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Autore: the_scream_of_silence    07/08/2016    5 recensioni
Sono innumerevoli i cambiamenti che Talia deve affrontare negli ultimi tempi: la fuga d'amore della sorella Giulia, il fidanzamento del padre con un'altra donna dopo la scomparsa della mamma anni prima, il trasloco per vivere insieme a lei e suo figlio Alessandro e - quindi - l'abbandono della vecchia casa in cui Talia ha trascorso momenti fondamentali della propria infanzia. E poi, come se non bastasse, ritorna a casa Giulia in compagnia del fidanzato Jacopo, ospiti del suo fratellastro.
Talia non vuole più avere nulla a che fare con lei, la persona più importante della sua vita che l'ha abbandonata all'improvviso, tantomeno con il ragazzo, ideatore della fuga, che disprezza al punto tale da ritenerlo l'unico responsabile di ogni suo problema. Ma tutto cambia quando una sera, per puro caso, i due si incontrano in giardino, sul vecchio dondolo, sfidando le stelle...
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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PROLOGO

Luglio 2013

-Giulia!- Il suo grido disperato giunse alle orecchie della ragazza con la stessa intensità di una pugnalata, e per un attimo ebbe la tentazione di mollare tutto e rimanere lì, con quella famiglia che l’aveva tanto amata ma che non sapeva. Non poteva sapere. Scese in fretta la rampa di scale, il borsone pieno di vestiti gettati alla rinfusa e il cuore ricolmo di un’insana agitazione, e aprì la porta d’ingresso ad un cielo che traboccava di luci e ad una sensazione di immenso che l’avvolgeva in maniera impetuosa e improvvisa. Decise di non guardare. Sembrava quasi che volessero lanciarle una sfida, quelle stelle cui aveva affidato le sue confessioni più profonde, come a sottolineare la remota possibilità che aveva di sopravvivere a quella fuga matta e disperata. Diamine, questo lo sapeva anche lei. E sapeva anche che, se mai fosse ritornata a casa in futuro, non sarebbe stata più la stessa ragazza di una volta.

Per niente.

Avrebbe preso finalmente in mano la sua vita senza timore, si sarebbe graffiata la pelle per trattenerla e non avrebbe mai ceduto ai dubbi, alle incertezze, a tutto ciò che in passato le aveva impedito di essere in pace con se stessa e con il mondo.

Avrebbe ottenuto la sua rivincita, deridendo il destino e quelle maledette stelle.

Peccato che le circostanze, almeno in quel periodo, non glielo permettessero affatto.

Superò spedita il giardino di casa e ne aprì il vecchio cancello senza guardarsi indietro. Il clangore di metallo contro la staccionata risuonò nel viale di case in cui era cresciuta, desolato a causa dell’ora tarda. Si sentì rabbrividire: aveva appena rinchiuso la sua intera esistenza in quel giardino. E sarebbe stato ancora più doloroso se non avesse già rinunciato ai suoi sogni tempo prima.

-Possiamo parlarne!- continuava a dire suo padre raggiungendo rapidamente l’atrio. Prese un respiro profondo, uno di quelli che servono a capire se il macigno di sofferenza ti abbia ucciso o no, e cercò di convincersi che tutto ciò era giusto, che lo stava facendo per una buona causa: l’amore per i suoi familiari. Soprattutto per lei.

Ma poi la sentì. Mentre si avviava velocemente verso l’auto parcheggiata a pochi metri di distanza dalla sua proprietà, una voce infantile ma adulta allo stesso tempo, flebile come una fiamma esposta al vento, debole come una foglia al frusciare degli alberi, sussurrò: -Non partire.-

Alzò lo sguardo. Nascosta dalla tenda della finestra del bagno che dava direttamente sul giardino, la sua sorellina la osservava muoversi nella notte con le mani ad asciugarsi le guance, quasi che stesse piangendo ma non volesse farsi scoprire. Le venne una fitta al cuore. Quella bambina... ragazza di appena quindici anni rappresentava tutto il suo mondo: il suo passato, il suo presente e, anche se in maniera piuttosto paradossale, il suo futuro. Era l’unica ragione che la spingesse a vivere ancora, il motivo per cui non si era uccisa subito dopo aver ricevuto la notizia. Incarnava la speranza. Pura e semplice speranza.

E, per evitare di sopprimerla con l’angoscia e il senso di smarrimento, doveva allontanarsi da lei.

Le lacrime iniziarono a pungerle gli occhi e dovette distogliere lo sguardo, pur sapendo che in quel modo sarebbe scoppiata definitivamente in un pianto disperato, e continuò a camminare. Sua sorella l’avrebbe odiata, lo sapeva bene. L’avrebbe odiata come si odiano le persone impulsive, quelle incapaci di ragionare sulle proprie azioni poiché condizionate dall’intensità del momento. Le avrebbe dato dell’ingrata, perché in fondo la storia di cui era protagonista la vedeva come un’ingrata. E pian piano iniziava a crederci anche lei.

Mille domande affollavano la sua mente e agitavano il suo animo, mentre cercava di trattenere l’istinto di correre a consolarla come sempre. Sarebbe riuscita a superare anche questa? Sarebbe stata in grado di affrontare la vita con la stessa forza d’animo che caratterizzava le donne di quella famiglia? Sarebbe stata... felice?

Ma certo che lo sarebbe stata. Nei suoi occhi brillavano la fierezza, l’invincibilità, lo spirito di una combattente che non avrebbe ceduto di fronte a nulla, e un giorno quella donna sarebbe emersa dal corpo di ragazzina in tutto il suo splendore. Ne era sicura.

