, davvero... incredibile.» 4

-

Quel sabato in palestra venne annunciato «Si esortano i gentili clienti a sloggiare dall'edificio: papà vuole fare quattro salti. Tutti tranne il mio PA, ovviamente.».

«Ehi, Rhysie-cake! Che sorpresa incontrarti qui.»

Il presidente indossava un completo giallo e nero di pantaloncini, canotta, fascia per capelli, polsiere e cavigliere e un sorriso strafottente. Lo trovò inspiegabilmente ridicolo.

«Signore.»

«Jack! Fuori dall'orario di lavoro è Jack.»

«Preferisco mantenere un rapporto professionale anche fuori dall'ufficio, signore.»

«Dio! Ci sei nato con quel palo in culo o l'hai acquistato crescendo?»

«Non saprei, signore. Cammino normalmente.»

«Ah, Rhysie, tu sì che mi togli la gioia di vivere.»

La sua compagnia fu un'eccezione non totalmente terribile. Fu un'impresa non ridere della sua impreparazione atletica, divertente togliergli il fiato con una sfida per interrompere il suo chiacchiericcio infinito, e sconfiggerlo, poi, era una goduria. Non lo fu più quando capì che l'uomo progettava di rendere le sue visite una tradizione.

Handsome Jack era uno stronzo, non c'era ombra di dubbio, però non era uno stronzo totale con lui. Senza presunzione, era sicuro che su Helios lui fosse la persona più vicina alla più blanda definizione di amico che il CEO possedesse. Questo lo faceva sentire un po' speciale? Sì, certo. Al punto da accettare la sua presenza anche nel suo tempo libero? Assolutamente no.

Non bastava tollerare le numerose pacche sulla schiena («Come va, kiddo?», «Ben fatto, pumpkin, ben fatto.»), l'appoggiarsi o il circondare amichevoli delle spalle («Che combini, kiddo?», «Ah, Rhysie-cake. Sarei perso senza di te.», «Ahahahah! L'hai visto? Il sangue. Ha formato la lettera L mentre strisciava. Come loser! Da scompisciarsi dalle risate.»), le domande random («Ehi, Rhysie. Cane o gatto?», «Ehi, Rhysie. Figa o uccello?», «Come lo prendi il caffè? No, fammi indovinare: dolce, come te.», «Sinceramente mi aspettavo di più. Insomma, Fatalmente letale 4 è stato una figata di film, ma Fatalmente letale 5? 'na ciofeca. Non è mica così che muore la gente per annegamento, e l'orgasmo di lei era talmente finto che si sarebbe ammosciato a chiunque guardandola. Tu cosa ne pensi, Rhysie?») e gli inviti indesiderati («Dico davvero, principessa: scopati qualcuno, sei troppo serio, non sorridi mai. Non ce l'hai una vita sessuale? Una fidanzata/o? Una trombamica/o? No perché, se sei libero, io sono libero. Segnati sulla mia Scopagenda. E già che ci sei, segna anche Tiffany per venerdì sera. Scopri che le piace e prenotami una bella serata. Grazie, pumpkin, sei il migliore.»), ora doveva sorbirsi pure i commenti sul suo aspetto fisico («Ci voleva una bella doccia, eh, Rhysie? Ancora non ci credo che tu sia così fisicato. Di che ti fai?», «Rhysie-cake, le tue gambe. Fossi un uomo comune non avrei parole; fortunatamente per la tua autostima non lo sono: dieci e lode. Tua madre è da ringraziare con un attestato ufficiale per la procreazione del miglior paio di stanghe in cinque galassie.») ed essere costretto a trascorrere con lui del tempo di qualità («Ahhh. Mi ci vuole del carburante dopo tutto questo sudare. Uno spuntino al Saloon ci sta tutto. Vieni, Rhysie.», «Ho voglia di frappè alla fragola. Muovi quelle belle stanghe, Rhysie-cake, o il negozio chiude. Non mi va di sparare per farlo riaprire, non mi sento più le dita con quei cazzo di esercizi assurdi. Siamo sicuri che quel Josh sia un personal trainer qualificato?»). I suoi rifiuti entravano e uscivano da un orecchio all'altro, e se si impuntava, veniva trascinato di peso e spinto dentro la costosa automobile.

Tre fine settimana rovinati. Il quarto non si prospettava migliore.

«Ahhhh. Oggi non ho proprio voglia di fare un cazzo.»

Mentre il presidente si grattava la pancia steso sulla panchina degli spogliatoi dopo l'allenamento, lui si era cambiato e stava ficcando tutto nella sacca da ginnastica. Se era abbastanza celere, ogni tanto riusciva a sfuggirgli.

«Ehi, Rhysie. Invitami a casa tua.»

Oggi non era uno dei suoi giorni fortunati.

«Gliel'ho detto, signore: io e la mia fidanzata abbiamo dei piani.»

«L'hai detto anche ieri, pumpkin, e non hai lasciato il tuo appartamento per il resto della serata.»

