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Autore: belle_delamb    07/08/2016    1 recensioni
Un messaggio da consegnare, ecco la missione di Ivan, guerriero di Maya. Nulla di troppo complicato a prima vista, deve solamente rintracciare la ragazza a cui darlo e poi ripartire per tornare sulla sua isola. Ivan, purtroppo si troverà invischiato in una situazione che va ben oltre la sua immaginazione e dovrà vedersela con una sacerdotessa dell’oscuro ordine di Kaal.
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Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick: sul forum Belle.de Lamb / su Efp belle.delamb
Titolo: Il gioco di Kaal
Immagini: 19 - D - II - /
Ivan scese dalla moto e osservò il paesaggio che si stagliava di fronte a lui. New City non sembrava cambiata per niente dal giorno in cui era partito per raggiungere l’isola di Maya e diventare un cavaliere a essa consacrato. Il grande castello, con le sue cilindriche e alte torri, era ancora in piedi, e splendeva brillante d’oro e d’argento puro, proprio come quel giorno lontano in cui si era voltato a guardare, ancora bambino, un’ultima volta la città. Ora era mezzogiorno, il momento in cui il palazzo si rifletteva nel cielo azzurro creando un riflesso suggestivo, come se ci fossero due castelli. Tutta colpa delle radiazioni che permangono ancora nell’aria nonostante dall’Apocalisse siano passati secoli. I quartieri erano sempre gli stessi, enormi e rotondi, sospesi a mezz’aria, simili a dischi volanti, si elevavano su più piani e contenevano tutti un piano di giardino. Strade grigie collegavano i vari quartieri. Sotto le strade solo prati di un verde irrealistico. In lontananza si vedevano le montagne. Ivan sorrise. Dopotutto New City non era così brutta come ricordava, sfortunatamente non avrebbe avuto tempo per visitarla, era lì solo per consegnare un messaggio e non sapeva nemmeno esattamente a chi avrebbe dovuto consegnarlo. Ma ormai era tardi, tanto valeva trovare una locanda e dormire lì quella notte. Si risollevò il cappuccio certo che non sarebbe passato inosservato. Avrebbe voluto non dover indossare la divisa dell’ordine, temendo di dare nell’occhio conciato com’era, ma su quel punto il regolamento era chiaro: se si rinuncia agli abiti di Maya si commette un atto punibile con la morte. Ivan non voleva morire. E poi quegli abiti non gli dispiacevano. Indossava una tuta verde con una cintura e una specie di grembiule che scendeva a punta sul davanti ricoperto dai segni di Maya. Gli stivali marroni, di pelle resistente, gli arrivavano al polpaccio. Un enorme mantello lo avvolgeva, mosso dal vento. Alla sua destra, sul fianco, aveva una grossa fibbia in ottone rotonda senza nessuna apparente utilità, spesso il cavaliere si era chiesto se avesse un qualche significato simbolico, ma non aveva mai osato porre la domanda, temendo un rimprovero. Segni verdi gli circondavano gli occhi, tatuaggi legati all’ordine fattigli quando era solo un fanciullo imberbe. Era alto e di bella presenza, capelli biondo cenere e occhi grigi, lineamenti marcati. Sapeva di piacere alle donne e sapeva bene, seppur con dolore, che non avrebbe mai potuto averne una, aveva fatto un giuramento quando era ancora troppo piccolo per poter capire quanto grande fosse il sacrificio e ora non si poteva più tornare indietro. Ivan rimontò in moto.
Il nome della locanda era Biancaneve e i sette nani, un nome che gli ricordava l’infanzia. Entrò e chiese una stanza che gli venne chiesto di pagare in anticipo.
-Una corona d’oro basta?- chiese Ivan sorridendo alla figlia del locandiere, che stava attaccata al padre, rossa in viso, stretta in un vestitino che le lasciava scoperte le braccia magre.
-Dipende da quanto vi fermerete- disse l’uomo, guardando male il cavaliere.
-Non penso molto, purtroppo presto dovrò ripartire-
La ragazzina abbassò lo sguardo.
-Quindi siete di passaggio- indagò il locandiere.
-Già- disse Ivan, posando la moneta sul bancone –il vitto è compreso, giusto?-
-Certo-
-Vado a sedermi, per me il piatto del giorno e una birra nera-
La sala era ampia e piena di persone che ridevano e bevevano. Il cavaliere si accomodò ad un tavolo accanto alla finestra per poter pensare in piena tranquillità. Una volta seduto estrasse dalla sacca che portava con sé i due oggetti che il Maestro gli aveva affidato: la lettera e gli occhiali. La prima era chiusa, il sigillo rosso spiccava sul bianco della carta, simile a una ferita. Avrebbe dovuto consegnarlo a una ragazza. E gli occhiali servivano proprio per trovarla. Erano a fascia e una volta indossati si accendevano di una luce rossa.
-Dovrai indossarli e loro ti mostreranno la strada che ti porterà da lei, non dovrai assolutamente perderli, altrimenti non la troverai mai e tutto fallirà-
Ivan non sapeva cosa ci fosse scritto nella lettera, né perché avessero mandato lui a consegnarla. Non si potevano porre determinate domande al Maestro, questa era una regola ben chiara a tutti i cavalieri. Era strano che il Maestro avesse deciso di mandare una lettera a una persona esterna all’isola tanto più una donna. E se fosse stata una sua amante? Magari un’amante in giovane età, circolavano certe storie sul passato del Maestro e Ivan, anche se aveva sempre nutrito grande stima per lui, non si sarebbe sorpreso se certe si fossero rivelate vere, perché in fondo l’uomo è fatto di carne e un giuramento di fedeltà all’ordine non si può certo paragonare al desiderio momentaneo per una donna. Il desiderio passa, il giuramento resta.
-Posso sedermi?-
Ivan alzò la testa e fu subito colpito da un profumo che gli parve familiare, un profumo che proveniva da un lontano passato, dolce, come di un qualche fiore. Di fronte a lui c’era una figura alta e longilinea, avvolta in un abito rosso e un velo dello stesso colore che le copriva il viso. Dalla voce però Ivan poteva ben immaginare un viso d’angelo. –Il posto è libero- disse lui, facendo nuovamente sparire la lettera e gli occhiali nel sacco.
-Molto gentile- disse la donna accomodandosi.
-Siete una sacerdotessa?-
-Sono molte cose- e Ivan poté giurare di aver intravisto un movimento dietro il velo, come un sorriso –e voi?-
-Io sono solo un uomo- disse lui. Lo intrigava quella donna.
-Solo? Con il vostro aspetto?- le sfuggì una risata simile a quella di un usignolo –Da donde venite mio prode cavaliere? Da quali terre lontane?-
-Molto lontane- si sporse in avanti –e voi? Siete una viaggiatrice?-
-Tutti viaggiamo in questo mondo-
E come darle torto? –E voi sapete dove state andando?-
-Più lontano possibile- si tirò indietro la chioma fulva e lunga –e voi? Non siete di qua-
-Ho una missione da compiere- si sbilanciò lui. Era inquietante non riuscire a vedere gli occhi di lei. Chissà come faceva a vedere, ma probabilmente era tutta questione d’abitudine, vedeva semplicemente il mondo più rosso di quanto in realtà non fosse.
