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Autore: lexalawliet    08/08/2016    0 recensioni
La spilla a forma di "M", è un ricordo che Lyn porta con sé da sempre. Non ricorda nulla del perché ce l'abbia. Questa spilla è una passaporta, è porterà nella nuova vita di Lyn uno strano ragazzo. Un mago. Dice di chiamarsi Draco Malfoy, e che il suo bottone l'ha portato da lei. Come se quel bottone e quella spilla fossero legati tra loro. Un passaggio segreto tra il mondo magico e il mondo dei babbani. Perché in casa dei Malfoy si trova questo strano passaggio? Loro odiano i nati babbani. Lyn scoprirà cose che forse era meglio non sapere.
Genere: Avventura, Fantasy, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Famiglia Weasley, Harry Potter, Hermione Granger
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti, Contesto generale/vago
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​Uno strano incontro
 
“Lyn, sono arrivati” la ragazza mora stava guardando fuori dalla finestra del dormitorio, con il cuore in gola. Era l'ultima settimana di Agosto ed era giunto il giorno. Fuori il sole splendeva, il cielo era limpido e di un azzurro spettacolare, ma, per qualche strana ragione, non era in simbiosi con il suo stato d’animo. “Hanno già firmato il contratto dell’adozione?” i suoi occhi color nocciola guardarono la donna di fronte a sé. “Sì, mia cara”. La ragazza notò la tristezza sul suo volto.
“Mi mancherai Mary”. Si abbracciarono calorosamente, e delle lacrime calde cominciarono a rigare la pelle candida di Lyn, impregnando leggermente il vestito della donna che fin dall’infanzia si era presa cura di lei.  “Tu sarai forte, piccola Lyn” disse Mary, stampandole un bacio sulla fronte.
Prima di scendere al piano terra, per andare incontro a quella che sarebbe stata la sua famiglia definitiva, raggiunse il bagno per lavarsi la faccia. Sistemò sulla camicetta bianca la sua spilla argentata a forma di piuma, su cui era incisa una M. Il suo viso era stanco per una ragazzina di soli quindici anni, per troppo tempo si era chiesta se avrebbe mai posseduto un posto da chiamare ‘casa’. Se, prima o poi, alzandosi alla mattina avrebbe fatto colazione con una madre e un padre sorridenti. Soprattutto se era ciò che voleva veramente. L’avrebbe scoperto solo andando incontro al destino.
Cominciò a percorrere le scale dell’edificio, che sin da quando ne aveva memoria aveva chiamato “casa”. Nonostante non avesse mai conosciuto i suoi genitori, Lyn era sempre stata una ragazza tenace, sorretta dall’effetto degli amici con cui aveva vissuto per tutto quel tempo. Ora, l’uccellino, doveva imparare a volare solo con le proprie ali e proteggersi con i propri artigli. Per la prima volta, le scale le sembrarono infinite, ed era talmente emozionata che quasi inciampò nei suoi stessi passi. Si era dimenticata di bere un bicchiere d’acqua, aveva la gola secca e non sapeva assolutamente cosa avrebbe detto per aprire la conversazione. Forse sarebbe venuto tutto da sé. In fondo alla scalinata intravide la luce provenire dalla porta dell’ingresso aperta. Eccoli, i signori Wright. Una bellissima donna le si parò di fronte, i capelli lunghi castani le cadevano sulle spalle, gli occhi erano dello stesso colore ed emanavano una serenità fuori dal comune; era di media statura e piuttosto snella. L’uomo accanto, invece, possedeva due occhi verde smeraldo, i capelli mori lucidi su cui era stata passata una bella mano di gel, leggermente stempiato e, rispetto alla moglie, alto e di corporatura né atletica né in carne. Parevano proprio una bella coppia, non per via dell’aspetto ma per l’alchimia che si poteva percepire tra di loro. Li aveva già conosciuti, ma, ogni volta che li incontrava, si sentiva in difficoltà, esattamente come un pesce fuor d’acqua. Chissà come sarebbe stato vivere assieme a loro. Per quel poco che sapeva di loro, poteva dire che erano delle brave persone, gentili e calorose.
In quel momento la signora Cecilia Wright le stava sorridendo vivamente.
“Ciao Lyn, allora come stai? Sei pronta?”.