«Come... Ha controllato di nuovo il dispositivo-serratura di casa mia? Signore-»

«No, no, no, Rhysie-cake, la vera domanda è: cosa c'è per cena? Spero che il tuo frigorifero non sia un deserto. Faremo la spesa per strada. Pensavo carne. O pesce? Su, andiamo. Decideremo al momento.»

No. Casa sua no. Un conto era venire trascinato in giro, un altro era il suo appartamento. Casa sua era sacra. Non gli avrebbe permesso di prendere l'abitudine di occupare il suo spazio vitale.

«No.»

«Al massimo ordiniamo take-away. Ti piace cinese? Mmm, mi sembri più da tailandese.»

«Signore, ho detto no.»

«E un bel filmetto non ce lo toglie nessuno. Useremo il mio account Helflix, non la roba da mendicante che avete voi gente povera.»

«Signore. No. Non andremo a casa mia.»

«Oh mio Dio, Rhysie! È stranissimo. Sento... sento questo ronzio. Un ronzio nelle orecchie. Hai presente?»

«Sì, signore: sono io che dico no.»

«Ah, ecco. Beh, dolcezza, indovina un po'? Il capo sono io, perciò si fa come dico io. È matematico, davvero. Non ho mai visto il tuo misero alloggio. Sei il mio PA, ho il diritto e il dovere di esprimere un'opinione sincera sulla tua dimora.»

Terreno spinato. Quando Handsome Jack usava “dolcezza”, significava che si stava innervosendo. Urgeva un colpo laterale.

«Potrei dire lo stesso di casa sua, signore.»

«Pff. Casa mia è un'opera d'arte, kiddo

«Certo. Come il busto comprato il mese scorso.»

«Ehi, ehi, ehi. Quel busto è perfetto.»

«Le fa il naso storto, signore.»

«Scemenze. È-»

«-una faccia con un naso storto.»

«Non-»

«-ho mai visto un naso più storto di quello. Ho accennato al mento?»

«Il mento? Che diavolo ha il mento?»

«Troppo sporgente.»

«Oh, oh, oh, questa- Tesoro, ti consiglio di metterti degli occhiali.»

«No, grazie. Ho già il mio ECHOeye che va in errore di sistema ogni volta che quell'obbrobrio entra nel mio campo visivo. Le avevo detto di scegliere Bernard Stiel. Kristian Viet non è adatto alla scultura realistica. Le ho mostrato il curriculum da cinque stelle e lei non l'ha minimamente calcolato. Bernard ha studiato all'accad-»

«VA BENE! Cristo Santo, va bene. Casa mia. E che non si parli più del fottuto busto.»

«Sì, signore.»

«Sono fottutamente serio, pumpkin

«Sì, signore.»

«Dico davvero.»

«Sì, signore.»

«La smetti?»

«Dipende da cosa c'è per cena, signore.»

«Tailandese?»

«Pensavo più a una bistecca di manzo kobe, un rosso Lafitte e un'insalatina leggera.»

«Dio caro. Sei peggio del pagamento degli alimenti a un'ex moglie.»

«Suvvia, signore. Dopotutto le lascio la scelta del film.»

Salvo. Più o meno.

La villa era un estratto di riviste patinate. Era stata arredata da professionisti con uno stile elegante, di suo gusto, in contrasto con il proprietario. Handsome Jack nel suo habitat naturale era rozzo: si era stravaccato sul divano in boxer e canotta, la scatola del take-away cinese e un paio di bacchette tra le mani e i piedi incastrati al calduccio sotto il sedere del suo PA. Gli aveva rivolto un sorriso malandrino, minacciando di far volare il vassoio su cui stava mangiando la sua costosa cena, e per dure ore e mezza aveva commentato non-stop ogni scena della serie tv che aveva scelto, Desperate Hyperion lives, consistente di una serie improbabile di intrecci amorosi tra colleghi su Helios.

Corrugò la fronte. Non era un amante del contatto fisico e la pressione dei piedi nudi sotto la sua coscia lo infastidiva. Non era una fobia, era solo... Non gli andava che lo toccassero senza permesso. Il presidente si prendeva questa libertà giornalmente sul lavoro e il doverlo sopportare, per quieto vivere, anche nei giorni di riposo rodeva la sua pazienza. Riuscì a sgattaiolare via verso le quattro del mattino, quando finalmente l'altro si addormentò. Fu un sollievo posare la testa sul suo cuscino e sprofondare in un confortevole torpore.

«Te ne sei andato.»

Doveva essere sincero, Handsome Jack che suonava il suo campanello alle 11:26 di domenica mattina era una bizzarra occorrenza. Entrò di prepotenza nel suo appartamento, irritandolo, e si lamentò di essere stato lasciato lì da solo sul divano come uno sfigato. E chi si credeva di essere, Rhys, per decidere di mollarlo così? Perché non l'aveva svegliato? Perché non era rimasto a dormire?

All'inizio pensò fosse uno dei suoi lamentarsi per lamentarsi, poi si accorse che non era quello il caso.

«Sai cosa, kiddo? Oggi passeremo tutta la giornata assieme, pigiama party compreso.»