-Ah sì? Qualche drago da uccidere, mio prode?-
-Forse, chi può dire dove un’avventura come la mia possa condurmi?- sorrise, cercando di sembrare misterioso, intrigante –Forse da una bella donna-
-Forse … o forse nelle braccia di un mostro-
Ci fu un attimo di silenzio e a Ivan parve che le fiamme delle candele si attenuassero un attimo per poi tornare a risplendere. Solo un attimo, ma abbastanza per mettergli addosso una certa inquietudine, quella donna era tanto affascinante quanto inquietante e a lui quella storia cominciava a non piacere.
-Eccovi la cena-
Ivan voltò la testa e osservò la figlia del locandiere, il volto imbronciato per la gelosia, posare di fronte a lui un enorme piatto di carne rossa sangue e un bicchiere di birra nera.
-Grazie, mia signora- disse ammiccando con l’occhio.
La ragazzina si voltò e se ne andò senza dire nulla, furiosa. A Ivan venne in mente un commento di suo padre: -Non c’è nulla di peggio di una donna furiosa-
-Che stupida ragazzina!- esclamò la donna, ridacchiando.
-Perché mai?- chiese Ivan cominciando a tagliare la carne.
-Mostrare la gelosia davanti a un uomo, pura follia-
Non era poi così sbagliato come pensiero. –Desiderate assaggiare?- chiese rivolgendo la punta della forchetta alla carne.
-Mi dispiace, ma io non mangio esseri che un tempo sono stati vivi-
-Dicendo così mi fate sembrare un cannibale-
-L’idea è quella-
L’uomo sorrise. –Appartenete a qualche ordine particolare?-
-Non posso dirvelo-
-Misteriosa-
-Spero che sia un complimento-
-Potrei rivolgervi altro che non sia un complimento?-
-Ho il sospetto che lo facciate con tutte le donne-
-Cosa?-
-Adularle-
-Io non adulo proprio nessuno-
-Non potete certo raccontarlo a me- disse lei, alzandosi.
-Ve ne andate?- chiese Ivan, sorpreso.
-Devo-
-Ma non avete mangiato nulla-
-Forse non sono venuta qui per mangiare- fu la risposta di lei, detta con voce allegra e sensuale.
-Almeno ditemi il vostro nome-
-Non potrei nemmeno se lo volessi-
-Ma questo lascia intendere che in realtà non lo vogliate-
-Forse- e ridendo se ne andò, portando via con sé il suo dolce profumo.
Interessante, veramente interessante. Prese la birra e ne bevve un lungo sorso. Non avrebbe potuto bere alcolici, il suo ordine non li prevedeva, ma non aveva importanza, era lontano dall’isola e poi la punizione per chi infrangeva questo voto non era poi così grave, non prevedeva nemmeno una sanzione corporale. Diverso il discorso di avere una relazione con una donna, quello era considerato un peccato molto grave. Oh, ma perché si faceva tutti quei problemi? Non avrebbe più rivisto quella donna, probabilmente voleva solo divertirsi anche lei, uscire per qualche istante dal ruolo di sacerdotessa. Finì di mangiare con calma, un po’ annoiato e triste. L’incontro con la dama rossa lo aveva turbato, inutile negarlo. Quando si alzò sorrise alla figlia del locandiere. Ora che la vedeva bene, sotto la luce tenue delle candele, era carina, forse un po’ più grande di quanto avesse pensato inizialmente. Era alta, sottile, capelli corvini, occhi scuri. I loro sguardi s’incontrarono un attimo, poi la ragazzina si voltò e si rimise a pulire il bancone. Era chiaramente offesa. Ivan le si avvicinò.
-Avrei bisogno della stanza, mia signora- le disse, appoggiandosi al bancone.
-Dovete chiedere a mio padre-
-Non lo vedo-
-Credo che sia andato a prendere del vino in cantina- disse lei, continuando a pulire senza nemmeno alzare lo sguardo.
-Capisco … è da molto che avete questa locanda-
-Qualche anno-
-Non siete di New City, vero?-
La ragazzina voltò la testa e lo fissò sorpresa.
-L’accento- spiegò laconicamente Ivan –non è di qua-
-Nemmeno voi siete di qua-
-No- sorrise.
-Venite da lontano?-
Ivan ponderò per un attimo se dirle la verità, ma no, poteva pur sempre rivelarsi pericoloso. –Molto, dalle Terre del Nord-
La ragazzina sbiancò. –Sono terre pericolose quelle-
-Luoghi in cui un uomo non può mai dormire tranquillo, certo, ma sono anche molto affascinanti- non mentiva, era stato una volta nelle Terre del Nord. Anni prima aveva accompagnato il Maestro, insieme ad altri cavalieri, a fare visita ad un antico palazzo, un luogo che apparteneva al periodo in cui le radiazioni non avevano ancora distrutto la Terra, prima dell’Apocalisse insomma. Le Terre del Nord erano state le più colpite, il luogo laddove tutto aveva avuto inizio secoli prima. Ivan era rimasto colpito da quell’edificio alto che poggiava sulla terra, unico sopravvissuto in un mondo completamente distrutto.
-Un tempo qui dentro viveva della gente- gli aveva spiegato il Maestro.
-Doveva essere orribile stare chiusi in un posto così-
-Forse loro riterrebbero orribile dover vivere in case sospese per aria-
Era tutto questione di punti di vista. –Io preferisco sempre casa mia-
A quel punto il Maestro aveva riso, era così raro vederlo ridere. –Purtroppo questa notte la dovrai passare qui-
-Perché siamo venuti?-
-Questo lo vedrai tra breve-
Erano entrati nell’edificio. All’interno non c’era più nulla, solo grandi sale vuote e scale. Niente di niente. I soffitti erano in gran parte distrutti e grandi pezzi di calce si trovavano a terra. Un luogo dimenticato da tutti. Angoscioso. E poi aveva sentito quel fruscio e aveva subito portato la mano alla spada.
-Non temere, non è nulla- gli aveva detto il Maestro –sono venuto fin qui per incontrare un mio vecchio amico-
Ad Ivan sembrava impossibile che in mezzo a tutte quelle macerie potesse vivere qualcuno, ma quando aveva visto la creatura che dimorava lì non ne era più rimasto tanto sorpreso. Era un essere pallido e strisciante, una creatura che, il cavaliere non ne dubitava, apparteneva a quel mondo che precedeva l’Apocalisse, una parodia di un essere umano.
-Lì non abita più nessuno, vero?- chiese la ragazzina, fissandolo con i suoi occhi da cerbiatta.
-Nelle Terre del Nord? Oh no- mentì lui, deciso a tutto pur di nascondere la verità, pur di non rivelare ciò che aveva visto quel giorno –ma i paesaggi sono veramente stupendi e io vengo proprio da là, sono un cavaliere errante, vado laddove il mio cuore mi conduce-
-Deve essere affascinante essere sempre in viaggio-
-E molto stancante- aggiunse lui soffocando una sbadiglio.
-Ora vi accompagno subito in camera- e con un movimento atletico salì in ginocchio sul bancone per afferrare le chiavi della stanza numero cinque che pendevano appese a un gancio sul muro lì davanti.