Lyn si avvicinò per abbracciarla e rimase per un istante stordita dalle vibrazioni positive che emanava quella donna. Si accorse che stava tremando, capì che l’idea di diventare finalmente madre era per lei una tale gioia. Non aveva mai visto due occhi esprimere tanta felicità. La ragazza si rivolse anche al signor Wright, il cui nome era Micheal, e mentre si stinsero in un caloroso abbraccio, rispose
“Sto bene, grazie. Si, sono pronta. Non vedo l’ora di vedere la casa”.
“ Abbiamo finito giusto ieri di arredare la tua stanza, speriamo che ti piaccia. Comunque, le tue valigie sono già in macchina” la informò Cecilia.
La ragazza non sapeva più cosa dire, annuì sorridendo.
“Ah, un’ultima cosa: non hai paura dei serpenti, vero?” aggiunse Michael, con un’espressione fiera impressa sul volto.
“No, non credo. Non ne ho mai visto uno da vicino” abbozzò un sorriso, nonostante non avesse idea di cosa si sarebbe dovuta aspettare. Seguì i suoi futuri genitori in cortile, dove un’auto nera metallizzata li attendeva. Lanciò un ultimo sguardo verso l’immenso edificio, un nodo le attanagliò lo stomaco e, mentre osservava l’orfanotrofio sparire pian piano, diretta verso la sua nuova vita, augurò a se stessa buona fortuna.


I signori Wright vivevano in una delle tante semplici casette a schiera fuori Londra. Il percorso verso l’abitazione fu parecchio lungo ma tranquillo, per tanto arrivarono a destinazione per l’orario di cena. Lyn si sentiva molto più serena rispetto a prima di partire, e durante il tragitto rischiò parecchie volte di addormentarsi. Giunti oramai al termine del loro viaggio, si mise a osservare dal finestrino le aiuole ben curate davanti alle abitazioni del suo vicinato e le trovò deliziose. “Siamo arrivati” Michael esclamò, spegnendo la macchina e dirigendosi ad aprire la portiera a Lyn, come un vero gentiluomo. Si affrettarono a recuperare i bagagli nel baule assieme a Cecilia, e procedettero a fila indiana verso l’interno del futuro nido di Lyn, che non stava più nella pelle. Una volta varcata la soglia, un profumo dolciastro le salì su per le narici, ricordandole quanto avesse fame e facendole venire l’acquolina in bocca.
“Ho preparato una torta di mele, spero ti piaccia” Cecilia appoggiò la mano sulla spalla della ragazza.
“Sono sicura che sia buonissima! Inoltre amo le mele” rispose Lyn, guardandosi attorno.
La sala era molto bella, ampia, con un divano a tre posti e una poltrona del medesimo colore grigio scuro. Un focolare si ergeva proprio davanti e, tutt’attorno, alcuni mobili color panna erano stati addobbati con varie statuette, probabilmente di battesimi, matrimoni e cerimonie varie. Lanciò un’occhiata fugace alla cucina, che avrebbe raggiunto subito dopo aver depositato la propria roba in camera, dirigendosi con trepidazione su per la scalinata che stava nell’ingresso principale, udendo la voce di Michael chiamarla dal piano di sopra. Due delle camere principali stavano esattamente di fronte alle scale, a eccezione del bagno che si trovava subito a sinistra.
In mezzo alle due porte chiuse (Lyn non riuscì a capire quale delle due appartenesse alla stanza da letto dei signori Wright) c’era una grossa teca di vetro appoggiata sopra a un mobile di legno antico.
Si avvicinò cautamente alla lastra di vetro e intravide un paio di occhietti vispi osservarla da sotto un piccolo pezzo di corteccia, circondato da innumerevoli piante dal colore verde sgargiante; un ramo lungo e piuttosto robusto occupava il resto dello spazio, assieme a una vaschetta trasparente piena d’acqua. Soltanto una parte della coda dell’animaletto, arancione con delle grosse macchie rosse, era visibile sulla ghiaia giallognola e sui legnetti ancora più chiari che riempivano la base della teca.