«Signore-»

«Osa contraddirmi e ti arriva un cazzotto dritto sul naso.»

Non furono ventiquattro ore particolarmente memorabili, anzi, la famigliarità con cui il CEO toccava le sue cose lo rese irrequieto e la notte non chiuse occhio, consapevole di avere una potenziale minaccia sul divano. Il momento zen della colazione venne distrutto dai borbottii del suo ospite e il viaggio in ascensore fu uno spalancarsi dopo l'altro di bocche delle altre api operaie alla presenza del magnifico. In giro si vociferava che avessero una relazione da stereotipo, e, sebbene la cosa non scalfisse né lui né l'uomo al comando, l'accaduto avrebbe alimentato le malelingue e i bisbigli al suo passaggio. Una seccatura. A peggiorare il suo stato emotivo ci si mise Stacey: aveva mangiato la foglia ed era tornata all'attacco, così Yvette aveva deciso di trasferirsi a casa sua per quei giorni feriali. Nonostante fosse una persona che conosceva da anni, soffrì comunque di insonnia, e al weekend successivo, quando Yvette sloggiò, non vedeva l'ora di recuperare il sonno perso.

«Rhysie-cake! Che fai a casa e non in palestra? Battiamo la fiacca? Ugh, che occhiaie; peggio di ieri. Avere la tua fidanzata a portata di scopata per una settimana ti ha completamente spompato, eh, pumpkin

L'universo lo odiava.

«Signore, ho bisogno di dormire.»

L'uomo lo oltrepassò sulla soglia, poggiò sul piano-cucina due buste di alimenti e lanciò la giacca su una sedia.

«Certo, cupcake. Vai a letto, io mi metto comodo. Preparati a leccarti i baffi al tuo risveglio: per pranzo ho in mente un piatto che farà piangere perfino il tuo palato raffinato.»

Rimase senza parole per vari secondi, il suo cervello lento, le sue emozioni feroci. Tentò di arginare il fiume di rabbia con le briciole di un autocontrollo logorato.

«Non può stare qui.»

«Rhysie, credevo i ruoli ti fossero chiari: io capo affascinante, ricco e irresistibile, tu segretario sexy. Io decido, tu mi assecondi con un bel sorriso stampato sulle labbra. E, non offenderti, ma su quel sorriso ci devi lavorare parecchio, al momento la tua performance lascia un po' a desiderare.»

«Signore...»

«Owww, cupcake, non mettermi il muso. Prendila come una critica costruttiva.»

«FUORI!»

Il CEO lo fissò sbalordito.

«Cosa?»

«Ho detto fuori. Adesso.»

«Eh. Pumpk

«Non sto scherzando. La voglio fuori di qui, adesso.»

«Rhysie, hai bisogno di una bella dormita. Non sai quello che stai blaterando.»

«So esattamente quello che sto dicendo, e la voglio fuori da casa mia in questo preciso istante.»

«Ah sì? Costringimi.»

Quel maledetto sogghigno e la postura rilassata, appoggiato alla sua cucina, come se fosse il padrone di casa, lo mandarono in bestia. Per poco non cedette all'impulso violento che sollevò le sue braccia in direzione del nemico. Le bloccò a metà, chiudendo le mani a pugno e respirando tra i denti, i muscoli delle gambe pronti a scattare in avanti.

Doveva andarsene. O l'avrebbe ucciso a mani nude fracassandogli la testa sul piano della cucina.

Pestò i piedi verso la sua stanza.

«Nah, tesoro. Non dirmi che ti sei arrabbiato.»

Si cambiò sbrigativamente e spintonò di lato il presidente che lo ostacolava verso l'uscita.

«Ehi! Rhysie. Rhysie, ti avverto. Non osare- Rhysie. Rhys! Torn-»

Appena la porta scorrevole si chiuse dietro di lui, scattò in una corsa forsennata per le strade di Helios. Le scarpe da ginnastica divorarono l'asfalto per ore. Quando il CEO lo affiancò con l'auto, i polmoni erano in fiamme e il suo corpo gemeva per l'abuso.

«Rhysie, stai esagerando.»

Lo ignorò.

Le luci della stazione erano fioche, l'ora di cena doveva essere passata da un pezzo. Non percepiva la fame. Aveva rallentato fino a una camminata spedita, il fiato corto, ma non aveva intenzione di fermarsi. La testardaggine gli impediva di accasciarsi al suolo.

«Rhys, che cazzo, fermati! Vuoi svenire per strada?!»

Il presidente diede un'accelerata e occupò il marciapiede, sbarrandogli il passo. Lui fece semplicemente dietrofront e continuò imperterrito.

«Maledetto idiota. Rhys!»

Udì lo sbattere di una portiera e subito dopo qualcuno gli afferrò il braccio di carne. Con una mossa fluida, spedì un fortunato gancio destro all'assalitore, atterrandolo. Soddisfatto che non si muovesse, fece per riprendere il suo cammino, ma venne dolorosamente placcato da delle guardie di sicurezza, che, in una serie di avvenimenti troppo veloci per lui da seguire, lo ammanettarono e lo sbatterono in prigione. Sfinito, si addormentò sul pavimento della cella.