-Gentilissima-
La ragazzina arrossì. –Normalmente io non posso accompagnare nelle stanze … ma per voi farò un’eccezione- farfugliò –Venite- disse quindi e si diresse rapida verso le scale.
Ivan la seguì. Era rapida nel salire, faceva due gradini alla volta. Quando arrivò al piano salterellò fino alla stanza su cui faceva bella vista il numero cinque.
-Eccola- e l’aprì con la chiave.
Era una stanza piccola, ma confortevole, con un letto in ferro battuto nel centro, un mobiletto al suo fianco e una grande porta-finestra con tende bianche che svolazzavano alla brezza serale come spettri.
-Vi piace?- gli chiese la ragazzina, con voce un po’ tremante.
-Perfetta- rispose lui, appoggiando la sacca sul comò.
-Sono felice che vi piaccia, è la camera più bella che abbiamo e mi fa molto piacere che vi piaccia- sorrise timidamente –posso fare altro per voi?-
Ivan pensò a come sarebbe stato dirgli che sì, poteva fare una cosa per lui: restare tutta la notte. No, non sarebbe stato prudente e poi in fondo non aveva una gran voglia di avere compagnia. –Nulla-
-Allora vado, buonanotte-
-Buonanotte- e la guardò andare via con una leggera sensazione di fallimento. Ma no, non aveva tempo per quello.

Era suonata la mezzanotte quando si mise a letto vestito, come sempre quando era in viaggio. Prima di addormentarsi controllò che la finestra fosse chiusa e che la porta fosse sbarrata, non gli piaceva dormire nelle locande, dove avrebbe potuto entrare chiunque. Aveva appena preso sonno quando qualcosa lo svegliò. Era un bussare leggero, appena percepibile, ma il suo orecchio era ben abituato a rumore simili. Restò immobile per alcuni secondi, quindi si mise seduto, in attesa.
-Cavaliere- sussurrava una voce. La figlia del locandiere.
Ivan scese dal letto e ci mise alcuni secondi a capire che la voce non proveniva dalla porta, come aveva pensato all’inizio, ma dalla finestra. Afferrò la sua spada e andò a controllare, scostando appena le tende. La ragazzina era sul davanzale esterno, aggrappata alla grondaia, la camicia da notte azzurra che si gonfiava al vento, scoprendo due polpacci magri, il viso pallido come quello di una morta.
-Aprite, per cortesia- disse in un sussurro appena udibile.
Ivan si affrettò ad aprire la finestra e le cinse la vita con un braccio per aiutarla ad entrare. –Siete impazzita? Potevate morire- disse.
La ragazzina tremava per il freddo. –Mio padre vuole uccidervi- disse tutto d’un fiato.
-Cosa?-
-Sì, vuole derubarvi, siete straniero e secondo lui nessuno verrà a cercarvi- disse tutto d’un fiato, quasi mangiandosi le parole –non sapevo come altro avvisarvi, non potevo venire alla porta, mio padre controlla tutto, io … non sapevo come fare, sono saltata da un davanzale all’altro, ma là fuori c’era vento e avevo paura di cadere e … - scoppiò in lacrime.
Ivan le accarezzò il braccio. –Va bene, sei stata bravissima- e poi si gettò a prendere la sua sacca.
-Presto, presto, fate in fretta- gridò la giovinetta, completamente presa dal panico, andando su e giù per la stanza come una disperata.
Ivan non aveva paura, era abituato a gestire simili situazioni, dopotutto era stato addestrato per quello e finalmente aveva modo di dimostrare tutta la sua bravura.
-Andiamo- la ragazza si attaccò al sacco che sfuggì dalle mani di Ivan facendo rotolare a terra il suo contenuto: alcuni vestiti, un pugnale, la lettera e … basta. Nessun paio di occhiali, nulla di nulla. Ivan si sentì gelare. Dov’erano finiti? Si buttò a terra e iniziò a guardare sul pavimento alla ricerca dell’oggetto perduto. Lanciò anche un’occhiata sotto il letto, ma non erano neppure lì. Era nella sacca, ne era certo, li aveva estratti quando … e ricordò la bella dama vestita di rosso. No, no, no. Era stato ingannato come un bambino! Ecco perché si era seduta davanti a lui! Ecco cosa voleva! Altro che lui e il suo fascino, quella donna lo aveva ingannato e lui ci era cascato come uno stupido! Quasi non riusciva a crederci e lui che pensava di essere un uomo di una certa intelligenza! Ingannato come un ragazzino e nemmeno da un bel viso visto che lei aveva pure il velo! Beh, ora capiva perché lo aveva, almeno un mistero era risolto, la donna non voleva essere riconosciuta. Ma quando glielo aveva preso? Probabilmente quando la ragazzina gli aveva portato il piatto di carne, sì, mentre lui si girava per guardare quella l’altra aveva infilato una mano nella sacca ed estratto rapidamente gli occhiali. Ma perché? Come poteva sapere quanto erano importanti? E poi perché non aveva preso anche la lettera se voleva fermare la sua missione? A meno che la donna non volesse trovare la ragazza, proprio come doveva fare lui … in quel caso la ragazza era in pericolo, doveva trovarla per primo … no, doveva recuperare gli occhiali, altrimenti come avrebbe potuto trovare la ragazza? Per prima cosa doveva trovare la donna in rosso e poi …
-Stanno arrivando- gemette la ragazzina ed effettivamente si sentì rumore di passi dietro la porta.
-Va bene, andiamo- Ivan si legò la sacca sulla schiena e saltò sul davanzale della finestra, quindi porse una mano alla locandiera –Vieni-
-Di nuovo dalla finestra?- chiese la giovinetta impallidendo.
-Sì, non temere, questa volta ci sarò io-
E lei si fidò e gli prese la mano. Ivan la sollevò accanto a lui senza il minimo sforzo, quella ragazzina pesava pochissimo. –Aggrappati alla mia schiena e non mi lasciare per nulla al mondo, okay?-
-Va bene- biascicò lei.
Il cavaliere ispirò a fondo e iniziò a scendere lungo il muro, aiutandosi con i davanzali che trovava e con la grondaia, oltre che con qualche rara fessura che trovava nell’edificio. Era abituato ad arrampicarsi e scendere dal monte che si trovava sulla sua isola, anzi, era una delle cose che gli piaceva maggiormente fare, ma non con un peso singhiozzante e tremante sulle spalle.
-Devi stare tranquilla- le disse e si accorse di non conoscere nemmeno il suo nome –come ti chiami?-
- Jill – disse lei in un sussurro all’orecchio del giovane.
-Bel nome-
-Grazie, credo che fosse il nome di una zia di mio padre-
- Jill, ora devi ascoltarmi: devi rimanere il più ferma possibile-
-Io non ci riesco-
-Lo so che è difficile, ma mi rendi molto complicata la discesa se ti muovi, proverai a stare più tranquilla?-
-Ci proverò- mormorò lei, poco convinta.
Meglio di niente. Scese di un altro piano e per poco non scivolò nel vuoto. Jill lanciò un urlo. Menomale che doveva stare più tranquilla.
-Non è successo nulla- disse Ivan, ma si sentiva tutto tranne che sicuro.