Ma non rendeva le cose più facili.

E quando si sentì dire ancora più forte: -Non andartene!-, accompagnato dal pianto sommesso del papà che se ne stava accasciato sulla soglia della porta di casa, incapace di reagire, le sembrò di perdere tutto ciò che le era rimasto di buono nell’anima.

Stringendo le labbra in una smorfia che voleva tenere a bada il dolore, aprì la portiera del SUV senza guardarsi indietro.

-Ehi-. Il ragazzo al volante accostò le labbra alle sue per salutarla, ma lei lo rifiutò con un gesto della mano e iniziò ad armeggiare con la cintura di sicurezza. Ormai aveva le guance interamente bagnate.

Lui non disse niente: parve aver capito ogni cosa, come sempre. E come sempre lei si ritrovò col cuore colmo di gratitudine.

-Andiamo-. Continuava a tirare su col naso.

-Sei sicura?- le chiese apprensivo, asciugando qualche lacrima con il pollice. –Non siamo costretti. Loro potrebbero aiutarti-.

Incrociò per un attimo il suo sguardo e si stupì della nota di dolore che vi leggeva dentro: a quanto pareva, nemmeno per lui era così semplice abbandonare la propria famiglia senza sapere quando avrebbe potuto rivederla. La morsa di tristezza che le strinse il petto mentre pronunciava quelle parole fu forse la più forte che avesse mai sentito in vita sua: -Tu non sei costretto-.

-Cosa?- Ora sembrava confuso e vagamente arrabbiato.

-Non voglio che tu soffra come me. Insieme a me-. Era come se mille aghi dalla punta avvelenata le trafiggessero il cuore, e si disse che era meglio così, che non poteva costringere il ragazzo che più amava ad una fuga che non aveva meta se non la fine, che sarebbe stato meglio senza di lei sin dall’inizio, che magari avrebbe incontrato qualcuno che non l’avrebbe immischiato nei propri assurdi, impensabili, grandi casini, e sarebbero stati insieme una coppia felice. Normale.

Quel pensiero le faceva male, certo, perché non era nemmeno lontanamente capace di immaginare un giorno lontana da lui, figuriamoci un’eternità intera, ma le faceva ancora più male sapere che lui volesse seguirla verso un futuro che era ormai già deciso e lasciarsi trascinare nel baratro, quando aveva la possibilità di tirarsene fuori. Forse all’inizio sarebbe stato l’amore a dargli la forza di rimanere, ma se alla fine fosse scomparso come succedeva spesso in quei casi? Sarebbe stato costretto a vivere una vita che detestava solo per il senso di colpa? E ammesso che l’amore non lo lasciasse, sarebbe mai più riuscito a provare felicità, gioia, leggerezza? Ad amare?

Non poteva accettare quelle eventualità. Non poteva annientare anche quel che c’era di buono in lui.

-Che cazzo stai dicendo?- ringhiò, le nocche rese bianche dalla forza con cui stringeva il volante. Lei sussultò sul sedile ma non perse il controllo delle emozioni che le suggerivano tutt’altra decisione. Maledetto egoismo.

-Meriti di essere un ragazzo come tutti gli altri. Di... vivere la tua vita senza preoccupazioni-. Dio, quanto soffriva.

-Cosa significa?-

-Che forse è meglio lasciarsi, prima di rovinare tutto-. E ricacciò indietro le poche lacrime che le erano rimaste da versare.

-Ne abbiamo già parlato. Io voglio stare con te - disse, dopo aver preso un respiro profondo per calmarsi e stretto dolcemente la sua mano. Adesso nel suo sguardo non c’era che preoccupazione.

–Io voglio stare con te perché la mia vita non sarebbe la stessa senza il tuo sorriso, la tua risata, le tue labbra sulle mie. Non riuscirei nemmeno ad aprire gli occhi la mattina, capisci?- Le sollevò il mento con le dita e la costrinse ad affrontare una volta per tutte la verità: -Io ti amo, Giulia. Non mi importa se sarà difficile e dovrò soffrire, dovremo soffrire. Voglio rimanerti accanto. Altrimenti non me lo perdonerei mai-.

Sorrise commossa come se le avesse appena chiesto di sposarlo e si sporse dal suo sedile per abbracciarlo e riempirlo di baci sul viso. Quelle parole... quelle parole erano assolutamente sbagliate, ma non poteva farci niente, non potevano farci niente, perché si amavano alla follia e quel poco di tempo che aveva a disposizione non sarebbe mai stato lo stesso se avessero deciso di separarsi.

E per quanto potesse essere scorretto da parte sua, lei l’aveva sempre voluto con sé in quella battaglia già persa in partenza.

Intrecciò le dita alle sue, si accoccolò sulla spalla che le porgeva e chiuse gli occhi, mentre il motore si azionava con un rombo viscerale e la macchina sfrecciava via verso l’ignoto.

-Mi prometti una cosa?-

-Qualsiasi cosa-. Le passò una mano tra i capelli con fare protettivo, gli occhi rivolti alla strada davanti a sé.

-Non dovrai mai smettere di amare. Mai-.

Lui si irrigidì. –Perché me lo dici proprio adesso?-

-Lo sai bene- gli rispose in tono perentorio. –E sai bene che prima o poi sarai costretto a capire-.

Non ribatté. Si limitò ad annuire rigido e a stringerla a sé con più vigore.

Nessuno dei due si azzardò a rompere quel silenzio consapevole: avevano ancora molta strada da fare.

E non solo in quel viaggio.

  
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