«-ys? Kiddo, mi senti? Rhys. Andiamo, tesoro, apri gli occhi per me. Su, su. Bravo, Rhysie, bravo, così. Ehi, Rhysie-cake

«D-Dove sono?»

La luce lo abbagliava e la gola era secchissima. Boccheggiò per dell'acqua.

«Ecco qui, tesoro. Tirati su. Aspetta, ti aiuto. Bevi piano. Piano, ho detto. Bravo. Ah, dove cazzo è il maledetto dottore?»

Era il presidente. Era a casa? Non era il suo materasso. Quale dottore? Cosa era successo?

«Cosa è successo?»

Dio, la sua gola. E ogni centimetro del suo corpo, a dirla tutta. Era stremato.

«Cosa è successo? È successo che sei un idiota e sono dovuto intervenire io a tirarti fuori dai pasticci. Ma ne riparleremo più tardi. Ho risolto tutto e ora sei in ospedale, dove un cazzo di dottore avrebbe dovuto essere qui nell'istante in cui ho premuto quel fottuto bottone.»

«Sono... sono confuso.»

«Eh, ci scommetto. Non hai praticamente dormito per cinque giorni filati, il tuo cervello è andato in pappa e sei uscito di senno. No, dico, come si fa a correre per mezza giornata- Ah, finalmente! Se l'è presa comoda, dottore.»

Cercò di seguire lo scambio tra i due ma le palpebre si abbassarono dopo il terzo insulto inconcludente. Venne svegliato dal medico e dall'infermiere che gli cambiava la flebo.

«Soffre spesso di disturbi del sonno?»

«No. No.»

«Hai presente con chi stai parlando, idiota? Il ragazzo era il ritratto della salute fino alla settimana scorsa. Gli faccia delle domande utili, che cazzo.»

«Può spiegare il motivo per cui non è riuscito a dormire in questo periodo?»

«Il motivo?»

I suoi pensieri erano diventati lumache, ora impegnati a immaginare se stessi come lumache in competizione verso la striscia rossa di un traguardo.

«Sì. Il motivo. Si concentri: perché non è riuscito a dormire?»

«Il motivo...»

«Coraggio, cupcake. Pensaci bene.»

Il motivo... Yvette era in casa. Però non era colpa sua se lui non dormiva bene in presenza di estranei. Non fosse stato per Stacey, il problema neanche si sarebbe posto. Stacey: era lei il vero problema.

«Stacey.»

«Stacey? Chi cazzo è Stacey?»

«Stacey...»

«Ho capito, pumpkin. Voglio sapere chi è Stacey. Chi è?»

«Se n'è accorta. Ho chiesto un favore a Yvette, ma lei non mi lascia in pace. È... ovunque.»

Quanto avrebbe voluto inchiodarla al muro e trapassarle il cranio con la lama. Quanto avrebbe voluto riempirla di botte fino alla frattura dell'ultimo osso sano. Quanto avrebbe voluto abbandonare per un po' il suo personaggio non violento e scacciare con la forza la sensazione da animale braccato. Lui non era una preda.

«Stacey è la tua stalker? Rispondi, cupcake. Questa Stacey è la tua stalker?»

«Non mi lascia in pace.»

Faticava a raggruppare le parole e infilarle in frasi coerenti. Si portò la mano destra alla fronte per massaggiarsela. L'arto non rispose.

«Il mio braccio... Dov'è il mio braccio? Dove- Dov'è il mio braccio?»

«È qui, tra i suoi effetti personali. Glielo abbiamo tolto per ragioni di sicurezza. Visto i precedenti...»

«Non sei pagato per essere sarcastico, faccia quadrata.»

«M-Mi perdoni, signore, non era mia intenzione-»

«Voglio il mio braccio. Ridatemi il mio braccio!»

«Shh, tesoro, tranquillo. Ci pensa Jack. Sistemo tutto io, non preoccuparti. Tu riposa, okay?»

“Tranquillo”?! Col cavolo! Voleva il suo braccio e tornarsene a casa!

Gli somministrarono un sedativo e la seconda volta che si svegliò fu nel suo letto, la visuale dritta sul comodino dove la foto incorniciata di Angel lo accolse col famoso sorriso che aveva salvato nella memoria digitale e nel suo cuore. La contemplò per qualche momento, la testa svuotata, poi si fece forza e barcollò al gabinetto per espletare i suoi bisogni. Si lasciò andare stancamente su una sedia del tavolo da pranzo, accolto da un presidente servizievole che gli mise sotto al naso un piatto con del cibo sopra. Mangiò svogliatamente, senza assaporare nulla, con in sottofondo il chiacchiericcio insensato dell'uomo. Comprese solo che era in ferie pagate.