-Ho paura-
E anche Ivan ne aveva, sentiva il sapore metallico in bocca. Quanto mancava ancora ad arrivare a terra? Era troppo buio per riuscire a capirlo, ma c’erano come minimo ancora due piani e la ragazzina era sempre più inquieta. E poi la finestra al piano superiore si aprì e si sentì un rumore sordo che Ivan ben conosceva: uno sparo. Non era più tempo per gli indugi.
-Tieniti forte- e si lasciò cadere.
Il Maestro gli aveva insegnato a cadere sempre in piedi, come i gatti. Ora doveva mettere in pratica tutto ciò che sa fare. Fletté le ginocchia e si preparò ad attutire la caduta con le mani, piegato in avanti per rendere meno violento il colpo che sicuramente avrebbe preso. Il peso sulle spalle non avrebbe sicuramente migliorato la situazione. Il cuore batté forte mentre si lasciava cadere nel vuoto, mentre nelle orecchie risuonavano le urla di Jill, folle di paura. Cadde accovacciato. Le ginocchia attutirono l’urto peggiore, poi si ferì i palmi di entrambe le mani. Nulla di troppo grave fortunatamente. Rotolò sul fianco e restò immobile ad ascoltare i battiti impazziti del proprio cuore. Ci mise alcuni secondi a capire che la ragazzina si era staccata da lui e, tiratosi leggermente su, vide che giaceva un po’ più in là. Aveva sbattuto la testa? Si era ferita? Forse peggio? Si alzò seppur a fatica. Fortunatamente la sacca era ancora attaccata a lui.
- Jill – chiamò, avvicinandosi a lei.
La ragazzina mosse leggermente la testa, quindi aprì gli occhi e si guardò intorno. –Ho pensato di morire- sussurrò.
-Hai male da qualche parte?- dovevano fare in fretta.
-No, penso di non essermi rotta nulla-
-Bene, anche perché ora ci tocca correre- la prese per il braccio e la tirò bruscamente in piedi.
-Mi fai male-
-Se vuoi venire con me corri e basta-
Chissà perché quando Ivan usava quel tono di voce tutti ammutolivano. Strano ma vero, era il suo modo per farsi ascoltare, anzi, per essere sicuro che gli altri lo ascoltassero. Trascinò la ragazza dietro di sé nella notte, ringraziando che l’oscurità coprisse tutto. Se fosse stato di giorno o se la luna fosse stata più alta per loro non ci sarebbe stata possibilità, ma dovevano approfittare delle condizioni a loro favorevoli. Proseguirono fino a quando non furono abbastanza lontani dalla locanda, solo allora Ivan si sentì più tranquillo.
-Ci possiamo fermare?- chiese la ragazzina con il fiato corto.
-Certo- anche lui in fondo aveva bisogno di un momento di tranquillità per pensare. Si lasciò cadere a terra. Le cose non erano andate come previsto, ma quando mai le cose vanno come previsto? Ora la cosa importante era ritrovare gli occhiali, quindi correre a cercare la ragazza e consegnarle il messaggio, solo allora avrebbe potuto tornare a casa e finalmente ricominciare la sua normale vita fatta di allenamenti e senza donne pronte a ingannarlo o ad attaccarsi alla sua schiena urlando, sì, proprio una bella vita, se ne rendeva conto ora più che mai. Ma prima doveva portare a termine la missione.
-Ti ricordi di una donna vestita di rosso e con il viso velato che era presente a cena, quella seduta al mio tavolo?-
Jill si rabbuiò. –Certo che me la ricordo- disse con voce da rimprovero.
-Sai chi era?-
La ragazzina strabuzzò gli occhi. –Vuoi correre da lei?-
Stupida gelosia! –No, quella donna ha preso una cosa che era mia e io voglio riaverla indietro-
-Cosa?- chiese lei curiosa.
Ma cosa s’intrometteva? –Una cosa molto importante, che devo recuperare nel minor tempo possibile-
-Cosa?- insisté lei.
-Non posso dire nulla, fa parte della missione che mi ha spinto qui- disse lui –piuttosto cosa sai di quella donna?-
-La sacerdotessa di Kaal?-
-Di cosa?-
-Quegli abiti sono tipici alle donne che si votano alla dea Kaal-
-Non conosco questo culto-
-Dicono che abbia origini antiche, ma non è vero, in realtà è abbastanza recente, c’è un intero quartiere dedicato al culto e ci sono molte sacerdotesse- ridacchiò –a loro piace farsi chiamare così, ma non sono delle vere sacerdotesse, non nel senso classico del termine-
-Cosa vuoi dire?-
-Si dedicano completamente alla dea e a ciò che lei vuole-
-E cosa vuole?-
-Vuole che si prostituiscano, che donino le loro grazie agli uomini che incontrano, lo fanno in suo nome, lo fanno solo per lei, tengono il volto coperto perché gli uomini in realtà non si uniscono a loro ma a Kaal in persona-
Lo aveva avvicinato una prostituta? Questo era decisamente troppo! –E chi gli dice che cosa questa dea vuole?-
-Oh questo non lo so, sono i Misteri del culto, lo sanno solo le iniziate-
A Ivan venne la buffa idea di far infiltrare quella graziosa giovinetta all’interno del culto, tanto per scoprire qualcosa di più e magari anche l’identità della donna. –Sai se sono dedite anche al furto questa specie di sacerdotesse?-
-Questo non lo so, ma non credo-
Quindi avevano deciso d’iniziare questa spiacevole attività proprio con lui? La solita sfortuna! Beh, in qualsiasi caso doveva riprendersi ciò che era suo il prima possibile, non aveva proprio tempo da perdere. Si alzò. –Mi puoi condurre nel quartiere di Kaal?-
-Certo, ma non possiamo andarci a piedi, è lontano-
E solo in quel momento Ivan ricordò la moto. Chissà se era ancora vicino alla locanda? Certo, tornare indietro era pericoloso, ma non poteva proprio fare altrimenti, e doveva proprio sperare che il locandiere non l’avesse fatta a pezzi per vendicarsi del rapimento della figlia oltre che della fuga. Non che perdere quella figlia dovesse poi essere una grande privazione. –Dobbiamo recuperare la mia moto- disse.
-Se mio padre ci vede è finita-
-Posso ben immaginarlo, ma non c’è altra scelta, dobbiamo tornare indietro, prendere la moto e andare a trovare queste sacerdotesse-
-Se non c’è altra scelta- disse lei, titubante.
-Altra scelta non ce n’è- disse lui deciso e s’incamminò nuovamente lungo la via da cui erano venuti.
-Aspetta, c’è una strada da dietro, lì sarà più difficile farci scoprire-
-Perfetto- disse, anche se non era certo della buona riuscita del fatto. Invece, incredibilmente tutto andò come previsto, senza inconvenienti. Strano, ma vero. Finalmente un po’ di fortuna, pensò Ivan. Salì sulla moto senza aspettare altro e la fece partire. Sorrise sentendo il familiare rombare del motore che si accendeva. La sua bambina! Gli sarebbe davvero spiaciuto doverla abbandonare lì.