“Ciao” mormorò la ragazza in tono amichevole e, a sua sorpresa, la creatura uscì lentamente dal suo nascondiglio, puntando i propri piccoli occhi neri in direzione di quelli di Lyn. Era semplicemente stupendo, non aveva mai avuto la possibilità di possedere un animale domestico, se pur così piccolo e insolito. “E’ un esemplare maschio di elaphe guttata” spiegò Michael, avvicinandosi a contemplare il serpente con un’espressione più che soddisfatta. “Ancora non gli abbiamo scelto un nome, ma in fin dei conti anche lui è nuovo in famiglia, è arrivato soltanto due settimane fa. Sappiamo solo che gli piace passare il suo tempo a snobbarci. Devo ammettere che è la prima volta che si avvicina in questo modo, penso che tu gli piaccia. Se vuoi, puoi avere tu l’onore di scegliergli un nome”.
“Volentieri! E sono sicura che faremo amicizia, non è vero piccolino?”.
Sorrise un’ultima volta alla creatura immobile e apparentemente docile, congedandosi e voltandosi quindi verso Michael, sentendosi sempre più a proprio agio in quella piccola dimora.
Dalle loro spalle provenne un rumore cigolante, come se fosse appena stata aperta una porta molto vecchia, poi ci fu un tonfo leggero sul pavimento. Cecilia aveva appena tirato giù le scale che portavano alla soffitta. “Vieni Lyn, qui c’è la tua stanza” la ragazza non se lo fece ripetere due volte e seguì la donna su per i piccoli gradini. Quando salì in mansarda, lo spettacolo che ebbe davanti agli occhi le fece mancare un battito. A stento trattenne le lacrime, infatti si morse l’interno della guancia per evitare di versarle.  Era talmente contenta che se fosse stata da sola si sarebbe messa a saltellare come una bambina di cinque anni e a battere con foga le mani. In tutta la sua vita, non aveva mai potuto permettersi il ‘lusso’ di una camera soltanto sua e quella era di certo la più bella che le potesse mai capitare: le pareti chiare, il pavimento in parquet, un letto matrimoniale con lenzuola immacolate, proprio in mezzo a due comodini bianchi in stile vittoriano, e, sul fondo della stanza, un armadio a tre ante del medesimo stile e colore.  Una piccola libreria, con già qualche libro sul primo scaffale, si trovava opposta al letto e affianco a una scrivania di legno di mogano, che riprendeva le sfumature del soffitto spiovente.
Si accorse del computer portatile chiuso, di vari sopramobili e oggetti di uso quotidiano sopra di essa.
Infine, a due passi dall’entrata, c’era un cassettone basso con un enorme specchio dalla cornice argentata, e nell’angolo vicino sbucava una poltroncina di velluto rosso.Non riusciva a crederci, la stanza sembrava proprietà di una principessa, anche se, onestamente, Lyn non era mai andata matta per le principesse. Nonostante fosse semplice nell’insieme, aveva l’aria di un gioiello prezioso.
Quello sarebbe stato il suo gioiello per tanto, tanto tempo. Un’immensa felicità le attorcigliò lo stomaco. Finalmente aveva trovato quello che aveva desiderato sin da piccola, ne era sicura.
“Wow, sono senza parole. E’ perfetta” esclamò Lyn “Se c’è qualcosa che non ti piace possiamo andare a cambiarlo quando vuoi” ammise Michael, lo sguardo fisso sulla ragazza che continuava a guardarsi attorno estasiata. “Ti abbiamo anche comprato dei nuovi vestiti, e in caso non siano di tuo gusto, non preoccuparti, andremo a breve a fare shopping insieme. Ora, se vuoi, mentre andiamo a preparare la cena puoi cambiarti e metterti a tuo agio” aggiunse infine Cecilia in tono affabile.