Man mano che i giorni di riposo trascorrevano, gli avvenimenti di quel fine settimana si schiarivano. Il CEO gli telefonava regolarmente per assicurarsi delle sue condizioni di salute e che non saltasse il pranzo, e si univa puntualmente a lui alle 19 per cena. Non rimaneva mai per la notte.

Avrebbe preferito Vaughn, o Yvette, entrambi in pensiero per lui e disponibili, tuttavia la prospettiva di trovarsi davanti Handsome Jack era troppo... troppo, per loro.

Il capo delle vendite Hugo Vasquez, con cui aveva un rapporto superficiale, celebre per la sua ossessione per il solo e unico, invece colse la palla al balzo. Molto malamente, perché nel momento che si presentò con mazzo di fiori, scatola di cioccolatini e palloncini “guarisci presto Rhys”, il CEO gli sbatté la porta in faccia. Pensandoci, era sorprendente che tutti i fan del presidente non si fossero presentati alla sua porta. Nemmeno Stacey si era più fatta viva. Handsome Jack, se non altro, era un buon cane da guardia.

Quasi quasi gli dispiaceva per il gancio destro.

Quasi. 5

-

Non aveva mai davvero creduto al detto “il tempo cancella ogni ferita” finché non l'aveva sperimentato di persona.

«Chi parla?»

«Non mi riconosci, ragazzo?»

Fu l'inflessione sul quel “ragazzo”, così famigliare, così carico di caldo affetto, che gli tolse il fiato e gli sgranò gli occhi. Come aveva potuto dimenticare l'uomo che prima l'aveva illuso con belle parole e poi venduto ai banditi per ripagare un debito? Cinque anni erano sufficienti a cancellare quella voce dalla sua memoria?

«Rhys? Sei lì?»

«Cosa vuoi?»

Aveva dato il suo contatto a Sasha, nessun altro, e lei aveva giurato che non l'avrebbe mai chiamato. Non aveva dubbi che Felix e Fiona avessero superato la sua testardaggine. Doveva essere una faccenda grave se Sasha aveva ceduto, il che significava soltanto guai per lui.

«Non ci girerò attorno, ragazzo: abbiamo pestato i piedi alla gente sbagliata e ora ci sono alle calcagna.»

«Devo mettermi a piangere?»

«È Vallory, Rhys.»

Spalancò la bocca, allibito da cotanta stupidità.

«Vallory? Vallory?! Sei- Sei uscito di senno?! Ti sei sempre vantato di avere un cervello sopraffino e ora mi vieni a dire che hai fatto incazzare Vallory? Sei morto, Felix.»

«Non se-»

«No. Sei morto. Non c'è niente che io possa fare per convincerla a risparmiarti. Lo so io come lo sai tu, perciò dimmi perché cazzo mi hai chiamato.»

«Si tratta di soldi.»

«Non ne ho.»

«Noi li avevamo. Dieci milioni, ragazzo.»

«E poi li hai persi, ovviamente.»

«Se glieli consegnamo ci lascerà in pace.»

«Parole sue o supposizione tua?»

«Vuole i soldi.»

«Non mi hai risposto, e ancora non vedo che c'entro io, non considerando il fatto che non ti aiuterò per principio.»

«Ora chi è il bugiardo?»

Il bastardo rise. Conosceva i suoi polli.

«I soldi sono in una valigetta di Hyperion. Puoi localizzarla?»

Prese un respiro profondo, gli occhi chiusi, le dita a massaggiare la fronte. Una valigetta di Hyperion. Dieci milioni. Nessuna operazione finanziaria era stata approvata per una cifra simile. Cosa c'era sotto? Chi era il responsabile?

«Chi?»

«Mi assicuri che la cosa non verrà collegata a noi?»

«Ci proverò.»

«Non è sufficiente.»

«Lo scoprirò comunque, risparmiati tempo e denaro, vecchio.»

Una pausa accompagnata da un pesante rilascio d'aria.

«Un tale di nome Hugo Vasquez. Non dirò più di questo.»

«Non mi interessa altro. Ti contatterò io.»

Chiuse la comunicazione con la mano robotica smaniosa di sbriciolare qualcosa.

Maledetto Felix.

La mossa migliore era che il capo delle vendite rimanesse intoccato, almeno finché Felix e le ragazze non fossero stati fuori dalla portata di Hyperion, dopodiché l'avrebbe tolto di mezzo: era l'unico testimone, il solo collegamento al trio. Senza Hugo Vasquez a raccontare la sua versione, quei soldi potevano essere stati spesi per qualsiasi cosa; il fedele Vaughn se ne sarebbe assicurato.

Localizzò i milioni, premurandosi di eliminare i movimenti del suo account, e tenne aggiornato Felix fino al raggiungimento dell'obiettivo. Quando il telefono squillò, credette che fosse la conferma del ritrovamento della ventiquattrore.

«Preferisco messaggiare piuttosto che torturare le mie orecchie con la tua voce, vecchio.»

«Allora è il tuo giorno fortunato.»

No. No. No no no no no.

«Il gatto ti ha mangiato la lingua?»

«Vallory.»

«Rhys.»

«Dov'è Felix?»