-Ehi, aspettami-
Si era dimenticato della ragazzina. Già, quella piccola palla al piede … peccato che gli serviva per trovare gli occhiali. Quella era l’ultima missione del genere che accettava. –Monta in sella-
-Wow, mio padre non mi ha mai fatta salire su una moto, dice che sono pericolose-
Non più di un cavallo, pensò Ivan, ricordando la volta in cui era caduto da un destriero, la prima e l’ultima volta in cui c’era salito sopra. No, lui e i cavalli non andavano d’accordo, molto meglio le moto e poi facevano sicuramente più colpo con le donne. La ragazza salì in maniera sgraziata e gli cinse i fianchi con forza.
-Sono pronta- urlò e le parole rimbombarono nella notte.
-Parla piano, altrimenti ti sentiranno-
-Scusa-
Ivan non era abituato a lavorare in squadra, lui era sempre stato un solitario e lavorare da solo gli piaceva, poteva fare quello che voleva senza temere che altri intervenissero nelle sue azioni. Ispirò a fondo. Doveva solo recuperare gli occhiali e quindi trovare la ragazza, molto semplice, poi sarebbe tornato a casa, alla sua isola, al suo ordine.
-Mostrami la strada- disse alla ragazzina e partirono sfrecciando nella notte.

Le strade erano deserte a quell’ora. Quale sprovveduto infatti si sarebbe aggirato per New City di notte? Con tutte le leggende che c’erano sui mostri che si aggiravano lì intorno quando calavano le tenebre? Anche Ivan le conosceva anche se non abitava lì.
-Gira a destra- gli disse Jill.
Il cavaliere obbedì. Nemmeno le stelle illuminavano quella città, le radiazioni erano ancora troppo presenti perché ciò fosse possibile. Niente stelle, niente luna, nulla di nulla, dopo secoli da quel nefasto avvenimento l’aria era sempre satura di radiazioni e se la gente non moriva più per quelle era perché c’era stata una selezione naturale che aveva fatto sopravvivere solo quegli esseri più resistenti ad esse. Ogni tanto Ivan si chiedeva come fosse il mondo prima dell’evento, come fosse vivere in quell’epoca lontana. Non si sapeva quasi nulla di quel periodo precedente, di come le radiazioni avessero avvolto tutto, di quanto velocemente fossero morti quasi tutti gli esseri viventi tra atroci dolori. I sopravvissuti erano dovuti rimanere a guardare i loro cari morire, la loro civiltà collassare, tutto quello che amavano e in cui credevano andare in ceneri. E da quelle ceneri era risorto un nuovo mondo.
-Eccolo- disse Jill.
Il guerriero fermò la moto e guardò di fronte a sé. Un enorme quartiere gli si stagliava di fronte, con un piano centrale pieno di vegetazione, mentre gli altri erano composti da edifici enormi e il cui colore predominante era il rosso vermiglio, rosso come il sangue. Quel posto non gli piaceva affatto. Scese dalla moto e aiutò Jill a fare altrettanto.
- Dov’è l’ingresso?- chiese.
-Laggiù- la ragazzina indicò una porta con la mano e solo allora Ivan si accorse che tremava visibilmente.
-Va bene, tu resta qui, vado io-
-Resto qui?- chiese lei dubbiosa.
-Certo, tu controlla la moto-
-Mi lasci qui da sola?- chiese lei, la voce improvvisamente stridula.
-Non so cosa troverò là dentro e soprattutto non so se ne uscirò vivo o tutto intero, per cui non me la sento di portare un’altra persona là dentro con me, soprattutto se non sono più che certo che questa persona sappia difendersi da sola- non desiderava spaventarla, ma quella era la verità e non si voleva ritrovare a dover fare il doppio per tutelare anche la ragazzina.
-E se qualcuno dovesse aggredirmi qua fuori da sola?-
Ivan sospirò. Se avesse accontentato la ragazzina e se la fosse portata dietro avrebbe rischiato di essere ucciso anche lui, distratto a difendere lei, ma effettivamente non poteva negare che nemmeno lasciarla là fuori da sola fosse un’idea così buona. –Va bene, vieni dentro con me, ma dovrai promettermi di fare quello che ti dico io, niente iniziative private, va bene?-
-Certo, non ti disubbidirò per nulla al mondo- esclamò lei contenta.
Ivan sperò di non doversi in seguito pentire di quella scelta. –Ora dobbiamo trovare un’entrata secondaria- disse e cominciò a guardarsi intorno. Normalmente le entrate secondarie in città con quei tipi di quartiere erano vicini all’ingresso principale qualora ci fossero problemi ad aprire questo. O almeno così gli avevano detto. Doveva guardarsi intorno, tutto qui e avrebbe trovato il modo di entrare, non era difficile. E poi eccola lì! Una finestra lasciata accostata, come un invito, peccato che fosse al secondo piano del quartiere, questo voleva dire arrampicarsi nuovamente. Beh, questa volta però aveva un asso nella manica. Ridacchiando corse alla moto.
-Dove vai?- gli chiese Jill.
-Aspetta, ho un’idea-
-Quale?- Ivan non le rispose e si limitò ad agire. Aprì il sellino della moto e vi estrasse una spessa corda, chissà perché il Maestro gliel’aveva data, forse sapeva che gli sarebbe servita disperatamente oppure era stato solo un dono casuale dettato da eccessiva prudenza? Questo in quel momento non aveva proprio nessuna importanza.
-Cosa dovremmo farci con quella?- chiese Jill, spaventata.
-Tu resta a guardare- disse, facendo un cappio a un lato della corda.
-Non vorrai … -
Ivan rise vedendo gli occhi di lei sgranarsi. Gli piaceva mettere in difficoltà le persone. Fece ruotare la corda e senza dire nulla la lanciò verso la finestra. Questo si agganciò a una sporgenza del piano. –Vieni, useremo questa per facilitare la salita-
-Cosa? Io non salgo con quella roba!-
Perché non era sorpreso da quella reazione? Ormai poteva dire di conoscere abbastanza bene Jill anche se in realtà fino a poche ore prima non sapeva nemmeno chi fosse. –Sei libera di fare quello che vuoi- disse lui con voce pacata.
-Io da sola non ci resto!-
-Allora dovrai arrampicarti sulla corda-
-Non possiamo fare come prima? Ti prometto che starò brava appesa alle tue spalle- disse con voce improvvisamente dolce e appoggiandosi una mano sul cuore, come se stesse giurando. Certo, ora prometteva, ma Ivan sapeva bene che si sarebbe ripetuta la situazione di prima. Alla fine però decise comunque di assecondarla. –Va bene- afferrò la corda con entrambe le mani.
-Grazie, starò bravissima- disse Jill, cingendogli il collo con entrambe le braccia e spingendosi in su per avvolgergli le gambe intorno alla vita. Ivan poté sentire il contatto delle labbra di lei sulla pelle, apparentemente casuale. Un contatto che lo fece sorridere.
-Tieniti forte, non ci sono fermate prima dell’arrivo-
-Certo-
-Speriamo bene- borbottò, chiedendosi se la corda avrebbe retto il peso di entrambi.
-Cosa?-
-Niente, procediamo- e iniziò ad arrampicarsi.