“Va bene, grazie mille” Lyn avvertì l’impulso di gettarsi tra le loro braccia per dimostrare il suo apprezzamento, ma aveva il timore di risultare inopportuna. Prima o poi l’avrebbe fatto senza pensarci. Sorrise, il cuore e la testa leggeri. Restò a osservare i suoi genitori scendere dalla scaletta tranquillamente, attese di essere completamente sola, infine prese la rincorsa e si lanciò sul letto. Un profumo fresco e inebriante l’avvolse non appena il suo naso fu in mezzo ai due morbidi cuscini. Si sdraiò a pancia in su, a contemplare il soffitto obliquo e a riflettere sul suo futuro, sempre meno offuscato dalla nebbia dell’ignoto. Non aveva mai avuto modo di fermarsi e domandare a se stessa che lavoro le sarebbe piaciuto svolgere, quali hobby praticare, se era adatta per gli sport o no. L’unico vero interesse che possedeva era leggere. A quel punto si ricordò della piccola libreria, perciò si mise in piedi e andò a curiosare tra i libri. Erano tutti pressoché grandi classici; tra questi c’era anche il suo preferito: Jane Eyre. Lo afferrò e lo mise sul comodino, promettendosi che quella sera lo avrebbe riletto, magari dopo aver chiesto a sua madre di preparargli una bella tazza di tè caldo, anche se di consuetudine si beveva alle cinque del pomeriggio. Si avvicinò dopodiché all’armadio, curiosa di vedere i vestiti che le avevano regalato i signori Wright, e una volta aperto la sua attenzione fu catturata da una bellissima vestaglia colore blu e argento, piegata e adagiata con cura sopra una piccola pila di vestiti. Se la provò davanti ai propri indumenti, voltandosi verso lo specchio. Era davvero splendida, le arrivava a metà coscia e il tessuto era liscio e piacevole al tatto. L’adorava. L’avrebbe indossata sicuramente, ma non quel giorno. Perciò optò per qualcosa di semplice e comodo: un paio di shorts blu e una canottiera nera.
Piegò i suoi abiti e li sistemò sul fondo ancora vuoto dell’armadio. Finalmente si sentì parte integrante di quel nuovo mondo. Era così contenta che probabilmente non sarebbe stata in grado di chiudere occhio per tutta la notte. Senza accorgersene, il tempo stava volando, fuori dalla piccola finestra tonda il cielo era più scuro e già si potevano scorgere alcuni puntini luminosi brillare intensamente. Cecilia e Michael stavano continuando a trafficare attorno ai fornelli, Lyn riuscì a distinguere un tenue chiacchierio concitato. Andò dalle scale e si chinò per ascoltare meglio la conversazione, ma, giusto in quel momento, un forte rumore proveniente dall’armadio alle sue spalle la fece sobbalzare. Ciò non fu niente a confronto dell’ “Ahia, maledizione” che seguì subito dopo. La ragazza si era precipitata ad afferrare il libro dal comodino, come se fosse stato uno scudo dietro cui difendersi. Il suo cuore prese a battere all’impazzata, tutto il corpo tremava come una foglia percossa dal vento. Avvicinò con uno scatto la mano alla maniglia dell’armadio e, nell’esatto istante in cui il coraggio le permise di tirarla verso di sé, l’altra anta che non aveva preso in considerazione si aprì. Seduto sopra alla sua camicetta, con le gambe distese sul pavimento e una mano a massaggiarsi la testa, c’èra un ragazzo. Doveva avere più o meno la sua età. Le prime due cose che notò furono il colore dei capelli, biondo platino, e due occhi azzurri, glaciali. L’unica domanda che il suo cervello elaborò fu: come ha fatto a spuntare lì dentro dal nulla?
Non c’era nemmeno il bisogno di fare mente locale, era più che sicura che l’armadio prima fosse vuoto. Forse il ragazzo era rimasto nascosto sotto il letto per tutto quel tempo, per poi approfittarsi della sua distrazione e infilarsi dentro all’armadio.
Le sembrava però un’idea troppo assurda, avrebbe dovuto sentire qualche rumore, o comunque il biondino non sarebbe stato così stupido da farsi scoprire.
Non riusciva a trovare alcuna soluzione logica. Erano rimasti a lungo in silenzio, o almeno a Lyn parve passare parecchio da quando i loro sguardi smisero di percorrere le loro figure, e finalmente il ragazzo misterioso si mise in piedi. Era piuttosto alto ed esile. Lyn si sforzò di trovare l’autocontrollo per parlare “Chi sei e che ci fai qui?”. Il biondo la fissò con aria scocciata, si lisciò i pantaloni neri eleganti e si sistemò il colletto della camicia bianca, ignorando la sua domanda. Controllò entrambe le tasche e, quando toccò qualcosa all’interno, assunse un’espressione sollevata.