«Chi lo sa. Ma ho un'offerta: il denaro in cambio delle ragazze.»

«Maledizione.»

«Te l'ho sempre detto di non fidarti di quella volpe.»

Imprecò e batté i pugni sulla scrivania. La guardia al metal detector allungò il collo per indagare sul raro scoppio d'ira dell'assistente e lo ritirò quando confermò che si trattava di una telefonata. Normale amministrazione.

«Guidami ai miei soldi e io le lascio andare. Cosa ne dici, S.G.?»

Passarle le coordinate era fuori discussione, niente gli garantiva che le avrebbe liberate. Aveva una controproposta e Vallory se l'aspettava; gliel'aveva insegnato lei a contrattare.

«Dammi August e Sasha. Torneremo col denaro e lascerai in pace me e le ragazze.»

«E Felix?»

«Se lo trovi, fagli male.»

«Farò di meglio: te lo terrò in caldo.»

Fissarono luogo e data e rimase solo alla sua scrivania, in piedi, con le mani piantate sulla superficie di legno e la testa abbassata. Era finita. Una volta sceso su Pandora non sarebbe tornato indietro. Non era stupido, non sarebbero bastati un paio di giorni per risolvere il casino e le ferie pagate rimastegli non avrebbero coperto il viaggio sospetto su un pianeta inospitale con cui, in teoria, lui non aveva nulla a che fare.

Velocemente trascrisse a mano la lettera di dimissioni, trasformando i quindici giorni di preavviso in settimane feriali. Lasciò i documenti nell'ufficio del CEO, in visita al reparto armamenti, e andò a casa. Nello zaino aperto sul letto infilò un cambio di vestiti, una pistola, uno sfollagente elettrico, il kit di manutenzione per il braccio, cibo, acqua, denaro. Sfilò la fotografia di Angel dalla cornice; sul retro aveva scritto il suo nome, la data in cui si erano conosciuti e l'ultima in cui si erano visti, e la frase “La parte migliore della mia giornata”. Alla fine, lei era l'unica amica-amica che avesse mai avuto e l'avrebbe portata con sé. C'era una seconda foto sul comodino: il presidente nella sua tenuta da palestra intento a correre sul tapis roulant, sorrisone e ridicoli occhiali da sole in faccia; all'angolo la dedica leggeva “Al mio sexy PA, per regalarti i sogni migliori: i miei. Handsome Jack. PS Impara a sorridere, Rhysie-cake”. L'idiota l'aveva intrufolata nella stanza durante la sua convalescenza e, dopo aver riso per cinque minuti buoni, non aveva avuto cuore di gettarla. Il dittatore di Helios era un uomo violento, una figura oppressiva incombente su milioni di vite, un essere privo di umanità sulla strada per la gloria, una persona convinta che tutto gli fosse dovuto, dotato dell'abilità di farlo credere anche agli altri, eppure si era divertito di più come suo assistente personale che nei quattro anni da paralegale. Insieme a Angel, il periodo passato con Handsome Jack era stato il più bello trascorso a Helios.

Prese le fotografie e la chiamata inevitabile arrivò quando ormai era sullo shuttle per Pandora. Attivò il proiettore nel centro della mano meccanica per avere il video, sentendosi in colpa per il modo brusco in cui aveva concluso il rapporto di lavoro.

«Rhysie, ti conviene avere una buona motivazione per questa carta straccia sulla mia scrivania. Anzi. Sono appena tornato dagli armamenti con un nuovo giocattolo, che ti volevo mostrare ma non c'eri, tsk.»

L'espressione di sadica malignità si accentuò mentre il presidente dava fuoco ai fogli con il prototipo del lanciafiamme portatile.

«Ora-»

«Le ho inviato una copia digitale, insieme a una lista di candidati per il posto di PA, signore.»

«DANNAZIONE, RHYS!»

«Mi dispiace, signore.»

Incredibilmente, diceva sul serio.

«Ti dispiace? Ti disp- Dove sei? Dove cazzo sei? Vengo a prenderti, maledetto idiota. E quando ti avrò tra le mani ti riempirò quel bel muso di così tanti pugni che nemmeno tua madre ti riconoscerà.»

«Signore...»

«Oh, non cominciare con “signore”! Nessuno ha il diritto di licenziarsi senza il mio permesso, tu meno di tutti, dolcezza. Credevi che avrei accettato la cosa così, senza battere ciglio? Credevi davvero di avere una scelta? Eh, Rhysie?»

«No. Non ce l'ho.»

Forse fu il suo tono di voce sconfitto, o la tristezza impossibile da nascondere per l'essere costretto a lasciare tutto ciò che aveva costruito, fatto stava che il CEO si diede una calmata.

«Rhys. Che succede?»

«Non succede niente.»

«Balle.»

«Non posso rimanere.»

«Perché? Dove sei, maledizione?»

«Devo andare. Mi lasci andare.»