La salita fu difficile, soprattutto perché iniziava a sentire i sintomi della stanchezza e quel peso sulle spalle sicuramente non lo aiutava. Quando finalmente arrivò in cima si sedette sul davanzale esterno e aiutò Jill a fare lo stesso.
-Quanto siamo in alto!- esclamò lei.
-Non guardare giù- disse lui, poi ispirò a fondo e con il gomito, avvolto nel mantello, ruppe il vetro della finestra, quindi infilò dentro la mano, stando attento alle schegge, ancora attaccate al telaio, e abbassò la maniglia per aprire l’infisso e riuscire ad entrare. La finestra si mosse con un inquietante cigolio. La stanza oltre di essa era avvolta dalla tenebre. Ivan si voltò, alzando le gambe, quindi si lasciò cadere all’interno dell’edificio e porse la mano a Jill per aiutarla a entrare. La ragazzina era pallidissima. Forse finalmente stava un po’ zitta. Ivan si sporse per accostare la finestra, tanto perché non si accorgessero subito del loro ingresso, quando sentì qualcosa che gli sfiorava il braccio.
-Stai brava, Jill!- mormorò.
Qualcuno gli tirò il braccio. Era proprio una bambina! Si girò e restò a bocca aperta accorgendosi che la ragazzina era a qualche passo da lui e lo fissava terrorizzata. O meglio, non fissava lui, ma la cosa che era attaccata al suo braccio. Un animale dall’aspetto famelico e dai denti aguzzi. Ivan, spaventato e preso alla sprovvista tirò indietro l’arto. Fortunatamente l’animale non aveva addentato la carne, ma solo la manica che si lacerò sotto i suoi denti. Rapidamente il cavaliere estrasse la spada e la frappose tra lui e la creatura che era sicuramente un ibrido tra un leone e qualche altro grosso felino, probabilmente una tigre. L’animale lo fissò con le iridi gialle e allungate, lo stava studiando. Ivan sentì in bocca il sapore metallico della paura.
-Quello dev’essere un Kaalia- balbettò Jill.
-Un cosa?-
-Un animale sacro a Kaal-
-Ed è aggressivo?-
-Non so, non ne ho mai visto uno-
Ivan aveva già combattuto contro delle belve, sapeva che non doveva mai distogliere lo sguardo e soprattutto non doveva mostrare paura, altrimenti sarebbe stata la fine. Mosse la spada e, deciso ad attaccare per primo, avanzò e colpì l’animale ferendolo di striscio. Questo però sembrò arrabbiarsi ancora di più e balzò in avanti, avventandosi su di lui. Ivan si ritrovò a terra, l’animale su di lui, la spada volata chissà dove durante la caduta. Quello sì che era un brutto guaio! Osservò la belva negli occhi stretti e si sentì gelare quando quello aprì le fauci mostrando i denti appuntiti e la guizzante lingua rosea. L’animale lanciò un verso, molto simile a un ruggito e avanzò di un passo, ponendo la grande zampa sul petto del malcapitato che subito si sentì soffocare. No, quella volta non c’era proprio speranza di cavarsela. E poi vide qualcosa piombare sulla bestia, qualcosa che luccicava. Ci mise un attimo a capire cosa fosse. Una lama. La belva arretrò spaventata e Ivan approfittò del momento per arretrare spingendosi con i talloni e le mani. Solo quando fu abbastanza lontano si rese conto di ciò che era successo: Jill aveva preso in mano la spada e con quella aveva ferito la belva che ora si lamentava, sanguinante, in un angolo, come un gattino. La ferita doveva essere abbastanza profonda, giudicò il cavaliere. Al contrario la ragazzina lo guardava con la spada in mano, trionfante, negli occhi una luce vittoriosa, una vera piccola guerriera. Se si aspettava complimenti non ne avrebbe ricevuti, dopotutto era umiliante farsi salvare da una donna e poi quella non era ancora una donna, era poco più che una bambina. Doppiamente umiliante, quindi. Si alzò, a fatica, un opprimente dolore al petto laddove la bestia aveva appoggiato la zampa. Probabilmente aveva qualche costola inclinata, dovette dedurre.
-Sono stata brava?- gli chiese Jill, correndogli incontro muovendo pericolosamente la spada in aria, come se fosse stato un giocattolo. E non gli chiedeva nemmeno come stava? Dopo che gli era balzato addosso quel mostro?
-Dammi la spada- disse lui, ma la voce uscì roca e con delle gocce di sangue. Si era morso la lingua durante la colluttazione e ora sentiva il sapore metallico del sangue in bocca. Aveva un vago senso di nausea. Forse anche un trauma cranico visto che la testa gli doleva.
Jill fece una smorfia. –Tutto qui? Ti ho salvato la vita nel caso non te ne fossi accorto!- urlò.
-Smettila di urlare, altrimenti ne arriveranno venti di quelli, e dammi la spada se non vuoi dargli tu il colpo di grazia-
-Ma … - e solo allora la ragazzina si accorse che l’animale stava avanzando verso di loro con passo felpato, cercando di approfittare dell’effetto sorpresa per attaccarli. Subito riconsegnò ad Ivan la spada e si allontanò, improvvisamente tornata docile.
Ivan, anche se dolorante, balzò in avanti, la spada in pugno. L’animale continuava a perdere sangue per cui questa volta il cavaliere ebbe vittoria facile. Gli bastò spostarsi di lato e colpire al fianco. La belva cadde a terra. –Ora dobbiamo andare- disse il guerriero, rivolto alla sua compagna di sventure.
-Dove?- domandò lei, tremante.
-Di lì- e le indicò una porta socchiusa. Non gli piaceva che quella porta fosse socchiusa, ma non poteva fare altro. Avanzò, la spada in pugno, sentendosi quasi uno di quegli eroi delle leggende, solo che loro erano molto spesso immortali o accompagnati da bellissime e potenti guaritrici, mentre lui aveva come compagna solo una ragazzina che credeva di essere chissà chi solo perché aveva ferito un animale grosso e feroce.
-Non sarà pericoloso?- sussurrò lei.
Pure saputella! –Non vedo altra scelta- fu la brusca risposta di lui, stufo di fingersi dolce e comprensivo. Aveva una mezza voglia di mandare avanti lei e … Basta, doveva rimanere calmo e lucido, questo gli avevano sempre raccomandato, non perdere la calma. Tenendo la spada con la mano destra avanzò e afferrò la maniglia con la sinistra, poi ripensandoci fece un passo indietro e le assestò un calcio che la fece spalancare. La stanza dietro di essa era quasi completamente buia, illuminata solo da una candela posta su un ornamento del muro in ferro battuto. La candela illuminava i primi gradini di una scala. Ivan sorrise. Era forse un gioco quello? Doveva seguire la luce? Quella l’avrebbe condotto agli occhiali? Una caccia al tesoro quindi, interessante. Al cavaliere sfuggì un sorriso. Era sempre stato bravo nei giochi, anche se non gli piacevano poi molto, richiedevano uno spreco di energie e di tempo che per un tipo come lui, ligio al dovere e all’ordine, erano intollerabili.
-Attraverso il gioco si conosce la realtà- gli aveva detto un giorno il Maestro.