“Sei sordo, per caso? Guarda che se non ti decidi a spiegarmi come accidenti sei finito nel mio armadio, chiamo la polizia”.
Il ragazzo scosse la testa e fece roteare gli occhi in modo altezzoso, poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si avvicinò spaventosamente a Lyn.
“Dove mi trovo?” chiese, parlando per la prima volta, con un tono educato e allo stesso tempo esigente, forse a un livello troppo sfacciato.
“In Inghilterra?” rispose confusa la ragazza, per via di quella domanda inaspettata. Com’era possibile che non sapesse dove si trovava?
“Non capisco se è una domanda o un’affermazione. Non importa, ho altro a cui pensare”.
Detto ciò, superò Lyn senza degnarla di uno sguardo, ignorando la sua faccia esterrefatta.
Dal canto suo, Lyn non aveva intenzione di lasciare che quello sconosciuto vagasse per la sua stanza senza il suo permesso. Lo afferrò dalla manica della camicia e lo obbligò a voltarsi verso di lei.
“Scusa tanto la mia insistenza, ma tu non andrai proprio da nessuna parte. Vorresti dirmi come hai fatto a comparire dal nulla?”
“No” sbottò secco lui, scacciando via da sé la mano della ragazza. Cominciò a guardarsi attorno.
“Sei un ladro?” domandò Lyn nel frattempo.
“No”
“Un agente segreto?”
“Cosa?”
“Un alieno venuto dal futuro?”
“Devo ammettere che avete una fervida immaginazione, voi babbani” borbottò il biondino, sospirando.
“Noi babbani? Che cosa sono i babbani? E’ per caso una parolaccia di tua invenzione?”
Lui rimase in silenzio. Un piccolo ghigno divertito comparve però all’angolo della bocca, ma all’istante lo soppresse, come se si costringesse a restare serio.
“Guarda che sono qui! Potresti anche essere un po’ più educato, infondo non sono io quella che è piombata senza preavviso in casa tua”.
“I babbani sono coloro che non sanno usare la magia. Vedi, questa” e le mostrò un piccolo bottone dorato estratto dalla tasca dei pantaloni “è una passaporta e mi ha portato direttamente qui. Significa che in questo posto c’è qualcosa d’importante”.
Lyn non aveva capito una sola parola di quello che il ragazzo aveva appena detto. La sua mente si era focalizzata sulla parola magia e nulla aveva avuto più senso. Con tutta probabilità quell’individuo insolito si stava prendendo gioco di lei, oppure era sotto l’effetto di qualche droga particolare.
“Vorresti farmi credere che hai dei poteri magici? E magari riesci persino a far fluttuare gli oggetti nella mia stanza, eh? Per favore, risparmiati le fesserie e smettila di prendermi in giro. La magia non esiste”
“Non so nemmeno perché te l’ho detto, voi babbani siete proprio stupidi. E per tua informazione, sono in grado di far lievitare gli oggetti, ma non mi è permesso di usare la magia fuori dalla scuola”
“Io non sono stupida!” esclamò offesa Lyn “Solo che non ho mai visto una strega o un mago prima d’ora. E senza una dimostrazione è quasi impossibile crederti. Almeno dammi qualche dettaglio in più, raccontami com’è da voi. Per esempio, imparate la magia a casa con le vostre famiglie?”
“Ti ho già detto che vado a scuola, ma forse il tuo cervello deve ancora elaborare l’informazione”.
Il ragazzo continuava a girare per la stanza, aprendo cassetti e ficcando il suo naso aggraziato dappertutto. Lyn ignorò quell’insulto gratuito, ricordandosi che il ragazzo le aveva effettivamente riferito che non poteva usare la magia fuori dalla scuola, anche se non aveva ben capito il senso dell’affermazione. Provando a immaginare per un attimo che fosse tutto quanto vero e che lui non fosse un malintenzionato, ammise “Quanto mi piacerebbe frequentare una scuola del genere”.
“I babbani non sono ammessi a Hogwarts. Non riusciresti a vederla nemmeno se ci capitassi davanti per puro caso”
“Vuoi dire che è nascosta da un incantesimo?”
Quella parola le fece scendere un brivido lungo la schiena, come se avesse suonato una corda nascosta e immobile da tempo.