La sua voce stava diventando piagnucolante. Asciugò celere una traccia di bagnato vicina all'occhio. Non si sarebbe umiliato alla sua ultima conversazione con il presidente di Hyperion. La decisione era stata presa e una volta staccato Handsome Jack avrebbe staccato per sempre la sua vita su Helios; da lì in poi avrebbe soltanto pensato al presente. Era ora di tornare al vecchio Rhys.

«Col cazzo che ti lascio andare così! Dimmi-»

«Non sono affari suoi. Addio, signore.»

Tagliò la comunicazione. La voce tonante gli mancò subito.

-

«Vaughn, non è un buon momento.»

«Vaughn non è al momento raggiungibile, si prega di lasciare un messaggio.»

Spalancò gli occhi di fronte all'ologramma del CEO. Non aveva calcolato la mossa di usare il contatto del contabile dopo che aveva bloccato quello presidenziale. Conosceva i suoi amici?

«Ehi, pumpkin. Come te la passi?»

«È Handsome Jack, quello?!»

«No! Non è nessuno.»

«Tesoro, ferisci i miei sentimenti. Chi è quello zuccherino vicino a te? La tua fidanzata pandorana?»

Inclinò l'immagine del proiettore in modo da nasconderlo a Sasha, ma non stava scherzando quando aveva detto che non era un buon momento; la corsa fai-da-te di Bossanova era precipitata nel caos totale grazie all'apparizione di Zer0. Lui e Sasha erano al centro dell'arena dove la ventiquattrore era bistrattata a destra e a manca e August guidava una motocicletta sulla pista con una maschera da psycho per vincerla. Gli servivano entrambe la mani per sopravvivere.

«Rhys! Molla quel telefono, maledizione!»

«Ho capito!»

«Bando alle ciance, principessa. So dove ti trovi. Vengo a prenderti.»

Tra l'eviscerare il rakk che si era mangiato i soldi, la valigetta che veniva spedita sulla pista, Felix che si infilava nella competizione cercando di soffiare il premio a August e l'esplosione e conseguente perdita del denaro, Rhys non ebbe le energie per riflettere sulle nefaste parole di congedo del CEO.

«Quindi niente milioni.»

«Grazie, genio.»

«Non prendertela con me, Sasha.»

«Rhys ha ragione.»

«Oh, ora vi spalleggiate. Grandioso! Cosa diremo a Vallory, granduomini? Cosa ne farà di Fiona quando scoprirà che il denaro è andato?»

«Daremo la colpa a Felix. È stato lui a scegliere il bersaglio, voi due non ne sapevate niente.»

«Speri che mia madre dia la caccia al vecchio e lasci loro libere? Non è famosa per la sua misericordia, lo sai.»

«Non vedo alternative.»

Se non quella di fare fuoco e fiamme e svignarsela con le ragazze nel mezzo di una sparatoria all'ultimo sangue. Dio, doveva preparare un piano d'azione, studiare il terreno, misurare le forze nemiche schiaccianti, creare una via di fuga-

«Cos'è questo rumore?»

«MOONSHOT

-

«Nnnghh.»

«Pumpkin. Ben svegliato. Devi avere addosso uno scudo mica male per essere caduto da quell'altezza e non esserti sfracellato sul pavimento.»

«Signore?»

Il presidente gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi. Contro ogni scelta logica, accettò l'offerta.

«Rhysie, “signore”? Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme?»

«Sì, “Rhysie”, dopo tutto quello che avete passato insieme.»

Sasha non era felice. Più che comprensibile visto che, con August, era sotto la mira di due Loader armati fino ai denti. Lui era tenuto sotto scacco soltanto dallo sguardo di Handsome Jack.

«Sasha-»

«Quando penso che non puoi cadere più in basso, ecco che scopro un buco più profondo.»

«Simpatica la tua ragazza.»

«Non è la mia ragazza.»

«Non sono la sua ragazza!»

«Non è la sua ragazza.»

«Oh. Triangolo amoroso? Che rubacuori.»

Ignorò la stupidità di quello scambio di opinioni e il mal di testa e si concentrò sulle faccende importanti.

«Dove siamo? E perché lei è qui?»

«Regola numero uno: non rispondo se non al mio nome.»

«Cosa?»

«Diamoci un taglio con il lei, il signore e bla bla bla. Jack o niente.»

Dio, non aveva tempo per queste stronzate.

«Okay, Jack, perché sei qui?»

«Non vuoi proprio darmi alcuna soddisfazione, eh, kiddo

«Andiamo al punto, per favore.»

«Sono qui per riportarti a casa. Ma poi sei caduto in una base segreta di Atlas e ho scoperto il Progetto Gortis, perciò noi e i tuoi amichetti stiamo per partire per un viaggetto verso un Vault che ci frutterà miliardi.»

«Cosa?»

A quanto pareva, mentre era svenuto, il presidente e Sasha avevano attivato la chiave per la Cripta del Viaggiatore, il Progetto Gortis. Un vero peccato, secondo il CEO, perché aveva in programma di interrogare il suo PA sulle sue scelte lavorative e uccidere i banditi che lo accompagnavano. Ora era costretto a portarsi dietro la tizia coi rasta; il biondino col piercing fungeva da mascotte, sotto l'insistenza di lei.