Ivan non era d’accordo con questa visione. Il gioco era solo una perdita di tempo, adatto solo ai bambini e non agli uomini, ecco il suo pensiero.
-Tu aspettami qua- disse a Jill.
-Qui?- chiese lei, pallidissima alla luce della candela.
-Questo gioco è mio e basta, tu non c’entri nulla, quello che troverò in cima alle scale è rivolto a me e basta- si dovette sforzare per sorriderle –tornerò prestissimo-
-Non se ne parla neanche- e gli si aggrappò al braccio.
-Va bene- cedette nuovamente lui –ma stai dietro di me, cinque scalini dietro di me, capito?-
-Certo-
E Ivan cominciò la salita. La prima rampa di scale era seguita subito da un’altra e poi da un’altra ancora, tutte illuminate dalle fioca e rossa luce delle candele. Stavano salendo, probabilmente sarebbero finiti in cima a una torre o a qualcosa di simile. Quel percorso circolare gli metteva le vertigini e forse era quello l’obiettivo: disorientarlo. Chiuse gli occhi un attimo, quindi li riaprì e proseguì, cercando di tenere tutti i sensi all’erta, nonostante il continuo dolore al petto. Allungò il passo. E dopo un’infinità di giri e rigiri finalmente arrivò a in cima e poté vedere una porta che lo aspettava spalancata, come se non avesse proprio nulla da nascondere. Oltre di essa si poteva scorgere una stanza illuminata da un gran numero di candele e s’intravedeva un’altra porta, questa mezza aperta, in modo tale che si distinguesse solo qualcosa di rosso all’interno.
-Stai qua- sussurrò alla ragazzina, che questa volta annuì senza protestare, ed entrò. Percorse la prima stanza ben attento a non far cadere nessuna candela, quindi, arrivato nella seconda, spinse la porta ed entrò.
-Benvenuto- disse una voce familiare. La sacerdotessa era seduta su un enorme letto a baldacchino dalle lenzuola vermiglie. Indossava un abito che le lasciava scoperta la parte anteriore delle gambe, nascondendo quella posteriore. Il velo le copriva sempre il volto. Le scarpe avevano un tacco così alto che Ivan si chiese come potesse reggersi in piedi, ma quando la donna si alzò e gli si avvicinò non sembrò minimamente indugiare. Il profumo di lei gli penetrò nuovamente nelle narici. –Iniziavo a pensare che avresti desistito-
-Voglio gli occhiali- disse lui, frapponendo tra loro la spada per rendere palesi le sue intenzioni.
-Ci hai messo un po’ di tempo per accorgerti che non li avevi- di nuovo quel movimento dietro il velo così simile a un sorriso –ma vedi, gli occhiali servono a noi, non sei il solo a cercare quella ragazza-
Ma in che guaio l’aveva messo il Maestro? E chi era questa fantomatica ragazza? Una cosa però era certa: nemmeno la sacerdotessa ne conosceva il volto se aveva bisogno degli occhiali per riconoscerla. –Perché la cercate?- chiese per prendere tempo.
-Non sono affari che ti riguardano e comunque non lo so neppure io a dire il vero- ridacchiò, una risata che gli parve agghiacciante –io eseguo solo gli ordini come tutti qui dentro- aggiunse con voce squillante e innaturale.
-Gli ordini di chi?-
-Oh, ma quelli della dea, naturalmente la servo da quando sono una bambina, sai? Ero orfana e sola e Lei mi ha accolta nella sua casa, mi ha dato un’educazione e soprattutto mi ha dato uno scopo-
-Rubare le cose altrui?-
-Quanto sei sciocco! Ma in fondo voi uomini non vedete le cose fondamentali, per questo la dea sceglie solo donne per la propria causa-
-E io di questo non piango certo- disse lui, la spada sempre tesa tra loro –ora dimmi dove hai messo gli occhiali-
-Perché dovrei?-
-Perché io non mi faccio sicuramente scrupoli perché tu sei una donna- disse, fissandola laddove dovevano esserci gli occhi nascosti dal velo –la spada te la infilo nel ventre, è chiaro?-
Lei scoppiò a ridere, probabilmente divertita. –Uccidimi se è questo che vuoi- disse, allargando le braccia –un colpo nel petto, dritto al cuore, su, non farmi perdere tempo, so che è quello che vuoi, so che desideri veder scorrere sangue, che lo brami addirittura- rise, questa volta più teatralmente –cosa stai aspettando, allora?-
No, Ivan non poteva colpire fino a quando non avesse saputo dov’erano quegli occhiali.
-Perché non mi uccidi?- chiese beffarda.
-Dimmi dove sono gli occhiali-
-Perché dovrei? Dopotutto la cosa peggiore che puoi fare è uccidermi, per cui fai pure, io non ho paura dell’aldilà-
Effettivamente aveva ragione, Ivan non aveva altro modo per minacciarla. La fissò senza parlare, nella disperata ricerca di un argomento con cui convincerla. Non gli venne in mente assolutamente nulla.
-Visto? Non puoi far nulla- fece un passo verso di lui e verso la spada, quindi un altro e un altro ancora fino a quando la punta dell’arma non la sfiorò all’altezza del cuore. Il profumo di lei gli inondava completamente le narici, inebriandolo.
-Mi arrendo- disse lui, abbassando la spada, preso dal più totale sconforto.
-Subito?- la voce parve delusa.
-Perché dovrei persistere visto che non c’è speranza?-
La donna rimase qualche istante in silenzio, poi si strinse nelle spalle. –Come preferisci, anche se gli occhiali che tanto desideri potrebbero essere più vicini di quello che pensi-
Voleva giocare al gatto col topo? Bene, lui l’avrebbe accontentata. –Quindi sono in questa stanza- disse, fissandola.
-Proprio così-
-Allora non ho bisogno di te per trovarli-
-Qui ti sbagli, perché non indovinerai mai in quale punto sono senza il mio aiuto- e scoppiò in una risatina, come se fosse soddisfatta della conclusione a cui era appena giunta.
-Cosa vuoi?- chiese a quel punto il cavaliere.
-Non so, sai?- s’infilò una mano nella chioma fulva –Facciamo un gioco, che ne dici?-
-Un gioco?- ora Ivan era interessato. Quale gioco poteva proporgli la donna? –Sentiamo-
-Tre domande, se indovinerai il motivo per cui la Dea mi ha scelta ti restituirò gli occhiali e quella ragazza sarà tutta tua, altrimenti te ne andrai-
-Perché mi proponi questo gioco?-
-Non capisci? La dea vuole che tu giochi, io eseguo solo il suo volere, non pongo domande- e le sfuggì una risatina.
Quella storia non gli piaceva, ma che altro poteva fare? –Tre domande hai detto?-
-Tre, solamente tre-
-Va bene, la tua storia prima di entrare qui dentro?-
-Esatto-
Ivan si concentrò. La donna gli aveva detto che era entrata lì ancora bambina e che era orfana, probabilmente i suoi genitori erano morti. Decise di partire con una domanda semplice. –Quanti anni avevi quando sono morti i tuoi genitori?-
-Dieci- rispose lei, con voce indifferente, come se la cosa non la toccasse minimamente.
Dieci anni, quindi doveva capire cosa le era successo a quell’età.