“Esatto. E ora, se non ti dispiace, ho una missione da svolgere. Mi stai facendo perdere tempo”
“Ti assicuro che non troverai niente qui. Mi sono trasferita soltanto oggi e i signori Wright sono persone per bene”
“Perché li chiami così? Non sono i tuoi genitori?” chiese con malcelato interesse, sfogliando uno a uno i libri sugli scaffali, cercando chissà cosa tra le pagine.
“Mi hanno adottata” dichiarò Lyn, un po’ in imbarazzo a svelare quel dettaglio a un perfetto sconosciuto.
“Capisco” si limitò a rispondere lui, forse imbarazzato a sua volta per la scoperta e per il poco garbo che le aveva riservato fino a quel momento.
Depositò l’ultimo libro al suo posto e andò davanti al letto, chinandosi per terra e osservando sotto di esso.
“Si può sapere cosa stai cercando?”
“Non ne ho idea. Qualcosa d’insolito” mormorò il ragazzo, leggermente spazientito.
“L’unica cosa insolita qui dentro sei tu” disse Lyn, lasciandosi sfuggire una risata divertita.
In un paio di secondi, tutta la situazione le parve sotto una luce diversa. Quello di fronte a sé era un ragazzo, forse di un paio di anni più grande di lei, che girava per la sua stanza come se fosse un amico conosciuto da poco e invitato a passare una giornata a casa sua.
Non si sentiva a disagio, anzi, la sua compagnia era piacevole, nonostante lui si stesse comportando un po’ d’arrogante. Percepiva in lui un’energia inspiegabile, come se l’avesse già conosciuto da qualche parte, anche se era sicura di non averlo mai visto prima. Si rese conto di quanto i lineamenti del suo viso fossero delicati e ben fatti, sebbene lui tendesse a irrigidire ogni muscolo facciale.
Le spalle non erano molto ampie, ma grazie alla sua aria autoritaria e sicura di sé erano dritte e con un non so che di aristocratico.
I suoi indumenti parlavano chiaro a tal proposito, proveniva senza dubbio da una famiglia più che agiata. Quando finalmente si tirò su da terra, si accorse di essere scrutato e perciò risolve un’espressione interrogativa alla ragazza. Lei arrossì violentemente, si voltò altrove per non darlo a vedere, e, per evitare di dare sospetti, chiese “Trovato qualcosa d’interessante?”
“Il tuo sguardo su di me”
Lyn deglutì, sperò di non aver assunto i toni di un pomodoro, poi si rivolse nella sua direzione
“Stavo controllando cosa facevi”.
“Non ne dubito” sogghignò lui, con un sorriso beffardo nuovamente trattenuto a fatica.
“Lyn è pronto!” la voce di Michael arrivò dalle scale. Lyn si sentì un tuffo al cuore.
Se fosse salito lì sopra chissà cosa avrebbe pensato vedendo quel ragazzo in camera con lei.
“Arrivo” disse ad alta voce in risposta, sperando che bastasse per non farlo venire.
“Direi di aver finito. Non ho trovato nulla, forse questa passaporta è mal funzionante. Ad ogni modo, è stata una perdita di tempo. E’ ora che io torni indietro” disse il biondo, guardandola fisso negli occhi, come se le avesse appena rivolto un arrivederci.
Ma così non fu, perché non ci sarebbe stata un’altra occasione d’incontro. Quella strana circostanza non si sarebbe mai più ripetuta.
Lyn ancora non riusciva a capire che cosa stesse succedendo. Il pensiero però di non rivedere mai più quel ragazzo le creò una voragine nello stomaco.
“Aspetta, prima di andare, dimmi almeno il tuo nome” lo pregò gentilmente lei, sperando che gli concedesse quell’ultima richiesta.
“Perché dovrei?”
“Io…non lo so. Non ti vedrò mai più…” sollevò le spalle, confusa più che mai, accartocciandosi sulle sue stesse parole.
Non riusciva a trovare un motivo per cui volesse sapere il suo nome. Forse, per poter ricordare più a lungo il suo viso.
“Draco” e dopo aver infilato una mano in tasca, aver stretto il bottone dorato e aver rivolto un ultimo sguardo enigmatico alla ragazza, svanì.
 
   
 
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