Nonostante l'inimicizia generale, requisirono il camper abbandonato da un Felix fuggitivo («Chi mai si aspetterebbe di trovare Handsome Jack in un catorcio come questo?») e si diressero a Old Haven. La tensione era palpabile e l'unico che sembrava non soffrirne era Jack, che, essendo l'altra metà del Progetto Gortis, era al sicuro da pugnalate fatali alle spalle. Insomma, la vita di Fiona, e le loro, dipendevano dal ritrovamento del Vault of the Traveler. Il presidente non aveva ovviamente alcuna intenzione di condividere il tesoro con Vallory, ma non aveva il quadro completo e la sua presenza su Pandora era un grosso rischio per se stesso e chiunque gli fosse attorno. Cosa diamine aveva per la testa?

«Rhysie, sei incredibile.»

Aveva appena concluso il suo racconto, partendo da un veloce riassunto del suo passato pandorano e delineando i pochi pro e i tanti contro della situazione corrente; Sasha dormiva e August era di vedetta sul tetto.

«Che intendi?»

Il CEO allargò il suo sorriso. Succedeva ogni volta che gli dava del tu o lo chiamava per nome.

«Quello che ho detto. Nemmeno tu ti rendi davvero conto di quanto.»

«Non capisco.»

«No, certo che no. Fa parte del tuo fascino. Lascia che te lo spieghi, Rhysie-cake. Mi hai appena confermato che la tua partenza non c'entra nulla con me, che hai tenuto ben nascosta la nostra relazione a banditi e resistenza, e che, se non fosse per questa feccia che ha avuto l'onore di crescerti per un breve periodo, tu non mi avresti mai lasciato.»

Al solito esagerava con le parole, tuttavia non negò che avesse ragione. Jack offrì di riprenderlo con sé ad avventura conclusa, lui gli strappò la promessa che le ragazze ne uscissero sane e salve. Era difficile credere che non lo volesse morto per avergli mentito, ma non avrebbe sputato in faccia alla fortuna.

-

Old Haven fu un disastro finché lui non hackerò il sistema e prese il controllo dei bot di sicurezza. Decimò metà della banda di Vallory, mise in fuga la capobanda, liberò Fiona e si appropriò della robottina Gortis, allontanando da sé il merito: meno sapevano di quello che era capace, meglio era. Soltanto Felix era a conoscenza delle sue abilità.

Dopo che Jack crivellò di proiettili un ingenuo Hugo Vasquez, il gruppo era pronto a proseguire di buon umore, perciò, giustamente, i Crimson Raiders li agguantarono e li trascinarono sulla città volante di Sanctuary.

«Jack.»

«Lilith, dolcezza, che piacere rivederti. Come sta il mio amico Roland? Oh, scusa, dimenticavo.»

La siren rifilò un cazzotto nello stomaco al presidente, che sembrò sul punto di vomitare. Lo accusò di svariati crimini contro l'umanità e promise che lo avrebbe decapitato pubblicamente dopo averlo usato per arrivare alla Cripta, rendendo giustizia a milioni di innocenti, a Roland e Angel.

«Tua figlia sorriderà dall'aldilà alla tua esecuzione.»

Tenne la bocca chiusa, ma dentro di sé recitò una lunga serie di epiteti che offendevano il proprio intelletto. Angel. Lei era l'anello mancante. Angel era figlia di Handsome Jack, Handsome Jack l'aveva assunto improvvisamente come PA; doveva aver visto le registrazioni.

Non aveva idea del motivo che l'avesse spinto ad averlo vicino in seguito alla morte della figlia, tuttavia al momento l'unica cosa di cui si preoccupava era della propria incolumità. Sotto le proteste dei suoi compagni, era stato separato da Jack, Sasha, Fiona e Gortis e trasferito in un laboratorio. Il focoso temperamento della ragazza per cui aveva sacrificato tutto aveva rivelato il suo ruolo di assistente personale, e gli scienziati l'avevano legato a un freddo letto metallico e inserito un'unità periferica nella sua porta cerebrale per estrarre i dati relativi a Hyperion, pazienza se ciò l'avrebbe reso un vegetale.

Urlò.


Note:

1 Rhys è un nome di origine gallese che significa entusiasmo (seriamente...). Si pronuncia REES, che in linguaggio fonetico sarebbe ri:s. Da qui il suo nickname R1:s, sostituendo la i con il numero 1, dato che il nick di Angel è fatto da lettere e numeri. Altro fatto divertente: la seconda parte del nickname, :s, potrebbe essere considerata una faccina. Ho fatto una ricerca veloce, ed il suo significato è “confusione, imbarazzo o disagio infastidito, paura”, mentre in inglese c'è anche il significato “skeptical”, cioè scettico, “di persona che dubita di tutto, che non crede in nulla, per principio o inclinazione naturale”. Insomma, R1 lo scettico, perfetto per la versione di Rhys di questa ficci!

  
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