-Allora, le altre due domande?-
-Devo pensarci-
Lei ridacchiò. –Sapevo che ti avrei messo in difficoltà-
Il cavaliere strinse i denti. Non riusciva proprio a concentrarsi e poi gli indovinelli non erano mai stati il suo forte, era sempre stato più bravo nei giochi di forza.
-Su, indovina il motivo per cui la Dea mi ha scelta- disse la donna, ridendo.
Ancora due domande, doveva usarle bene. –Come sono morti i tuoi genitori?-
-Mio padre fu ucciso, mia madre ne morì di dolore-
Ivan rimase impressionato dal fatto che non c’era il minimo dolore nella voce della sacerdotessa, come se non le importasse nulla dei propri genitori e di come erano morti. Quindi il padre era stato ucciso. Aveva forse importanza conoscere da chi o come? Aveva solo più una domanda a sua disposizione, doveva usarla bene.
-Allora?- incalzò lei –Non chiedi nulla?-
Solo una domanda. E poi improvvisamente gli venne un’idea. –Andavi d’accordo con i tuoi genitori?-
Lei arretrò di un passo, sorpresa per quella domanda.
-Sto aspettando- disse lui.
-No- disse lei in un soffio e abbassò la testa.
-L’hai ucciso tu, vero?-
La donna non parlò.
-Hai ucciso tuo padre, per questo la Dea ti ha scelta, hai avuto il coraggio di ribellarti a lui, non tutte lo avrebbero fatto, e se hai ucciso una volta puoi farlo ancora-
-Lui … mi metteva le mani addosso- sussurrò lei –avrebbe dovuto proteggermi- la voce era incrinata dal dolore, come quella della bambina che doveva essere stata un tempo, una bambina impaurita e triste.
-Mi dispiace- disse Ivan sinceramente triste per quella donna che aveva sofferto molto, ma anche felice di essere riuscito ad arrivare alla conclusione di quel gioco –ora però ho vinto: dammi gli occhiali-
Lei sospirò stancamente. Non sembrava più tanto maestosa, piuttosto sembrava una ragazzina fragile e tremante. Si trascinò fino al comò e con uno strano movimento delle dita, aprì un grande scrigno, quindi vi estrasse gli occhiali. Aveva le spalle leggermente curve in avanti, come se su di esse vi fosse poggiato un gran peso. –Hai vinto- sussurrò, girandosi e andando verso di lui. Aveva un passo lento e poco solenne, ma tra le mani teneva gli occhiali. Ivan la guardò porgerglieli e li prese prima che potesse cambiare idea. Quello fu il suo errore, non tenere lo sguardo fisso sul nemico, anzi, peggio ancora, dimenticare che quello che aveva davanti era il nemico e non una ragazza dal passato infelice. Quando si accorse che lei aveva estratto qualcosa di metallico e splendente fece per prendere la spada, ma dovette spingersi indietro per evitare il colpo. Gli occhiali gli caddero a terra, ma il cavaliere non si piegò per vedere se erano rotti o meno. Cercò di afferrare il polso della donna senza alcun successo.
-Per la Dea- urlò la sacerdotessa, alzando il pugnale e nella foga il velo rosso le cadde all’indietro, lasciando vedere il viso di una giovane di bell’aspetto, con labbra rosse e carnose e grandi occhi verdi. Un viso di una bellezza rara e anche innocente. Tutto il contrario dell’animo che quel corpo nascondeva.
Ivan sarebbe stato sicuramente colpito, era inevitabile, ma la sacerdotessa impallidì tutto d’un colpo, il braccio che teneva il pugnale tremò e sembrò perdere la propria forza, l’arma sempre stretta, quindi l’arto le scivolò lungo il corpo, lo sguardo verde lo fissò un attimo con stupore, quindi si appannò e Ivan fu certo che non potesse più vedere nulla. Un attimo dopo sarebbe caduta al suolo se lui, mosso dalla bellezza di quel viso più che da compassione, non l’avesse sostenuta e poi accompagnata a terra. Un rivolo di sangue le uscì dalle labbra. Dietro di lei Jill teneva un oggetto lungo e metallico, probabilmente usato per ravvivare le fiamme del cammino, insanguinato in punta. Anche lei era pallida e tremava.
-Per la Dea- sussurrò un’ultima volta la sacerdotessa, prima di spirare. Ivan le chiuse gli occhi e mormorò un’antica preghiera di commiato.
-L’ho uccisa- sussurrò Jill, lasciando cadere l’arma.
-Era già morta da molto tempo- disse Ivan, lasciando il corpo a terra e voltandosi a cercare gli occhiali. Li trovò a un passo da lui, rigati, ma intatti. Almeno quello. Li prese. –Andiamocene da qua- mormorò, cercando di non mostrare la gratitudine a quella ragazzina che quel giorno l’aveva salvato ben due volte da morte certa.

Stava albeggiando quando finalmente il cavaliere lasciò la ragazza di fronte alla locanda del padre. Si sentiva stanco, irrequieto e infelice, ma almeno il dolore al petto si era calmato.
-Qui quindi ci separiamo- disse lei, con uno sguardo triste.
Ivan le sorrise. –Chissà, magari un giorno ci rincontreremo- mentì. Sarebbe tornato all’isola di Maya appena consegnato il messaggio. E lei avrebbe incontrato un ragazzo che l’avrebbe amata o che comunque lei avrebbe amato. Così andava il mondo. E almeno così non avrebbe più rivisto colei che lo aveva sottratto alla morte. Incredibile! Se il Maestro avesse saputo che si era fatto salvare da una ragazzina! E per ben due volte, poi! Senza aspettare oltre mise in moto e partì. Si fermò solo nel quartiere seguente, dove indossò gli occhiali pregando che si accendessero. Una luce rossa li illuminò e subito una voce dolce iniziò a dargli indicazioni fino a un grande edificio con finestre rotonde. La ragazza si trovava lì dentro. Il cavaliere scese dalla moto. Ora doveva solamente aspettare che uscisse. Estrasse dalla sacca il messaggio, valutando un attimo l’idea di leggerlo, ma poi scosse la testa. Non voleva altri problemi, non quel giorno.

Erano ormai le dieci di mattina quando gli occhiali gli sussurrarono che di fronte a sé aveva l’obiettivo. Si trattava di una bella ragazza sui vent’anni che indossava una camicetta bianca e una gonna di jeans con un paio di ballerine blu. Aveva lunghi capelli scuri e un fisico atletico. Proprio una stupenda visione. Stava uscendo dall’edificio esattamente in quel momento, la borsetta in una mano, il cellulare nell’altra. Era venuta l’ora di consegnare il messaggio e magari, chissà, anche di consolarsi per le infelicità della sera appena trascorsa. Attraversò rapidamente la strada e si ritrovò sul suo stesso marciapiede. Lei procedeva con passo rapido, presa dalla propria vita. Ivan alzò una mano e fece per chiamarla, ma il richiamo gli morì in bocca, mentre un dolore improvviso gli trapassava la schiena. L’ultima cosa che vide prima di cadere al suolo fu il volto della ragazza, giratasi, che lo fissava con occhi spaventati. Gli occhiali questa volta andarono in mille pezzi.
   
 
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